*
Lo sgorgare del sangue dei cadaveri e dalle teste mozzate era un orrido spettacolo di vendetta. Pochi potevano assistere agli arti amputati e alle armature immerse nel liquido dall'odore ferroso.
Un padre si chinava vicino al cadavere del figlio. Provava per lui un amore profondo e la consapevolezza di non vederlo più correre nei cortili insieme alle pantere dalle zampe bianche lo aveva distrutto.
Solo un figlio, un figlio massacrato per mano di un Mansur Najib.
Quel giovane padre aveva superato un limite che non creava altro che problemi. Era successo così in fretta, suo figlio era stato rapito, portato via dall'amore della sua famiglia per poi essere trucidato in un palazzo abbandonato, sotto le grinfie del Mansur Najib. Quest'ultimo l'aveva minacciato, gli aveva urlato contro e deriso quando aveva cavato gli occhi di suo figlio con un pugnale, per poi sgozzarlo e pugnalarlo una ventina di volte davanti ai suoi uomini. Ripeteva a se stesso che, quanto cruda fosse stata quella scena, per lui era sono un fanciullo, un bambino morto per mano della discendenza del Sacro Nafan.
Molti degli uomini che avevano seguito quel giovane padre volevano far pagare il rapitore, ma solo pochi erano riusciti a tornare indenni dal feroce scontro.
Nabih urlava a pieni polmoni il suo feroce dolore, malediceva Yazata Nafan e la sua sporca discendenza. Non lasciava il cadavere di suo figlio, quel corpicino stretto fra le sue braccia. Cercava di sollevarlo, accarezzandogli la fronte e pulendo gli occhi ormai privi del loro colore nocciola.
Una decina di soldati che erano sopravvissuti accolsero l'arrivo dei rinforzi capitanati da due Comandanti e dalla figura orgogliosa di Pujman Koosha Mahdi; insieme a lui c'era suo figlio minore.
Nabih, solo dopo qualche secondo, aveva alzato lo sguardo ai suoi cari parenti. Non ignorava l'espressione disgustata di Mu'ezz Nadir a quella cruciata di Pujman Del Rubino D'Oro.
― Ha ucciso mio figlio! Ha ucciso Namvar!
L'urlo di Nabih di fronte ai loro cari fece sussultare Mu'ezz Nadir.
Il fratello minore non sapeva cosa fare, avrebbe voluto abbracciarlo e dirgli che potevano superare quella difficoltà, ma era un atto troppo debole alla presenza del padre.
Pujman aveva scrutato con dolore quella scena e aveva dato qualche ordine ai soldati per poi socchiudere gli occhi neri sul corpo martoriato del nipote. Le sue speranze di vedere la discendenza Del Rubino D'Oro scorrere nelle terre dov'era cresciuto si erano spente. Aveva posato una mano sul giavellotto legato alla cintura e dava le spalle a un simbolo inciso su una parete: due serpenti intrecciati che divoravano una goccia.
― Padre! Il Mansur Najib ha ucciso mio figlio, ― aveva urlato Nabih.
― Namvar è morto per causa dei tuoi errori. Più volte ti ho avvertito sulla pazienza dei Mansur Najib, più volte le mie parole erano ricche di saggezza, eppure tu le hai ignorate, ― aveva detto Pujman.
L'uomo dalla barba bianca infondeva una certa forza nella postura, mentre la divisa dalle piastre di ferro brillavano grazie alle fiaccole accese nel rifugio.
― No! Non è vero, ho solo preteso quello che desideravo. Ho seguito i vostri insegnamenti, ho seguito ciò che quei guerrieri sono disposti a fare, cioè obbedire. L'ho fatto per onorarvi! Volevo solo portare onore ai vostri occhi e rendervi orgoglioso di me! Quell'essere ignobile ha ucciso mio figlio, ― aveva urlato Nabih.
― Non negare l'evidenza, Nabih. Non farlo con me, hai sfruttato un Mansur Najib che si è prostrato nei tuoi confronti, la sua intera dinastia ci ha aiutato durante le battaglie e tu hai trattato quell'uomo come una bestia da macello, ― aveva detto severo Pujman.
― Negare l'evidenza?! Io ho perso un figlio per colpa di quegli esseri! Maledico Yazata Nafan! Lo maledico per ciò che mi ha fatto, ― aveva protestato Nabih.
― Silenzio, ― aveva tuonato d'ira Pujman.
Mu'ezz Nadir aveva guardato i cadaveri dei suoi parenti, per poi osservare il corpo senza vita del Mansur Najib trafitto da due lance. Era abbattuto da quello spettacolo, quel "figlio delle divinità" lo aveva visto solo in alcuni ritrovi.
― Non bestemmiare il nome di Yazata Nafan! ― Pujman aveva stretto un pugno, ― L'errore di aver umiliato uno dei suoi figli per anni, dandogli poco cibo, sminuendolo, recandogli umiliazioni e trattandolo come un Servo Rosso, è solo tua. Le conseguenze dei tuoi gesti sono caduti su Namvar. ― l'uomo aveva osservato con dolore il nipote, ― Il mio splendido nipote, ucciso dal tuo sciocco egoismo.
Il nobile dalla barba bianca e dalla kefiah color ocra aveva dato le spalle al figlio, ordinando ai soldati e ai due Comandanti di avvisare lo Shah dell'accaduto. Solo Mu'ezz Nadir non aveva seguito il padre e restava vicino al fratello maggiore.
― Fratello, tu mi credi, non è vero? È colpa di quegli esseri se tuo nipote è morto. Aiutami a far ragionare nostro padre, sii vicino a me. Aiutami, ― aveva supplicato Nabih al fratellino.
Mu'ezz Nadir aveva stretto l'elsa della scimitarra, si sentiva inerme: ― Nabih, mi dispiace, non so come fare, non so cosa dire.
― Sei mio fratello! Devi stare dalla mia parte, devi ascoltare tuo fratello maggiore, ― aveva urlato Nabih verso Mu'ezz Nadir.
― Ma nostro padre ha detto...
― Nostro padre non capisce cosa significhi perdere un figlio. Devi credermi, io ho fatto solo ciò che era giusto!
Il ragazzino più giovane di Nabih non riusciva a decifrare quelle parole d'odio, troppi erano i pensieri che gli balenavano nella mente. Troppi gli orrori che aveva assistito. Aveva desiderato fuggire dall'angoscia e dalle responsabilità.
― Mu'ezz Nadir. Vieni, ― aveva detto il padre alle porte di quel palazzo diroccato.
Il figlio minore di Pujman si era diretto verso il genitore, mentre Nabih urlava il nome del figlio. Provava delusione per quella scelta, delusione per averlo ascoltato nel momento di dolore. A testa bassa, con i pugni sui fianchi, era uscito dalla dimora seguendo i soldati del Rubino D'Oro.
*
Delle coperte di lino caddero sul tappeto all'interno della beit.
Nabih si svegliò di soprassalto con il viso impregnato dal sudore e dai tremori. Afferrò il giavellotto di suo padre, lo stesso che aveva rubato dopo la sua fuga al palazzo Del Rubino D'Oro. Coprì con la mano libera il viso e deglutì un po' di saliva, per poi aprire un bauletto di legno e prendere un ritratto a carboncino di suo figlio. Posò sul petto il disegno e pronunciò il suo nome, come se cercasse di confortare il suo debole cuore.
― Vendetta, Namvar, vedrai, tuo padre vendicherà il torto subito e porterà onore a tuo nonno. Farò vedere a mio padre che ero io quello degno, ― borbottò Nabih, dondolando sul posto.
Strofinò un dito ruvido sul papiro e guardò il viso rotondo del ragazzino che sorrideva, non c'erano dubbi su come assomigliasse al padre e delle poche caratteristiche che lo accomunavano alla madre. A Nabih non interessava il conforto della vecchia moglie, la stessa che lo aveva tradito con un suo cugino dopo che era stato diseredato per aver attuato il "peccato". Una moglie che era morta a causa di una malattia ai polmoni.
Si distolse dal pensiero e rimise con delicatezza il ritratto nel bauletto, poi prese della mirra e, accendendo un incensiere di terracotta posto su un tavolino, la lasciò bruciare.
Nabih non poteva negare che quell'odore rilassava i suoi stanchi nervi. Si accomodò su uno dei cuscini e prese dei papiri dal solito tavolino. Le scritte seppur antiche erano state tramandate dal suo mentore, Kamal Degli Hadi Dell'Ombra. Ciò che rappresentavano quei disegni vedevano un roditore incatenato.
"Solo un passo, mio Signore. Solo un altro passo e ciò che ti chiederò sarà una dolce vendetta." Pensò Nabih, prima di sistemarsi con abiti puliti e uscire dalla tenda sorvegliata dai suoi fedeli.
L'alba era sorta da poco e le tende, nascoste da una coltre magica creata da Tinfi, si muovevano grazie a un po' di vento.
Gli Hadi stavano ancora riposando e pochi sorvegliavano l'accampamento provvisorio.
Nabih adocchiò per un breve momento le bianche nuvole che dipingevano l'orizzonte. Ricordò di come il suo mentore adorasse il profumo di morte alle prime luci del mattino. Non dimenticava come Kamal degli Hadi Dell'Ombra lo aveva accolto e di quanti neonati, piccoli nobili del Rubino D'Oro, aveva ucciso per onorare il mentore. Così, Kamal lo soprannominò: la Bestia del "peccato". Lo stesso peccato che confermò il distacco della famiglia del Rubino D'Oro e la sua alleanza con gli Hadi Dell'Ombra.
Nabih tornò alla realtà quando spostò il mantello di lino sulla spalla e socchiuse gli occhi neri. Si rivolse verso uno degli Hadi per far convocare Tinfi e Piruz nella sua tenda.
***
Piruz aveva la schiena su un comodo cuscino quadrato, mentre una gamba piegata dondolava. Era sveglio da qualche minuto, al contrario di Tinfi che dormiva e posava i seni sui suoi pettorali. Afferrò con poca grazia un pugnale e giocherellò: facendolo ruotare nella mano.
Un raggio di sole che filtrava dalle fessure della tenda toccava i corpi nudi dei due amanti, le coperte viola nascondevano i loro bacini.
L'uomo non amava Tinfi né la sopportava quando voleva da lui la sua voglia di uomini, desiderava solo la sua promessa sposa. Quest'ultima si era ribellata al volere di suo padre e aveva condotto alla rovina i suoi piani. Tinfi era solo un ostacolo, un peso troppo grande. Era cresciuto nella miseria e con la miseria aveva appreso i dogmi della sopravvivenza. Rinfoderò il pugnale e si scrocchiò le dita, cercò di chiudere gli occhi per riposare ma qualcosa lo distrasse, un profumo che conosceva. Si stropicciò gli occhi sfiorando per ultimo la leggera barba sul mento e solo allora la vide.
"La mia sposa è stata furba," Pensò Piruz, sogghignando alla vista della ragazza che non era più Tinfi.
Il sicario non volle svegliarla né approfittare di quell'occasione per possederla, sapeva che solo un piccolo gesto avrebbe fatto riprendere a Tinfi il controllo e con esso l'intero corpo. Cercò di sistemarsi come meglio poteva e distenderla comoda sul giaciglio insieme a lui. Le sfiorò il viso spostandole qualche ciocca di capelli e lentamente la baciò.
La ragazza istintivamente mugugnò per poi abbracciare Piruz, tuttavia mormorava non il suo nome ma quello di un altro uomo.
Piruz si irrigidì, il volto crucciato sembrava carico d'odio: "Non permetterò che quel ragazzino ti porti via da me. Tu sei soltanto mia."
Il sicario si voltò osservando verso l'entrata un'ombra, un Hadi era appostato fuori dalla tenda.
― Piruz, Nabih vuole te e Tinfi. Non fatelo attendere, ― disse l'Hadi.
Piruz mormorò un sì e coprì con il suo corpo le nudità della ragazza, odiava che gli altri Hadi vedessero le grazie della sua "sposa". Solo quando l'uomo se ne andò, lui abbassò lo sguardo e notò la fanciulla appena sveglia.
― 'Giorno, ― mormorò Piruz.
― Staccati da me, ― disse con ira la giovane.
Piruz alzò la mano e si sorresse con l'altro avambraccio, mostrando il fisico prestante coperto da cicatrici: ― Siamo nervose stamattina. Se fossi un po' accondiscendente con me, ti aiuterei a calmarti.
La ragazza lo spinse con tutte le forze e lo spostò di lato.
Piruz rise di gusto: ― Ah, degna figlia di Kurush. Sai, una volta che ci sposeremo ho intenzione di mettere le cose in chiaro con te.
― Sposati da solo e con il tuo stupido ego, Piruz, ― tuonò lei.
― Dimmi una cosa, mia splendida e selvatica Hadi, ― disse Piruz sollevandosi un po' e mettendosi seduto, ― Non ti mancano le nostre avventure, quelle strane che facevamo di notte? Ti ricordi quando ti ho portato, come pegno d'amore, un dipladenia e una collana che ho rubato a un mercante?
― Pegno d'amore? I tuoi sono solo atti deplorevoli. Se mi ami così tanto perché diventi violento? Perché quando facevamo l'amore mi picchiavi? Questo non è amore, ma pazzia.
― Oh, andiamo, mio piccolo petalo, ― disse lui prendendole la mandibola, ― lo sai che il vero scopo dell'amore e farsi che la donna sia devota al marito. Tu eri e sei ingestibile. Ed è una cosa che mi piace di te, letteralmente mi fa impazzire.
La ragazza staccò la presa di Piruz e si raccolse i capelli, lasciando che lui si accasciasse e osservasse la schiena nuda: ― Riguardo a Tinfi? Come mai ho ripreso il mio vero corpo? Dèi, ― lei guardò gli abiti sui tappeti, ― se non avessimo due corpi distinti e la sua sterilità, mi ritroverei sempre incinta.
― A me la cosa non dispiacerebbe, ― rise Piruz, sfiorandole un braccio.
― Basta, non mi devi toccare, ― protestò lei.
Piruz sospirò e piegando un avambraccio lo posò sul cuscino: ― Credo che sia per colpa tua. La purezza di un atto d'amore con quell'idiota la indebolita. Ha ripreso un po' le forze con me, ma poco direi. Insomma, lei ha ceduto e ti ha lasciato "libera".
― Capisco.
La ragazza si alzò da quel giaciglio e sbuffò prendendo gli abiti. Piruz non nascondeva la voglia di prenderla e di farla sua: ― Comunque fra un po' ti conviene ridarle il corpo, Nabih ha bisogno di noi due. Oppure se vuoi rimanere così per un po', potrei... diciamo essere un buon accompagnatore.
― No, assolutamente, ― disse lei.
Piruz si alzò dal giaciglio e afferrò una brocca d'acqua per riempire un bicchiere di terracotta, lo mostrò alla giovane e sorrise: ― Allora, tieni, credo che sarà una giornata dura e afosa.
La ragazza lo guardò male e rifiutò il gesto: ― No, grazie. L'ultima volta che mi hai offerto qualcosa mi sono ritrovata tra le tue schifose braccia, vorrei evitare.
― Come preferisci, piccolo petalo, ― rise lui bevendo l'acqua.
Lei si spostò un po' dando le spalle all'uomo: ― Tinfi. Tinfi, Nabih ti vuole parlare.
A quella frase la ragazza chiuse gli occhi e un vapore nero l'avvolse mutandola di nuovo nell'Aza.
― Ho sentito, diventi insopportabile, ragazzina, ― rise Tinfi finendosi di vestire.
Piruz prese i suoi abiti per poi dirigersi fuori con lei dopo qualche minuto.
***
Quando il sole era già alto nel cielo nuvoloso Tinfi e Piruz entrarono nella tenda di Nabih, chinando con il rispetto il capo.
― Avete delle novità? ― mormorò Nabih, mangiando dei fichi secchi.
― Sì, mio Signore, un gruppo di soldati del Rubino D'Oro si è diretto verso il Regno delle due Regine, ― disse Piruz.
― Tinfi? Tu che mi dici? ― chiese Nabih fissando l'Aza.
― Poco o nulla mio signore, come abbiamo controllato io e Piruz, i figli dello scorpione si sono diretti verso quel Regno. Desiderate procedere in qualche modo? ― chiese Tinfi.
― Per ora no. Hai selezionato l'innocente per il Grande Signore? ― domandò Nabih.
― Certo, mio Signore, e si stupirà sulla mia scelta, vedrete, ― sorrise Tinfi.
Nabih deglutì la frutta secca e si accomodò sui cuscini morbidi, si toccò una basetta nera e socchiuse gli occhi puntati su il sicario: ― Piruz, hai novità riguardo alla vendita avvenuta anni fa di mio nipote?
― Sì, mio Signore. Vedete, uno degli Hadi dell'Ombra che uccise e sottrasse i bambini dell'Ambra del Deserto, vendette un gruppo di piccoli ai primi mercanti per ricavare qualche moneta. Non credeva che tra di loro ci fosse un Mansur Najib. Nemmeno... ― guardò Tinfi, ― "l'ospite" di Tinfi sapeva su di lui, credeva solo che fosse uno dei tanti sopravvissuti a quella strage. Non è così, Tinfi?
― Certamente. Da ciò che l'ospite mi ha detto, solo pochi bambini provenivano da quei territori e il Mansur Najib le ha confessato poco delle sue origini.
― Secondo l'Hadi Dell'Ombra è stato solo un errore, non credeva che fosse suo nipote. Nessuno poteva saperlo, quei genitori adottivi avevano nascosto quel moccioso, ― disse Piruz.
― Un piccolo errore? Un bambino che ha i capelli color mogano e gli occhi di mio fratello è solo un errore? No. Questa è incompetenza!
La voce iraconda di Nabih risuonò nella tenda mentre stringeva un ficosecco e lo gettò sul piatto vicino a sé. Gli occhi sembravano uscirgli dalle orbite, odiava quei maledetti errori.
― I suoi genitori adottivi sono morti! Sui giocattoli di mio nipote, gli stessi che quello sciocco di mio fratello ha dato a quella sgualdrina, erano sporchi di sangue! Erano la testimonianza della sua morte e ora mi venite a dire che è stato un "piccolo errore"?!
Tinfi non voleva alzare lo sguardo al suo padrone, non voleva rischiare. Odiava quella sensazione di disprezzo che lui le fondeva, ma non poteva ribellarsi.
― Un errore del genere ha lasciato sopravvivere quella mela marcia!
― Volete che uccida l'incompetente? ― chiese Piruz.
Nabih alzò la mano per calmare il sicario che aveva già estratto un pugnale dietro la schiena: ― No. Non ho intenzione di sprecare un solo uomo per il mio odio nei confronti di quel Limabiy, ― si toccò la fronte e sospirò, ― cinque luridi anni per avere le informazioni di mio fratello, cinque lunghi anni per sentirlo urlare il nome di quella sgualdrina. Quel bambino o bambina doveva morire, invece mio fratello ha sempre divagato sulla verità, su come la sua "amata" fosse intelligente.
― Mio signore se sapevate che era in quelle oasi, perché non avete osato uccidere lei e L'Ambra del Deserto prima? ― chiese Tinfi.
― Sarebbe stato un atto troppo pericoloso. Dopo che ho abbandonato la mia famiglia e quando quella sgualdrina stava aspettando mio nipote, le pressioni e i controlli erano troppo insistenti, ― si toccò il mento osservando i due, ― inoltre mi servivano le strategie militari di mio fratello, se avessi ucciso quella donna lui non mi avrebbe detto nulla sui sentieri e i Comandanti da sterminare.
Nabih si alzò per prendere dei papiri e diede le spalle ai suoi sottoposti: ― Un nipote diventato Servo Rosso, un misero servo alla pari di un'animale, un animale che perde ogni traccia, ogni segreto, ti rimane solo il nome.
― Cosa volete fare ora, mio Signore? ― chiese Piruz.
Il Capo degli Hadi si voltò per guardali con severità: ― Rifornite i sicari e gli Hadi, siate pronti quando la conquista del sacro luogo avverrà, perlustrate i territori e avvisate i miei fedeli. Piruz.
― Dica mio Signore, ― disse Piruz.
― Continua ad avvelenare i villaggi dei soldati più vicini. Non risparmiare i più deboli, li voglio morti, ― Nabih guardò i due, ― potete andare.
Il sicario si diede un pugno sul petto per mostrare rispetto e Tinfi fece un breve inchino per poi uscire insieme al compagno.
Nabih posò il giavellotto piegato sulla fronte e formulò una preghiera per onorare il ricordo di Namvar.
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