Capitolo 15

Gold Feather

Duecento anni prima

Il Sole splendeva su Gold Feather e illuminava ogni angolo del paese; timidi raggi di Sole si infiltravano persino nei cunicoli più stretti e bui e li facevano risplendere.
Le nuvole della sera prima erano completamente scomparse e avevano lasciato il posto ad un cielo azzurro e limpido; a guardare in alto, sembrava quasi di vedere una distesa di amazzonite, era qualcosa di incredibile.
L'erba dei campi, bagnata dalla rugiada, splendeva di un verde brillante e i contadini, indaffarati a raccogliere dorate spighe di grano, chiacchieravano allegri; quella era stata un'ottima stagione: il buon tempo, unito all'ottima organizzazione del sistema curtense, aveva dato i suoi frutti.
Secondo gli accordi, i contadini dovevano dare parte del loro raccolto al signore per cui lavoravano, ma Odin non era certo quel tipo di persona che sfruttava gli altri; Odin era diventato il signore di Gold Feather qualche anno prima e, pur mantenendo l'organizzazione del sistema curtense, aveva concesso a ciascun contadino di tenere il proprio raccolto.
Odin lavorava personalmente nei campi e, oltre a occuparsi dell'amministrazione e del governo del paese, coltivava tutto ciò di cui la sua famiglia aveva bisogno e offriva ai contadini più poveri parte del suo raccolto.
Odin viveva nel palazzo del signore, ma con assoluta modestia; non si vantava dei suoi averi, né desiderava più di quanto riceveva dal raccolto e, per questo motivo, era molto amato da tutti i cittadini di Gold Feather, che si divertivano e chiacchieravano con lui come se fosse uno di loro.

Due anni dopo la sua nomina, Odin si sposò e, dalla sua unione con la bellissima Nephele, nacque una bambina, che chiamarono Freesia.
Man mano che la bambina crebbe, divenne sempre più chiaro che avesse la stessa bellezza della madre: i suoi lunghi capelli erano lisci e sottili come fili di seta e il loro colore li faceva splendere al sole come se fossero oro; la sua pelle era pallida e fredda come la porcellana; i suoi occhi erano blu come l'oceano e le sue labbra erano sempre piegate in un dolce sorriso che, nonostante il suo aspetto mettesse in soggezione, ti facevano sentire accolto e ti coinvolgevano in una risata.
La vita per Freesia, però, non fu tutta rose e fiori, e i suoi poteri la costrinsero ad ore ed ore di allenamento per tenerli sotto controllo.
Per sua fortuna, Freesia non aveva dovuto affrontare il tutto da sola e aveva potuto contare sul sostegno del suo più grande amico: Alec.

Ora, Freesia era seduta sull'erba fresca, la schiena poggiata alla ruvida corteccia di un olmo graffiato dalle intemperie; Alec era seduto accanto a lei, la spalla che sfiorava la sua e lo sguardo fisso sul campo davanti a sè. 
Alec era un ragazzino piuttosto semplice: figlio di due contadini, capelli scuri sempre spettinati, occhi marroni, sorriso furbo e tredici anni portati splendidamente; era sempre pieno di energia e coinvolgeva Freesia in finti combattimenti e passeggiate senza fine.

<<Alec>> il ragazzo mosse la spalla senza rispondere e Freesia continuò a parlare <<Sta per succedere qualcosa, lo sento>> 
<<E' un vero presentimento da strega o è una di quelle storie che ti inventi quando sei triste e non sai perché, ma vuoi trovare una spiegazione?>> Freesia gli lanciò uno sguardo di fuoco
<<Alec!>> il ragazzo rise e si voltò verso di lei sorridendo
<<Ok, scusa... la mia domanda però è ancora valida>> la ragazza sospirò e tornò a guardare la distesa verde davanti a lei.
Alec osservò con attenzione la sua fronte corrucciata, gli occhi socchiusi, i capelli biondi raccolti in una treccia disordinata e la collana che pendeva al suo collo: un sottile filo d'oro con una pietra di turchese.
L'aveva avuta come regalo per il suo tredicesimo compleanno e, da allora, non l'aveva mai tolta; era il suo portafortuna e, in un certo senso, Alec pensava che aumentasse anche i suoi poteri.
Suo padre, amante delle pietre e dei minerali, gli aveva insegnato che il turchese simboleggiava affetto, altruismo, armonia e voglia di apprendere; Alec, non appena aveva visto Freesia con quella collana, aveva pensato che la rappresentasse perfettamente e che, in quella pietra, fossero racchiuse la dolcezza, la curiosità e la bontà d'animo della sua amica.
<<Penso...>> Freesia rispose alla sua domanda interrompendo i pensieri dell'amico <<penso che sia una vera sensazione da strega... non so dirti come, ma so che non mi sbaglio>> lo guardò dritto negli occhi e Alec si accorse che, in quel momento, i suoi occhi non erano più blu: avevano uno sfondo scuro di preoccupazione attraversato da venature di paura e leggeri bagliori di speranza.
<<E sai di cosa si tratta? Sai quando succederà di preciso?>> 
<<No, non lo so, ma... tu... tu ti ricordi di quando ti ho parlato della mia affinità?>> Alec sorrise
<<Certo che mi ricordo, sei la super-strega che ha un'affinità con tutti e quattro gli elementi>> Freesia si lasciò scappare un sorriso e allungò la sua mano per prendere quella dell'amico
<<Già... ma non lo sarò ancora a lungo>> ora anche Alec era preoccupato, non capiva cosa stesse succedendo, ma la sua amica non si era mai comportata così.
Il ragazzo strinse la sua mano e si voltò completamente verso di lei <<Che vuoi dire?>> 
<<Non sento più la terra, ma il mio legame con l'aria si è intensificato>> Alec cercò di capire, ma non ci riuscì
<<Non è così grave, no? Tre elementi invece di quattro...>> la ragazza scosse la testa e i suoi occhi si appannarono
<<Ho letto... ho letto su uno dei miei libri che quando succede una cosa del genere, vuol dire che ti stai avvicinando al cielo e allontanando dalla terra... e questo vuol dire solo una cosa...>> ora il ragazzo cominciava a capire; scosse la testa e strinse a sè Freesia pregandola di non continuare e di non pensarci, ma il sussurro dell'amica, passò per le sue orecchie e raggiunse il cuore trafiggendolo come una spada.
<<Morte>>

Qualche ora più tardi, i ragazzi stavano passeggiando per il paese mano nella mano; nessuno dei due aveva più parlato, ma non si erano mai lasciati la mano.
Avevano ormai raggiunto il sentiero che conduceva alla casa di Freesia e non vedevano l'ora di parlare con Odin per ottenere delle risposte riguardo ciò che stava accadendo.
La ragazza superò il recinto di legno che circondava la proprietà e, subito dietro di lei, Alec; salirono in fretta i gradini di pietra, dopodiché, spalancarono la porta di ingresso, una tavola di quercia ornata da spuntoni di ferro, e entrarono.
La prima cosa che i due sentirono fu un grido acuto provenire dal piano di sopra, seguito da un colpo.
<<Che cosa è stato?>> Alec guardò Freesia preoccupato e la ragazza cercò di scacciare il brivido che aveva percorso la sua spina dorsale
<<Era mia madre... avrà visto... un ragno>> il ragazzo guardò perplesso la sua amica che, vedendo il suo sopracciglio alzato e le braccia incrociate, capì che non aveva creduto ad una sola parola.
Con tutti i problemi e le difficoltà che la società di allora affrontava, non bastava certo un piccolo ragno per spaventare a morte una donna, del resto, neppure Freesia sapeva cosa stesse succedendo e voleva solo allontanare la sua strana sensazione di pericolo.
<<Non credo che Nephele abbia paura di un ragno>>
<<Già, neanche io>> Alec guardò Freesia ancora più confuso, ma, prima che potesse parlare, altre grida raggiunsero le loro orecchie.
<<Mi dispiace dirlo, ma credo che, questa volta, la tua sensazione fosse vera>> guardò dispiaciuto la sua amica, dopodiché, raggiunse un angolo del salotto in cui, contro le pareti, erano appese delle spade; ne estrasse una e tornò verso la ragazza.
<<Potrebbe servirci...forza, andiamo>> i due amici salirono le scale uno accanto all'altro e si nascosero nell'angolo tra due pareti, proprio accanto alla stanza di Odin e Nephele.
La luce soffusa del Sole illuminava debolmente l'angolo in cui si trovavano, ma Alec dovette comunque nascondere la spada per evitare di creare bagliori indesiderati.
Dal punto in cui si trovavano potevano benissimo vedere l'interno della stanza senza che chi si trovava al suo interno potesse vedere loro.
Due uomini, alti, tozzi e con una pesante armatura, puntavano le loro spade contro Nephele che, rannicchiata contro la parete, cercava di mostrarsi forte, ma prorompeva comunque in grida acute quando le punte di ferro delle spade le si infilavano nella carne.
Al centro della stanza, Odin era circondato da altri quattro uomini armati.
<<Dicci dov'è>> Odin fece scorrere lo sguardo sui soldati e, persino Freesia e Alec, riuscirono a cogliere il suo disprezzo.
<<Non lo so e anche se lo sapessi non ve lo direi>> uno degli uomini si fece avanti e puntò la spada al petto di Odin
<<Abbiamo già perso troppo tempo, ti do un'ultima possibilità: dimmi dov'è tua figlia>> Freesia sussultò e, per poco, non fece cadere la spada poggiata dietro di lei.
<<Potrebbe essere nei campi come potrebbe essere già scappata... uccidetemi se volete, ma non vi darò mia figlia>> 
<<Pessima scelta>> con uno scatto, il soldato affondò la lama della spada nel petto di Odin per poi estrarla in fretta; il pover'uomo cadde a terra mentre gocce scarlatte di sangue macchiarono il pavimento di legno.
Freesia sentì l'urlo di Nephele rimbombarle nelle orecchie e, poco dopo, anche le sue grida si erano unite a quelle della madre mentre correva al centro della stanza; dietro di lei, Alec cominciò ad imprecare per poi correrle dietro puntando la spada verso i soldati che si stavano per avventare su di lei.
<<Bene, bene... la principessa e il suo eroe>> il soldato che aveva ucciso Odin puntò la spada, ancora grondante di sangue, verso Alec; Nephele era ancora inchiodata alla parete da due uomini e Freesia teneva tra le braccia il corpo privo di vita del padre.
<<Lasciatela stare>> Alec tenne la spada saldamente puntata verso gli uomini e fece un passo verso la sua amica.
<<Mi spiace per te, ragazzino, ma lei viene con noi>> il tono dell'uomo fece capire ad Alec che non gli dispiaceva per niente.
<<Che cosa volete da me?>> Freesia si era alzata e, ora, era accanto all'amico, una lacrima sulla guancia e piccole scintille che partivano dalle sue mani; non era la prima volta che, in una situazione di stress o rabbia, la sua magia fuoriuscisse come l'acqua da un fiume in piena.
<<Vogliamo che vieni con noi, il nostro re ti vuole vedere e poi... poi ti uccideremo>>
<<No!>> Alec aveva guardato Freesia e poi di nuovo i soldati, un'espressione di puro terrore dipinta sul suo volto.
<<Se vieni con noi, risparmieremo tua madre e il tuo amico... ce ne andremo e nessuno saprà dove sei sparita>>.
Freesia sapeva benissimo che aveva un'immensa magia, ma non sapeva ancora padroneggiarla perfettamente: da pochi anni aveva cominciato ad usarla e non sapeva come mettere fuori gioco sei grossi soldati.
Guardò sua madre: i rivoli di sangue che colavano lungo il suo collo, i capelli biondi spettinati, il vestito sporco, il viso disperato.
Poi guardò Alec: il ciuffo di capelli castani scompigliato, gli occhi scuri che la pregavano di non fare stupidaggini, la spada stretta nelle mani, l'aspetto di un vero guerriero.
Ma non aveva scelta, doveva farlo per sua madre, doveva farlo per Alec... non sarebbero morti per colpa sua.
<<Vengo con voi>> 
<<No!>> Alec le sbarrò la strada con la spada, ma lei usò quel poco di magia che riuscì a reperire per scaraventarla lontano.
<<Mi dispiace, Alec... io morirò in ogni caso, ma non è giusto che questo succeda anche a voi>>
<<Tesoro, ti prego>> sua madre piangeva, la spada ancora puntata alla gola. Il soldato più vicino prese Freesia per un braccio e la trascinò fuori dalla stanza.
Quella fu l'ultima immagine che la ragazza ebbe di Gold Feather: una stanza piena di sangue e terrore, una stanza piena di delusione, rabbia e morte.
Si lasciò trascinare dai soldati, consapevole che, mai e poi mai, avrebbe rivisto casa sua, sua madre e Alec... consapevole che, qualche anno più tardi, il suo amico avrebbe trovato il modo di dimenticarla e sarebbe andato avanti, come tutti gli altri.

Freesia venne portata ad Icy Oak, i mesi passavano, ma la ragazza si sentiva come in un incubo: le sembrava di rivivere in continuazione lo stesso giorno; rinchiusa nella sua cella, aspettava ogni giorno che la uccidessero, ma non succedeva mai.
Poi, un giorno, un ragazzo comparve davanti alle sbarre della sua cella: aveva gli occhi blu, proprio come i suoi, e i capelli erano scuri; era arrivato dal fondo del corridoio della prigione, era passato davanti a ogni cella e stava per superare anche la sua, ma si fermò di scatto; rimase fermo, per qualche secondo, davanti alla cella, gli occhi fissi in quelli di Freesia, poi, si abbassò e si avvicinò alle sbarre.
<<Come ti chiami?>> la ragazza non rispose. Non era arrabbiata con quel ragazzo, nemmeno sapeva chi fosse, ma di certo non sarebbe potuto diventare suo amico se l'avevano mandato le guardie.
<<Non mi rispondi?>> il ragazzo la guardò in attesa di una risposta che non arrivò.
<<D'accordo... beh, io mi chiamo Bradley>> Bradley si sedette vicino alle sbarre e le sorrise <<Perché non mi parli?>> la ragazza lo fissò con gli occhi socchiusi
<<Ti hanno mandato le guardie? Che vuoi da me?>> il ragazzo sembrò in parte sollevato, perché la ragazza gli aveva parlato, e in parte preoccupato dalle domande
<<Non mi ha mandato nessuno, non potrei nemmeno stare qua, ma...>> alzò le spalle imbarazzato <<ho sentito dire da una guardia che qua c'era una ragazza e, dato che non ho amici, ho pensato che potevi essere tu la mia amica>>.
Quella era stata la prima di una serie di conversazioni; ogni giorno, durante il cambio delle guardie, Bradley raggiungeva di nascosto la prigione e passava il tempo a parlare con Freesia.
La ragazza non riusciva a dimenticare sua madre e Alec e, ogni tanto, Bradley doveva consolarla, ma, col passare dei mesi, la sua rabbia e la sua tristezza si attenuarono.
La dolcezza e la gentilezza del ragazzo la conquistarono a tal punto, da farla innamorare di lui e, quando scoprì che Bradley ricambiava, nuovi sentimenti pervasero il suo corpo e la sua mente: gioia, amore, speranza...

Era quasi arrivato il giorno del suo quattordicesimo compleanno quando due soldati la scortarono nella Sala Grande, al cospetto di re Hermod.
<<Freesia, è davvero un piacere vederti>> la ragazza gli sorrise stanca
<<Vorrei poter dire lo stesso>> solo dopo aver risposto, Freesia si accorse che Hermod stava giocherellando con un grosso pugnale di ferro. Il suo respiro cominciò ad accelerare e, fu allora, che capì che il momento era arrivato: sarebbe morta.
<<E' passato quasi un anno da quando sei qui... un anno è davvero tanto tempo>> Freesia, che aveva avuto modo di parlare con lui altre volte, lo interruppe sapendo che, altrimenti, avrebbe fatto un giro di parole immenso per dire solo una cosa: ti ucciderò.
<<Possiamo saltare il tuo discorso e andare dritti al momento in cui mi uccidi?>> l'uomo rise
<<Vedo che hai capito dove voglio arrivare>> la ragazza sbuffò
<<Toglimi una curiosità... perché proprio un anno? Perché non mi hai ucciso subito?>>
<<Mi dispiace, ma hai voluto saltare il mio discorso... non avrai alcuna risposta>> l'uomo si era avvicinato e aveva sollevato il suo mento con la lama del pugnale; Freesia stava per rispondere quando, per fortuna o per sfortuna, Bradley spalancò la porta ed entrò di corsa.
La ragazza si voltò, con il cuore che batteva veloce, verso il ragazzo e Hermod si allontanò da lei.
<<Che ci fai tu qui?>>
<<Non la puoi uccidere!>> Hermod gli si avvicinò minaccioso
<<Torna subito da Cassandra o giuro che ti->>
<<Cosa?>> lo interruppe il ragazzo <<Cosa vorresti farmi? Uccidermi? Lo sappiamo benissimo che non ucciderai mai tuo figlio!>> Freesia sobbalzò: "tuo figlio"; per tutto quel tempo, Bradley non le aveva detto di essere il figlio dell'uomo che voleva ucciderla; per tutto quel tempo, l'aveva ingannata.
<<Lei non lo sapeva, vero? Ti sei innamorato di una stupida ragazza e non le hai nemmeno detto chi sei davvero>> il re tornò accanto a Freesia e la prese per le spalle, il pugnale puntato contro il suo petto, proprio dove il suo cuore batteva.
<<Lasciala andare, ti prego>> il ragazzo si buttò in ginocchio <<Tienila qua come hai fatto con Cassandra, lasciala vivere... fallo per tuo figlio>>.
Freesia sentì la lama del pugnale premere contro la sua pelle e un rivolo di sangue percorse il suo petto.
<<Mio figlio è un debole... forse, persino lei si merita di meglio>> guardò Bradley dritto negli occhi e, poi, affondò il pugnale nel petto della ragazza.
Quando re Hermod se ne andò, Bradley corse vicino a Freesia e la prese tra le braccia; passò quegli ultimi minuti a ripeterle quanto gli dispiacesse non aver detto la verità, a ripetere quanto la amasse, ma, in cuor suo, Freesia sapeva di non poterlo perdonare e fu così che si concluse la sua triste vita.

Con la consapevolezza che l'unica persona che avesse mai amato le aveva mentito.

Icy Oak

Oggi

<<E' orribile>> Alexis guardò sconvolta Balder e lanciò un'occhiata di sbieco a Jake
<<E' di un re di Icy Oak che stiamo parlando... cosa ti aspettavi se non morte e distruzione?>> le domande nella testa di Alexis erano centinaia e non riusciva a metterle in ordine.
<<Hai detto... se non sbaglio, hai detto che Freesia ha chiesto a Hermod perché avesse aspettato un anno... perché lo ha fatto?>> Balder si alzò e si diresse in cucina, ma la sua voce arrivò comunque chiara alle orecchie di Alexis.
<<E' un racconto, Alexis... sarà anche vero, ma è successo duecento anni fa, non possiamo saperlo con esattezza>>>
<<Ma? Lo so che c'è un "ma">> Balder spuntò dalla porta della cucina e guardò Alexis divertito, poi, a passo lento, tornò a sedersi.
<<Ma... la mia ipotesi è che Hermod stesse cercando un modo per usare Freesia, come re Bradley vuole fare con te, ma credo che non ci sia riuscito>> Alexis lo guardò confusa
<<Era una strega, bastava che attaccasse un popolo invece di un altro>> Balder scosse la testa
<<Non è così semplice, ci sono degli incantesimi per cui->>
<<Balder!>> ancora una volta Jake lo interruppe prima che dicesse troppo e Alexis lo guardò infastidita
<<Si può sapere che cosa sapete?>> Jake rise per il suo gioco di parole e le si avvicinò
<<Alexis, te lo diremo, davvero, ma questo non è il momento>> il ragazzo strinse la sua mano e Alexis sospirò annuendo.
All'improvviso, alcuni dettagli della storia le tornarono in mente e la spinsero a rivolgersi, di nuovo, a Balder.
<<Il ragazzo... il figlio di Hermod... si chiamava Bradley...>> Balder annuì tranquillo mentre spariva in cucina; Jake lo seguì con lo sguardo, come se volesse leggere i suoi pensieri e capire le sue intenzioni.
<<E ha parlato di una certa Cassandra...>> l'uomo ricomparve con delle tazzine piene di tè e le porse ai ragazzi
<<Oh, sì... Cassandra era la sua balia>> Alexis sorseggiò un po' di te, ma riuscì comunque a cogliere l'occhiata di Jake che sembrava dire a Balder: "non andare oltre".
<<Loro non sono... insomma... gli stessi Bradley e Cassandra di... ora, vero?>> Balder ridacchiò divertito
<<Oh, no... sono proprio loro>> Jake imprecò mentre Alexis spalancò gli occhi sempre più confusa.
<<Come è possibile? Erano duecento anni fa!>> Balder sorrise 

<<Il tempo è un mistero, Alexis... un mistero che non sei ancora pronta a conoscere>>

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