⟣ Capitolo 42 ― Le catene della disperazione ⟣
Lembi di pelle, rovinati dalle botte, erano i segni della violenza.
Safiya lo sapeva bene dopo il matrimonio nelle lunghe settimane con il promesso sposo. Aveva subito il freddo dell'autunno e i rimproveri del marito, lo stesso che si vantava di aver finalmente ottenuto ciò che aspirava.
La ragazza sistemava una cesta di giuggiole, mentre le mani, rovinate dai lavori, tremavano per il gelo. Avrebbe desiderato finire quel compito, recarsi come ogni sera nella tenda senza litigare con il marito. Di quello che era successo nella battaglia e, dalla morte di Tinfi, lei ricordava solo che si era risvegliata nell'accampamento degli Hadi, di aver mangiato qualcosa e di aver ascoltato un sacerdote, sopravvissuto per il loro matrimonio, per poi vederlo ucciso dopo la cerimonia.
Quell'atto spregevole contro la sua volontà, l'aveva condotta tra le braccia del sicario, unendosi con lui per notti intere e, alcune volte, picchiandola per sopprimere la ribellione. Ribellione che vedeva a Safiya di ingerire quantità di Nawa per non dar alla luce una creatura simile all'uomo.
Tolta da quel pensiero, concluse il lavoro e prendendo la cesta colma di frutti la posò su un carro, udendo la gioia degli Hadi Dell'Ombra su come via via le città dei tre regni stavano cadendo a pezzi, schiacciate dal pesante operato dei Daeve. Sapeva che il Daeve di Salgemma era stato clemente con i suoi fedeli, tantoché dopo essersi cibato di alcune carogne e cadaveri, si era rivolto con insistenza a Nabih su come ottenere la goccia.
Safiya strinse il velo viola, stretto attorno al collo, e deglutì un po' di saliva. Provava rabbia per Piruz e per i suoi alleati. Era stata usata per tanto tempo da Tinfi e da lui, persino quando era al Tempio del Sole D'Acqua l'aveva visto mascherato dalla testa ai piedi, fingendo il rapimento e celandosi nel corpo dell'Aza. Si sentiva un oggetto, un mero strumento che aveva vagato tra le terre per colpa di Tinfi, ma liberandola per un breve momento dalle mani di Piruz. Aveva il disgusto d'essere una delatrice senza avere la possibilità di fuggire o ribellarsi. Aveva pensato di poter dire tutto a Mahdi, ma aveva anche il timore di coinvolgerlo, poiché se avesse detto qualcosa sia ai padroni o agli Hadi, la conseguenza sarebbe stata la morte. Aveva lottato per contrastarla, si era opposta, ma con scarso successo.
Solo dopo un po' di minuti entrò nella tenda addebita a lei e al marito, si accucciò su un angolo per ricamare degli abiti, silenziosa come spesso faceva. Si asciugò una lacrima dalla guancia quando pensò a Mahdi, l'unico ragazzo che amava, l'unico che aveva indebolito Tinfi quando era giaciuta con lui. Credeva che quell'atto poteva aiutarla, estirparle la pianta marcia che si nascondeva nel suo corpo, gesto che però aveva fatto più danni che privilegi. Alzò lo sguardo non appena sentì Piruz entrare nella beit, per poi concentrarsi di nuovo sugli abiti squarciati.
Piruz afferrò da un bauletto delle ampolle di terracotta per poi posarle su un tavolino, togliendosi i calzari e massaggiandosi la fronte. Si levò la qamis nerastra, lasciando intravedere due lunghe cicatrici che percorrevano una scapola fino al bacino, segni che Safiya conosceva bene, poiché erano quelli che suo padre Kurush gli aveva lasciato dopo un allenamento. Gli occhi nocciola si posarono astiosi sulla moglie.
― Hai lavato gli abiti per domani e preparato la cena per stasera?
Safiya annuì più volte, cucendo.
Piruz prese una brocca di terracotta colma di vino e sbuffò, quando vide che sul tavolo c'era una coppa di cibo che detestava: ― Ti avevo detto che quei stomachevoli datteri non mi piacciono! Non capisci niente quando ti parlo, eh, Safiya?! Hai diciannove anni, ma sembra che ne hai undici.
Piruz afferrò la coppa di datteri, gettandola in una sacca dove spesso mettevano i resti di cibo. Respirò con calma per calmare quella violenza che gli bruciava dentro, strascinò i piedi stanchi verso di lei, inginocchiandosi di fronte al suo cospetto.
― Se non fossi così benevolo, non credo che avresti ancora la capacità di cucire, ― lui le sfiorò una guancia, strusciando il pollice sullo zigomo.
― Come se questo cambiasse, Piruz.
Lui rise per un momento, per poi afferrarle la mandibola: ― Oh, siamo diventate sagge?
Safiya chiuse gli occhi, tremava, finché lui la lasciò, dicendogli di dirigersi vicino al tavolo per cenare. Faceva attenzione a ogni cosa, evitava di prendere i piatti preferiti di Piruz e si limitava a cibarsi solo di poche vivande. Secondo il pensiero del marito, l'unico che poteva rifocillarsi per la causa degli scontri era lui, a lei era concesso solo la miseria.
Piruz parlava raramente del ragazzino, poiché l'odiava. Tuttavia in alcuni momenti, forse per colpa dell'alcol o per i ricordi di infanzia, reduci dalla povertà, Safiya sorrise un po'. Sorriso che però non durò molto, spesso era il segno dello sguardo freddo del marito che si depositava verso di lei.
Safiya deglutì un po' d'acqua, mescolata con il Nawa, quando ricevette uno di quegli sguardi. Sapeva cosa avrebbe comportato quel messaggio, sapeva che avrebbe subito di nuovo quella tortura, anche se non poteva far nulla.
Quella stessa notte, Nabih era ancora sveglio e confabulava con i suoi fedeli. Aveva un conto in sospeso con i figli di suo fratello e il Daeve di Salgemma reclamava ancora la sua vittima. Si alzò dal giaciglio di cuscini, trascinando il mantello scuro sui tappetti, gli pareva un sogno quel momento, tutto stava scivolando verso la sua gioia, finché uno dei due Hadi consigliò al capo, con tutto il rispetto, una proposta.
― Se hanno scovato il nostro accampamento, potremmo riacciuffare il Mansur Najib nella stessa maniera, ― disse il primo Hadi.
Nabih ascoltò quelle parole con attenzione, tastandosi la barba nera.
― Piruz ha detto, prima di coricarsi, che sua moglie è molto legata al ragazzo. Si potrebbe attirarlo grazie a lei. Magari escogitando una trappola, una rete, qualcosa, così da portare con noi il Grande Signore e lasciare che egli lo divori, ― propose il secondo Hadi.
Nabih batté le mani per la gioia. Aveva ignorato a causa delle numerose battaglie quell'opportunità. La figlia di Kurush era stata usata da Tinfi, uno strumento indispensabile, ma che allo stesso tempo era legata a suo nipote.
― Allora, indagate e pattugliate se il Rubino D'Oro sposterà le sue truppe e il Mansur Najib. Avvisate Piruz per i preparativi alla trappola. Potrebbe portare il Daeve di Salgemma da lui e lasciarlo divorare.
Uno dei due Hadi abbassò il capo e uscì dalla tenda. Una volta giunto nella beit di Piruz, spostò un po' il velo d'entrata senza inoltrarsi. Non voleva disturbare il sicario in quel momento di gemiti e voglie.
La coppia era nascosta dietro ai veli scuri, dov'era posto il letto.
Le mani di Safiya stringevano le braccia del sicario, mentre la belva, affamata da quella voglia, era sopra di lei. Rassegnata dall'atto posò le braccia ai lati del capo, lasciando che Piruz la sottomettesse, mentre lo sguardo, privo di ogni amore, fissava uno dei cuscini.
Tuttavia lui odiava essere ignorato da lei, la piegò ancora un po', facendole stringere le gambe attorno al suo bacino e, tenendosi con un braccio teso, le voltò con una mano il viso, ottenendo di nuovo i suoi occhi.
Safiya indignata dal gesto batté con i pugni sul petto del marito, ma venne quietata da una sberla, per poi avvertire la presa della mano maschile su una coscia. Odiava la vemenza e la fitta lancinante nell'addome, ogni muscolo si contorceva, mentre lui rideva e la insultava.
Piruz strinse un lembo di lenzuolo con la mano libera e schiacciando il suo corpo contro quello di lei, giunse al piacere, per poi lasciarla lì, immobile sul giaciglio. Sbuffò quando udì l'Hadi chiamarlo una decina di volte. Si alzò barcollando per la stanchezza e si coprì con un mantello, lasciando Safiya.
Solo dopo pochi minuti, la ragazza, riprendendo un po' di respiro dall'atto, si spostò dal letto, si curvò per il dolenza all'addome, trascinando i piedi. Smosse un velo, sbirciando la discussione tra i due uomini. Non appena comprese quello che volevano fare, scavò tra gli oggetti privati del marito, spostando bauletti, ampolle e abiti, fino a trovare un pugnale.
Tuttavia a causa dei rumori, Piruz si precipitò verso il giaciglio trovando Safiya puntare l'arma alla gola. Era nuda, bella e letale da far tremare per un momento l'uomo.
― Non ti condurrò mai da Mahdi! Preferisco morire!
Il sicario digrignò i denti e lesto come una lepre afferrò il pugnale disarmandola. Schiaffeggiò molte volte la moglie, fino a farle sputare sangue, facendola cadere su un gruppo di cuscini.
― Sgualdrina! Pensi di salvarlo?! Tu sei mia, Safiya! Sarai sempre è solo mia! Metterò questo pugnale nel suo corpo, hai capito?
― No!
L'urlo di Safiya fece ridere Piruz, tantoché ritornò dall'Hadi confermando il piano.
***
Passarono altre tre settimane e nella piazza del Rubino D'Oro Mahdi attendeva con poca pazienza l'arrivo di Yasser. Uomo che giunse da lui solo dopo qualche ora.
Il ragazzo lo vide scendere da cavallo, per poi consegnare le redini a un servo.
Dopo i saluti, i due si diressero verso gli interni del palazzo, mentre ai balconi del secondo piano gli esploratori li fissavano con curiosità.
― Non posso ancora credere che sei qui. La sacra Baharack ha detto che dobbiamo recarci immediatamente verso le pietre, potremmo partire subito, ― disse con enfasi Mahdi.
― Calma, calma. Prima devo parlarti.
Quando Yasser informò a Mahdi sul volere di portare il Sacro Nafan su Eblis, l'espressione felice del giovane si trasformò presto in dubbio. Non credeva che la divinità scendesse così facilmente tra i mortali.
Di tanto in tanto gli uomini adocchiarono gli esploratori scendere nei piani inferiori, i quali cercarono di aiutare i comandanti nell'apposite sale, tra di loro c'era Jafar e Navid.
― Non sarà facile, però tentar non nuoce. Quando vuoi partire, Yasser?
― Domani all'alba, se riuscissimo nell'impresa, gli Hadi Dell'Ombra non avrebbero nessun aiuto.
― Va bene. Fammi... parlare con mio padre, voglio avvisarlo prima di partire.
Yasser non protestò a quella richiesta, Mahdi richiamò un Servo Rosso e gentilmente, gli ordinò di condurre l'uomo verso una delle stanze dove avrebbe riposato prima del viaggio. Dopodiché si diresse a passo spedito verso la sala delle riunioni, dov'era suo padre e Fathi. Stessa sala colma di esploratori e Comandanti.
Mahdi si avvicinò al padre intento a mettere ordine a dei papiri, lo avvisò sull'arrivo di Yasser e quando gli propose il piano, il genitore si irrigidì, gettando un papiro sul tavolo esagonale.
― No. La mia risposta è no.
― Ma cercate di comprendere la situazione, padre, vale la pena tentare. Gli Hadi stanno massacrando le nostre difese, i Daeve sono sempre più vicini, le scorte d'armi sono all'esaurimento, io e Yasser potremmo... ― disse Mahdi.
― Pensi che non abbia una minima idea di ciò che chiedi?
Fathi osservò i due uomini discutere, rimase in silenzio.
― Non nego le vostre idee, padre. Voi non avete visto com'è quel Daeve, non avete la minima idea di quanto è potente. Se il sacro Nafan scendesse su Eblis, se potesse sconfiggerlo come un tempo, forse...
― Il Sacro Nafan non ha protetto nessuno dei suoi figli, Mahdi. Non ha protetto né te né tua madre quando più ne avevate bisogno! Ora pensi che scenda su Eblis, per cosa? Per sistemare le opere di coloro che hanno tradito gli dèi?
Mahdi strinse i pugni sui fianchi, alzò un po' la voce: ― Non lo penso, ma bisogna tentare! I sassi posti sull'albero sacro non riusciranno a contrastare l'avanzata dei Daeve. Ragionate, padre! Cercate di capire che questa è la nostra ultima possibilità!
Il vociare degli esploratori distrasse per qualche secondo gli scorpioni.
Mu'ezz Nadir si morse le labbra e guardò di nuovo Mahdi: ― Possibilità o meno, le gesta vanno calcolate. Io non ti riconosco più... sei diventato impulsivo come tuo fratello?
Fathi rise un po' sfiorandosi la barba: ― Lo prendo come un complimento, padre.
― Taci, Fathi, ― pronunciò Mu'ezz Nadir al giovane.
Mahdi avanzò di un passo verso il padre: ― Impulsività o no, padre, questo atto va compiuto. Il sacro Nafan ha concepito i suoi figli...
― Il Sacro Nafan non sa cosa vuol dire vedere i propri discendenti morire per mano dei nemici! Pensi che abbia un cuore? Credi che la divinità sia così "buona" da...
Un colpo di tosse e passi trascinati distrassero di nuovo l'argomento degli scorpioni.
― Perdonatemi se vi disturbo, ma ho dei documenti da porvi, nobili signori.
I tre si voltarono verso Jafar, il quale consegnò i papiri a Fathi.
― La discussione finisce qui, Mahdi. Non ti recherai da nessuna parte, ― borbottò Mu'ezz Nadir prima di avviarsi fuori dalla sala insieme a Fathi.
Il Mansur Najib abbassò lo sguardo colto dall'ira. Ira che venne osservata da Jafar vicino a lui. Il vociare dei Comandanti, le mappe e lo sfoglio dei documenti non distrasse i suoi pensieri, mentre le luci delle lampade a olio illuminavano la sala.
― Vostro padre ha un modo tutto suo per affermare ciò che vuole, ― sghignazzò il vecchio.
Mahdi scrutò con astio Jafar, tantoché quel sentimento gli fece cambiare gli occhi neri in blu polvere.
Jafar roteò gli occhi esasperato: ― Oh, per il Sacro Atar e la Sacra Arooj, non siate iracondo nei miei confronti. Vostro padre lo fa per il vostro bene, non lo vedete?
― Per il mio bene? Avete la più pallida idea cosa c'è la fuori? La gente muore e l'unica speranza che abbiamo mio padre la getta nei panni sporchi.
Jafar socchiuse gli occhi sfiorando un braccio del ragazzo, si piegò per avere la sua attenzione: ― Sapete perché fa così? Perché vuole proteggervi. Mettetevi anche nei suoi panni, giovane Mahdi. Lui ha perso vostra madre, ha duellato contro suo fratello e l'unico ricordo che ha di lei siete voi. Credete che sia così stupido da lasciarvi andare?
― Non lo credo stupido, signor Jafar, ma sono abbastanza grande da fare ciò che voglio della mia vita, ― disse Mahdi, togliendo la presa dell'uomo, ― Forse vostro padre era diverso dal mio.
Jafar sgranò gli occhi, mentre il ragazzo posava le mani sul tavolo incurvando la schiena in avanti. Una risata uscì dalle sue labbra secche e rugose: ― Mio padre? Mio padre ha passato l'esistenza ad accontentare i suoi figli e i mo... ― tossì Jafar, ― gli animali. Pensate che sia stato tranquillo pure con lui? Certo che no. Anche se aveva le sue preferenze, io vedevo nei suoi occhi una compassione per me.
― Ma io non dico che non abbia ragione è solo che non capisce, ― disse nervoso Mahdi a Jafar, ― Oh, Grande Nafan!
― Oh, per l'amor del cielo, tutti voi finitela di invocarlo o gli verrà un mal di testa. Sentite, se volete ribellarvi, siate più furbo e meno impulsivo.
― Mi state consigliando di... disobbedire?
Jafar fece l'occhiolino al ragazzo, sorridendo e prendendo un papiro per poi allontanarsi: ― Chissà.
***
Al consiglio dell'esploratore Mahdi prese la considerazione, senza avvisare il padre e i servi, di partire la mattina successiva con Yasser. I cavalli vennero sellati, per poi partire seguendo le tracce sulla mappa di Baharack. Tuttavia quando superarono alcune gole, vennero visti dalle sentinelle degli Hadi dell'Ombra, i quali si precipitarono verso gli avamposti.
I due uomini, giungendo a un corso d'acqua, abbeverarono i destrieri, osservando le nuvole che coprivano il cielo diurno. Sembrava tutto abbastanza normale, non avevano trovato Daeve o nemici, ma un Shua persisteva nel volare sopra le loro teste, fino a depositarsi su un ramo.
Yasser si avvicinò alla bestia e trovò con incredulità un biglietto sulla zampa, lo srotolò vedendo il destinatario. Era per Mahdi.
Vieni da me, sono fuggita e viva, sono vicino alla Roccaforte del Ripianto.
Quel messaggio che concludeva con un fiore disegnato, Mahdi lo conosceva bene. Safiya adorava scrivere i messaggi concludendoli con un piccolo disegno, sapeva che era la sua scrittura.
Yasser era contrario a quella richiesta, ma grazie all'insistenza del giovane si diresse con lui verso la Roccaforte del Ripianto, una serie di gole dove alla base c'era sabbia e cespugli secchi. Ci vollero una mezzora, finché i due giunsero a destinazione.
Yasser avvertì un vento gelido. Mahdi si allontanò per qualche metro di fronte a sé, finché non vide due figure, tra queste c'era Safiya strattonata da Piruz.
― Mahdi! Scappa! È una trappola!
Il sicario tagliò una corda ben nascosta dietro a un masso per far calare una rete.
Tuttavia, grazie all'avvertimento di Safiya, Mahdi evitò la rete indietreggiando, modellò la Yuha in alabarda, mentre Piruz gettava con sdegno sua moglie a terra, si scagliò con i pugnali contro il ragazzo.
Yasser vedendo la scena volle intervenire per aiutare l'allievo, ma un gruppo di Daeve, alleati al sicario e dal Grande Signore, si scagliò contro di lui, separandolo dal giovane.
Mahdi non gli bastò la presa salda sull'alabarda per evitare le pugnalate di Piruz, il quale piroettò con agilità, producendo degli affondi laterali. Non si ritirò, zampettò sul posto roteando l'alabarda davanti a sé, parando le pugnalate, finché Piruz gli diede un calcio sul fianco, facendolo cadere e ferendolo a un braccio.
Lui cercò di andargli addosso per pugnalarlo al petto, ma Mahdi parò il gesto mettendo l'alabarda orizzontale.
― Ti ucciderò, ragazzino!
Mahdi digrignò i denti, mentre attorno a loro i Daeve si ammassavano come belve contro Yasser. Scalciò l'addome del nemico, facendolo spostare, il quale subito si alzò, per poi riattaccare con agilità. Si piegò verso destra per poi alzare l'alabarda di lato e, prendendola vicino alla lama, lo trafisse sul petto, estraendo l'arma dalla carne.
Un fiotto di sangue fuoriuscì dal corpo di Piruz facendolo inginocchiare.
Il sicario tentò di contrastare l'alabarda, ma Mahdi lo trafisse al cuore togliendo con rabbia la lama dalla carne e facendolo cadere a terra.
Safiya osservò l'orrore di quell'omicidio per poi sentire il boato di Yasser che aveva eliminato ogni singolo Daeve. Corse verso Mahdi, abbracciandolo.
Il giovane modellò di nuovo la Yuha in cilindro per poi agganciarla alla cintura, strinse Safiya per poi baciarla con più foga.
― Perdonami, perdonami. Mi ha costretta a scriverti. Voleva ucciderti, voleva... ― balbettò a ogni bacio Safiya.
Quando Yasser si avvicinò per vedere la coppia, Safiya si staccò e spiegò come un fiume in piena ogni cosa. Tremava e piangeva a ogni parola che le usciva dalla bocca.
Yasser la esaminò con la magia per scoprire se avesse qualche collegamento magico con gli Hadi, collegamento che non trovò nella sua carne stanca.
I due uomini la trascinarono verso i cavalli.
― Non possiamo portarcela dietro, Mahdi. È pericoloso, ― disse Yasser osservando la ragazza.
― Allora che facciamo? ― chiese Mahdi.
Yasser si toccò la barba: ― Potremmo lasciarla al prossimo villaggio. Se ovviamente non ritornerà dagli Hadi dell'Ombra.
― No. Vi assicuro che non lo farò, ― balbettò Safiya.
Yasser si avvicinò alla ragazza: ― Se scopro che ci tradirai, ti assicuro che...
― Yasser, basta, ― tuonò Mahdi.
Il mentore sbuffò.
Dopodiché i tre partirono, lasciando che il corpo di Piruz giacesse lì, in mezzo alla sabbia. Tuttavia quello che era rimasto dei Daeve scivolò verso il corpo di Piruz, assorbendo il sangue e componendo dei topi che osservarono in lontananza i viaggiatori, per poi seguirli in silenzio, nascondendosi tra sabbia e rocce.
***
Solo dopo un'oretta, giungendo a un villaggio coperto dalle gole, i due uomini chiesero a una donna di una casa di ospitare Safiya e prima che partissero di nuovo, Mahdi restò un attimo con lei.
― Perché non mi hai detto la verità?
La domanda di Mahdi la destabilizzò.
― Non potevo dirti che ero l'ospite di Tinfi, se l'avessi fatto Nabih mi avrebbe uccisa e Piruz mi avrebbe usata come carne da macello. Io..., ― deglutì Safiya, ― io ti amavo Mahdi, ma se avessi parlato, se avessi detto qualcosa, loro ti avrebbero ucciso. Volevo solo proteggerti.
― Per questo mi dicevi che non volevi una relazione. Per questo parlavi a stento del tuo vecchio compagno, perché era quel sicario. Hai nascosto tutto questo per me?
― Sì, per te. Se avessi avuto un pezzetto di libertà ti avrei detto di sì. Ma non potevo, dovevo subire in silenzio. Ho provato pure a confrontarmi con Piruz i primi tempi, ma era folle. Mi hanno fatto sposare Piruz dopo che Tinfi era morta. Mi hanno... costretto a dividermi tra due scelte. Tinfi era stata data a me quando ero giovane, una ragazzina. Mia nonna materna mi aveva venduto perché ero la figlia di Kurush. Tinfi... Tinfi mi usava, sapeva molte cose. L'attacco al matrimonio, gli attacchi alle vostre famiglie... io non potevo ribellarmi.
Yasser che era accostato a i due ascoltò il dialogo: ― Tutto ciò che racconta è vero. Gli ospiti subiscono, vivono quel che basta per essere usati come spie involontarie dalle Aza.
Mahdi sembrò sconcertato da quella rivelazione: ― Tua madre? Tu non mi hai detto mai di lei. Tu sei la figlia di Kurush Vento della Morte.
― Mia madre era una concubina, io non ho mai conosciuto mio padre, almeno so solo che quando ero una bambina mi diede come promessa sposa a Piruz. Mia nonna però non accettò tutto ciò e mi vendette. Mio padre... riuscì a infettarmi con Tinfi, mi usò per farla sopravvivere e diede il fegato a Nabih, lasciandomi come segno del legame con Tinfia una macchia sul mio avambraccio. Devi credermi, Mahdi, non ho scelto io questa vita, non... volevo rifiutarti. Mi dispiace...
Mahdi guardò per un istante Yasser, il quale annuì. Aveva visto quegli occhi così massacrati dall'angoscia, di come fossero scavati nell'oblio. Sospirò il ragazzo, accarezzandole la guancia: ― Se riusciremo a superare questo ostacolo, tu verrai con me ai Monti Alabastro. Non puoi tornare in queste terre, lo Shah e i miei parenti ti ucciderebbero. Dimmi che c'è un modo, Yasser, per farla... ― Mahdi osservò il mentore.
― Certo che c'è un modo. La benedirai per consentire ai figli di Zaisibas di farla entrare. È l'unica scelta che puoi fare. Se la troveranno gli Hadi la uccideranno, se la troverà la tua gente, morirà lo stesso.
A quella proposta nessuno dei tre dissentì. Il dialogo tra di loro non era stato ascoltato dai cittadini, né tanto meno dalla padrona che avrebbe ospitato Safiya, dopotutto Rasha non l'aveva vista quando era svenuta tra le braccia di Piruz e credeva che fosse morta.
Mahdi, sotto consiglio di Yasser, la benedì e le raccomandò che ne caso non fossero tornati, avrebbe mandato uno Shua ai monti per farsi venire a prendere da uno Sciamano dell'Ovest. Le venne indicato ogni cosa, documenti, notizie. Tutto per proteggerla da quell'eventualità.
Alla ripresa del viaggio per i due amanti non fu semplice separarsi. Molte promesse e progetti riempivano i loro cuori, finché Yasser e Mahdi non ripresero il viaggio.
Solo dopo ore di tragitto, quando superarono delle sottili cascate, indicate dalla mappa, che alimentavano uno dei due laghi, i due guerrieri videro delle striature antiche, che portavano verso le profondità di una caverna in mezzo al confine dei regni. Scesero dai destrieri e li legarono vicino a un paio di alberi secchi, per poi avvicinarsi all'entrata della grotta. Si calarono fino a trovare un piano roccioso con due minuscoli isolotti, in mezzo a quei isolotti c'erano due iridescenti pietre color blu polvere.
― Eccoli, i due pezzi, basterà pregare vicino a uno di quelli e poi... ― disse Yasser, prima d'essere interrotto dagli squittii.
Migliaia di topi entrarono nella grotta, formando una sagoma orrida che Mahdi aveva visto tempo prima.
Yasser cercò di modellare l'alabarda, ma venne colpito grazie a una zampa ossuta dalla creatura e sbattuto fuori dall'entrata della grotta.
Mahdi si precipitò per raggiungerlo, ma la belva vomitò una melma nera la quale tappò l'unica uscita possibile a quella grotta.
"Ti ho trovato! Mio splendido fiume!"
Mahdi indietreggiò di qualche passo.
Il Daeve di Salgemma era lì, di nuovo di fronte ai suoi occhi, alto tre metri con tre crani di topo che lo fissavano. Il vestito che lo componeva era di un liquame puzzolente che ribolliva e che impregnava il terreno della grotta. La belva a tre teste sorrise.
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