Capitolo 47 - Epilogo
Una folata di vento caldo, tipico dell'estate, spostava le fronde degli alberi nel giardino reale.
Degli esigui passi incerti, coperti dall'ombra di una madre, erano quelli di un bambino di due anni.
― Vieni qui, Soheil.
La voce zuccherata della fanciulla lo spinse a raggiungerla, posando le manine sulla gonna turchese. Non gli bastava i baci e le carezze, finché la madre chiamò suo fratello. Un bimbo di quattro anni corse verso loro, afferrando le dita della madre.
Le ciocche castane chiaro delle due creature erano arruffate. Gli occhi del piccolo color oliva contrastavano con quelli color zaffiro del grande.
― Arman, mi raccomando, stammi vicino, ― sussurrò la madre sorridendo al maggiore, per poi udire le voci di un gruppo di Comandanti percorrere il porticato che delineava il giardino.
Non appena Arman vide la figura del padre, immerso nelle vesti e armi degli uomini, la donna lo fermò.
L'altro genitore non vide lo sguardo infatuato della moglie che ammirava la divisa dell'upupe e della mazza legata sulla cintura.
― Mamma, quando arriva lo zio?
Sussurrò Arman alla madre, la quale cadde dalle nuvole gonfie d'amore.
― Presto. Vostro padre ha detto che dovrebbe giungere tra qualche minuto.
Arman sembrava eccitato, si allontanò e sbirciò dietro ai cespugli. Allargò un tenero sorriso quando suo padre si voltò per accogliere, dopo aver interrotto il dialogo con i comandanti, lo zio e ai cugini. Amava l'abito lavanda dai ricami argentati coperti da un mantello cobalto del parente.
**
Sotto al porticato rivestito dai dipinti delle upupe, Rahim sorrise all'ospite, il quale teneva vicino a sé due bambini.
― Benvenuto, Mahdi. È da mesi che non ti vedo, sono felice di ospitarti, ― disse Rahim, guardando il Mansur Najib che teneva d'occhio i piccoli.
Mahdi non aveva dimenticato la fisionomia del Principe e la barba ben curata che era cresciuta in quei cinque anni, dopo la guerra contro i Daeve: ― Principe Rahim, fa piacere anche a me incontrarvi. Mi scuso per l'increscioso ritardo, ma sapete, mi sono fermato qualche giorno da mio padre, i bambini volevano vedere i cugini e poi mio fratello minore insisteva sul condurmi alle nuove zone a est.
― Non chiedere perdono, Mahdi. Ognuno hai i propri obblighi. Soprattutto se si parla dei miei nipoti, ― sorrise Rahim ai bambini.
― Mia sorella come sta?
Mahdi pose quella domanda guardando Rasha insieme ai figli nel giardino.
Rahim sospirò pesantemente e seguì lo sguardo del cognato: ― Bene. A parte l'umore deprimente nel ricordo del nostro primo figlio. Cinque anni sono passati e non c'è verso di allietare il suo dolore.
Mahdi socchiuse gli occhi e diede una carezza al capo della bambina che si era avvicinata a lui, prendendogli una mano: ― Ditele sempre che non è colpa sua. Ha bisogno d'amore.
Rahim non le aveva mai dato una colpa, nemmeno dopo dell'aborto spontaneo di cinque anni prima. Il ricordo lo addolorava più di quanto potesse immaginare, ma da un lato gioiva per la crescita di Arman e Soheil: i suoi splendidi figli benedetti da quell'amore.
I bambini che Mahdi si era portato in quel momento borbottarono sul desiderio di immergersi in quel verde giardino e giocare con gli altri piccoli.
Il Mansur Najib li guardò con serietà: ― Bambini, basta. Jamila ti ho detto di non infastidire tuo fratello.
― Ma padre, Fu'ad non mi ascolta, ― protestò la bambina, guardando l'uomo con gli occhi turchesi, una piccola goccia blu era posta sull'occhio destro. Spostò una ciocca castana e il velo.
― Non è vero, ― disse Fu'ad, mentre la cascata di capelli color mogano gli scivolavano sulle guance tonde, gli occhi smeraldo si socchiudevano.
Mahdi sospirò esausto da quella situazione, al contrario Rahim ridacchiò.
― Degni figli degli scorpioni e dei serpenti, ― pronunciò il Principe, ― Invece la più piccola? Dov'è?
― Mia figlia Minau? È con la madre di mio fratello, se ne prenderà cura finché non tornerò da mio padre. Potete capire che non posso portare una bambina di un anno in giro per il regno. Inoltre è stato pericoloso attraversare i Monti Alabastro con lei. Non dopo che... mia moglie è venuta a mancare.
― Comprendo, Mahdi e mi dispiace. Allora, va' pure da tua sorella, farò chiamare Taher a breve.
Mahdi annuì, poi guardò la bambina: ― Jamila, prendi per mano Fu'ad.
Quando Rahim si allontanò per dirigersi verso i piani alti del palazzo, Mahdi si avvicinò con i piccoli alla sorella, dove venne accolto con un abbraccio, un rimprovero per non averle mandato qualche lettera e un risolino dolce verso i nipoti.
Entrambi i fratelli lasciarono giocare i figli all'aperto. Sembrava che la sfortuna gli avesse colpiti nel peggiore dei modi, fatta eccezione per Fathi. Si sedettero su una delle tante panchine di marmo del giardino, lei strinse la mano di lui consolandolo e premendogli di far spazio al suo cuore per un'altra donna, ma Mahdi scosse molte volte la testa.
La sorella doleva per il disagio che aveva colpito il fratello nei mesi di lutto.
Il Mansur Najib desiderava confidarsi con lei, ma l'unico ad aver saputo dell'identità di Safiya, era Mu'ezz Nadir. Il quale stanco di aver lasciato solo il figlio per due anni, dopo lo sposalizio, si era infilato nei Monti Alabastro grazie alla benedizione, scoprendo la dura verità.
Mahdi non appena lo aveva visto avvicinarsi alla dimora di pietre che aveva costruito, con un gruppo di Sciamani dell'Ovest, aveva cercato di spiegargli ogni cosa, confidandosi che per tutelare Safiya, già debole dalla nascita di Jamila, si era rifugiato con lei.
Mu'ezz Nadir non lo aveva giudicato e aveva provato un amore profondo alla vista della nipotina, tanto da osservare che quegli occhi turchesi erano simili a Hadiya. Aveva promesso al figlio di non rivelare la dura realtà di Safiya, poiché l'odio per gli Hadi Dell'Ombra, ormai scomparsi da un po' era ancora visibile nei villaggi.
Dopo la partenza del padre, la gioia era scemata nei pianti desolanti del ragazzo.
Safiya, dopo aver dato alla luce la terza figlia, non aveva retto le cure del Mansur Najib e alla stanchezza dei lavori manuali nel villaggio degli Sciamani. Si era consumata come un fiore bruciato da una fiamma. Stessa fiamma che era stata generata dai residui della contaminazione dell'Aza.
Così, in un giorno di primavera, Mahdi dopo gli allenamenti aveva corso lungo i sentieri dei fiumi, dove gli Sciamani Dell'Ovest lo avevano chiamato per avvertirlo dell'infarto dell'amata. Una volta giunto al capezzale, dove le donne del villaggio avevano abbellito il corpo di Safiya e tenuto con loro i bambini, lui rilasciò un urlo, sprigionando delle scosse d'energia che si propagarono nella dimora. Nemmeno Yasser, una volta giunto lì, aveva attenuato quella sofferenza.
Era diventato padre, un padre solo con i frutti di quell'amore da tenere con sé.
― Io credo che una buona istruzione possa essere utile, insomma..., ― Rasha guardò il fratello con preoccupazione, ― non vorrai che i bambini crescano senza sapere l'alfabeto? Potrei regalare ai piccoli un papiro ricco di immagini, ci sono alcuni disegni che ho fatto e insieme a un buon mentore potrebbero imparare.
Mahdi rimase in silenzio per un tempo indefinito, quasi come se volesse allontanarsi con la mente. Non occultava l'espressione affine al padre dopo che aveva perso Hadiya.
― Fai come Fathi? ― sospirò Mahdi, sorridendo alla sorella, ― Anche tu insisti sull'istruzione e viaggi? Eppure si trovano bene nei monti. Nessun pericolo, nessun... mostro, ― disse Mahdi scuotendo una gamba, ― Ho accennato a Jamila della punizione e, di certo, i Daeve non aiutano a vivere bene nei regni.
― Non puoi tenerli rinchiusi per sempre, Mahdi. Io insisto! Verrà un giorno che chiederanno perché il loro padre sprigioni energia quando... combatte. Non puoi imprigionarli nell'ignoranza.
― Io..., ― Mahdi abbassò il capo, ― forse hai ragione. Posso discutere con nostro padre per trovare un buon tutore, magari possono stare... dei mesi insieme a te, che ne pensi? Lo sai... se ne occuperebbe mia moglie, se non fosse...
― Lo so, Mahdi, lo so. Vedrai, chiederò a Rahim se possono stare con me e le mie serve. Ti informerò ogni giorno grazie alle lettere, non devi preoccuparti, non devi... rimanere da solo, ― Rasha strinse le mani tremanti del fratello, osservando la barba ben curata e i capelli lunghi raccolti con una crocchia.
Mahdi le sorrise mentre dei passi e un vociare di amministratori riecheggiavano alle loro spalle.
Alcuni uomini lo chiamarono con insistenza. Si alzò baciando la fronte della sorella, chiedendole di tenere d'occhio i suoi figli, per poi scivolare tra un passo e un altro nel gruppo di uomini. Abbassò il capo alla presenza della figura che scacciava gli amministratori, lasciandolo solo con il giovane.
― Vostra Eccellenza, ― mormorò Mahdi.
Il nuovo sovrano sorrise: ― Rahim mi ha avvisato, Mahdi è bello rivederti.
― La gioia di rivedervi, Taher Shah è anche mia. Che cosa succede? Mi avete fatto chiamare nel vostro Regno settimane fa.
Taher osservò insieme a Mahdi il giardino: ― Se non fossi sempre impegnato, mio caro ambasciatore preferirei immergermi insieme a una concubina piuttosto di rimanere qui negli affari politici, non ti avrei fatto chiamare, ― sospirò il sovrano, ― un altro Daeve è stato ritrovato a nord della capitale, i miei Comandanti hanno cercato di fermarlo, ma senza successo.
― Capisco. Non vi preoccupate, me ne occuperò personalmente.
Taher osservò i bambini nel giardino, sorridendo: ― Dunque... vedo che i tuoi figli sono cresciuti bene, l'ultima volta erano molto piccoli.
Mahdi tacque per un breve istante. Ricordava che dopo la morte di Murin Shah per colpa di una frana nelle Gole di Granato, Taher era succeduto al trono, sviluppando nuove pratiche scientifiche e politiche che avevano rafforzato i commerci. Il popolo lo definiva "uno scienziato della luce".
― Potrebbero giocare con mio figlio Eshan, potrebbero divertirsi. Almeno, loro che possono.
― Non praticate più l'arco, Vostra Grazia?
― Lo pratico ancora, ma il tempo, amico mio, è molto ridotto, ― disse con dispiacere Taher, mentre due trecce scendevano sulla schiena e la corona conica, combinata con l'abito viola e nero gli rifiniva il corpo.
― Beh, potete sempre esercitarvi a scrivere testi scientifici. Potreste far compagnia a vostro fratello, poiché ha ricominciato a dilettarsi nella poesia.
― Una proposta interessante, Mahdi, ma non ho il respiro nemmeno per quello, ― sogghignò Taher.
I due, tenendo una distanza ben delimitata, percorsero il portico.
― Io credo... che un po' di svago vi farebbe bene.
― Svago, una parola rara di questi tempi. Persino mio figlio Ehsan dice sempre che vorrebbe vedermi felice, eppure, nei suoi occhi vedo ancora l'ombra di Shayan e Majid. Anche se... presto arriverà un nuovo Principe. Una nuova gioia.
Mahdi sgranò gli occhi incredulo: ― La sovrana sta aspettando un bambino?
― Sì. Diciamo che siamo... stati travolti da un litigio, una cosuccia da nulla e beh... il resto è sfociato in passione.
― Capisco.
― Comunque, quando nascerà organizzerò dei festeggiamenti. Non accetterò un rifiuto dal mio "viaggiatore di zafferano", ― sorrise Taher.
― Oh, Vostra Grazia, vi ricordate ancora quando...
― Come potrei dimenticare le corse immense che compivi in mezzo al bazar. Non dimentico mai un amico.
Per un momento gli occhi neri di Mahdi luccicarono di dolcezza, quasi come se si ricordasse le sue umili origini, fece una piccola riverenza: ― Allora, quando sarà il momento verrò, mio Shah.
Dopo un po' di minuti i due si fermarono a causa della tremenda confusione prodotta da un gruppo di soldati, un Comandante che li guidava abbassò il capo alla presenza di Taher Shah: ― Vostra Grazia Illustre. Perdonatemi, ma abbiamo bisogno dell'aiuto del Mansur Najib. Il Daeve si è spostato, ha varcato una delle porte principali della capitale e si sta dirigendo verso la Via Delle Lune.
Taher fissò con serietà Mahdi: ― Il dovere ti chiama. Finiremo i nostri discorsi a cena, sarai mio ospite e, dopo i pasti, ― il sovrano mosse una mano colma d'anelli, ― devo mostrarti gli ultimi archi che ho acquistato, hanno una resistenza sublime. Quasi come le concubine durante i piaceri.
Il ragazzo trattenne una risata e abbassò lo sguardo con rispetto, dopodiché seguì il Comandante che lo portò fuori dal palazzo reale.
Dopo qualche minuto tra la confusione e la gente che fuggiva nelle vie del Petalo D'Avorio, il Comandante si appostò vicino alle dimore con gli uomini pronti per scoccare le frecce contro la creatura immonda.
Mahdi gli consigliò di non mettersi in mezzo ma di spostare i cittadini fuori da quell'area.
Un ruggito agghiacciante riecheggiò nelle vie della città, finché il Daeve assomigliante a un cavallo dalle corna nere e dalle zanne incurvate che gli uscivano dalla bocca, scalpitò. Era alto due metri, sul corpo penzolavano scaglie verdi e la coda fiammeggiante odorava di zolfo.
Mahdi, lasciando dietro di sé il gruppo di soldati, estrasse la Yuha dal borsellino di sua madre. Quando si mise di fronte alla belva, il mostruoso si alzò, mutando quella forma equina e trasmutandosi un orrendo bipede tozzo e incurvato. Dei guizzi d'energia blu polvere coprirono la sua veste, l'alabarda prese forma nelle mani e la Pelle di Zaisibas si compose. Roteò l'arma di fronte al nemico e, piegando una gamba, sorrise. Amava combattere, amava vendicarsi contro quelle creature che gli avevano portato via la sua sposa, ma più di tutto adorava onorare il Sacro Nafan Yazata.
La goccia nell'occhio destro brillava, ricordandogli che ancora una volta un uomo umile avrebbe sconfitto l'arroganza dei forti, meritandosi la sublime libertà.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top