PARTE PRIMA: Penser l'impossible (1756 - 1762)

Ieri sera, 27 gennaio 1756, Herr Leopold Mozart di Salisburgo, annuncia agli amici il lieto evento verificatosi alle ore otto:

«La mia cara moglie ha dato felicemente alla luce un bambino. È stato necessario rimuovere la placenta. Tutto questo l'ha enormemente indebolita, l'avevano data per spacciata. Ora invece, grazie a Dio, sia il bimbo che la madre stanno bene.»

Un parto innaturale, la placenta rimossa manualmente. La puerpera - Anna Maria Pertl, coniugata Mozart - non riusciva ad espellerla. Un parto rischioso, non esente da complicanze. Avrebbe dovuto filare tutto liscio, essendo il settimo. Il bambino avrebbe dovuto ostentare guance più rubiconde, vagiti più poderosi. Invece è gracile, pallidino. Sfavorevoli i pronostici che riesca a superare l'inverno.

Un bambino, ripetono in coro i vicini di casa al civico 9 di Casa Hagenauer della Getreidegasse, la strada del grano. Un maschio, conferma suo padre. Orgoglioso. Se questo figlio vivrà - e le speranze sono flebili, ma comunque dure a morire - potrà fregiarsi ufficialmente della cittadinanza salisburghese.

Ci scommette, su questo lattante. È il suo settimo figlio. Cinque anni dopo Maria Anna Walburga Ignatia, chiamata col vezzeggiativo affettuoso di Nannerl, o Nanerl, Nennella oppure Nannarella. La restante prole è stata falcidiata dalla morte in culla. Comune. La mortalità infantile è alta e non esistono contromisure volte ad arrestarne il picco in ascesa. Gli altri cinque bimbi, due maschi e tre femmine, sono tutti deceduti entro i primi mesi di vita. Epidemie di tifo e vaiolo. Infezioni bronchiali, polmonari. Convulsioni. Frequenti. Johann Leopold Joachim. Maria Anna Cordula. Maria Anna Nepomucena. Johann Karl Amadeus. Maria Crescentia Francesca Paula.

«Nascendo, è mancato poco che uccidesse sua madre.» commenta cinica la nonna paterna Anna Maria Sulzer, giurando che non lo degnerà mai di una visita dopo quel travaglio traumatico, pericoloso. Sua nuora non tenterà di avere altri figli. «E con buona ragione!» assente, pragmatica, la vecchia.

Nevicava, al momento della nascita del settimo figlio di Leopold Mozart e Anna Maria Pertl. I fiocchi volteggiavano in turbini di luce fatata. Sul lucernario nella camera nuziale - un occhio sul cielo - si era depositata una spanna di neve. Il gelo penetrava in quell'abitacolo umido e freddo, spiovente su un cortile arabescato di muffa e corroso dalle incrostazioni. Avevano provveduto ad accendere le candele.

Al loro baluginio tremolante, Nannerl, inginocchiata sul davanzale di una delle quattro finestre affacciate sulla via dei cereali, si figurava, trasognata, il suo fratellino. O la sua sorellina. Implorava la Vergine di concedergli una vita più lunga di quelle brevi e oscure degli altri suoi consanguinei. Alitava sui vetri e, tra i ghirigori di brina, ci disegnava a ditate un faccino gioioso, fornito poi d'un corpo, di arti. Un omino felice.

Il suo fratellino.




La Getreidegasse attraversa per intero la Città Vecchia di Salisburgo, tagliandola in due, un rasoio lastricato. Lunga e sinuosa, si snoda tra botteghe di commercianti e artigiani, variopinta, trafficata e vivace.

Il fulcro della vita cittadina si svolge qui. Il potere civico, religioso, culturale pianta in questo nastro di ciottoli e negozi le sue radici.

D'estate, clima temperato e brezza mite spirante dalle cime, è un viavai di carretti straripanti di frutti profumati e croccanti verdure.

D'inverno, quando la coltre di neve camuffa le balaustre dei balconi e le grondaie in bilico sui tetti, quando, per antonomasia, la natura avvizzisce e si intorpidisce, l'arteria principale di Salisburgo si rianima degli scampanellii argentini e degli schiocchi di frusta dei contadini e dei boscaioli trainanti le loro slitte verso il fiume Salzach, seminando sul terreno ghiacciato scie di fiabesche scintille.

L'inverno arrossa le guance, le stelle di neve s'impigliano nelle ciglia, nelle pellicce. Scende leggiadra e silenziosa, la neve. Discreta. Il fiato si condensa in sbuffi. I cristalli s'induriscono. Gli alberi s'imbacuccano. La neve è una verniciata bianca.

Il vento punge. I vetri si appannano.

La neve trapianta i suoni altrove. Dove? Proibito saperlo.

A primavera, il silenzio solenne, imperturbabile, evapora via con le ultime roccaforti di ghiaccio, pantani melmosi e mollicci d'un grigio sporco.




Salisburgo è bellissima.

Una minuscola, provinciale, perla.

Fondata dai romani, assurta, nel Medioevo, a epicentro monacale, è diventata Salzburg - il borgo del sale - grazie alle preziose miniere di salgemma delle sue ricche montagne, un diadema di picchi e vette innevate sfumante in lontananza. Principi e arcivescovi ne hanno accresciuto il prestigio, fino a poter venire insigniti della podestà secolare e del titolo di principe arcivescovo dell'Impero.

Un connubio tra sacro e profano, il padrone di Salisburgo accentra a sè sia la sfera politica che quella religiosa. Sua Eminenza abita l'immensa e fastosa Residenz, ape regina di un alveare di cortigiani, nobili, sacerdoti, ufficiali, frati, lacchè in livrea.

E musicisti.

Un esercito asservito ai suoi comandi in quel palazzo accerchiato in un delirio di chiese barocche, dai campanili panciuti e santi dalle aureole montate in ferro, sui pinnacoli in pietra dei loro portali dalle spropositate decorazioni. Angeli. Putti. Cherubini. Santi. Madonne. Memento mori. Clessidre sulla caducità della vita e riflessioni incise sull'effimero. Quando nevica, le raffiche sfarfallano su quelle guglie, la discesa lenta del pulviscolo si riflette nei riquadri di luce sui pavimenti.

Chiunque presti servizio presso Sua Eminenza è registrato nel contratto come cameriere. Un sottoposto. Un inferiore. È il normale stato dei ruoli. I nobili affollanti la corte trattano tutti coloro che lavorano alle loro dipendenze come, non diversamente, trattano gli sguatteri, i pasticceri, i giardinieri.

Si vive per servire e si serve per vivere.

Sfruttano e maltrattano, lanciando poi le briciole. Briciole. Di questo si sfama il popolo. Briciole. Brandelli dell'involucro dorato.

Indispensabili per sbarcare il lunario.

La musica colora le loro vite scolorite, alte, ma distanti, soffocate dal cerimoniale. Un sottofondo perpetuo, dalla nascita alla tomba. Festose sinfonie per la venuta al mondo, lugubri sottotoni per piangere la tumulazione.

Raramente a Salisburgo si distingue qualche celebrità. Le particolarità mal si addicono a questa vita monotona, boriosa, dove i sussidi non sono distribuiti dagli angeli, ma dall'oculatezza dei potenti, i quali, per rabbonirsi il popolo, tenerselo sottomesso e remissivo, elargiscono denaro ricorrendo allo stesso giudizioso metodo delle brave massaie per mantenere trionfanti e fresche le cascate floreali dalle facciate di Salisburgo: poca acqua, ma innaffiare ogni giorno.

Con parsimonia.

Con attenzione.

Non bisogna allungare troppo la mano. La generosità eccessiva è malvista.

O la plebaglia si rivolterà, azzannando il padrone.

E un popolo aggressivo - in Francia serpeggia un sotterraneo malumore, s'infiltra nelle magioni, nei salotti, nei circoli culturali, nei caffè, tramite le letture incensurate di quelle canaglie di Voltaire o Rousseau o Diderot, ma nessuno parla e se estirpi la zizzania nociva alla radice il malcontento crolla - è capace di far vacillare i troni.

I troni degli eletti da Dio.

La società, pigra, lamentosa, compiacente, soggiace ai capricci degli aristocratici e si accontenta di venire mantenuta. Basta portare la pagnotta in tavola.

A Salisburgo di rado emerge un talento.

Il livello musicale è modesto, l'orchestra ottima, i violinisti buoni, qualche virtuoso addirittura superiore alla media. Ma chiusa lì. La sudditanza li assuefa in una nube d'indolenza. Sanno che non potranno mai ambire alle imponenze da capogiro delle orchestre imperiali. Riverberano note di messe, di funzioni ecclesiastiche, di funerali e battesimi e comunioni. Ave. Gloria. Kyrie. Requiem. Coloro che li suonano, i cui archetti pizzicano le corde o premono tasti, sono bande scalcagnate di rozzi, maneschi, indisciplinati, scurrili lazzaroni. Si ubriacano nelle più basse e licenziose osterie dei sobborghi. Palpeggiano le donne. Bazzicano coi venditori di acquavite e il dialetto che pasticcia le loro lingue è volgare, grezzo, incomprensibile.

Ma, del resto, nemmeno il linguaggio della gente comune è stato insegnato in un collegio di educande. Pittoresca, gozzovigliante realtà, quella di Salisburgo. Schiamazzano in un linguaggio farcito di frecciate, giochi di parole, rime, allusioni non tanto velate alle parti più intime e indecenti del corpo: chiappe, peti, escrementi.

Nessuno, però - giacché non sono cafoni fino a quel punto, gli abitanti di Salisburgo - si sognerebbe mai di esprimersi con quelle sboccate immagini alla luce del sole.

Una parvenza di civiltà - e dignità - la mantengono.

Sono adulti.

Mica bambini.




Il giorno dopo la sua nascita, Leopold Mozart - eccellente maestro di musica, secondo violino presso la corte arcivescovile e autore di un manuale sul "metodo per suonare il violino", Versuch einer gründlichen Violinschule, pubblicato nella sua nativa Augusta - iscrive suo figlio nei registri battesimali della cattedrale di Salisburgo e gli impone tre nomi.

Johann Chrisostomus, Wolfgangus, Theophilus.

Una sfilza di nomi troppo opprimente per un bebè così minuto.

Johann Chrisostomus a memoria del santo celebrato il giorno della sua nascita, San Giovanni Crisostomo. Theopilus, in onore dello stimato padrino Johann Theopilus Pergmayr, commerciante e consigliere civico. Wolfgang, come il nonno materno, Wolfgang Nikolaus Pertl. Il funzionario incaricato di trascriverli cambia spontaneamente il latinizzante Theophilus nel più tedesco Gottlieb, dal medesimo significato: colui che è amato da Dio.

Amadeus in latino.

I soprannomi, presto, si sprecano. Wolfgang. Wolferl. Wolfgangerl. Wolfie. Wolfi. Wolf.

Un bravo bambino. Tranquillo. Pacato. Dorme sempre. S'ingozza alla poppa. Contravvenendo alla sciagurata tradizione di famiglia, Leopold lo affida a una balia, affinché lo nutra con il suo latte grasso e tiepido. Avrebbe preferito svezzarlo seguendo lo stesso modello educativo secondo il quale sono stati allevati lui e la sorella: decotto d'orzo e acqua. Metodi spartani. C'è poco da stupirsi se, tra i musicisti della cappella arcivescovile, Leopold Mozart detiene la fama di uno dall'indole poco incline alle burle, ai sollazzi. Austerità e decoro. Castigata severità.

Si evince subito la sua provenienza forestiera.

Ma, nelle vesti di insegnante di musica, non c'è nulla da recriminargli. La pedagogia gli si addice. Lavora su commissione componendo musica sacra che puntualmente consegna fitta di esorbitanti correzioni, note e istruzioni. Impartisce lezioni gratuite ai rampolli dell'alta società nel suo studio in quell'appartamento di quattro stanze al civico 9 di Casa Hagenauer della Getreidegasse.

Arredato con mobili, tavoli, mensole, sedie, leggii, gli immancabili strumenti musicali, un telescopio e un microscopio. In quella stanza, interdetta ai figli, Herr Mozart si esercita al clavicembalo, compone inni e orazioni, insegna privatamente.

Una successione di tre grandi camere conta quell'appartamento. Più una di dimensioni minori, più piccola, riservata ai bambini. Quattro finestre danno in strada. Nella cucina dalla volta fuligginosa, al bel forno intonacato, crepita gagliardo un fuocherello invitante. I soffitti sono decorati con stucchi di motivi vegetali, pigne e ghirlande di fiori, in voga nelle abitazioni borghesi. Le pareti tinte di chiaro.

Nella sua stanzetta, china sulla culla, un tripudio di pizzi e merletti, Nannerl contempla il suo nuovo fratellino come contemplerebbe un eminente sconosciuto.

Non è bello. Aggrottato nel sonno, l'orecchio sinistro accartocciato e privo di lobo, si ciuccia i pugnetti contratti, una cuffietta trinata sui ciuffi biondicci e radi.

Le sue bambole dal viso di porcellana sono più carine, conviene Nannerl.

«Wolfie, Wolfie.» lo sollecita, sfiorando l'ammasso di coperte, sporgendosi in avanti, i boccoli castani capitolanti. «Perché non abbai?»

Wolfgang. Colui che cammina a passo del lupo.

Finora non ha neppure accennato a gattonare.



Nannerl, con l'esperienza dei cinque anni che la separano dal fratellino, decide di supplire al ruolo di balia. Meglio: di seconda mamma. Si prende cura del marmocchio come fosse uno dei suoi bambolotti in porcellana e bulbi di vetro.

Lo veste, lo sveste, lo cambia, lo pettina, gli arriccia i capelli, lo coccola, lo spupazza, se lo issa in grembo e lo esibisce in una passeggiata nella sua carrozzina in miniatura. Wolfgang gorgoglia, mulina le manine, gli occhi, d'un celeste slavato, scintillanti di malizia. Nannerl lo bacia sul naso, gioca a rubarglielo. Glielo restituisce sempre. Osserva la mamma che lo ninna, cullandoselo, accozzato al seno, con le tradizionali e ataviche canzoni del repertorio regionale.

Ma Wolfgang adora le filastrocche, le filastrocche buffe e strampalate. Lo ridestano dalla sua svagatezza, sembrano guarirlo dalle tossi e dai raffreddori che perennemente lo affliggono. Corollari di parole ripetutamente storpiate, sillabate, recitate al rovescio, intonate intervallando buffi versi.

L'oragna figatafa spicca come la sua preferita. Wolfgang leva la testa, ridacchia di gusto, si profonde in buffi sospiri, mugolii di piacere, balbettii, divertenti e appassionati grugniti. Partecipa schioccando la lingua contro il palato, sputacchiando saliva, digrignando i denti, ringhiando come il lupacchiotto insito nella sua onomastica. Oragna figatafa, marina gaminafa. Barcolla, incerto sui primi passi, la canta prima di andare a letto con suo padre. Un rituale consolidato, immancabile. Monta bizze incredibili se non la canta e non bacia suo padre sulla punta del naso.

Scala le sue ginocchia, canticchiandola sommessamente, e gli imprime un bacio sul naso. Sonoramente. Come se volesse stamparglielo sulla pelle.

«Oragna figatafa, marina gaminafa, dopo Dio viene papà.»




Note

Lo soooo, siete abituati alle mie pubblicazioni a blocco unico🤣ma ho deciso di optare per il metodo classico, agevolante la scrittura a me e la lettura a voi. Iniziamo col botto ordunque! Il piccolo Amadeus viene al mondo, un mondo che, quando si accorgerà di lui, non lo lascerà più in pace.

Il titolo si rifà a un brano del musical tedesco Mozart!, disponibile su YouTube (purtroppo non più completo, per lo meno della versione del 2016, qualcuno l'ha tolto, ma trovate, suddiviso in parti, un filmato della prima del 1999. Ahimè privo di sottotitoli per chi, come me, non mastica il tedesco 🥲)

Approssimativamente lo potremmo tradurre come "l'oro dalle stelle", ovverosia le opportunità che la cantante sprona un giovane e ribaldo Wolfgang a cogliere lontano dalla bigotta, ristretta Salisburgo, nonostante le reticenze di Leopold.

Su Leopold ci arriveremo🤣calmi. E leggerete anche voi la formidabile paternità.

I capitoli, invece, omaggiano un altro musical: Mozart l'Opéra Rock, del 2010.

RECUPERATELO ORA, È STUPENDO, LO TROVATE COI SOTTOTITOLI IN INGLESE.

ORA E POI NON DITEMI CHE LE CANZONI DI SALIERI SONO BRUTTE O-noooo😇🤭

Fun fact: Mozart era davvero contraddistinto da una deformità congenita all'orecchio sinistro! Oggi denominata in ambito medico "Mozart's ear", non so dirvi quanto abbia influito sulle sue capacità intellettive o di ricezione musicale (ricordiamo che il compositore austriaco possedeva anche il celebre "orecchio assoluto" di cui tratterò più avanti) ma quel che è certo è che trasmise tale particolarità al suo ultimo figlio, Franz Xaver Wolfgang.

Capite dalla calligrafia quale appartiene al pargolo Mozart e quale a un individuo normale.

Intanto, eccovi Gold von der Sternen! Il preambolo di preciso è:

Wolfie: papà voglio licenziarmi dal servizio presso l'arcivescovo e andare a Vienna.
Leopold: sticaz-
Baronessa patrona e amica che spinge Wolfie ad andare a Vienna: lasciate allora che dica la mia cantando codesta canzone assolutamente non alludente a voi due e alla vostra relazione problematica 😀

[Dovrebbe esserci un GIF o un video qui. Aggiorna l'app ora per scoprirlo.]



A presto! ❤️

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