⟣Capitolo 36 ― L'anima del Principe Ribelle⟣

Il Principe, debole dalla guarigione in quei giorni, era come un anemone appena sbocciato. Aveva la necessità d'acqua per sopravvivere nel deserto dei pettegolezzi. Stanco di quell'ambiente, il fiore spostò uno dei tanti cuscini posti sul materasso, sfiorandosi i pettorali.

― Rasha..., ― mormorò Rahim.

Il ragazzo si stropicciò gli occhi gonfi dal sonno e si mise vicino a una finestra che dava sui cortili interni. La sua amata confabulava con suo fratello Taher, sotto le luci tenue delle lampade a olio.

"Sempre di Taher parli. Di come è bravo e di come ti ha aiutata." Pensò Rahim guardando il sorriso di lei rispondere alla parlantina di Taher.

La vide annuire, prima di salutare il Principe Taher e dirigersi verso la stanza del marito. Solo dopo una decina di secondi, la porta si aprì, facendola entrare. La sentiva canticchiare, mentre lei si sedeva davanti a un tavolino colmo di profumi, polveri colorate e gioielli. A piccoli passi, le sfiorò il velo arancione.

― Stasera Taher ha argomenti interessanti? ― disse Rahim.

― Non molti. Dovevo parlargli, ― tolse il velo per prepararsi per la notte, ― Sai... ha ordinato delle nuove piante medicinali per te. Ti sei ripreso solo da qualche giorno e voleva...

― Vuole aiutarmi. Lo so.

Rasha gli mostrò le mani per farlo accomodare, quest'ultimo sospirò e alla fine cedette, cingendole l'addome.

― Domani partirò con i miei fratelli. Ho intenzione di stare un po' con la mia famiglia prima di recarmi al Tempio Sole D'Acqua. Voglio ringraziare le divinità per averti salvato la vita, ― disse Rasha.

Rahim le baciò una guancia per poi appoggiare il mento su una spalla profumata, gli occhi zaffiro fissarono le teiere sui vassoi: ― Rasha, ho intenzione di andare da Shayan.

Un ampolla di profumo, trattenuta nelle mani di lei, cadde su un cuscino: ― Come? Perché?

― Voglio completare l'addestramento. Voglio tornare da Shayan e aiutarlo, ― lui accarezzò l'addome della sposa, ― Quello che è successo mi ha fatto ragionare. Ho combattuto contro gli Hadi Dell'Ombra, ho visto morire delle ragazze e donne di fronte a me. Se penso che possano sfiorarti, io non so cosa farei. Ho bisogno di più.

Rasha si alzò alterata: ― No! Non puoi ripresentarti lì e rischiare di morire per l'ennesima volta. No!

― Cerca di capire, Rasha, ― alzò la voce Rahim, ― Se quegli uomini tentassero di varcare il palazzo o ti succedesse qualcosa di orribile, non potrei difenderti. Ho bisogno di questo addestramento.

― Io ho bisogno di te, Rahim! Non loro!

L'espressione crucciata di Rahim era visibile negli occhi color oliva della moglie: ― Sarò sempre nel tuo cuore, amore mio, ma ho preso la mia decisione, ― si tamburellò la cicatrice sul pettorale sinistro che arrivava allo sterno, ― Tuo fratello, Fathi, voleva un uomo, giusto? Uno che proteggesse sua sorella, non è così? Bene. Ed è ciò che voglio fare.

― Mio fratello non ti conosce! Tu sei un poeta, Rahim. Tu hai un grande cuore, non sei nato per maneggiare simili armi. Per questo ti amo.

Rahim si sollevò e si mise di fronte a lei, prendendole le mani: ― La poesia è inutile contro la guerra. Ti ricordi, delam, che persino l'autore di "Mille Soli e Una notte" quando scrisse le sue novelle, non poté far nulla contro i soldati nemici. La poesia non può essere un'arma contro la guerra.

― Menti! Ogni forma d'arte è il frutto della sofferenza. Io non ho sposato un soldato o guerriero, ho sposato un meraviglioso poeta. ― posò la fronte sul petto di Rahim, ― ti prego, non lo fare. Resta qui.

Rahim sfiorò le ciocche della moglie: ― Non posso. È un mio volere.

Rasha si staccò dal tocco del marito e gli diede le spalle fissando senza nessun motivo il letto. Sentiva che tutto quello che aveva fatto per proteggerlo fosse stato inutile: ― Un volere che ti porterà alla morte. Tuo fratello Taher non sarà d'accordo. Gli recherai solo una delusione.

― Taher non si deve mettere in mezzo alle mie decisioni, Rasha. Non dovresti dargli così tanta confidenza.

― Dare confidenza? ― alzò un sopracciglio guardandolo con sdegno,― Tuo fratello si è impegnato per aiutarti durante la tua convalescenza. Ha il diritto di...

― Non ha nessun diritto di mettersi tra me e te. Chiaro? ― urlò Rahim. Strinse i pugni posti sui fianchi, negli occhi c'era tempesta di gelosia, una tempesta che si abbatté sul viso rattristato di Rasha, ― Sai perché Taher non si è mai risposato? Perché l'unica a sopportarlo è sua moglie. L'unica donna che è riuscita a tenerlo in gabbia. Vederti con lui, ogni singolo giorno, mi fa ribollire d'ira.

― Sei geloso di tuo fratello? Rahim, come puoi pensare che io possa amare un altro al di fuori di te? ― disse Rasha sconvolta.

― Perché non è forse così? ― fece un gesto con la testa, ― Quanti nobili hanno consegnato a tuo padre richieste di matrimonio? Oh, delam, ― Rahim sorrise sarcasticamente e allargò le braccia, ― Tu sei di una preziosità e di una spudorata bellezza, eppure non te ne rendi conto.

― La bellezza non è una cosa che mi interessa, Rahim! Tu non capisci che...

― Io voglio essere di più di quello che sono già, Rasha. Voglio essere un marito degno ai tuoi occhi!

I due si osservarono per qualche secondo, bramando nelle loro deboli carni la voglia imprescindibile di unirsi. Triturarono l'ira in un freddo silenzio, finché il piccolo Principe, sbattendo le braccia sui fianchi, si coricò nel letto, dandole le spalle.

***

La mattina del terzo giorno un vento leggero sfiorava le ciocche castano chiaro del Principe, dietro alle sue spalle c'era il Giardino Reale; si diresse verso l'Osservatorio Astronomico e superato il portone della sala, vide il tavolone colmo di documenti, quadranti, astrolabi ed equatorium. Gli astronomi parlottavano piano e, alcune volte al passaggio del piccolo Principe, fecero un breve inchino.

― Taher, perdonami se ti disturbo, ma devo parlarti, ― disse Rahim mettendosi di fianco al fratello seduto.

Taher tinse un bastoncino nel nerofumo, le tre trecce nere che gli scivolavano sulla schiena erano decorate da catenine d'oro: ― La parola di un fratello è sempre ben lieta.

― Ho intenzione di inviare dei messaggi a Shayan, riguardano la macchia che avevo indentificato prima della battaglia degli Hadi Dell'Ombra. Devo sapere se la sostanza vischiosa di quella macchia è tossica, ― disse Rahim, il quale batté i polpastrelli sui pantaloni blu scuro. Percepiva gli occhi turchesi del fratello immergessi nei suoi zaffiro.

― Sarà una risposta facile, fratellino. Come ho detto a Mahdi, la sostanza di quella macchia non presenta nessun tipo di veleno, ― spostò un papiro e finì di scrivere, ― l'unica reazione che ha avuto è stata il contatto con l'aloe vera.

― Il motivo?

― Ah, ― ironizzò Taher, sistemandosi le gambe coperte dai pantaloni marroncini, ― presumo che sia la sua composizione gelatinosa e le sue proprietà benefiche.

― Capisco. Allora riferirò a nostro fratello quello che mi hai detto.

Taher si stiracchiò per poi posare le mani dietro alla schiena: ― Non voglio essere scortese, fratello, ma è da quando sei guarito che sembri così teso e molto spesso nervoso, ― alzò un sopracciglio nero, ― Va tutto bene con tua moglie? Rasha mi ha raccontato delle tue notti insonne.

― Sto benissimo, ― disse nervoso Rahim, ― Voglio solo fare ciò che è giusto.

― Sarà..., ― mormorò Taher, facendo spallucce. Afferrò un astrolabio sul tavolone e lo mostrò al fratellino, ― se vuoi essere sicuro sulle tue scelte, allora, affidati alla scienza. È fedele come le tue poesie.

― Poesie. ― Rahim impugnò l'oggetto e sbuffò, ― Per quanto ami le poesie, esse non possono aiutarci nelle battaglie, sono solo degli ostacoli, fratello.

Taher comprendeva le parole del fratellino, ma non riusciva ad abbracciare la sua critica. Poesia e guerre avevano lo stesso valore della filosofia e della grammatica negli antichi testi, ma soprattutto nella scienza.

Rahim osservò per un breve secondo i pianeti d'ottone che penzolavano dal soffitto d'avorio, ornati dai dipinti geometrici che raffiguravano le costellazioni: ― Fratello, ho visto il filo d'arco intrecciato sul polso di Rasha. Perché hai ceduto un filo d'arco? Di solito non doni mai quel genere di oggetti, nemmeno agli ospiti di nostro padre.

Taher si pettinò la barba nera e posò un gomito sul tavolone: ― Volevo consolarla nel suo dolore per te, quel filo, che ora lo decora con delle perline, era una promessa. Se fossi guarito, l'avrebbe donato ai vostri figli.

― Capisco. Dunque... non siete andati oltre a ciò che penso?

Taher restò spiazzato, ma poi rise: ― Se stai supponendo e se, la logica mi dà ragione, che tra me e tua moglie ci sia stato una sorta di affinità, ti sbagli, fratellino. Conosco le leggi contro l'adulterio, per questo non devi preoccuparti.

― Scusami, se sono insistente, fratello, ma anche se le conosci, tu sai che un nostro prozio ha tradito sua moglie, ― strinse un pugno, ― Rasha è una fanciulla che sogna ancora a occhi aperti, non potrei immaginare...

― Non immaginarlo, fratello. Tua moglie è saggia per l'età che ha, ― Taher mosse un pennino di legno, ― non potrei far un simile gesto.

― Ne sei certo?

A quella domanda Taher cambiò espressione: ― Rahim, per quanto ti voglia bene, non devi immaginare un simile pensiero. Rasha è mia cognata, l'ho ascoltata e non sottratta dalle tue mani.

― Bene. ― lui alzò il mento squadrandolo, ― Allora, ti chiedo di non accostarti più a lei. Se mi vuoi bene, sii distante e dedicati a tua moglie o alle concubine.

― Hai finito il tuo sciocco discorso? ― domandò con astio Taher.

― Sì.

Rahim posò l'astrolabio con forza sul tavolone, i presenti udirono quel tonfo e si voltarono bisbigliando tra di loro. Diede le spalle al fratello maggiore e, con passi pesanti, uscì dall'osservatorio astronomico.

Il secondogenito dello Shah sospirò con amarezza: ― Stupidi adolescenti.

***

Dopo qualche giorno, i tre figli dello scorpione giunsero alla Roccaforte di Granato.

La carovana di cavalli e cammelli era accompagnata dai pochi Servi Rossi che Rasha si era portata nel tragitto.

Di tanto in tanto lei adocchiava Safiya discutere con le sue compagne. Non negava a se stessa che la serva era molto aggraziata e credeva che suo fratello maggiore avesse richiesto ancora i suoi servigi, cosa che non accadde. Non detestava la serva, anzi, in un lato della sua mente desiderava che Mahdi le chiedesse ancora quel dono profumato.

Solo dopo un po' di tempo, superati i primi villaggi, ponti di legno e i fiumi che sgorgavano nelle gole, finalmente i viaggiatori arrivarono alla capitale Piuma D'Ambra. Salirono su per il ripido sentiero di rocce e giunsero nel palazzo del Rubino D'Oro. Molti Servi Blu si occuparono delle bestie, mentre i Servi Rossi, comprese le donne, aiutavano i padroni nel sistemare i bauli.

Rasha si avvicinò ai fratelli, il vento le spostava il velo verde con i ricami di rose: ― Mahdi, posso parlarti?

― Certo, ― disse il giovane lasciando che Fathi si aggregasse ai soldati.

Rasha e Mahdi salirono verso il secondo piano, molte zie non erano turbate dalla presenza del ragazzo, poiché sapevano che non avrebbe mai osato superare i cortili interni dedite a loro.

― Che succede? ― chiese Mahdi.

― Io, ecco, non so se questo argomento possa toccarti, in fondo sono cose estremamente private, ma vedi, non mi fido di dirle alle zie.

― Dimmi, allora, non tenermi sulle spine.

― Si tratta di Rahim. Mahdi, lui non è più il ragazzo che conoscevo un tempo. È cambiato. Volevo sapere se per caso quel fiore avesse compromesso il suo carattere.

― Cosa te lo fa pensare?

― Mahdi, Rahim è diventato come suo fratello Shayan. Ha gettato nel fuoco dei papiri che amava tanto. Lui non era così, lui era diverso da com'è ora. Capisci?

― Perché dici ciò? Mi è sembrato il solito Principe Rahim, ― sussurrò Mahdi.

― Perché è come se imitasse Shayan, capisci? Dimmi, fratello, quel fiore ha le proprietà di cambiare una persona?

Mahdi posò le mani sui fianchi: ― No, il fiore non ha effetti negativi. In ere antiche veniva somministrato pure ai bambini e alle persone anziane. Presumo, Rasha, che tuo marito vorrebbe dimostrare il suo valore.

― Il suo valore? Ma non capisco. Ho sempre creduto che l'amore guarisse ogni cosa.

― Rasha, l'amore può aiutare ma non guarire.

― Che dovrei fare? Non dirmi che dovrei sottomettermi o cercare di capirlo, perché lo sto già facendo, ― si lagnò Rasha.

― No, non ti direi nulla di ciò. Il migliore modo è discutere con lui, magari facendoti aiutare da me o dal Principe Taher.

― Già, forse hai ragione, ― sospirò la ragazza.

― Mi sorge una domanda, perché hai parlato con me?

― Beh, mi sembra ovvio, se discutessi di questo con Fathi lo sai che litigherebbe con Rahim. Mio marito l'odia ancora.

― È capibile.

Rasha lo ringraziò e cercò di raggiungere le zie, ma si voltò: ― Bak-sa, domani ho intenzione di partire per il Tempio Del Sole D'Acqua. Ti va di venire con me e Fathi? Ci sarà anche una delle Principesse dello Shah. ― si spostò una ciocca castana.

― Certo, Mak-sa. Ci vediamo stasera a cena, cerca di riposarti.

I due si separarono nel corridoio colmo di piante di ginepro e dalle pitture geometriche sulle pareti.

Una volta che Mahdi raggiunse il pianoterra, dove dei cortili interni erano ampi e ornati dai mosaici che raffiguravano degli scorpioni. Dopo una decina di minuti vide i soliti esploratori parlottare all'interno di un'area decorata dalle pareti color ocra e intarsi di legno. Svoltò per dirigersi verso un corridoio, dando le spalle agli studiosi.

― Bentornato, Mansur Najib.

A quella voce chitonata Mahdi si fermò, voltò il busto osservando Jafar sorridente.

― Ho appena visto vostro padre uscire dalla Sala dei Tributi, vi stava cercando alle stalle.

― Grazie per avermi avvisato, Signor Jafar, ― disse Mahdi con tono serio.

― Di niente, spero di rivedervi, ― disse un po' l'uomo, prima di avviarsi verso il gruppo di scienziati.

― Signor Jafar, ― disse Mahdi voltandosi. Era di fronte all'uomo, il volto preoccupato non si nascose agli occhi dell'anziano, ― Penso che io e lei prima o poi dovremmo parlare, privatamente.

― Parlare? Di cosa se posso chiedervelo?

― Sapevate della Yuha e dei danzatori senza che io ne parlassi. Sembrate saper molto, eppure vi ostinate a tacere.

Jafar nascose le mani dietro alla schiena: ― Vedete, io non amo mettere in pubblica piazza i miei motivi. Dunque, vi do un consiglio, giovane Mansur Najib, non inoltratevi più di dove volete andare.

Mahdi toccò la Yuha appesa sulla cinghia della cintura.

Jafar alzò un dito magro: ― Ah, non vi conviene essere così avventato, giovane Mansur Najib.

― Avventato? Se farete male alla mia famiglia, credo che non esiterei a usarla, ― mormorò con ira Mahdi.

Jafar sogghignò e prese un braccio di Mahdi, sussurrandogli vicino all'orecchio nella lingua Dulmuyf: ― Fidati di me, giovane Mansur Najib, lasciami assistere a questo divertente spettacolo, ― lasciò Mahdi e gli fece l'occhiolino, ― A presto.

Basito da quelle parole taglienti lasciò andare l'esploratore, Mahdi credette per un breve momento di trovarsi di fronte a un suo simile, ma la cosa che non gli tornò è che non vide nessuna "goccia" nell'occhio destro di Jafar. Si spostò i capelli sulla fronte e si recò dal padre.

Solo dopo pochi minuti giunse alle stalle, dove molto spesso i cavalli venivano fatti trottare all'interno dei recinti sotto alle palme e alle piante di ginepro. Le bandiere della Casata Dell'Ombra Scarlatta svolazzavano e gli addestratori discutevano della resistenza dei destrieri.

Vicino a uno dei tanti recinti Mu'ezz Nadir parlava con un prozio; le braccia conserte e il rida' che gli copriva metà qamis porpora lo rendeva fiero. Al contrario il parente dagli abiti caldi sembrava consigliargli delle nuove bestie acquistate nei territori del nord.

Mahdi restò per qualche secondo a osservare il genitore che annuiva e sorrideva vicino al prozio; gli sembrava di rivedere il ricordo di sua madre e, di come in alcuni atteggiamenti, assomigliasse al fratello minore. Attese qualche secondo per non disturbarlo, finché Mu'ezz Nadir non si accorse di lui e, facendo un gesto con la mano, lo invitò ad affiancarsi.

― Mi hanno avvisato che tu e tuoi fratelli siete arrivati. Ho cercato di farti chiamare, perché dovevo parlarti, ― disse Mu'ezz Nadir al figlio, posandogli una mano sulla schiena.

― Ho fatto qualcosa di male? ― chiese Mahdi, guardandosi attorno.

― No, nulla. Vieni, ― disse l'uomo e, salutando con garbo il prozio, si avviò con il figlio.

I due si diressero verso la stalla dei cavalli posti vicino a degli abbeveratoi. Aprirono il cancelletto della scuderia dal tetto d'assi di legno e tessuti di lino.

― Sono stato molto entusiasta su come hai curato il Principe Rahim. Non è da tutti rimediare l'errore di tuo fratello e mostrare affidabilità a uno Shah, ― agitò una mano, mentre l'altra era posta sul fianco, ― pure i prozii sono fieri di te.

― A questo gesto, volevo parlarvi. Credete che sia stato necessario diminuire i rifornimenti alle due sovrane? Una simile scelta potrebbe produrre delle conseguenze, ― disse Mahdi.

― Wed-sa sono ancora in grado di distinguere la correttezza di una lotta e ciò che hanno fatto le due sovrane. ― lui gesticolò, ― Forse per te questo mondo nobiliare ti sembrerà nuovo e, per certi versi, inesplorato, ma fidati di tuo padre, una scorrettezza porta sempre un granello di ostilità.

― Ma le due sovrane potrebbero... ― balbettò Mahdi.

― Le due sovrane non potrebbero far nulla, wed-sa. Hanno lasciato che il loro campione colpisse alle spalle uno scorpione, senza constatare la probabilità che l'intero popolo insorga.

― Credete che temano l'ira del Sacro Nafan per quel gesto?

― Ne sono certo, wed-sa.

Nell'espressione cruciata dell'uomo, Mahdi riconosceva i tratti che aveva visto alla festa nobiliare, tuttavia quell'atteggiamento scomparve lasciando spazio a un delicato sorriso.

― Comunque, non ti ho fatto venire qui per discutere sul fiore, ― l'uomo roteò gli occhi esasperato, ― o di come tuo fratello sia riuscito a prelevare i petali mettendo in difficoltà le sovrane. So bene che il tuo compleanno è passato da tempo e, se non vado errato, ― Mu'ezz Nadir posò una mano sulla schiena del ragazzo, ― nessuno, eccetto Rasha, ti ha donato qualcosa. Per questo voglio darti il tuo regalo di compleanno in ritardo.

― Regalo di compleanno? No, no. Padre, vi giuro, non serve. Sono sopravvissuto lo stesso senza doni per vent'anni, non dovete darmi nulla, ― gesticolò e balbettò con stupore Mahdi.

― Mahdi.

― Davvero, se lo sapesse vostra moglie, vi creerei solo un problema, fidatevi. È meglio evitare ciò.

― Mahdi, ― sospirò Mu'ezz Nadir guardando il figlio.

― Per non parlare che non saprei come gestire la situazione. E poi...

― Mahdi zādeh Hadiya, ― tuonò il padre.

Mahdi si zittì al rimprovero. Il genitore lo spostò verso un box chiuso. I suoi occhi colmi di agitazione si posarono su un destriero che mangiucchiava un po' di fieno. Era bianco, ma la fronte, la coda e le zampe erano macchiate di nero.

― Lei è Mahnaz, una puro sangue. Proviene dagli ultimi commerci del popolo del Sud. Molti mercanti l'hanno rifiutata perché è troppo calma. Spero che apprezzerai il tuo regalo, ― disse Mu'ezz Nadir.

Mahdi rimase incantato dagli occhi marroni della bestia, sfiorò la fronte di Mahnaz e sorrise, sussurrandole parole dolci.

Mu'ezz Nadir non interruppe le carezze del figlio per la cavalla. Sii incupì al ricordo di Hadiya e di come Mahdi mostrò lo stesso fresco sorriso: ― Avrei desiderato crescerti insieme ai tuoi fratelli e a lei. Dopo la mia liberazione, non dovevo fermarmi per quelle poche settimane nella mia dimora, dovevo tornare da voi immediatamente, ― lui abbassò lo sguardo, tenendo un pugno chiuso, ― forse ti avrei risparmiato questi anni di sofferenza.

― Non dite così, ― disse Mahdi guardandolo di fianco.

― Lo dico e non lo nego, ti avrei educato, istruito e affidato molti compiti, Mahdi. Ti avrei accolto in una dimora, invece per un mio errore, ti ho lasciato solo. Dèi, eri solo un bambino, ― lui guardò cupo il figlio, ― come può un bambino sopravvivere alle crudeltà degli Hadi Dell'Ombra? Come può un fanciullo restare in vita alla servitù e alle botte? Io ero lì, a pochi passi da te, eppure sono stato cieco.

― Non è colpa vostra. ― Mahdi scosse il capo, ― Mia madre non ha mai pensato che fosse colpa vostra.

― Oh, Mahdi. Tua madre non capisce, le colpe di tuo zio, le stesse che hanno portato a questo spudorato odio, non possono colmare i miei errori. L'ho lasciata sola, ― lui deglutì un po' di saliva, ― sola con un bambino in grembo. Ed eravamo così vicini a quel maledetto matrimonio. Se solo avesse accettato la mia proposta, se solo avesse detto di sì molto prima.

― Matrimonio o meno, sono stato io a portarvela via, ― disse triste Mahdi e accarezzò la fronte della cavalla.

― Non dirlo nemmeno, figlio mio. L'unico che ha fatto soffrire la nostra famiglia è tuo zio. Sapevamo cosa comportava la tua nascita, sapevamo ciò che i nostri cuori volevano. Sei stato la nostra gemma e, quando tuo zio ha rovinato tutto, ho promesso alle Stelle del Nord di prendermi cura di te.

― Le Stelle del Nord? Padre, lei le citava sempre, che significa?

― Giusto, non lo sai, vedi, un tempo, quando la Sacra Yazata Arooj creò la casata reale, uno dei suoi figli di nome Âbân, concepito con il Sacro Yazata Atar, venne squartato e ucciso da alcuni Daeve. Così, sua madre, lo bruciò con la fiamma del suo amante e le ceneri vennero sparse nel cielo stellato. Le stesse stelle si posizionarono a Nord, vicino alla costellazione dell'airone. Yazata Arooj dedicò le stelle alla nostra casata per rafforzare la fedeltà. Figlio mio, se si fanno certi giuramenti a quelle stelle, si è obbligati a mantenerle. Quando tua madre mi disse della gravidanza, le promisi, sotto le Stelle del Nord, di prendermi cura di voi.

― Capisco, ― sorrise Mahdi al padre, ― Un giorno mi racconterete di lei? Vorrei saperne di più.

Mu'ezz Nadir posò un braccio sulle spalle del ragazzo: ― Avremo tutto il tempo del mondo, figlio mio. Ora però, liberiamo Mahnaz, magari vorrai cavalcarla.

Mahdi annuì e, aprendo il box per prepararla, uscì insieme al padre portando la bestia in un recinto.

***

Il giorno seguente, con i destrieri e i Servi Rossi pronti per il viaggio, Rasha osservava vicino al padre i suoi fratelli nella piazza del palazzo. C'erano molte voci, soldati e bauli colmi di proviste.

― Ascolta i tuoi fratelli, stai sempre vicino alle zie, d'accordo Yass? ― mormorò Mu'ezz Nadir alla figlia.

― Va bene, padre, ― rispose Rasha sorridendogli.

La ragazza lo vide prendere da uno dei tanti bauli, ancora aperti, un pugnale che le venne consegnato.

― Sebbene ci siano i tuoi fratelli e, per quanti soldati possa mettere a disposizione, la prudenza non è mai troppa, Yass. Ti ricordi gli insegnamenti di tua madre?

Rasha prese l'arma e la estrasse: ― Sì. Padre, però, non penso che...

― Oh, Rasha, il mondo è infido e con gli Hadi dell'Ombra armassi è l'unico modo. Usalo solo in caso di estrema necessità, d'accordo?

Rasha non cercò di contraddire il padre che le accarezzò una guancia, poi lo lasciò andare verso i fratelli. Legò l'arma su una cinghia di una cintura e si diresse con passo fermo verso le zie.

La confusione nella piazza non sfuggi agli occhi di Farnaz, la quale era sotto al porticato colonnato del palazzo. Solo una logorante preoccupazione la devastava. Attese un po', finché il marito, dando gli ultimi saluti, si avvicinò mettendosi di fianco a lei. Il velo blu di lei svolazzava a causa del vento, guardò nervosa i figli e, per ultimo, Mahdi in sella a Mahnaz: ― È la cavalla che ti ho detto dell'altra sera.

― Non eri stata tu a dire, insieme ai mercanti, che quella bestia era troppo mansueta? ― mugugnò un po' Mu'ezz Nadir, ― ti rimangi le parole?

― Non me le rimangio, amore mio, è solo che in mano di tuo figlio è un dono sprecato, ― sospirò la donna, ― spero che tenga d'occhio i nostri figli.

― Fidati di Mahdi per una volta, ― disse Mu'ezz Nadir con tono serio.

― Fidarmi di lui? ― ridacchiò con sarcasmo Farnaz, ― Che sciocchezze. Ora scusami, ma ho degli impegni da fare.

Non appena la moglie tentò di spostarsi, Mu'ezz Nadir le afferrò un braccio per fermarla, la guardò negli occhi a pochi centimetri dal suo volto: ― Per quanto possa amarti, te l'ho dirò soltanto una volta, Farnaz. Smettila di trattarlo come una capra. Mahdi fa parte di questa famiglia, chiaro? Puoi odiare me, puoi odiare persino sua madre, ma lui non c'entra, hai capito?

Farnaz gli diede lo sguardo di un'assassina pronta a uccidere per il bene dei suoi cari. Tuttavia sorrise di gusto e, liberandosi dalla presa, se ne andò, muovendo il velo per scacciare via le parole del marito.

* Riva' - Mantello

* Yass - Vuol dire "gelsomino". Può essere usato anche come nome proprio di persona.

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