Capitolo 1
In una casa di un villaggio disabitato
Anche quell'anno, l'autunno era ormai alle porte.
Il cielo era striato di blu chiaro, grigio e azzurro, le tipiche tonalità di un cielo troppo stanco per brillare del vivace e chiaro celeste estivo, ma allo stesso tempo ancora abbastanza sveglio da non abbandonarsi al triste e spento color cenere.
Su quello sfondo sfumato, osavano ancora destreggiarsi in volteggi contorti e acrobazie affascinanti picchi e rondini che, seppur in ritardo, si preparavano a migrare verso luoghi più caldi ed accoglienti; il loro volo era accompagnato dalla rapida corsa delle foglie trasportate dal vento, che cadevano poi tra gli alberi in una raffica di giallo, rosso e arancione, macchiando quel luogo suggestivo altrimenti verde.
Al limitare del bosco, in una piccola casa di pietra, costruita in uno spiazzo tra alcuni abeti secolari, abitava una famiglia, l'unica rimasta in quell'ambiente tanto splendido quanto desolato.
Dalle finestre aperte penetrava l'odore della rugiada e della terra bagnata, e le stanze, debolmente illuminate dalla luce della Luna che era ormai alta nel cielo, erano ravvivate dalle tante candele accese che proiettavano ombre tremolanti sulle pareti.
<<Mamma! Mamma!>>. All'interno, una piccola bambina, non avrà avuto più di dieci anni, corse verso il suo letto richiamando la madre; i suoi piedi nudi producevano sulla pietra liscia un gradevole suono e la sua gioia sembrava incontenibile.
<<Faith, tesoro, non urlare>>. Una donna, lunghi capelli rossi come il fuoco, splendenti occhi verdi e un sorriso luminoso, ma teso, si accomodò sulla sedia a dondolo accanto al letto della bambina; il suo sguardo vagò per tutta la stanza prima di posarsi sul volto della figlia.
<<Scusa mamma, ma ora mi racconti la storia della buonanotte? >>, domandò la bimba impaziente di sentire, per l'ennesima volta, quel racconto che aveva amato con tutta se stessa fin dalla prima volta che la madre lo aveva raccontato.
La donna sospirò con un piccolo sorriso sul volto e, dopo aver rivolto lo sguardo fuori dalla finestra, dove il vento autunnale aveva iniziato a far volteggiare le foglie secche nel chiarore della notte illuminata dalla Luna, cullata dalla melodia canticchiata dal marito, ancora intento a sistemare alcuni strumenti nella stanza accanto, iniziò a parlare:
<<C'era una volta, non molto tempo fa, un villaggio chiamato Gold Feather...>>
Alcuni anni prima
Gold Feather
A Gold Feather era ormai fine inverno, eppure il tempo non dava segni di miglioramento, sembrava quasi che il gelo si fosse affezionato a quel piccolo paesino.
I fiumi erano totalmente congelati, lisci come un'asse di legno levigata, tanto lucidi da riflettere la debole luce del Sole e iridescenti come una distesa di opali; decine di bambini si raccoglievano attorno agli argini ogni pomeriggio per pattinare insieme ai loro coetanei, mentre le madri rimanevano chiuse in casa, troppo impegnate a filare la lana e a cucinare pietanze calde e sostanziose con quel poco che potevano permettersi.
Le poche foglie rimaste, invece, erano costantemente ricoperte di brina e gli animali, per la maggior parte in letargo, non sembravano volersi risvegliare e uscivano solo di tanto in tanto per procurarsi qualcosa da mettere sotto i denti.
La neve, che ricopriva ogni singolo angolo del villaggio, costringeva i poveri braccianti a spalare per ore così da ripulire i giardini delle famiglie aristocratiche, e, terminato il loro lavoro, questi tornavano a casa sempre stanchi, congelati e con i vestiti zuppi d'acqua fino alle ginocchia.
Nonostante fosse un paese in pace ed economicamente stabile, Gold Feather doveva ammettere di essere stato messo in ginocchio da quel lungo e implacabile inverno.
Le comodità dei più ricchi, che se ne stavano al caldo nelle loro case eleganti, cominciavano ad infastidire i proletari, che non avevano nulla se non un tetto sotto cui dormire, qualche coperta di tela, un focolare e tante bocche da sfamare.
Molti contadini, inoltre, iniziavano a temere che il tardo arrivo della primavera avrebbe danneggiato il raccolto.
L'arrivo della sera, però, era uno spettacolo talmente incredibile da cancellare ogni ostilità.
Chiusi nelle loro piccole e fatiscenti case di pietra o legno, barricati nelle loro ville calde e comode, gli abitanti di Gold Feather, dal più ricco al più povero, non potevano fare a meno di rimanere affascinati dalla bellezza di quel magico villaggio.
Il cielo si trasformava in un tappeto scuro illuminato solo dalla luce della luna e delle stelle, dai fiumi di ghiaccio si innalzavano piccole goccioline che si depositavano poi sulle foglie di alberi e cespugli ricoprendole di brina; ogni cosa era rischiarata dal riflesso argenteo proiettato sulla neve dalla regina della notte e, nelle case, ravvivate dal bagliore dorato del fuoco e delle candele, giovani amanti, genitori e bambini si scambiavano i più reconditi segreti sussurrandoli nel silenzio e affidandoli al vento.
L'atmosfera del villaggio, in quei giorni, era piuttosto tranquilla, eppure c'era qualcosa di strano nell'aria: un odore di novità, di cambiamento, il profumo della terra bagnata e del muschio, degli abeti e della neve, dei segreti e delle bugie.
C'era odore di problemi, ma nessuno se ne preoccupava, nessuno oltre al re e alla regina.
Moriel, il sovrano di Gold Feather, era arrivato insieme ad un esercito alcuni anni prima: era comparso in un giorno tempestoso accompagnato da soldati dell'ovest in cerca di un paese che potesse ospitarli e di qualcosa da mangiare.
Erano rimasti al castello per alcune settimane, tempo che era stato sufficiente affinché Anne, la figlia del precedente re, si innamorasse perdutamente di Moriel.
I due si erano sposati, con l'approvazione del popolo e della famiglia, e, poco dopo, avevano dato alla luce una splendida bambina: Alexis.
Per mesi, era girata voce che il re avrebbe preferito un figlio maschio e che avrebbe abbandonato la bambina in una casa lontana dal villaggio con alcuni servitori, ma si era trattato soltanto di sciocche bugie: Moriel amava profondamente la figlia ed era pronto a sacrificare ogni cosa per lei, anche la propria vita.
Ora, era arrivato il momento di farlo.
*****
<<Alexis, tesoro!>>. La regina Anne stava vagando per il castello ormai da tempo in cerca della figlia; non riusciva a trovarla da nessuna parte, aveva controllato ogni singolo angolo del giardino, perfino quelli in cui la vegetazione era più fitta e l'atmosfera più tetra, ma lei non c'era.
La donna, che aveva già cominciato a temere il peggio, percorse velocemente il corridoio di pietra che la separava dalla stanza della bambina e trasse un sospiro di sollievo quando sentì la sua voce provenire dalla porta aperta.
Si fermò per qualche secondo davanti alla sua camera e la osservò con un triste sorriso sul volto mentre faceva avanti e indietro con un libro tra le mani: i suoi occhioni verdi scorrevano con attenzione sulle parole racchiuse in quell'ammasso di carta giallastra, i suoi buffi capelli rossi, proprio come quelli della nonna, erano tutti spettinati e si erano ormai liberati dalla treccia in cui Anne li aveva raccolti quella mattina.
Scuotendo la testa sconsolata, la donna cercò di sorridere e, un po' più tranquilla, si avvicinò alla figlia.
<<Cosa fai, tesoro?>>. La regina guardò curiosa il libro che Alexis stringeva al petto e le sfiorò dolcemente i capelli.
<<Mamma, ho imparato una nuova poesia, la vuoi sentire?>>, domandò la bimba con un sorriso che riempì la madre di angoscia e malinconia.
Anne sentì una morsa stringerle il petto fino a farle mancare il respiro e fu costretta a distogliere lo sguardo per nascondere le lacrime che le stavano appannando la vista; poi, ricordandosi di ciò che li aspettava, si decise a godere di quei piccoli e semplici momenti che stavano per essere strappati loro, quindi, sorpresa di trovare la figlia così interessata ad un libro, annuì.
<<Mi piacerebbe molto, ma prima ripetiamo la nostra, va bene?>>.
La fronte della bambina si aggrottò per un momento nel sentire le parole della donna, ma poi, le sue labbra tornarono a sorridere; con un saltello si avvicinò alla madre e, dopo averle stretto la mano, la fece sedere accanto a lei sul grosso letto.
<<Me la ripeti tu mentre io ascolto?>>, chiese quindi guardandola con occhi speranzosi e piegando le labbra in un piccolo sorriso.
Anne strinse le mani della bambina e, dopo avervi posato un delicato bacio, cominciò a ripetere le parole di un'antica poesia.
<<Tu sei l'arma, la soluzione.
Cerca in te i simboli nemici.
Hai il fuoco nei capelli e il male negli occhi.
Del nemico cerca la piuma d'oro.
E' il firmamento che indica il momento.
E' in cielo che ha fine la battaglia.
E' il ghiaccio che firma la condanna>>
Le ultime parole lasciarono a fatica le labbra della regina, screpolate dal freddo e tremanti per la paura e per il nervosismo.
La bambina osservò la madre con un cipiglio sul volto, gli occhi sgranati a causa della confusione di fronte allo strano comportamento della donna.
Non appena Anne accennò ad alzarsi, Alexis le strinse le mani, tirandole forte per non farla allontanare; la malinconia con cui la regina aveva ripetuto quelle parole non era sfuggita alla bimba che, avendo sentito quella poesia centinaia di volte, era riuscita a cogliere senza molta fatica il tono spento e preoccupato della madre.
Anne, tuttavia, si limitò a sorridere alla figlia e, dopo averle accarezzato delicatamente la guancia chiara, si alzò.
<<Non andartene, ti prego>>, la implorò allora Alexis sentendo le mani scivolare da quelle della madre.
<<Non me ne vado, prendo solo quella scatolina laggiù, la vedi?>>. La donna si voltò indicando un piccolo cofanetto di legno che era poggiato sul mobile vicino allo specchio ovale graffiato davanti al quale la bimba si pettinava ogni mattina.
Dopo aver lanciato un'occhiata sospetta all'oggetto, Alexis lasciò la presa, curiosa di scoprire cosa stesse succedendo.
Quando la regina si risedette accanto a lei, sul suo grembo poggiava un'elegante e piccolo scrigno di liscio legno scuro; i bordi erano dipinti d'oro e i piedini erano finemente intagliati, proprio come quelli di un elegante tavolo da cerimonie.
Al suo interno vi erano due oggetti: un orecchino e un braccialetto.
<<Questi sono per te. Ecco, guarda>>. La donna afferrò per primo un monile dorato costituito da un piccolo cerchio a cui era appeso un ciondolo a forma di piuma; per quanto fosse semplice, era l'oggetto più bello che Alexis avesse mai visto: non aveva niente a che fare con le grandi pietre che la mamma indossava per le occasioni importanti o con le sontuose collane e corone che portavano le principesse in visita da altri paesi... non era niente di tutto ciò, era solamente bello nella sua disarmante semplicità.
La bambina sorrise divertita quando la madre mise il pendente al lobo del suo orecchio e lo sentì dondolare contro la propria pelle.
<<Non devi toglierlo mai, mai più. Hai capito?>>. Anne cercò il suo sguardo come per assicurarsi che quelle parole le risultassero il più chiaro possibile.
Mai era un periodo di tempo molto lungo e aveva bisogno di sapere che quella richiesta sarebbe stata assecondata.
<<Perchè?>>, chiese quindi la bimba spaventata dal suo tono incredibilmente serio.
<<Non posso spiegartelo, non ora, ma tu me lo devi promettere. Per favore, promettimelo>>.
<<Lo... lo prometto>>, balbettò Alexis confusa.
Anne era sempre stata piuttosto ansiosa, succedeva ogni volta che non trovava Alexis o che non si sentiva bene anche per un semplice mal di pancia. Eppure, si disse la bambina, quel giorno non aveva fatto niente di sbagliato: era stata tutto il giorno chiusa in camera a leggere, non era stata scortese con nessuno, aveva mangiato tutto senza lamentarsi. Quindi perchè la mamma era così preoccupata? Perchè le chiedeva di fare promesse della cui importanza non si rendeva nemmeno conto?
Forse stava per venirle il mal di pancia. Era l'unica soluzione possibile.
<<E quello invece che cos'è?>>, domandò poi Alexis dimenticandosi del resto e concentrandosi sul braccialetto rimasto nel cofanetto.
<<E' un bracciale, e sui ciondoli ci sono delle scritte, vedi?>>. Anne sospirò, sollevata che la figlia non avesse fatto altre domande, e le indicò i piccoli cerchietti di bronzo fissati al braccialetto.
<<Riconosci le parole?>>.
<<E' la nostra poesia?>>. La bimba guardò curiosa le strane lettere incise su quei ciondoli e sorrise quando riconobbe le parole che la mamma ripeteva sempre scritte con l'alfabeto segreto che le aveva insegnato.
La prima volta che aveva visto quello strano modo di scrivere era rimasta colpita dalla sorprendente eleganza dei caratteri e terrorizzata all'idea di dover imparare ad utilizzare quelle lettere strane e sconosciute; poi, però, ci aveva preso gusto: l'idea di conoscere qualcosa che nessun altro conosceva, l'idea di poter comunicare in segreto con la mamma, la facevano impazzire e allo stesso tempo accendevano in lei una febbrile ed estatica gioia che nemmeno le giornate più tristi potevano spegnere.
Ora, vedere le frasi della poesia che tanto amava scritte con quel particolare alfabeto la rendeva inquieta e terribilmente confusa: lei e la madre l'avevano ripetuta così tante volte che, probabilmente, perfino i muri l'avevano imparata, quindi perchè nasconderla?
<<Alexis, guardami, tesoro>>, la pregò la donna poggiando delicatamente le lunghe dita sulla sua pelle chiara e alzandole il viso così da incrociare i suoi occhi verdi, <<prenditi cura di questo braccialetto come della tua stessa vita, non lo togliere mai, mai>>.
<<Mai>>, ripeté debolmente la bimba domandandosi che cosa stesse succedendo.
Stava per chiedere alla mamma quale fosse il problema, perchè sembrasse così triste, quando la porta si spalancò ed entrò Moriel, i lunghi capelli castani gli cadevano sulle spalle, gonfi e disordinati come mai Alexis li aveva visti; il viso era segnato dalla preoccupazione, ma un lieve sorriso gli nacque sulle labbra alla vista della figlia che, turbata e perplessa, si tuffò tra le sue braccia.
<<Papà!>>.
<<Tesoro>>, Moriel affondò la testa tra le onde rosse che contornavano il volto pallido della figlia e rivolse poi alla moglie uno sguardo preoccupato, <<Vi ho cercate ovunque, cosa ci fate chiuse qua dentro?>>.
<<Alexis ha imparato una nuova poesia, voleva che l'ascoltassimo>>, rispose la donna, seduta sul letto con la schiena dritta e le mani tremanti posate in grembo, rivolgendo al marito una silenziosa preghiera affinché assecondasse la richiesta della figlia e passasse con loro quegli ultimi sfuggenti attimi di libertà.
<<Ma certo, sarebbe bello>>. Il possente e imbattibile re di Gold Feather, così lo consideravano tutti, si lasciò cadere sconfitto accanto alla moglie, allungando il braccio verso di lei e stringendo la sua mano piccola e delicata nel palmo grande e calloso.
Alexis si schiarì la voce, saltellò fino al centro della stanza e cominciò a ripetere le parole della poesia:
<<Ego ignem accendo>>. Nel camino, un ciocco di legna iniziò a bruciare, il silenzio assordante interrotto solo dal crepitio delle fiamme; i due regnanti si scambiarono sguardi spaventati e osservarono attentamente gli occhi della figlia, di un verde acceso come mai erano stati.
<<Ego ignem exstinguo>>. Le calde e accecanti fiamme si ritrassero di scatto, non lasciando alcuna traccia se non una lieve nebbiolina di fumo.
<<Ego i->>.
<<Basta! Basta, va bene così>>, disse Anne alzandosi di scatto dal letto e avvicinandosi ad Alexis, mentre Moriel scrutava il libro aperto sulla scrivania della bambina, <<sei stata bravissima>>.
<<Alexis, non devi leggere questo libro, non da sola>>. Moriel chiuse il volume facendo schioccare le pagine ingiallite poi, con dita tremanti, accarezzò la ruvida copertina marrone che lo ricopriva, come una corazza pronta a difenderlo da ogni attacco.
<<Guardami, ehi... >>, la dolcezza con cui il re si rivolse alla figlia spiazzò perfino Anne, sorpresa di vedere il marito cedere così nel momento che più di tutti richiedeva sangue freddo, <<so che queste poesie ti sembreranno bellissime, ma devi resistere; non sono fatte per te, non ancora. Promettimi che le leggerai solo quando ci sarà qualcuno a spiegartele, per favore>>.
La bambina si trovava ora davanti al papà, inginocchiato di fronte a lei, il libro stretto tra le mani e il volto sempre più pallido; sentì che gli occhi si stavano riempiendo di lacrime e strinse le mani per non scoppiare a piangere, aveva caldo, le girava la testa e non capiva.
Non capiva niente.
<<Papà...>>, lo supplicò pizzicandosi il naso per resistere; avrebbe voluto chiedergli perchè era triste, perchè sembrava che lui e la mamma stessero male, ma non ci riusciva, le parole le rimanevano incastrate in gola.
<<Promettimelo, ti prego, piccola mia...>>. Le parole di Moriel costrinsero Anne a voltarsi per nascondere le proprie lacrime; per distrarsi, la donna cominciò a riempire di vestiti una sacca di tela che aveva estratto da sotto il letto, poi, strappò il libro dalle mani del marito e vi infilò anche quello, chiudendola tirandone con forza i lacci e inginocchiandosi accanto al marito, di fronte alla figlia.
<<Te... te- te lo prometto>>, balbettò Alexis e, quando vide il sorriso triste e stanco sul volto dei genitori, le lacrime cominciarono a solcare le sue guanciotte paffute, impigliandosi nelle ciglia chiare per poi riversarsi sulla distesa di neve che era la sua pelle.
Proprio in quel momento, forti grida lacerarono il silenzio che si era creato, come una lama che affonda con forza in un corpo morbido, dilaniandolo senza pietà e spargendo sangue ovunque.
Alexis iniziò a tremare spaventata e i singhiozzi della madre sovrastarono, per alcuni momenti, le urla che provenivano dal paese.
Moriel strinse la mano della moglie e le sussurrò qualcosa, forse: "sono arrivati"; poi, strinse la figlia in un abbraccio, lasciandole addosso il suo profumo di cuoio e menta.
<<Sei la nostra unica speranza, sei tutto per me>>, cominciò l'uomo trattenendo a stento le lacrime, poi, vedendo che la moglie non era in grado di continuare, parlò di nuovo, <<ricordi il villaggio alla fine del sentiero nel bosco, quello che la mamma ti faceva sempre vedere?>>.
<<Quello... quello dove non mi faceva mai andare?>>, mormorò lei cercando di mettere insieme le parole che le attraversavano la mente.
<<Esatto, ora devi andare, va' da loro e trova qualcuno che possa prendersi cura di te>>.
Moriel si alzò e lasciò che Anne stringesse al petto la bambina, per alcuni secondi guardò i loro volti pallidi e arrossati che sbucavano dall'ammasso delle vesti, poi, sentendo i boati e le grida sempre più forti, sempre più vicini, infilò ad Alexis un cappotto, raccolse la sacca preparata dalla moglie e gliela mise in spalla, facendola barcollare sotto il suo peso.
Anche la regina si alzò e fece un passo indietro.
<<Ma... ma voi- voi cosa fate? Cosa... cosa sta succedendo?>>. Alexis strinse con forza la cinghia che le stava lacerando la spalla e osservò sconcertata le facce terrorizzate dei genitori; le grida continuavano a insinuarsi nella sua mente e nel suo cuore facendola tremare sempre più forte, come una foglia secca scossa dal vento.
<<Non c'è nessun noi, ci sei solo tu>>, disse piano Anne estraendo una chiave dalla tasca del vestito e aprendo la porta che dalla camera della bambina dava sul retro del giardino e quindi sul bosco. Qualche fiocco di neve entrò spinto dal vento e si sciolse sul pavimento caldo mentre i tre guardavano terrorizzati la distesa bianca davanti ai loro occhi.
Alexis fu dolcemente spinta in avanti, finché i suoi stivali di cuoio non scricchiolarono sullo spesso strato di neve e affondarono per buona parte.
Altre urla graffiarono i timpani della bambina, che osservava tremante i riflessi di torce e fiamme che bruciavano in lontananza.
Alexis si voltò un'ultima volta verso Anne e Moriel, la sacca sembrava pesare sempre di più; nella sua mente sentiva il fragore della guerra unito alle domande che avrebbe voluto fare, si sentiva così impotente e così stupida, troppo stupida persino per una bambina.
<<Mamma, papà>>, sussurrò debolmente rilasciando l'aria fino a quel momento imprigionata nei suoi polmoni.
<<Vai! Corri, figlia mia, corri e non voltarti mai indietro>>.
Anne e Moriel fecero un passo indietro proprio mentre la figlia si voltava e cominciava a correre; restarono a guardarla per alcuni secondi mentre avanzava nella neve, poi, le diedero le spalle e andarono nella direzione opposta alla sua.
Quella sera qualcosa di terribile stava accadendo, qualcosa che aveva portato alla separazione di una famiglia.
Da un lato, c'erano una massa di capelli rossi, selvaggi e spettinati, una borsa incredibilmente pesante e una bambina che arrancava nella neve, le gambe stanche, il fiato corto, il cuore che batteva all'impazzata nel petto; le lacrime scorrevano rapide sulle sue guance, un fiume talmente caldo e impetuoso che nemmeno il freddo glaciale riusciva a fermare.
Un cuore spezzato, un futuro devastante, un amore disarmante.
Dall'altro c'era soltanto oro: oro che brillava là dove l'arancione delle fiamme incontrava l'argento della Luna e il blu della notte; oro nelle corazze impenetrabili e nelle spade luccicanti; oro in una corona massiccia portata con rabbia e in un'altra più modesta, abbandonata nella neve fresca accanto a centinaia di schizzi scarlatti.
Oro negli occhi vacui delle teste pallide e mozzate sparse un po' ovunque.
Oro nella fine di un'era e nell'inizio di un nuovo mondo.
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