⟣Capitolo 40 - La libertà nel baratto⟣
L'odore ripugnante e ferroso del sangue appestava uno dei piccoli villaggi del Regno Amjad Ayman.
I paesani si difesero contro un gruppo di Hadi Dell'Ombra, ma era tutto inutile.
Piruz, insieme a Tinfi, maneggiava i pugnali con una tale maestria da lasciare una garza di morte. Delle volte indietreggiava e piroettava su se stesso, lacerando carne, bucando gli occhi e sgozzando le vittime.
Tinfi dal canto suo sembrava divertirsi, il tessuto nero che le fungeva d'arma aveva stritolato molti colli, mentre gli Hadi Dell'Ombra finivano il lavoro. Il rumore dei vasi rotti, dei pianti degli orfani e le urla delle donne violentate era la melodia che amava di più.
Solo dopo un tempo impreciso la battaglia finì.
L'Aza diede uno sguardo a Piruz imbrattato di sangue per poi dirigersi verso di lui.
I due parlarono per pochi minuti, confidandosi la conquista e il sangue che avrebbe prelevato da lì a poco la donna dalle labbra d'oro. Passeggiavano in mezzo alla distruzione, beandosi di quello spettacolo.
― Dimmi una cosa, perché lei non ti vuole più?
La domanda di Tinfi spiazzò per un breve momento Piruz, le diede uno sguardo vago per poi pulire con uno straccio, preso da un cadavere, un pugnale.
― Secondo lei è perché sono manesco, ma non è così. È solo viziata e infantile. Ho passato con lei del tempo. All'inizio mi adorava, ― sorrise Piruz, gli orecchini che penzolavano dall'orecchio brillavano grazie ai falò accesi, ― rubavo per lei. Poi ovviamente, come una stupida ragazzina, mi fece arrabbiare e dovevo metterla in riga. Doveva obbedirmi.
― Capisco. Era una domanda curiosa la mia. Per quanto possa vedere i pensieri e vivere in simbiosi con il "contenitore", delle volte, per una sua volontà, mi isola per impedirmi di prendere possesso delle azioni e riflessioni. Ma d'altro canto, io faccio lo stesso con lei.
― Come quell'unione? Il ragazzino ci ha dato dentro,― rise lui.
Tinfi strinse i pugni sui fianchi coperti dalla gonna nera: ― Quella sgualdrina è stata furba, Piruz. È persa per lui, tantoché il sentimento che porta nei suoi confronti e delle sue amiche mi impedisce di controllarla per un breve periodo. Devo sforzarmi per agire. Dannazione!
I due si fermarono insieme al gruppo di Hadi che mangiavano dei frutti.
Tinfi sistemò i lunghi capelli neri, si strofinò l'avambraccio sinistro dove c'era la macchia nera, la stessa che usava per invocare i Daeve. Tuttavia qualcosa la distrasse, si girò parecchie volte verso una strada del villaggio, Piruz si accorse di quel comportamento e le sfiorò una spalla.
― Ehi, Tinfi, tutto bene?
― Sì... è solo che... dammi un paio di minuti, torno subito.
Il sicario non protestò e la lasciò andare.
Tinfi evitò i cadaveri sulle strade e annusò un profumo, assomigliava alla salsedine. Corse per poi scomparire in una polvere di sabbia nera. Dopo cinque minuti, si materializzò dietro ad alcune palme, che coprivano un accampamento di soldati della Luce D'Avorio. Gli occhi color pera saettarono sulle figure degli uomini, ma la fragranza non proveniva da loro. Si rivolse verso una figura che portava un sacco che si allontanava. Passeggiò senza farsi vedere e diede un'occhiata a un'alta lapide con dei nomi incisi, per poi ignorarla. Si nascose dietro ad alcune palme e posò le dita sulle labbra.
La figura, vicino al fuoco, si spogliò, lasciandosi immergere in un laghetto delle Lacrime di Apatite. A ogni bracciata l'Aza deglutì della saliva, osservando sulle braccia toniche del giovane le vene brillanti e il buon odore di salsedine.
"Lo stai divorando con gli occhi, non è così?" La voce del contenitore ridacchiava nella mente di Tinfi.
L'Aza schiuse le labbra e imprecò contro l'altra parte, per poi graffiarsi una coscia seminuda: ― Divorarlo? Vorrei possederlo! Dicono che i figli di Yazata Nafan siano meravigliosi, privi di una spudorata bellezza che farebbe rabbrividire ogni Daeve.
"Solo questo, Tinfi? Lui è molto di più di un figlio divino. Infonde così tanto amore. Se solo capissi ciò che intendo."
L'Aza tentò di zittire di nuovo il "contenitore", ma il giovane dopo aver concluso il bagno, uscì dall'acqua, prendendo un asciugamano di lino per strofinarsi i capelli color mogano. Procedette di qualche passo, ma tra l'esitazione e l'incertezza fece un po' di rumore a causa delle foglie di palma sulla sabbia.
― Vieni fuori, Aza.
Lo sguardo di Mahdi si posò sulle palme che nascondevano Tinfi.
L'Aza si spostò dagli arbusti e lo vide inginocchiarsi vicino al falò, zampillanti luci illuminavano il fisico del Mansur Najib. Si chiese com'era sopravvissuto all'attacco di qualche settimana prima, forse la sua scomparsa con il fratello e la debolezza a cercarlo gli avevano concesso di riprendere le energie. Scacciò le molte domande e si posizionò di fianco a lui, lo vide alzarsi, respirava con difficoltà. Quell'odore era sempre più intenso.
― Sai... è maleducazione osservare una persona quando fa il bagno, ― protestò Mahdi, mostrando un buffo sorriso.
Tinfi lo mandò a quel paese con dei gesti e cercò di avviarsi, dandogli le spalle, ma poi si fermò, quando lui si pettinò i capelli con una mano: ― Come sei sopravvissuto?
― Non sono cose che ti interessano, Aza.
Mahdi mise un altro pezzo di legno nel fuoco.
Tinfi si girò appena con il viso, non negava a se stessa che il fisico del ragazzo era una prelibata leccornia di forza e lussuria. Lo vide prendere in un sacco di cuoio del pane all'uvetta e avanzò. Era troppo vicino a lei.
― Stavo iniziando a mangiare, vuoi un pezzo?
Quel sorriso dolce la fece cedere, prese un pezzetto di pane. Masticò piano, scrutando le gocce d'acqua sulla pelle del giovane. A un passo sfiorò con un pugno chiuso il petto del guerriero, fino a piegare il viso.
― Preferirei... qualcosa di più, ― sogghignò l'Aza, ― ma temo che sia solo una stupida follia.
Mahdi sfiorò con il naso la guancia di Tinfi, sorridendo: ― Tu dici? Sono qui, inerme, senza la Yuha, ancora in preda alle ferite. Potresti uccidermi, Aza. Potresti colpirmi al cuore.
― Oh, mi piacerebbe... ma io... pretendo di più.
Tinfi non esitò e posando le dita sulla guancia del ragazzo lo baciò con avidità. Quel profumo che aveva percepito era tutto su di lui, non comprendeva come mai non l'avesse considerato prima. Non riuscì a controbattere i pensieri che Mahdi si piegò per prenderla a cavalcioni e gettarla con poca grazia sulla sabbia. Le prese i polsi mettendosi sopra di lei, aveva le gambe avvinghiate al suo bacino e respirava con affannò.
― Dunque... Aza, che vogliamo fare? Vuoi dirmi cosa state combinando? Dov'è mia sorella?
― Credevo che volessi... qualcosa da me. Ma se vuoi sapere dov'è quella stupida mocciosa, beh... non posso aiutarti.
Mahdi sorrise piegando il viso come un serpente curioso, lasciò un polso e sfiorò l'abito trasparente che copriva il torace di lei, afferrò con le dita pian piano il bordo del colletto.
― Come no? Eppure sei venuta da me, come mai?
Tinfi a quel tocco caldo, chiuse gli occhi e rilasciò un mugugno. Poteva distruggerlo, poteva fargli male, ma quella era una lussuria divina, raccontata dagli aneddoti più antichi. Prese la sua mano per incentivarlo a toccarla, cosa che Mahdi non esitò. Si sollevò un po' per baciarlo, per poi staccarsi dalle sue labbra.
― Allora? Dov'è mia sorella e la serva rossa di nome Safiya?
Tinfi digrignò i denti per poi rilasciare un sussurrò di piacere quando lui slacciò il colletto del vestito nero, lasciando liberi i seni. Un brivido lungo la schiena la pervase quando Mahdi si avvicinò all'orecchio.
― Sai... non solo tu puoi essere così maligna. Hai fatto del male a mio fratello, hai ucciso metà dei miei cari. Devi solo dirmi cosa state progettando e forse potrei essere... buono.
― No, io...
― Non vuoi dirmi nulla? Quindi non vuoi più i miei tocchi?
Mahdi accarezzò l'addome della giovane Aza.
Tinfi prese la sua mano curiosa e lo guardò negli occhi: ― Presto morirete tutti, Mansur Najib, il Grande Signore sarà risvegliato, colui che Yazata Nafan bramava da tempo.
Mahdi rise piano ignorando la sua voce, per poi baciarla.
Tinfi sussurrò una moltitudine di voglie, parole sconnesse che lasciarono posto alla passione. Avrebbe rischiato una debolezza nefasta, ma non le importava.
Tuttavia il giovane spostò la mano dall'addome e tastò vicino alle sacche un pugnale: una lama datagli da Fathi, la stessa che suo nonno Firouz gli aveva regalato. Facendo attenzione, afferrò una ciocca nera dell'Aza e la tagliò, nascondendo gli oggetti sotto agli asciugamani di lino.
Solo quando il ragazzo superò quel limite, l'Aza lo spostò di lato e alzandosi allungò le unghie e cercò di attaccarlo.
Mahdi afferrò la Yuha vicino agli abiti e la modellò in due punte, mettendosi in posizione di difesa.
― Mi stavi soggiogando al tuo volere, Mansur Najib! Maledetto!
― Beh, credo che sei tu quella sciocca, Aza. Non ti ho invitato io e, del resto, lo so... tu mi desideri. Ma sai la cosa meravigliosa di tutto ciò? È che non mi avrai mai. Non meriti pietà per ciò che hai fatto ai miei cari, ― sorrise con malignità Mahdi.
L'Aza urlò contro di lui e correndo via scomparve con una follata di vento nero.
Mahdi rimodellò l'arma e la infilò nel borsellino della madre, per poi prendere i vestiti e per ultimo le ciocche dell'Aza. Usare i feromoni della sua aura, tipici dei serpenti, e aumentare la loro intensità verso le creature magiche era stata una genialata. Una pratica rara che la sua dinastia usava per attirare le prede e i Daeve. Alzò le ciocche e prendendo ciò che gli serviva si avviò verso il gruppo di soldati.
***
Dopo qualche giorno Mahdi raggiunse, con i soldati alleati, un accampamento alle Gole di Granato, dove due Regni avevano organizzato delle truppe. Legò la cavalla insieme alle altre bestie e si diresse in una delle tende dov'erano i suoi cari, i Comandanti e i Principi. Mostrò i capelli di Tinfi su uno dei tavoli. Spiegò che ci sarebbe voluto qualche minuto per capire gli spostamenti della donna e il raggruppamento degli Hadi, poiché avrebbe immerso le ciocche su un catino colmo di sostanze magiche e acqua.
C'era stupore negli occhi degli uomini che videro i fumi verdognoli sprigionarsi dal recipiente.
Mahdi modellò il vapore e gli occhi diventarono blu polvere, sussurrava delle parole nella lingua Dulmuyf. Ignorava lo stupore di Fathi e dei Principi Rahim e Taher, al contrario il padre era serio.
Dopo un po' i fumi ritraevano qualcosa, torri, palazzi distrutti e un simbolo: due serpenti attorcigliati che divoravano una goccia.
Mu'ezz Nadir mettendosi accanto a Fathi, mormorò: ― Questo simbolo, l'ho già visto, ― disse indicandolo con un dito, ― Aspetta... il simbolo era raffigurato sulle pareti della dimora diroccata. Il palazzo dove venne assassinato mio nipote.
― Padre, sapete dov'è? ― chiese Mahdi.
― Sì. Sarà poche ore di viaggio. Perché proprio quel luogo?
Mahdi con le mani a coppa, fece posare il vapore: ― Il simbolo rappresenta Zalwa e Yasum, i figli del sacro serpente Zaisibas. È il simbolo... della mia discendenza divina.
― Quindi, quel vecchio palazzo diroccato era una dimora dei Mansur Najib? ― chiese Mu'ezz Nadir al figlio.
Mahdi dissolse il vapore e annuì parecchie volte, mentre i Comandanti si preparavano, al contrario i Principi e il fratello lo ascoltavano: ― Sì. I miei avi avevano costruito nelle grandi epoche dei palazzi, molti di questi furono distrutti o abbandonati.
― Eravate così importanti un tempo? ― domandò Rahim a Mahdi.
Mahdi sorrise al giovane: ― Oh, sì. Il mio mentore apparteneva al gruppo dei Quaranta Onesti dell'Ultima Stirpe. Ci sono racconti sulle grandi feste, banchetti, matrimoni organizzati in quei palazzi.
Taher strinse l'arco nella faretra sul fianco, non abbassò lo sguardo distrutto: ― Noi ti abbiamo trattato così... ingiustamente.
― Non datevi una colpa, Principe Taher, quei tempi sono finiti da ere, ― mormorò Mahdi e sospirò, ― Ora abbiamo un attacco da progettare.
Mu'ezz Nadir accolse le parole del figlio e dopo un po' trascorse a organizzare strategie e piani, per poi inviare con l'approvazione dei Comandanti, uno Shua negli accampamenti vicini.
Non passò molto tempo quando le truppe dei due regni si prepararono per l'imboscata; si erano organizzati, superando le gole rocciose e i villaggi vicini. Tra di loro c'erano i ragazzi, pronti a lottare in quella notte, per vendicarsi dei torti subiti.
Superarono con non molta difficoltà i primi schieri di Hadi, attaccando di sorpresa, fino a raggiungere la dimora distrutta e nascondersi tra le mura. Non era stato semplice uccidere o stordire gli Hadi di guardia, poiché dovevano evitare ogni singolo rumore per non destare sospetti nella piazza principale del palazzo diroccato. Infatti, i soldati dei regni, avevano intravisto grazie agli spostamenti dei carri, una moltitudine di schiavi e merci all'interno del luogo. A quella intrusione si erano infiltrati Mahdi, suo fratello e i due Principi, i quali non volevano stare con le mani ferme e desideravano compiere azioni contro il volere dei loro Comandanti.
Il gruppo di ragazzi posti sul cammino di ronda scesero grazie ad alcune corde e si nascosero dietro ai carri.
Taher fece un cenno ai due giovani verso una porta secondaria del palazzo, dove un Hadi insultò un gruppo di donne vicino a una tenda, trascinando una fanciulla dalle ciocche bordeaux.
Restarono per qualche minuto fermi, finché dopo quella visione, Fathi adocchiò Tinfi imprecare e vederla entrare dentro alla struttura, disse qualcosa al fratello.
― Se riuscissimo a entrare da lì, potremmo cercare la nobile Rasha prima che l'attacco inizi, ― disse Taher.
― Facile a dirsi che a farsi, ― mormorò Fathi a Taher.
― Dobbiamo stare attenti, se l'Aza ci scopre, sarà difficile uscirne, ― disse Mahdi, alzò lo sguardo verso il carro colmo di anfore e tessuti, ― Possiamo farcela, travestendoci da schiavi.
I ragazzi restarono interdetti per quel momento, ma capirono ciò che voleva pianificare il giovane, afferrarono i tessuti nascondendo i loro visi e armi, poi presero delle anfore e, a capo basso, si diressero verso una delle porte controllate del palazzo.
Il gruppo si avvicinò a due Hadi Dell'Ombra posti ai bordi di un ingresso.
― Cosa volete?
― Dobbiamo portare queste anfore dentro, un vostro superiore ci ha ordinato ciò, ― mormorò Mahdi.
I due Hadi dell'Ombra sembravano titubanti per quella richiesta, cercarono di scorgere per bene i volti dei ragazzi, ma sbuffarono, lasciandoli passare all'interno.
― Posate le anfore nella stanza a destra, ― sbraitò un Hadi.
Il gruppo annuì e si diresse come da loro indicato, non appena svoltarono in un corridoio lasciarono le anfore nella stanza, dove si tolsero gli abiti e stettero attenti a non farsi individuare. Tuttavia Fathi mise male il piede e sbatté contro un'anfora, facendola cadere, il suono si propagò e uno degli Hadi Dell'Ombra si spostò dalla sua postazione per andare a controllare. Quando entrò venne assalito dal gruppo di giovani che gli tappò la bocca e poi lo strattonò.
― Chi siete? ― disse con astio l'Hadi.
― Questo non ti interessa, dove si trova la ragazza con le ciocche bordeaux? ― disse Fathi.
― Quale ragazza? Ci sono un sacco di donne, ― protestò l'Hadi.
Rahim bastonò l'addome dell'Hadi, ma venne fermato da Taher che lo spostò di qualche passo: ― Dov'è mia moglie?
L'Hadi mugolò per il dolore e si accasciò sul pavimento, respirò con affanno per poi guardare i giovani: ― C'è... una ragazza. L'aveva Saiar. Lui... l'aveva portata dentro, io... non so dove sono. Aveva detto che voleva giocare con lei per vendicarsi della ferita sulla spalla, l'aveva pugnalato...
A quel groviglio di parole sconnesse Rahim spalancò gli occhi, per poi dare un'altra bastonata sul viso dell'Hadi facendogli perdere i sensi.
Uno del gruppo stracciò le vesti per legare i polsi dell'Hadi e a passo felpato uscirono dalla stanza. Non era facile aggirarsi nei corridoi pieni di Hadi, così presero la decisione di dividersi, Mahdi e Fathi svoltarono a destra, al contrario Rahim e Taher salirono le scale per dirigersi ai corridoi superiori.
I due Principi controllarono ogni stanza, finché non udirono un gemito di terrore, una voce femminile che sembrava ribellarsi a quel volere malsano. Cercarono di avvicinarsi, ma la sfortuna volle che due Hadi stavano dirigendosi da loro, li videro e sguainarono le spade.
Taher incoccò una freccia e mirando al capo, scoccò, centrando il primo Hadi, mentre lasciava che il fratello minore colpisse il secondo Hadi sulle gambe. Non ci volle molto che i due nemici caddero al suolo.
Rahim si diresse verso la stanza e l'aprì, scoprendo con orrore che Rasha era bloccata sul muro, semi svestita e intrappolata con un Hadi. Urlò il suo nome e si diresse verso di lei, l'Hadi dell'Ombra si voltò verso il ragazzo e gettò con sdegno la giovane a terra, sfilò la scimitarra dal fodero, ma Rahim evitò i fendenti indietreggiando e lo colpì con forza sulle ginocchia per poi farlo inginocchiare e colpirlo sul viso, spostandolo di lato.
Poco dopo Taher entrò nella stanza e si precipitò verso Rasha, mentre Rahim colpiva con estrema violenza l'Hadi.
Il piccolo Principe era imbrattato di sangue. Si allontanò soltanto quando l'Hadi era privo di vita e si diresse verso i due guardando la moglie.
― Rahim... ― piagnucolò Rasha allargando le braccia verso di lui.
Il giovane si inginocchiò di fronte alla consorte coprendola e sentendo al suo fianco il fratello, per poi abbracciarla.
Taher li lasciò e si alzò per voltarsi, udì dei passi e una risata inquietante, finché Tinfi li guardò con malignità. Incoccò una freccia sull'arco e scoccò, ma l'Aza la evitò e girando su se stessa colpì con una folata di vento nero i due giovani, facendoli sbattere sul muro e, camminando in mezzo a loro, si prostrò alla giovane ribelle e le toccò la fronte facendola svenire, per poi portarla in braccio e condurla fuori.
― Credo proprio che sia giunto il momento del grande atto, ragazzina.
***
Nel mentre di quella assurda situazione Fathi e Mahdi continuarono la loro ricerca, finché non svoltarono a destra trovandosi di fronte a loro cinque Hadi dell'Ombra. Duellarono contro di loro, Mahdi usò la magia prodotta dall'alabarda, ma gli Hadi continuarono a raggiungerli, finché due di quei briganti si fiondarono contro Fathi, inginocchiandolo e posando la spada sul suo collo.
Mancava poco che l'Hadi compisse l'atto, ma un suo compagno gli suggerì di portare un bottino doppio alla presenza di Nabih.
― Fermati o lo uccidiamo, ― urlò un l'Hadi vicino a Fathi.
Mahdi non protestò, agganciò la Yuha trasformata di nuovo in cilindro e obbedì.
Gli Hadi presero i due scorpioni e li strattonarono verso una delle stanze, per poi gettarli all'interno. Avevano il compito di ammazzarli, ma sarebbe stato divertente sotto gli occhi vispi del loro capo.
Nel corso dei minuti alcuni Hadi uscirono ed entrarono, finché qualcuno varcò la soglia insieme ai briganti.
Nabih informato dai suoi sottoposti e da Tinfi, rimase in silenzio per pochi minuti, finché osservò con sdegno i figli di suo fratello intrappolati nella morsa dei suoi fedelissimi.
― Presumo che la confusione che avete provocato è vostra, ― disse Nabih, osservando prima Fathi, ― Nipote... infine ti vedo, speravo vivamente di vedere il tuo cadavere molti anni fa, invece... mi hai tolto questo divertimento.
― Mia madre ha rovinato i tuoi sporchi piani, carissimo zio, ― disse Fathi ridendo.
Nabih ordinò di picchiare Fathi.
A ogni colpo Mahdi si agitava sentendo dentro di lui l'istinto antico ribollire di rabbia: ― Lasciatelo stare!
Nabih alzò le dita per fermare quel pestaggio, finché non si avvicinò a Mahdi che venne fatto piegare dalla forza da due Hadi dell'Ombra: ― Finalmente vedo il frutto marcio della famiglia. Uno spreco di carne e sangue, ecco ciò che sei, ― prese la mandibola di Mahdi ed estrasse il giavellotto, puntandolo sulla guancia del ragazzo, ― Se tuo padre avesse taciuto un tempo, quella sgualdrina di tua madre sarebbe morta per mano mia. ― lui osservò gli occhi neri e la goccia, ― Sacri Daeve, quel maledetto ti ha dato i nostri occhi. La nostra stirpe!
Mahdi deglutì a fatica sentendo la presa, osservava la figura dell'uomo, le rughe, i capelli neri e l'orrenda cicatrice erano così simili al ricordo di sua madre. Era un'ombra immersa in quella stanza di mappe, tavoli disordinati e trappi rovinati.
― Siete voi il pazzo! Avete massacrato la mia tribù, mia madre e i miei cari, ― sputò con astio Mahdi.
Nabih schiaffeggiò il Mansur Najib facendogli sputare saliva, per poi prenderlo dai capelli e abbassare il giavellotto vicino al fianco: ― Le tue sono solo parole vuote, ragazzo! Tu dovevi morire! La tua stessa vita è uno scempio e intendo compiere ciò che è giusto! Stanotte... morirai, stanotte il grande signore risorgerà e avrà fame. Sarà un modo divertente per ucciderti.
Nabih ordinò ai suoi uomini di portare Mahdi nella stanza principale del palazzo, ma quando pose un comando per la sorte di Fathi, un Hadi entrò nell'ambiente avvertendo che una pioggia di frecce stava cadendo in mezzo alla piazza e un afflusso di soldati dei due regni stava attaccando. Decretò di lasciare il giovane colmo di botte lì, per dirigersi nella sala del sacrificio.
Gli Hadi trascinarono Mansur Najib in quella stanza ovale e chiusero le porte, mentre la battaglia fuori insorgeva.
Mahdi vide di fronte a sé un tavolo dov'era posta sua sorella, Tinfi e Piruz erano di fianco a lei.
L'Aza beveva qualcosa, una sostanza nera, per poi vedere Nabih estrarre da un cofanetto il "fegato spirituale", il quale venne consegnato alla donna.
― Tinfi, compi il sacrificio, fa che il grande Signore giunga fin qui, ― disse Nabih alla donna, poi si avvicinò a Piruz, ― Una volta compiuto il sacrificio, ti aspetteremo a ovest.
Tinfi e Piruz obbedirono, mentre Mahdi veniva legato vicino alla parete dagli Hadi, i quali a loro volta, uscirono insieme a Nabih per allontanarsi da quel luogo.
Mahdi guardò la sorella e sgranò gli occhi: ― Rasha!
― Tua sorella non può sentirti. ― disse Tinfi.
Piruz sembrava estasiato da quelle parole, indietreggiò qualche passo da Rasha.
L'Aza alzò il fegato spirituale e iniziò una cantilena, per poi posarlo sopra sul capo di Rasha, la quale aprì gli occhi diventati viola.
Dalla bocca della nobile uscì un fumo nero e il corpo si mosse come un pesce fuori dall'acqua.
Mahdi strattono i lacci sui polsi, al contrario Tinfi rideva e lasciava che il liquido del suo fegato spirituale cadesse sul corpo della giovane.
Piruz si coprì la bocca per il fumo, finché un raggio nero si sprigionò dal fegato, lasciando liberi degli spiriti maligni sotto gli occhi rossi dell'Aza.
In quel momento Mahdi riuscì a liberare un polso e, prendendo la Yuha, la mutò nelle due punte dove evocò il vapore velenoso per intingere il ferro sacro. La lanciò contro il fegato, trapassandolo.
Un boato coprì l'intera stanza quadrata, finché Rasha ritornò in sé.
Tinfi si piegava e urlava di dolore. Guardò il fegato sgretolarsi in mille pezzi per poi appoggiare le mani sul bordo del tavolo dov'era Rasha, fissò Mahdi e sorrise, mentre lui si liberava dall'altro polso. Piruz si avvicinò per tenerla tra le sue braccia. Gli sussurrò un freddo addio e finalmente il corpo del parassita fu liberato, lasciando che il Mansur Najib vedesse incredulo il contenitore.
Piruz prese in braccio la sua promessa sposa e il contenitore; la quale aveva i capelli castani e un profumo intenso di Argan.
― Safiya! Safiya, ― urlò Mahdi, vedendola tra le braccia dell'Hadi.
Il sicario sorrise con malignità e uscì fuori, raggiungendo gli altri alleati.
Nel mentre una figura bipede si componeva grazie agli spiriti maligni e la melma, prendendo le sembianze di un ratto.
Il giovane richiamò la Yuha la quale ritornò rotolando verso di lui. Cercò di avanzare verso la sorella, ma la creatura squittì, scagliando contro di lui un vento nero e pezzi d'osso. Si coprì con il braccio componendo la pelle di Zaisibas, pelle che però venne lacerata dalla potenza del ratto.
"Sono libero! Tu! Goccia maledetta! Osi sfidarmi?!"
La voce sembrava il rosicare di un topo. La creatura alta due metri allargò le braccia ossute dalle quali colava del vischioso liquido viola e bagnava il pavimento.
"Divorerò la tua carne sacra!"
Quell'antico Daeve era troppo potente pure per la sua magia, le scaglie d'osso lo ferirono sulle braccia, lacerando ogni lembo di tessuto. Urlò di dolore ma progredì per riprendersi Rasha. Non voleva che un altro famigliare morisse per colpa sua, non voleva che tutto ciò si rompesse in mille pezzi. Modellò la Yuha nell'alabarda e tagliò il vento nero, sentendo i gemiti della mostruosità.
Irritato da ciò, il nemico si scagliò con più forza contro Mahdi, sbattendolo contro il muro dai dipinti turchesi.
"Ti ucciderò, Goccia."
La creatura immonda si scagliò verso Mahdi, ma il ragazzo riacquistando un po' di lucidità contrastò l'attacco di fronte a sé.
Delle scariche di luce blu polvere coprirono l'area dei due sfidanti.
Quando un vapore bluastro avvolse Mahdi, la creatura sorrise e spalancò gli occhi lavanda.
Il vapore dava la forma di una figura alta, dalle fisionomie longilinee e trasparenti. Si potevano intravedere i lunghi capelli ondulati somiglianti alle teste delle meduse e la iridescente luce contrastava la pece della belva.
"Sei qui!" rise il Daeve, "Mio splendido fiume, sei qui! Ti voglio, ti voglio!"
Il Daeve cercò di afferrare quella luce, ma venne scacciato da essa.
"No. Non ribellarti splendido fiume!" squittì l'essere, "Fa male. Troppo male."
Dolorante da quel potere, fuggì via, sgretolandosi in mille topi e introducendosi nelle fessure.
Solo quando Mahdi vide la belva fuggire, respirò con affanno e si diresse verso la sorella per prenderla con sé, lasciando che quella figura bluastra scomparisse nel nulla. Talmente concentrato dalla sorella e dal nemico che non si era accorto di quel vapore sacro. Voleva solo scappare, voleva solo trovare il fratello e riunirsi al padre.
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