Capitolo 20
Re Bradley si trovava nella sua enorme camera da letto.
L'alto soffitto era attraversato da travi di legno scuro, finemente intarsiate, che correvano su uno strato di vernice bianca brillante per poi terminare contro i muri portanti; le pareti erano piene di decorazioni dipinte nei minimi particolari, tra queste, la bellissima quercia dai cento rami che rappresentava da secoli Icy Oak.
Il pavimento era di un robusto legno chiaro che contrastava perfettamente con il soffitto e con i mobili, dello stesso materiale delle travi, che stavano appoggiati alle pareti.
Situato contro la parete centrale, vi era uno splendido letto a baldacchino: lunghe spirali scure con decorazioni in marmo bianco salivano verso l'alto, dove, con punte che ricordavano delle foglie appassite, si ricongiungevano alla struttura principale; la parte inferiore del letto era dello stesso materiale delle spirali e aveva pesanti piedi di marmo; il tutto era completato con delle coperte di finissima seta verde smeraldo che, illuminate dalla luce delle lanterne, sembravano brillare.
Tutto questo, però, sembrava non interessare molto a Re Bradley che, con sguardo spento, stava affacciato alla grande finestra a volta al centro della parete laterale della stanza.
I suoi capelli brizzolati erano scossi dal forte vento che, per tutto il giorno, aveva continuato a soffiare impetuoso, mentre gli occhi, tendenti più al blu notte che al suo solito blu oceano, erano socchiusi e scrutavano disinteressati l'orizzonte.
Nella sua testa, il caos regnava sovrano e lo stava facendo impazzire; le parole di Alexis rimbombavano nella sua mente come un'eco continua che non si estingue mai: "Le regole sono fatte per essere infrante, se così non fosse, questo villaggio non esisterebbe".
Erano passate ore da quando aveva sentito quelle parole uscire dalla sua bocca, eppure erano ancora lì, intente a divorargli la mente come un tarlo attratto dal legno... lentamente, un pezzo alla volta, tutta la barriera che aveva costruito si stava sgretolando e per cosa? Per stupide frasi pronunciate da una ragazzina altrettanto stupida.
Il problema? Quelle stupide parole erano vere e quella stupida ragazzina aveva ragione.
Icy Oak era una bugia, un'enorme e fragile bugia pronta a crollare; le regole venivano infrante continuamente, il mercato nero dilagava in ogni angolo del villaggio e, nonostante le guardie fossero sempre pronte a cogliere sul fatto i colpevoli e cacciarli dal villaggio, come erbacce infestanti che vanno estirpate, non c'era modo per fermarlo.
I soldati erano persone senza cuore e senza anima, uccidevano per il piacere di farlo, rubavano per vedere morire di fame gli altri; gran parte dei prigionieri veniva lasciata morire di fame o freddo e l'altra metà, quella che poteva rivelarsi utile in caso di guerre o incarichi pericolosi, andava a costituire il ceto degli schiavi.
I re si erano susseguiti, uno dopo l'altro, non per dinastia, ma a seconda di un codice che prevedeva l'assassinio del precedente re; il fatto, poi, che alcuni sovrani fossero i figli del monarca precedente, era ancora più raccapricciante.
Alexis, nel poco tempo che aveva trascorso ad Icy Oak, sembrava averne capito perfettamente il funzionamento.
Se le persone del villaggio avessero seguito un qualche codice d'onore o una raccolta di leggi, Icy Oak sarebbe stato completamente diverso e, pertanto, l'attuale villaggio non sarebbe mai esistito.
Re Bradley fece un profondo respiro, l'aria gelata penetrò nei suoi polmoni risvegliandolo e, quando espirò, uscì formando una nuvoletta di condensa bianca.
Si passò le mani sul viso, la testa pulsava ancora e doleva ogni volta che le parole "bugia" ed "esistenza" emergevano dall'intricato groviglio di pensieri.
Con lo sguardo fisso sulla bianca chiesa, che risplendeva al centro del paese, Bradley lasciò vagare la sua mente alla ricerca di ricordi lontani che, in quel momento più che mai, non sembravano più tanto tristi... solo frustranti.
Icy Oak
Duecento anni prima
Bradley era inginocchiato sul freddo pavimento della Sala Grande, il corpo insanguinato di Freesia giaceva immobile tra le sue braccia.
<<Perdonami, ti prego perdonami...>> il ragazzo aspettava di sentire quelle parole scivolare dalle labbra della ragazza, ma il suo cuore aveva ormai smesso di battere.
Con delicatezza, Bradley appoggiò il corpo al pavimento freddo e premette le mani sulla ferita della ragazza.
<<T-ti prego... n-non sei morta, n-non s-sei...>> i suoi sussurri furono interrotti dai singhiozzi che venivano dal fondo della sua gola e, disperato, il ragazzo si rimproverò per non essersi dimostrato più forte... se lo avesse visto suo padre... quel mostro che aveva per padre...
All'improvviso, fu accecato dalla rabbia e si ritrovò a picchiare i pugni sul petto della ragazza, imprecando contro suo padre.
Purtroppo, però, niente, nè la rabbia, nè l'odio, poteva riportare in vita la sua amata.
Non c'era più, Freesia era morta... l'amore della sua vita era sparito, ucciso da una delle due persone geneticamente programmate per amarlo e volergli bene.
Il corpo della ragazza gli sembrò, improvvisamente, più freddo e pallido, quasi come se, fino a quel momento, Bradley non fosse stato realmente cosciente della sua morte.
Fece scorrere una mano tra i suoi capelli impregnati di sangue e poi giù; fino alla guancia, alle labbra, al collo...
Nel frattempo, le lacrime continuavano a scorrere sul suo viso, senza mai fermarsi, come se una diga fosse stata aperta per lasciar uscire l'acqua e, forse, era proprio così...
Per tanto tempo, Bradley era stato solo, niente amici, niente fratelli o sorelle, niente madre, solo un padre insensibile e violento.
Prima di Freesia, non aveva mai conosciuto l'amore, non l'aveva nemmeno mai sfiorato, poi, lei era arrivata e si era portata dietro qualcosa di incredibile, qualcosa di bello e armonioso, qualcosa che, per la prima volta, dopo tanto tempo, lo aveva fatto sentire davvero vivo.
Stare con lei aveva fatto riemergere quella parte di lui che il padre aveva sotterrato: la parte dolce e sensibile, altruista e gioiosa, calma e generosa... era come se, per molto tempo, fosse stato un fiore secco e appassito e, poi, all'improvviso, era arrivata la pioggia e lo aveva rinvigorito, dandogli di nuovo i colori che aveva perso.
Ora che Freesia non c'era più, il fiore era nuovamente seccato e la diga delle sue emozioni si era distrutta, con conseguenze terribili.
Bradley, stanco di pensare a ciò che aveva perso, posò un ultimo e delicato bacio sulle labbra marmoree della ragazza, poi, si alzò.
A passo deciso, si allontanò dal corpo privo di vita della giovane strega, spalancò con forza il grosso portone di legno ed entrò nell'enorme stanza di fronte alla Sala Grande: la Sala delle Armi.
Le pareti erano rivestite da lunghi pannelli di legno ai quali erano agganciati supporti per ogni tipo di arma; l'alto soffitto, percorso da decine di finestre a volta, sosteneva grossi lampadari pendenti e centinaia di corde, alle quali erano fissate attrezzature varie: si cominciava con frecce e faretre fino ad arrivare a cinture per le armi, maglie di ferro ed elmi lucenti...
Bradley si guardò attorno con aria stanca, ma furiosa, fece scorrere lo sguardo sui pugnali d'argento appesi alla parete accanto a lui, sulle grosse spade in fondo alla stanza, sugli archi bronzei che, pendendo dal soffitto, sembravano librarsi in aria come delle colombe...
-Qualcosa di semplice- si disse.
Distolse lo sguardo dagli archi e si avvicinò alla parete dei pugnali: -Perfetti- pensò... e lo erano davvero, perfetti... piccole armi letali, un concentrato di malvagità e semplicità, dolore e rapidità.
Fece scorrere il polpastrello sulle lame affilate di vari pugnali, poi, si fermò di scatto quando vide ciò che cercava: era una daga abbastanza lunga, la punta era sottile e pungente, la lama si allargava man mano che scendeva verso il manico ed aveva bordi lisci e taglienti, l'impugnatura era fatta di ferro lavorato nei minimi dettagli, piccole piume smaltate d'oro percorrevano il manico del pugnale, avvolgendolo in una spirale e intrecciandosi, al termine dell'impugnatura, a primule selvatiche.
Per quello che ne sapeva Bradley, era un'arma molto antica, realizzata per testimoniare una vecchia alleanza tra due popoli: quello di Gold Feather, da dove proveniva Freesia, e quello di Primrose, composto principalmente da guerrieri e contadini.
Con la rabbia che si agitava dentro di lui come una tempesta, Bradley staccò l'arma dalla parete e, dopo averla stretta con forza nel pugno, lasciò la Sala delle Armi a passo svelto.
Mentre uno strano sorriso nasceva sulle sue labbra, il ragazzo percorse i lunghi corridoi del castello fino a raggiungere quella che, in occasione delle grandi riunioni, veniva chiamata "Chartarum Conclave".
Quando arrivò davanti alla stanza che, in realtà, era quella dove Re Hermod gestiva i vari affari, portò le mani dietro la schiena nascondendo con disinvoltura il pugnale e aprì con un piede la porta socchiusa.
Hermod, con il sorriso stampato sulle labbra, come se si fosse appena tolto un peso, alzò lo sguardo dalle carte che stava leggendo e lo posò sul figlio.
Per quanto fosse disgustato dalla sua felicità, Bradley riuscì a notare la sorpresa sul suo viso, ma non riuscì a capire se fosse per le lacrime sulle guance che non si erano ancora asciugate o per il sorriso tirato che gli stava mostrando.
<<Bradley>> l'uomo lo guardò, sempre sorridente <<Finalmente ti sei staccato da quella sciocca ragazzina>>
<<Sì, padre>> Hermod, non soddisfatto dell'apparente indifferenza del figlio, girò il coltello nella piaga.
<<Anche se, sarebbe meglio dire " sciocca ragazzina morta", non credi?>> il ragazzo, con il cervello che ripeteva solo una parola ininterrottamente, cercò di concentrarsi.
<<Indubbiamente... in fondo, è quello che è: morta>> re Hermod si alzò dalla sua sedia e si mise davanti alla scrivania di legno scuro, proprio di fronte al figlio.
<<Eri... venuto per dirmi qualcosa? Sono piuttosto indaffarato>> l'insicurezza, la frustrazione e la confusione, dipinte sul volto del padre, alimentarono il coraggio di Bradley che, le mani sempre serrate dietro alla schiena, fece un passo avanti.
<<In realtà volevo dirti una cosa, sì...>>
<<Beh dimmi, forza>> il re lo guardò con un sopracciglio alzato e la smorfia di chi vuole solo essere lasciato in pace.
<<Quello che hai fatto a Freesia sarebbe stato imperdonabile in ogni caso, ma lo è ancora di più dato che tuo figlio era innamorato di lei->>
<<Innamorato? Di quella scioc->>
<<Sta zitto!>> Bradley lo interruppe puntandogli il pugnale alla gola e sorrise; Hermod arretrò fino a scontrarsi con la scrivania e lo guardò preoccupato.
<<Non oseresti>> la punta fredda del coltello si scontrò con la gola dell'uomo pizzicandola e facendovi un piccolo taglio.
<<Tu hai distrutto tutto ciò che avevo, è sempre stato così... da quando sono nato, non hai fatto altro che odiarmi, punirmi e picchiarmi... non hai fatto altro che distruggere i miei sogni e spegnere le mie speranze... mi hai fatto credere che nulla al mondo fosse possibile, se non quello che tu desideravi e ordinavi di fare... ora, non sono più disposto ad ascoltarti, ad assecondarti e a seguirti... la mia prigionia è finita, tu sei finito!>>
<<Sono sciocchezze, ti ho dato tutto quello di cui avevi bisogno, quella ragazza ha solo portato disgrazie come questa... lei non è meglio di me>> la punta del pugnale premette più forte e altri rivoli rossi percorsero la gola di re Hermod.
<<Lei è meglio di chiunque altro abbia mai conosciuto, l'hai uccisa, non lascerò che la insulti>>.
Un sorriso, un sorriso malato ed inquietante comparve sul viso dell'uomo che, ritrovato un briciolo di dignità, si sporse verso il ragazzo.
<<Che vuoi fare, allora? Uccidermi? Credi che risolva le cose? Lei non tornerà mai più>> scoppiò a ridere e rivolse a Bradley uno sguardo di sfida.
<<Lei non tornerà, ma non lo farai nemmeno tu>>
<<Non mi puoi uccidere! Icy Oak ha bisogno di un re!>>
<<E come credi si siano succeduti fino ad ora? Il sovrano in carica deve essere ucciso dal nuovo re... strana storia, vero? Eppure è così... lo sai che, prima o poi, morirai... è così che vuoi passare la tua vita? Terrorizzato in attesa del giorno in cui succederà? Ti sto facendo un favore>> con tutta la forza che gli era rimasta in corpo, Bradley allontanò suo padre con una spinta facendolo, così, ribaltare sulla scrivania e, dopo aver allungato il braccio verso l'alto, lo riportò in basso spingendolo nel petto dell'uomo e assecondando i sussurri nella sua mente: "Uccidilo".
Un debole urlo proruppe dalla gola di re Hermod che, con il sangue che usciva a fiotti dalla ferita, macchiando le candide carte bianche, si accasciò sulla piatta tavola di legno della scrivania.
Bradley si sporse per guardare il padre negli occhi, il blu che brillava come uno zaffiro, e sorrise.
<<Addio, padre>> Hermod, una mano serrata attorno al pugnale, agguantò il figlio per il colletto della giacca.
<<T-tu...>> dalle labbra pallide uscì del sangue che le macchiò colorandole di un rosso acceso <<N-non s-sei...>> fece un respiro, strani gorgoglii uscivano dalla sua bocca <<m-me-meglio di m-me>> la mano abbandonò la giacca di Bradley e ricadde pesantemente sul legno, con un tonfo sordo.
Bradley si allontanò dal corpo del padre e si accasciò per terra, in un angolo della stanza.
Che cosa aveva fatto? L'euforia del momento era passata lasciando spazio solo al terrore.
Alzò le mani e le fece scorrere sul viso, solo quando le abbassò, si rese conto che erano sporche di sangue, il sangue di suo padre.
Suo padre... Hermod... incapace di combattere da sempre, facile da mettere al tappeto anche per un ragazzino... incredibilmente dotato nell'arte dell'oratoria...
"Tu non sei meglio di me", quelle erano state le sue ultime parole, dirette al figlio con l'intento di ferirlo... beh, ci era riuscito.
Il pugnale conficcato nel petto di Hermod, sembrava a Bradley uno scherzo, in confronto al dolore che provava in quel momento.
L'odore e la vista del sangue scarlatto del padre gli facevano girare la testa; il vento, che entrava potente dalla finestra aperta, lo faceva rabbrividire e tremare; la testa... la testa era un casino: i ricordi del passato lo travolgevano uno dopo l'altro e lo trafiggevano come migliaia di spilli e, nonostante una parte del cervello gli stesse ripetendo che aveva fatto la cosa giusta, l'altra parte era devastata.
Aveva ucciso suo padre, i suoi vestiti, le sue mani e il suo viso erano macchiati dal suo sangue, lo aveva pugnalato usando un'arma di Gold Feather, lo aveva ucciso ancora prima di toccarlo...
Da un angolo della stanza, l'angolo in cui si trovava Bradley, provenne una risata amara.
Quella sera, i servitori trovarono Bradley rannicchiato contro il muro e Hermod morto sulla scrivania.
Quella sera, Bradley si conquistò il titolo di "Nuovo re di Icy Oak".
Quella sera, re Bradley allontanò tutta la sua parte umana fatta di dolore, sofferenza, pietà e amore.
Aveva ucciso una persona che avrebbe dovuto amare, aveva mentito alla persona che amava, aveva pugnalato suo padre.
Hermod aveva ragione: Bradley era stato meglio di lui, ma ora non lo era più e non lo sarebbe stato mai più.
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