⟣Capitolo 37 ― Lame e Tulipani⟣

Molti devoti dei regni procedevano sulle stradine ciottolose che conducevano al Tempio Sole D'Acqua.

Un imponente monumento posto in mezzo ai tre confini dei Regni; le mura di cinta avevano delle antiche incisioni che raffiguravano gli Yazata: i figli del sacro Dio Niyoosha.

I mōbadh si prendevano cura di ogni cosa, dagli interni del tempio, dalle clematidi che coprivano le mura della struttura, alimentate dai sottilissimi canali artificiali, fino a sbriciolare l'incenso sulle enormi tazze piatte nelle torri.

Le lodi al Dio Nyioosha risuonavano dall'alba fino al pomeriggio per ricominciare verso sera. Sui bordi dei tetti piatti, pendevano i drappi dal color glicine con un occhio cucito, dove all'interno della gigantesca irride, c'erano impressi gli animali sacri degli Yazata.

Il ruolo sacro, che permetteva ai mōbadh di accogliere i pellegrini, era di Aurang mōbed Dell'Occhio di Nyioosha. Egli era sorvegliato dai soldati sia all'interno del tempio che all'esterno.

Anche se la accoglienza era il cardine dei sacerdoti, i pellegrini non si riposavano mai nelle sale del tempio, dove venivano contenute le sacre reliquie degli Yazata e dei rari resti del Dio Niyoosha. Molti di loro, quindi, sostavano fuori dalle mura, dove c'erano pozzi, palme e abbeveratoi per le bestie.

In una di quelle aree, dove le beit dei nobili erano state alzate, Mahdi restò basito dalla magnificenza della struttura e dalle moltitudini di persone provenienti dalle varie regioni dei Regni. Rasha e i ragli degli asini dei devoti lo destavano dall'interesse.

― Ah, Mahdi, vuoi venire con me alla alla Cripta del Grande Cambise? ― disse Rasha.

― Sì, certo, volevo finire di leggere questi papiri, ― dichiarò Mahdi mostrando un documento alla sorella di fianco a sé.

Un carro passò a pochi metri davanti a loro, seguito da un gruppo di persone; molte erano le madri che tenevano per mano i loro bambini.

― Stavo pensando che dopo la visita al tempio potremmo viaggiare verso il Turbine della Speranza, dicono che ci sono delle meravigliose spezie e piante medicinali, magari potrebbero esserti utili, che ne pensi bak-sa?

Mahdi non negava a se stesso che Rasha desiderava stargli accanto, era diventata un uccellino impertinente, di un ossessione dolce, alcune volte inventava delle scuse per non averla sempre con sé, ma in altre occasioni se la portava dietro, raccontandole dei piccoli aneddoti.

― Sì, potremmo andare, hai chiesto anche a Fathi se vuole venire con noi?

Rasha trattenne una leggera risata: ― Certo che gli ho chiesto, ma sai cosa mi ha risposto? "Piante e spezie sono per donne, non per uomini." È già tanto che sia venuto qui, figurati se viaggiasse con noi per acquistare qualche erba.

Mahdi sorrise e solo dopo una battuta divertente della sorella alzò lo sguardo dal papiro per osservare da lontano le Serve Rosse che si dirigevano a uno dei tanti pozzi. Il legame che lo stringeva all'anima di Safiya era insopportabile. L'aveva conosciuta quando era solo una fanciulla, dopo che era stata venduta da sua nonna materna. Non raccontava molto del suo precedente compagno, sapeva solo che era violento. Ricordava la miseria di Safiya, di come fosse deperita e di quanti datteri, nascosti nel borsellino, le aveva dato per sfamarla. La desiderava, ma non avrebbe mai superato i suoi no, gli stessi che erano stati costruiti come mura contro il suo precedente compagno. Tornando alla realtà deglutì un po' di saliva, per poi rientrare nella beit con la sorella.

Da lontano Safiya non perse d'occhio i due fratelli del Rubino D'Oro che si dirigevano all'interno della beit, non le dava fastidio che Rasha parlasse con Mahdi, soltanto un granello di gelosia le sfiorava il corpo, quando la padrona ascoltava le voci delle sue nobili amiche elogiare l'aspetto di lui.

Scostò i pensieri negativi e venne chiamata da un'altra Serva Rossa per riempire le anfore grazie ai pozzi che davano su una strada. Si asciugò la fronte bagnata dal sudore e dando un'occhiata alle persone sedute su un muretto di mattoni crudi, vide una figura, coperta dalla testa ai piedi, fissarla. Sembrava un ragazzo dalle fisionomie longilinee e silenzioso in mezzo alla confusione; lo fissò posare un dito sulle labbra coperte da una fascia. Ascoltò la parlantina della collega e, quando le due si spostarono, Safiya si girò molte volte per vedere se quella figura la stava fissando. Tirò un sospiro di sollievo quando non l'osservò più, non amava che gli uomini la guardassero, nemmeno quelli che erano ospiti nel palazzo dello Shah.

***


Al fior del tramonto, nell'accampamento del Rubino D'Oro, la cena venne servita. Tra una battuta e un consiglio, Fathi discusse con Mahdi le sue esperienze nel campo di battaglia. Solo quando il pasto si concluse Mahdi diede la buonanotte al fratello per dirigersi verso la sua beit dove avrebbe riposato e studiato i nuovi impacchi magici e curativi.

Il ragazzo adorava la tranquillità nel tepore della notte. Adocchiò dei Servi Rossi e Blu che portavano degli oggetti personali ai padroni e, per un momento soltanto, osservò Safiya sorridere a una collega. Si inoltrò nella sua beit, si accomodò su uno dei cuscini vicini al tavolino esagonale ricolmo di ampolle, ciotole di terra cotta e bauletti. Piegò le gambe stanche e mise le mani sulle ginocchia. Non avrebbe colto la confusione o la giocosità dei pellegrini, desiderava meditare per riappacificare l'aura e l'istinto antico. Al contrario per il fratello minore la meditazione di Mahdi era solo una banalità, qualcosa che non poteva comprendere.

Solo dopo un'ora e mezza la confusione scemò in un frastuono di piatti caduti, distraendo il giovane. Seccato si stropicciò gli occhi e si spostò per vedere cosa fosse accaduto fuori dalla tenda; vide Safiya e un'altra serva raccogliere i piatti di ferro e dei frutti, insieme a loro c'era uno dei tanti Responsabili dei Servi.

― Siete delle maldestre! Avevo detto di portare dei fichisecchi, non dei datteri, ― urlò il Responsabile dei Servi alle donne.

Safiya e l'altra donna si scusarono tenendo la testa bassa.

― Scusatemi, posso avere una manciata di quei frutti? A mio fratello minore non piacciono i datteri ma potrebbe amare i fichisecchi, ― disse Mahdi, sorridendo e facendo l'occhiolino alle serve.

― Tuo fratello minore? ― sputò con ira il responsabile al ragazzo.

Mahdi si umidificò le labbra e posò un pugno sul fianco, il volto era cruciato come quando suo padre criticava i nobili: ― Voi siete nuovo, giusto? Non vi ho mai visto nel palazzo dei miei parenti. Vedete, Signore, mio fratello è Fathi zada Del Rubino D'Oro. Se non volete che lo vada a chiamare per la confusione qui fuori è meglio che gli diate un po' di frutta secca.

Il Responsabile spiazzato da quella richiesta spinse Safiya verso il giovane, la quale teneva stretto il piatto di datteri. Poi, senza perdere altro tempo ordinò all'altra Serva Rossa di portare quei frutti al nobili del Rubino D'Oro.

Safiya che era vicina a Mahdi sorrise: ― Scateni sempre una grande confusione, Mahdi-Jaz.

― Confusione o meno almeno ho salvato te e la tua collega, ― lui prese un dattero e giocherellò con il frutto.

I due si guardarono negli occhi.

Il giovane tossì per levare l'imbarazzo e prendendo una manciata di datteri li infilò in una piccola sacca di Safiya: ― Ricordati di mangiare.

― Ci risiamo, Mahdi, io mangio, ― sbuffò Safiya.

― Certo e io sono un cammello.

I due risero piano, finché il giovane sfiorò una guancia della ragazza. Osservò la calca di gente e le prese un braccio, senza farle male, la invitò nella tenda, facendole posare il piatto su uno dei tanti bauli.

― Mahdi, devo andare, non posso fermarmi molto, ― sussurrò Safiya sistemandosi il velo scuro.

― Lo so, è solo che voglio stare tranquillo.

― Mahdi, non ti preoccupare, ― sorrise lei, dando un'occhiata alla tenda. ― Questa beit è carina, ti ricordi quando ci siamo nascosti in una tenda nobiliare?

― Già. Eravamo dei bambini. Abbiamo rubato delle polveri colorate per rivenderle. Tu avevi comprato un pezzo di pane, io credo...

― Datteri, Mahdi-Jaz, ogni volta che acquisti qualcosa, prendi sempre dei datteri, ― disse e rise Safiya.

― Lo so, ma quei datteri erano veramente schifosi, ― borbottò Mahdi prendendo un bicchiere di legno e, versando grazie a una teiera del tè, per poi darlo a Safiya, ― Dai retta a me, io sono esperto.

La ragazza ringrazio, bevve, finì e posò il bicchiere su un tavolino colmo di papiri: ― Esperto o meno ti metti sempre nei guai.
Comunque, devo andare. La mia padrona potrebbe aver bisogno di me.

― Ah, va bene. Pensavo solo che potevamo parlare di...

― Ne abbiamo già discusso, Mahdi.

― Giusto, giusto, ― lui annuì parecchie volte, mettendosi di fronte a Safiya ― dico solo che puoi rifornirti di frutta e inventare una scusa a Rasha, sì, beh, ― balbettò Mahdi.

Safiya rise piano per poi afferrare una mano di Mahdi: ― Rimarrai sempre un chiacchierone, Mahdi-Jaz.

La ragazza lo sentì dire qualcosa, un sussurro imbarazzante. Lo fece tacere posando le labbra sulle sue. Morsetti piccoli e provocanti placarono la tensione dei due ragazzi.

Mahdi si staccò appena e scosse il capo: ― Safiya, forse è meglio evitare...

Non venne ascoltato e la serva lo zittì con dei baci e carezze.

Si fermarono solo per qualche secondo, prima di fondere le loro lingue. Ripudiavano gli abiti che intralciavano le loro voglie carnali.

Safiya era la prima ad afferrare la qamis porpora del giovane per svestirlo, per poi premere i polpastrelli sui pettorali di Mahdi.

La confusione all'esterno non distrasse i due che rimuovevano gli ultimi stracci di tessuto dai loro corpi.

Safiya cercò di invitare Mahdi a mettersi seduto sul bordo del letto per poi accomodarsi a cavalcioni su di lui. Lo baciava mentre una mano toccheggiava la scapola e l'altra giocherellava con la mascolinità. Non durò molto prima che Mahdi, posando le mani dietro alla schiena, gemette.

Il giovane stanco di quella situazione le sfiorò una guancia e la baciò, fino a distenderla supina. Le mordicchiò le labbra umide per poi scivolare come una formica sul collo e giungere a un seno, succhiò l'apice fino a farla mugugnare; poi inebriato dal divertimento, dove gli occhi neri osservarono il fisico nudo e tremante di lei, scorse le labbra dal seno all'addome, spingendosi fino all'intimità di Safiya.

Safiya si ripeté quanto detestasse Mahdi in quel momento di eccitazione. Strinse le lenzuola lilla del giaciglio e ansimò, inarcando la schiena e posando una gamba sulla spalla del giovane. Inoltre se i pellegrini l'avessero udita gemere, sarebbe stato uno scandalo non da poco, ma nel suo animo non le importava.

Dopo un po' Mahdi si stacco e baciò l'interno coscia, per poi spostarsi e prendere da uno dei tanti cofanetti di legno, posti sul tavolino esagonale, il Nawa.

La sostanza magica non era usata solo come anticoncezionale, ma poteva essere sfruttata come base per impacchi e sostanze magiche, il Mansur Najib lo sapeva bene.

Lei lo vide masticare la sostanza vicino al bordo del letto, non volle essere lasciata sola e si accomodò sul bordo dov'era di fronte a lui. Lo vide raccogliersi i capelli, per poi sorriderle. Palpeggiò con affettuosità le cosce del giovane di fronte a sé e salì fino a sfioragli il sedere. Cercò di tranquillizzarlo, sapeva che Mahdi detestava quella posizione erotica, poiché non voleva sfruttarla, ma Safiya non si vergognava e dandogli un bacio sull'inguine lo rilassava.

Mahdi chiuse gli occhi e, sfiorando con la mano un'orecchia di Safiya, alzò il mento. La lasciava giocare per un tempo indefinito, non era la prima volta che aveva goduto i preliminari fatti da lei. La notte che si era concesso nel palazzo della Luce D'Avorio aveva provato l'ebrezza di quella sensazione. Trattenne un gemito e posò anche l'altra mano sul capo della giovane, fissandola per qualche secondo. Il bacino maschile oscillava e le gambe divaricate tremavano all'insistenza della serva. Percepì che una mano di lei si era staccata dal gluteo, aiutandola nei gesti piccanti di quel momento.
Alzò di nuovo il mento e ansimò, trattennendo il capo della giovane con le mani.

Finché solo dopo un po' Safiya staccò quel piacere e lo invitò a distendersi insieme a lei.

Lui obbedì fino ad afferrarle un polso di fronte al suo corpo, si accomodò al centro del giaciglio. Non respinse di nuovo la giovane che si era piegata per gustarsi la mascolinità, fino a baciargli l'addome e salire sulle sue labbra per poi accomodarsi a cavalcioni su di lui.

Mahdi deglutì un po' di saliva che gli era rimasta e tastò le natiche della serva, cingendole le gambe sul suo bacino. Amava come le mani della giovane sfiorassero le sue spalle rovinate e adorava il profumo di Argan. D'un tratto udì Safiya gemere a causa dell'intrusione della sua mascolinità in lei.

Le ciocche di Safiya le sfioravano la schiena, mentre le unghie graffiavano le spalle del giovane. Poi spostò le dita sui capelli mogano e incitò, sbattendo con vemenza i seni umidi sui pettorali del ragazzo.

Lei posò una mano dietro alla schiena, a braccio teso, allontanandosi un po' dai pettorali maschili. Lo fissò per tutto il tempo di quel dondolio, mentre lui, spostando una mano, le afferrava un seno e lo mordicchiava. Alla fine si lasciò cadere a pancia insù sul materasso e Mahdi le piegò le gambe, persistendo e stringendole un seno. Lo lasciò fare per parecchi secondi, guardando un punto fisso. Non le doleva come i giorni prima, confermò a se stessa che Mahdi, pur avendo forza nei gesti, sapeva regalarle piacere. Desiderava solo stare con lui quella notte. Strinse un lembo del lenzuolo e chiudendo gli occhi alzò il mento. Tuttavia qualcosa la destabilizzò, Mahdi posò una mano vicino al suo viso e con l'altra sfiorò la sua guancia, chiamandola per nome.

― Sai d'amore, ― sussurrò Mahdi, baciandola.

Safiya accarezzò i pettorali del ragazzo, avvinghiando le braccia al suo collo, per poi spingerlo e staccarsi da quella posizione. Vide in lui un'espressione confusa. Si girò prona con il corpo sudato e gli diede le spalle; strusciò con le natiche il bacino maschile.

Mahdi si morse le labbra e in ginocchio dietro di lei, le tastò con una mano l'intimità. Udì Safiya gemere, finché non posò le mani ruvide sulle natiche e continuò l'atto.

La ragazza strinse le lenzuola e guardò l'entrata della tenda, i seni ondeggianti sfiorarono il materasso. Quella odiosa posizione voleva essere il cancellino di quelle dolci parole, non voleva legarsi a lui, non voleva farlo soffrire, si sentiva sporca e per questo si lasciava trascinare dagli spasmi impetuosi del giovane. Solo che non ci riuscì a pieno. Vide il braccio maschile posarsi di fianco alla sua spalla e avvertire il petto di lui toccare le sue scapole; Mahdi le spostò una ciocca di capelli dietro all'orecchio e le baciò il lobo.

― Sai di tutto. Amore, ― sbiascicò con fatica Mahdi sorridendole.

Lei alzò lo sguardo lasciando scorrere le lacrime sulle guance, finché lui le strinse una coscia giungendo all'orgasmo.

***


Safiya era sveglia da qualche ora, l'alba non era ancora sorta. Accarezzava i pettorali tonici e sudati del giovane, fino a toccheggiare l'addome; intrecciando di lato una gamba alla sua. Lambì le sottili cicatrici sulla spalla di Mahdi e baciò quel punto come se volesse cancellarle. Lo strinse di lato, ponendo il viso sul petto. Avrebbe sognato di rimanere un po' con lui, beandosi della sua pazienza e parlantina, ma un blocco la destabilizzava. Si spostò per afferrare gli abiti sui tappetti e, con un gesto delle dita, si asciugò le poche lacrime che le rigavano il viso. Udì lo strusciare della coperta di lino e si voltò per vedere Mahdi darle le spalle di lato. Le orecchie a punta di lui non la disgustava, amava i tremori che mostrava anche quando era solo un ragazzino. Vestita dopo qualche minuto spostò di poco il velo della tenda per uscire.

― Prendi un po' di frutta se devi andare, almeno hai una scusa buona per non farti rimproverare da Rasha, ― mormorò Mahdi senza voltarsi. Aveva udito il tintinnio dei ciondoli che impreziosivano le fasce sugli avambracci della giovane.

Safiya spostò qualche ciocca castana dal viso: ― Non ti preoccupare, Mahdi-Jaz. Dirò alla mia padrona che sono stata impegnata con Jasmine.

― Come preferisci, ― disse Mahdi, facendo spallucce.

Safiya strinse i pugni: ― Mahdi, non volevo usarti. Non so cosa mi sia preso è che volevo stare con te, volevo sentire l'ebrezza di quella notte. Lo sai che non potrei, insomma...

Il ragazzo finalmente la guardò restando nella stessa posizione, gli occhi neri zizzagavano sulla fisionomia della giovane. Erano gelidi, quasi serpentini; sospirò e guardò un altro punto, ignorandola: ― Lo so, Safiya. "Non puoi far nulla" non serve che mi ripeti le cose come hai fatto con mio cugino Cyrus, ― disse astioso Mahdi.

― Tu come lo sai?

― Mi ha accennato qualcosa mio fratello, poi glielo chiesto due sere fa a Cyrus, tutto qui.

Safiya le sembrò di cadere da un precipizio, aveva tentato di nascondere quell'avventura mentendo al ragazzo, ma non aveva considerato che gli stessi parenti si fossero legati emotivamente a lui. Si torturò le mani: ― Mahdi, io non volevo dirtelo. Non era nulla di importante, era solo una notte. Non volevo ferirti. Era una... bugia.

Il ragazzo strinse il cuscino come se volesse urlare contro a quel miraggio di menzogne e, quando lei si avvicinò per avere la sua attenzione sfiorandogli una spalla, lui si scossò.

― Mahdi, ti prego, ― sussurrò Safiya trattenendo le lacrime.

― Vattene, ― decretò Mahdi.

― Ti prego, io non... ― piagnucolò Safiya.

Il giovane corrugò la fronte imprimendo, grazie ai suoi occhi, una viscerale scontentezza mista al gusto denso della collera: ― Tu non pensi che io abbia un cuore? Un po' d'amore nei tuoi confronti? Mi usi per giacere con te, mi nascondi la verità eppure non sono degno ai tuoi occhi. Ed è comprensibile, ― Mahdi si distese di nuovo supino guardandola con voce fessa, ― come puoi amare un ragazzo che a stento vive in mezzo al confine tra miseria e nobiltà? Non potrei darti nulla e forse fai bene a non amarmi.

― No, non è questo, non è il volerti amare, Mahdi, non è...

Il corpo tonico del ragazzo si mise seduto: ― Dimmi cos'è?! Dammi una dannata risposta! ― lui afferrò un cuscino e lo lanciò su un tappeto, ― Non è solo perché non vuoi nulla di più! Abbiamo fatto l'amore due volte, ci desideriamo eppure tu rimani ferma, incerta. Capisco, ― strillò Mahdi, stringendo le lenzuola, ― capisco che temi le percosse dei padroni, ma allora perché finisci da me? Perché ogni volta fuggi? Sono uno strumento per il tuo piacere, Safiya? Se lo sono allora mi disgusto da me!

Non poteva osteggiare le parole di Mahdi, aveva ragione. Non gli diede una risposta, abbassò lo sguardo martoriato.

Il Mansur Najib accennò un sorriso beffardo distendendosi di nuovo: ― Immaginavo, non rispondi. Allora meglio che vai, Safiya, si sta facendo tardi.

Lei non esitò e uscì nel cuore della notte, lasciando il giovane riposare. Cercò di non disturbare i pellegrini che riposavano nelle tende o i servi rossi che giacevano vicino ai piccoli falò, superò dei carri, un'ombra le tappò la bocca trascinandola lontana dalla padrona.

***


Un urlo di un uomo fece destare Mahdi dal giaciglio; con i capelli scompigliati si accomodò sul letto e guardò le sagome nere rispecchiate sul tessuto della tenda. Si vestì, afferrò la Yuha e uscì dalla tenda.

Uno stormo di Hadi dell'Ombra coprì l'intero accampamento di pellegrini e i pochi soldati che proteggevano il tempio vennero brutalmente uccisi. Le torce accese nelle loro mani, vennero lanciate sulle beit e le fiamme divorarono con ingordigia i tessuti.

Mahdi corse verso l'accampamento dei fratelli, evitando le persone che fuggivano da quella strage; poco distante vide Fathi armato insieme a dei nobili.

Rasha al contrario venne strattonata da alcuni Hadi, i quali rapirono le Serve Rosse e afferrarono la piccola nobile posandola su un destriero.

― Rasha, ― urlò Mahdi a quella scena.

Il fiume di gente spaventata lo trascinò lontano dalla sorella, cercò di modellare l'alabarda ma fallendo a causa degli innocenti che si versavano su di lui; alzò gli occhi spalancati e vide, insieme alle Serve Rosse, un uomo dagli abiti marroni che teneva su un cavallo Safiya. Quello fuggì insieme a un piccolo gruppo di briganti nascosti nella notte, mentre i rimanenti guerreggiavano.

Mahdi masticava odio e disprezzo per i maledetti, voleva raggiungere il fratello, ma ciò che vide poco distante dai nemici, fu un Hadi a prelevare la Principessa, la figlia di Dhaki Shah, e sgozzarla con la scimitarra, lasciando che il suo cadavere inzuppato di sangue si unisse ai morti di quella strage. Restò sgomento da quella visione, finché una funesta risata lo distrasse per una manciata di secondi, prima di essere sbattuto, grazie a un fumo nero, su dei barili. Scosse il capo per riprendersi dalla botta, la schiena gli doleva.

Tuttavia Tinfi non permise al giovane di reagire e si scagliò su di lui, mettendosi a cavalcioni e bloccandolo.

― Ah, mio giovane Mansur Najib. Sei diventato lento? Beh, peccato per quelle donne che sono insoddisfatte con te, ― disse Tinfi.

Mahdi si divincolava come una serpe.

L'Aza picchiettò con forza la sua mano allontanando la Yuha e manipolando la terra, creò delle corde magiche che intrappolarono i polsi e le caviglie del giovane. Le dita sfiorarono il suo viso e i suoi occhi si immersero in quelli neri.

― Dove avete portato le donne e mia sorella? Dimmelo, Aza, ― sputò con odio Mahdi verso Tinfi.

― Quanto siamo esigenti, Mansur Najib. Non ti basto io? ― rise Tinfi.

Mahdi diede un'occhiata al fratello che si avvicinava a lunghe falcate e, quando ci riuscì, sollevò la spada per colpire Tinfi, ma lei girandosi veloce diede una bracciata laterale, producendo delle scosse d'energia verde che colpirono Fathi facendolo sbattere contro a dei detriti.

― Sai... è proprio carino tuo fratello. Giovane, testardo e orgoglioso, ― disse Tinfi guardando Fathi accasciato con un rigolo di sangue sulla fronte, ― la purezza degli scorpioni, lo stesso sangue devoto al Sacro Yazata Atar e alla Sacra Yazata Arooj.

Tinfi posò una mano sul petto di Mahdi e si morse le labbra: ― Se non fossi così puro di cuore, mio splendido Manusr Najib avrei desiderato giacere con entrambi. Sì, si può cambiare giocattolo che ne dici?

Le catene di terra di Tinfi, immerse di potere maligno, non riuscirono a spezzarsi all'energia di Mahdi.

Tinfi si spostò dal corpo del prigioniero e si diresse verso Fathi. Molti soldati tentarono di fermarla ma vennero mutilati o sgozzati dalle vesti impregnate di magia oscura. Udiva le urla di Mahdi supplicarla di lasciare stare il fratello, ma lei sorrise con ambiguità.

Fathi scosse la testa e quando alzò lo sguardo, si ritrovò Tinfi di fronte a sé, attaccò ma questa piroettò e, con la gamba piegata evitando un fendente, calciò l'addome muscoloso del ragazzo facendolo ricadere in avanti. Usò le vesti magiche come fasce brucianti attorno alle giunture e al collo di lui.

La scimitarra cadde dalle mani del padrone.

A quella visione Mahdi maledisse nella sua lingua la donna e delle scosse d'energia bluastra diventarono luminose, i lampi sembravano dei serpenti che mordevano il terreno. Spezzò le catene maligne e afferrando la Yuha, si alzò per correre verso il fratello.

Tinfi osservò il Mansur Najib fermarsi di fronte a lei: ― Non puoi fermaci, Manusr Najib. Il Grande Signore purificherà questa terra!

Mahdi ignorò quelle parole, più si avvicinava alla donna, più lei stringeva la stretta al collo di Fathi: ― Lascia andare mio fratello!

Tinfi si mise alle spalle del nobile e piegandosi sfiorò il petto del prigioniero, posò il viso sulla guancia sporca e sorrise: ― Oh, ma non sapevo che questo scorpione avesse due bambini. Li ama tanto, sai? Li ama più di te, ― Tinfi afferrò la mandibola di Fathi e sorise, ― Ah, Naisha è sua moglie, una moglie violata da ragazzina, così fragile nella sua gabbia di cristallo, eppure, lui l'ama alla follia. Beh, sul fatto d'amore, ― lei guardò Mahdi, ― siete simili.

― Ti ho detto di lasciarlo, ― sbraitò Mahdi.

― Quanto sei logorroico, Mahdi, comunque, tuo fratello ti invidia, sai? Ti invidia così tanto che in un angolo della sua anima ti vorrebbe morto. Perché non dargli questa occasione, ― disse l'Aza e, baciando le labbra di Fathi, gli trasmise un leggero vapore nerastro.

Gli occhi del nobile scorpione diventarono viola.

Tinfi liberò Fathi. Questi afferrò la spada e guardò iracondo il Mansur Nabij.

― Che gli hai fatto? ― urlò Mahdi.

― Io? Nulla. Ho risvegliato il suo odio nei tuoi confronti. Divertitevi, scorpioni.

A quella semplice risposta, Tinfi scomparve con una folata di vento nero, lasciando che Fathi si scagliasse contro Mahdi.

Il Mansur Najib parò le sciabolate del fratello: ― Fathi, sono io! Svegliati!

Alabarda e scimitarra si scontrarono in una danza di forza e parate. Lo stridulo metallico sembrava l'eco di un grido straziante che faceva soffrire le loro anime. Si piegavano e, a ogni passo, masticavano il terreno sanguinoso. Attorno a loro gli Hadi dell'Ombra stavano massacrando gli innocenti.

― Dannazione, fratello, svegliati, ― supplicò Mahdi.

Fathi digrignò i denti: ― È colpa tua! Disgraziato Limabiy! Dovevi morire con la tua sporca gente, sei solo un impuro! Non dovevi nascere! Ti odio!

Alle parole aspre Mahdi non riuscì a schivare una sciabolata e venne ferito a un braccio, non indossava la Pelle di Zaisibas, la stessa che lo avrebbe protetto. Non voleva scatenare l'energia dell'istinto antico su di lui. Si piegò di lato e, non appena Fathi abbassò la guardia, gli diede un calcio sull'addome, facendolo indietreggiare e sbattere su dei sacchi. Non appena vide il fratello indebolirsi, posò una mano sulla spalla dell'avversario e lo scosse.

― Svegliati, bak-sa!

Mahdi si piegò di fronte a lui, ma un grido uscì dalle labbra secche di Fathi.

Delle gocce di sangue caddero sul terreno sabbioso e il Mansur Najib spalancò gli occhi per la fitta.

La spada di suo fratello, quell'arma donatagli dal padre a sedici anni, aveva trafitto l'addome del Limabiy sporcando l'abito di sangue.

Fathi batté le palpebre più volte e solo dopo quel vile gesto tornò in sé.

I due fratelli si specchiarono nelle loro pozze nere, le stesse che Mu'ezz Nadir gli aveva donato alla loro nascita.

Quando Fathi abbassò lo sguardo verso la spada bagnata di sangue rimase a bocca aperta. Estrasse la lama lentamente e afferrò Mahdi prima che cadesse sul terreno.

― Mahdi, Mahdi, no, no, ― balbettò Fathi e lo tenne stretto tra le sue braccia, strappò dei pezzi d'abito e tampono la ferita, ― mi dispiace, mi dispiace.

Mahdi non staccò gli occhi di dosso dal fratello, per sentire una carezza sul viso. Non sentiva più nulla, nessuna voce frammentata dalla sofferenza, chiuse gli occhi per abbracciare il buio.

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