La douleur s'impose, mais je n'ose pas

Cosa ricorderà, in seguito, di quella prima, frenetica, settimana viennese?

Saloni sfavillanti, il baluginio delle candele, tintinnio di tazze da tè, profumi nauseabondi, un concentrato di profumi e sudore nella stessa stanza da far rivoltare le budella, e chiacchiere. Tante chiacchiere. Chiacchiere a palate. Il parlottio dei ricchi anfitrioni mentre lui e Nannerl danno sfoggio del loro talento alla tastiera.

Parlano come se loro fossero invisibili.

Come se componessero un arredo, una tappezzeria.

Bambini prodigio a cui applaudire, a cui riservare baci appiccicosi e strapazzi al termine del loro concerto. Bravi, bravi piccolini.

E basta.

Nannerl è meno lodata di lui. Wolfgang lo nota e il dispiacere gli scava nel petto. Povera Nannerl. Suona bene quanto lui - se non di più, molto più esperta, molto più navigata nel sapere gestire papà e le sue reazioni - e pochi la notano. Non deve offuscare il suo astro. Wolfgang ha sei anni, ma non si crede tonto. Certe cose le capisce. Percepisce l'irrigidirsi della sorella, il suo rabbuiarsi in viso, quando gli applausi e l'ammirazione del pubblico sono incentrati unicamente su di lui.

Dev'essere la cornice riquadrante intorno al dipinto laddove Leopold è il pittore e Wolfgang il soggetto rappresentato.

Marginale.

Wolfgang tenta di includerla, lotta perché papà acconsenta a lasciarle maggiore visibilità. Nannerl al violino, esordiente prima del fratellino al clavicembalo. Nannerl cantante il brano eseguito alla tastiera da Wolfgang.

Non basta.

Lei è una bambina talentuosa, il suo sapere si discosta dalla tradizionale conoscenza musicale impartita alle sue coetanee. È magnifica, una pianista provetta.

Ma è Amadeus che il pubblico riverisce. Che vuole. Che si disputa. È quel piccolo, sorprendente, peculiare ninnolo dal codino spenzolante e guance paffute, che a sei anni padroneggia una dimestichezza e una sicurezza musicale d'un uomo maturo di quaranta. Quel birichino dalle manine candide da cui scaturisce musica reminiscente il rombo turbolento d'un ruscello alpino, l'acciottolio convulso degli zoccoli, il fremito del vento tra le fronde secolari d'una quercia, il turbinio della neve d'inverno, in quel frammento d'anno di camini scoppiettanti e biscotti al marzapane.

Musica pizzicante corde dell'anima, amo a sentimenti assopiti nell'abisso del cuore.

Wolfgang non illustrerebbe la sua musica con definizioni tanto astruse e improponibili.

Semplicemente, la sua musica... c'è.

Ci gioca assieme.

Filtra attraverso di lui, sboccia dentro di lui, come incisa nel cervello. C'è. L'avverte in ogni rumore, in ogni gesto, in ogni, minima, variazione di tono.

Sfumature.

Il mondo trabocca di mi e fa e do. Il mondo è un pentagramma disordinato, dove le note sono sparpagliate a casaccio, in modo raffazzonato. Che garbuglio. Wolfgang districa questa matassa. Le sistema, inserendole tra le linee dritte e sicure del pentagramma. Le salva dal disastro, dalla caotica disarmonia di quest'universo armonico. Incomprensibile, se uno non è ferrato di musica.

Wolfgang lo vede come il salvataggio delle sue amiche note.

Della sua amica musica.

Un gioco.

Quant'è adorabile, ingobbito allo scrittoio, le gambette ciondolanti che nemmeno sfiorano il pavimento, magari una svogliatamente ripiegata sotto le natiche. Con la testolina storta e le labbra morsicate, il cipiglio aggrottato. Profondamente immerso nel suo lavoro, assorto. In contemplazione d'una preghiera dell'anima che solo lui pare udire. Tra gli svolazzi di penna traccia scale, variazioni, passaggi, la musica fluente dal suo cervello direttamente sulla carta, chiazzando d'inchiostro.

Canticchia tra sè e sè, uno spiffero d'aria inclina la fiamma fioca dell'unica candela ardente sul tavolino. In quel trambusto di fogli sparsi dappertutto, in quel campo incontaminato e incartapecorito, Wolfgang semina la sua creazione.

Feconda il pentagramma d'un avvicendarsi di re e fa e sol.

È il suo mondo, la sua sfera intima.

Un riparo.

Il suo paese dei balocchi, dove potersi sfogare.

Spartire con qualcuno - con Nannerl - questo suo reame incantato lo renderebbe assai lieto. Curerebbe la sua solitudine e la malinconia della sorella. Si impegna, ubbidisce a suo padre, lo perseguita costantemente il tarlo della sua approvazione, unitamente a quella, vitale per campare, del pubblico.

Ma vorrebbe che aguzzassero le orecchie.

Vorrebbe che capissero.

Venite a giocare insieme me, con la musica, è divertente, è appagante.

«Quello che sto facendo.» gli dice solennemente Leopold una sera, i posti sfoltiti intorno al cembalo nel loro salotto in locanda. È abitudine, ormai, che papà inviti curiosi e intenditori di musica anche a orari tardi. Qualunque espediente per sponsorizzare le capacità dei suoi figli lui lo coglie al balzo. «Lo sto facendo per te.»

Per te.

Wolfgang gli sorride, la maschera ossequiosa e responsabile del bravo figlioletto. Papà lo ripaga con un sorriso sincero. Un sorriso di approvazione.

Wolfgang n'è rincuorato.

Papà gli ha sorriso, gli ha mostrato la sua compiacenza e lui non lo deluderà.

Per te.

Non ha citato Nannerl o la mamma o Pimperl, la cagnolina.

Il salotto è pervaso dalle note sublimi e dagli accordi del clavicembalo. Sedute strisciano, si accalcano intorno allo strumento. Candele tremolanti in aloni di luce soffusa. Si stappano bottiglie di brandy e il liquore aureo infiamma gole e annebbia meningi. Anna Maria serve cioccolatini e dolciumi caramellati agli ospiti dai cognomi e titoli altisonanti. I ciocchi crepitano, si spaccano, nella stufa.

Wolfgang è stanco, le dita indolenzite. L'orario a cui, a Salisburgo, è obbligato a coricarsi è trascorso da un pezzo. Nannerl, ritta in piedi, cantante nel duetto, occulta uno sbadiglio parandosi la bocca con il foglio.

In testa ha una melodia nuova. Gli formicolano i polpastrelli al pensiero di interrompere tutto e fiondarsi a immortalarla in eterno s'un foglio.

Ma papà gli ha sorriso.

D'improvviso la spossatezza si dissolve. Sigilla la melodia in un cassetto della memoria. La copierà domani.

Lo sto facendo per te.

«Ne sono riconoscente, signor padre.»

Ha a cuore i suoi interessi... o quelli del suo genio?




«Papà...»

Onore incommensurabile poter banchettare al desco dell'Imperatrice d'Austria.

Una sequela di pietanze luculliane e pasti sobri, tipicità culinarie austriache, si susseguono sulla tovaglia damascata. Maria Teresa è sostenitrice d'un sano regime alimentare per i suoi rampolli, improntato al consumo di cibi salutari, semplici, dal sapore genuino, e una rigorosa attività fisica all'aria aperta. Il fasto scenografico di alcune vivande è eclissato dagli effluvi succulenti di piatti della tradizione quali gli gnocchetti di patate, gli Spätzle, o la cotoletta impanata, la Schnitzel.

Sua Maestà nutre affetto verso il bambino. Alimentate il suo talento, Herr Mozart, sarebbe un oltraggio al Signore se andasse inespresso. Leopold continuerebbe ad alimentare quella timida fiammella anche senza l'incentivo del real consiglio.

Il cosiddetto bambino, giacchetta abbottonata e parrucca spazzolata - un velo di cipria sui boccoli laterali - nel taglio dalle sfumature lilla e oro omaggio dell'Imperatrice, gli tira impaziente la manica. Leopold lo scaccia con uno strattone brusco. Sfilaccerà l'orlo, se non la smette.

«Non adesso, Wolferl.» gli sibila infastidito.

Stava intrattenendo una discussione infervorata con il maestro di cappella, il Kapellmeister, Glück. Quel Glück. Innovatore in campo musicale con la sua riforma nell'opera seria italiana. Qualunque dramma lo attanagli, può sbrigarsela da solo.

Wolfgang non demorde. Gli piglia il braccio, lo scuote forsennatamente.

«Papà, vi prego...»

Insomma!

«Non vedi che sono impegnato?!» sbotta Leopold, trapassandolo con quello sguardo severo - quello sguardo micidiale - che tanto teme.

La seccatura ha vita breve.

Wolfgang è pallido, le labbra livide, screpolate. Il moccio gli cola dal naso ingombrante. S'è buscato un'infreddatura? Rivoli di sudore gli rovinano il belletto. Si avviluppa al suo braccio, riposa la fronte contro la stoffa dell'abito.

«Mi fa male il culetto...»

Oh, santi numi. Niente panico. Wolfgangerl è incline ai malanni stagionali, il suo nasino insofferente ai pollini. No, non cagionevole, solo... di fibra delicata.

Dov'è finita, nonostante ciò, la maturità che pretende da lui?

«Wolfgang!» lo rimprovera Leopold, disgustato dalla spudoratezza con cui s'è espresso. Gli ha insegnato un linguaggio ben più forbito del vernacolo da postribolo di Salisburgo. «Siamo in pubblico! Pudore!»

«Mi fanno male il didietro e i piedi, papà...» geme il bimbo, accucciandosi sulla sedia foderata di raso rosso. Affonda le unghie nella sua veste, la stropiccia.

Un appello.

Leopold gli picchietta pacche d'incoraggiamento sulle ginocchia, dissimulando ai blasonati ospiti con un sorriso di circostanza.

Artefatto sorriso.

«Sarà stanchezza.» accantona la cosa Leopold. Suo figlio è un mago nell'inventarsi bugie e frottole da discolaccio. Si stava annoiando e, pur di non soccombere, gli sarà girato il ghiribizzo. Non gli darà corda. «È normale.»

Per comprare il suo silenzio gli allunga nel piatto una spumosa meringa. Wolfgang la fissa imperscrutabile. Il dolce. I bicchieri in cristallo recanti le insegne asburgiche. I piatti dal bordo cangiante. Un secondo. Solo un secondo.

Dopodiché accartoccia il visetto in una smorfia e schiamazza:

«Ma mi fanno tanto male!»

Il fiato di Amadè s'è appesantito, il pallore accentuato. Leopold, arresosi, ripone la forchetta, si tampona con il tovagliolo, gli palpa la fronte.

Scotta di febbre.




Nota

Shoutout a Leopold per aver esposto, tra viaggi faticosi e spostamenti ogni due per tre nelle tournée, i suoi figli alle più disparate malattie, anche ad alto rischio (Nannerl una volta ha addirittura ricevuto l'estrema unzione prima di rimettersi) e probabilmente a ciò è, in parte, da imputare la breve vita di Wolfie.

Non lo sapremo mai con certezza, ma sicuramente la spossatezza dei continui giri in carrozza fin dall'infanzia avrà influito oh🤷🏼‍♀️

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