⟣Capitolo 33 ― Baciati dal Dolore⟣
― Calmatevi, per favore. Non siate precipitosi, ― disse Dareh vezīr al gruppo di medici e ai due scorpioni nella sala del trono.
Munir Shah Della Luce D'Avorio era a pochi passi dal trono e leggeva degli editti insieme ai Comandanti. Dareh vezīr lo informò dell'accaduto. Non voleva ricordare il gusto amaro della sofferenza della seconda Regina e di come molti medici non riuscivano a trovare una cura alle sue condizioni.
― Insinuate ciò? Com'è possibile? Laleh Shahbanu è malata! Credete che qualcuno possa aver avvelenato per anni mia moglie?! Inammissibile, ― tuonò Munir Shah.
I medici cercarono di protestare le parole del sovrano e in quel momento giunse Taher Shahzadeh, il quale era stato informato da Rasha poche ore prima dalla scoperta del veleno.
Mahdi gli sorrise e fece un breve inchino. Il Principe gli ordinò di alzare il capo e salutò con garbo Fathi.
― Padre, lasciate parlare il Mansur Najib. Può spiegarvi molte cose, ― disse Taher.
― Va bene, ― sospirò Munir Shah.
― Vostre Grazie, la pianta magica che è stata mescolata nel tè è allucinogena. Può portare alla pazzia se somministrata per parecchio tempo. Beeta, l'ancella della sovrana, ha detto che la bevanda veniva servita durante alcune ore. Se non veniva data alla Regina, ella stava bene. Sono sicuro che sia stata avvelenata e, se Vostra Grazie lo vorrà, suggerisco di aprire un'indagine interna.
― Ciò che dite, Mansur Najib, è follia. Mia moglie non può essere stata avvelenata per tutto questo tempo. Per quale motivo? ― disse Munir.
Mahdi non sapeva cosa rispondere poiché non poteva comprendere gli intrighi di corte.
Taher avanzava con eleganza: ― Per odio, padre. La famiglia di Laleh Shahbanu se ben ricordate vi ha appoggiato con fedeltà quando i vostri fratelli vi hanno tradito. Per questo, sono d'accordo con il Mansur Najib.
― Le parole non possono rattoppare le supposizioni, figlio mio. Ciononostante...
La voce del sovrano si interruppe quando delle figure entrarono nella sala del trono.
I presenti, tranne i soldati, si voltarono guardando le donne: Beeta aiutava la Regina Lelah e di tanto in tanto le sorrideva, Rasha era di fianco a lei.
― Munir Shah. Munir-Jan... ― mormorò Lelah.
Munir Shah avanzò e la moglie chinò il capo. Non credeva ai suoi occhi, gli sembrava un sogno, non la vedeva sorridere da molto tempo. Le alzò il mento con due dita, per poi accarezzarle il viso: ― Lelah-Jan, dimmi che non è un imbroglio, dimmi...
La Regina prese la sua mano, balbettando: ― Sono io. È stato quel ragazzo, il Mansur Najib. Mi ha visitata e mi ha dato una sostanza. Mi sento bene.
I due sovrani si voltarono verso Mahdi.
― Mansur Najib... hai salvato mia moglie. Dimmi che questa non è un'illusione, ― alzò la voce il sovrano.
― Vostra Eccellenza non è illusione. Ho dato una sostanza curativa alla Regina che contrasta la tossicità del Stramobasalto. Devo avvertirvi, sua Eccellenza, la cura che le ho dato deve essere somministrata minimo due anni. Avrà ancora dei buchi di memoria, ma con il tempo... riuscirà a ricostruirsi una vita.
― Quindi... l'effetto allucinogeno è comparso dopo che Rahim è venuto alla luce? ― disse Taher.
―Credo di sì, ― confermò Mahdi.
Il sovrano masticava vendetta nei confronti dei folli che avevano osato ferire la Regina. Ordinò a due Comandanti di effettuare un'indagine di chi potesse essere l'artefice. Lelah ricordava solo delle "zanzare" che avevano succhiato la sua linfa vitale, una linfa di gioia nei confronti del suo amore.
Quando i Comandanti, insieme ai medici, uscirono dalla sala del trono, il sovrano sorrise a Mahdi.
― Hai salvato mia moglie e ti ostini a curare il mio terzogenito. Vi procurerò tutti i permessi per il Regno Talib Zeyd. Mansur Najib se avrete successo nell'impresa, sarete di nuovo il benvenuto in questa terra e magari, potrete unire i vostri servigi in questo Regno, ― disse Munir Shah.
― Vostra Eccellenza, sarei onorato, ma il mio Sovrano di cui la mia stirpe discende ha pattuito che non potrò essere vostro. Dhaki Shah Dell'Ombra Scarlatta presenta dei documenti politici che attestano la mia dinastia di sangue. Sebbene sono un Limabiy non possono contrastare il volere del mio Shah, ― pronunciò Mahdi.
― Inaudito! Un'alleanza matrimoniale non gli bastava? Bene. Fino a quel momento sarete miei ospiti e per aver curato la Regina Lelah diminuirò la somma delle armi del Rubino D'Oro che deve pormi, ― disse Munir Shah.
I tre figli di Mu'ezz Nadir ringraziarono il sovrano.
La Regina sorrise a Taher che sembrava soddisfatto dalla situazione: ― Oh, Taher... sei cresciuto. Io e tua madre non abbiamo avuto il tempo di parlare, di discutere di nulla a causa della mia malattia. Desidero aiutarla, dopo quello che è successo a tuo fratello Majid. Mi sento... in colpa, dovevo starle accanto, ― mormorò Lelah guardando il Principe.
― Regina Lelah, mia madre sarà lieta di rivedervi in forze e di parlare con voi. ― disse, sorridente il Principe.
Solo dopo mezz'ora i Comandanti tornarono e chiesero la presenza del sovrano nella Sala delle Confessioni, il quale lasciò i presenti.
***
Passarono pochi giorni e la verità galleggiò come un legnetto su un lago d'indagini e ostilità.
Il tramonto chiazzava le nuvole sottili del cielo.
Un gruppo di soldati che scortava le colpevoli verso le prigioni era osservato dai figli dello scorpione, i quali erano posti sul parapetto del davanzale al secondo piano. Non si aspettavano nulla dalla cattiveria nobiliare. Avevano seguito il processo in mezzo alla piazza del Petalo D'Avorio, dove i cittadini s'erano indignati per l'atto deplorevole nei confronti della Regina Lelah.
Due sorelle maggiori di Munir Shah l'avevano per anni drogata per cucirle la bocca e per vendicarsi della morte dei fratelli traditori. Le urla disperate uscirono dalle labbra screpolate e rotte delle donne, le quali erano prive di abiti pregiati ed esposte come bestie da macello di fronte allo Shah. Poi la sentenza cruda ai lavori forzati nelle coltivazioni di datteri e fichi.
― Perché non cambiano mai? La nobiltà è difficile. Un torto, una vendetta, l'odio... tutto ciò mi lascia sempre basito, ― disse Mahdi abbassando il capo.
― Perché è così, bak-sa. Forse rimani basito per la tua esperienza da Servo Rosso, ma io non sono scioccato. Il mondo gira su questo piano, si intreccia tra tradimenti e lotte interne. Non lo dimenticare, ― mormorò Fathi.
Mahdi si stiracchiò per la sonnolenza. Avrebbe volentieri studiato un po' di letteratura antica per accontentare il tutore e mandargli dei messaggi riguardo alle tematiche degli Yazata. Diede un buffetto sulla spalla del fratello e si avviò nella stanza dove avrebbe riposato.
― Mahdi... prima che mi dimentico, Rasha ti ha lasciato un regalo in stanza. Mi ha supplicato di non rivelartelo.
― Fammi indovinare, ― sbadigliò Mahdi, ― saranno altri papiri riguardo ai disegni. Da quando ha scoperto la nostra parentela, mi dona ogni papiro e una moltitudine di profumi.
― Che vuoi farci? È una fanciulla. Vive nel suo mondo e ti vuole bene.
― Va bene. Riposerò un po' e poi... andrò per la millesima volta a ringraziarla. Rasha mi vizia troppo, ― disse Mahdi facendo un saluto al fratello.
Il giovane scese dalla scalinata decorata dalle upupe dipinte, fino a giungere al pian terreno. C'erano pochi Servi Rossi e la maggior parte della confusione proveniva dalle sale semiaperte dove dei nobili parlavano. Svoltò in un altro corridoio stretto dagli arazzi floreali, finché non posò una mano sulla porta della sua stanza. Entrò a occhi chiusi, sciolse i capelli, gettò la Yuha su un tavolino colmo di papiri, boccette e piatti di datteri. Solo quando alzò lo sguardo verso il letto ben ordinato dalle lenzuola viola e dalla zanzariera trasparente, che copriva il materasso, rimase meravigliato da Safiya.
La ragazza sistemava sul tavolino varie sostanze.
Mahdi avrebbe pronunciato ogni singola frase, ma non riuscì. Era concentrato dalle labbra piccole e dai capelli castani che le scendevano sul petto. I raggi del tramonto che filtrava dalle finestre la rendeva divina.
― Safiya...
La Serva Rossa sbriciolava nell'incensiere della mirra e una pianta magica che aumentava la passione.
A piedi scalzi e, solo con le cavigliere, camminò e prese una mano ruvida del ragazzo. Tocco con la mano libera la spalla di Mahdi e, piegando il viso, lo baciò: lingue attorcigliate si scambiarono sapori ed emozioni.
― La mia padrona mi ha concesso solo questa notte, ― sussurrò lei.
― Sei tu il regalo. Hai... mischiato briciole di Ergos nell'incensiere, il profumo...
― Profumo di passione, Mahdi.
Di nuovo un altro bacio sigillò i loro gesti.
La ragazza lo condusse sul letto a un metro dalla porta e lo accomodò sul bordo. Si mise in mezzo alle sue gambe e si piegò, lasciando cadere le ciocche castane su quelle color mogano.
― Danzerò per te, ― sussurrò lei.
― Io... non...
Un dito di Safiya si posò sulle labbra umide del ragazzo. Non portava i soliti abiti da lavoro, indossava una lunga gonna blu e un tessuto che le fasciava il seno. Dalle fasce degli avambracci penzolavano i ciondoli.
Una danza suadente quasi provocante si mostrò al Mansur Najib che la guardava con occhi sognanti. Non contò i minuti che trascorrevano né di quante volte l'addome della giovane si muoveva.
Safiya gli prese le mani e le posò sul bordo della gonna, slacciò le cinture in argento e le lanciò su un tappeto.
Lui non riusciva a ragionare, il profumo dell'Ergos gli confondeva i sensi. Troppi erano i pensieri impuri della sua mente. Seguiva le mani di Safiya che slacciavano il laccio della gonna per poi farla cadere. Era imbarazzato, non aveva mai visto le grazie di una donna. Continuò a seguire le mani della danzatrice, fino a portare le sue dita maschili sulla fascia del seno. Liberò quei tesori e lasciò che il tessuto si unisse alla gonna. Distolse lo sguardo per un breve momento e appoggiò le mani sul materasso.
Safiya trattenne una risata per la faccia del ragazzo e si inginocchiò di fronte a lui, rimanendo alla sua stessa altezza: ― Sei dolce, Mahdi. Ascolta... se non è il momento possiamo cercare un altro modo.
― Io... non ho mai fatto, ecco... ― balbettò Mahdi, sentendo il capo femminile sotto al mento.
― Posso insegnarti.
― Io... non voglio farti del male, Safiya. È che mi piaci. Mi piaci da morire. Io credo di non aver mai provato questo sentimento e se andasse male?
― Sono certa che non mi farai del male, siamo io e te, ― sussurrò Safiya, posando le braccia sulle spalle del giovane e baciandolo. L'addome e i seni toccarono i pettorali del ragazzo, ― sei il mio tesoro, l'uomo dei teneri desideri.
― Lo dicevi, ― si staccò dalle labbra di lei, accarezzandole la schiena, ― quando eravamo bambini. Lo dicevi sempre, Safiya.
La ragazza rise piano per poi baciarlo e metterlo a pancia insù sul letto. Era distesa sul suo corpo. Una mano scivolò sotto alla qamis corta e arancione del ragazzo, tastando l'addome. Non la smetteva di baciarlo, finché lo aiutò a togliere quel tessuto e gettarlo sul tappeto. Rimase di fianco su di lui, accarezzando i pettorali e baciandogli il collo per poi salire sullo zigomo. Quelle labbra rosse scesero come formiche sulla clavicola, sullo sterno e l'ombelico. Lo sentì rilasciare un sussurro di piacere. Risalì sulla montagna di pelle fino a raggiungere le sue labbra, ma una mano femminile grattava sull'ombelico.
― Aspetta un attimo, ― sussurrò la serva, si alzò e prese dalle varie ampolle di terracotta un po' di Nawa, masticandolo e osservando la Yuha sul tavolino esagonale. Scosse la testa per un pensiero cupo e ritornò dall'amante, distendendosi e coccolandolo al suo fianco. Non la smetteva di guardarlo. Di nuovo una mano femminile scese sull'addome e sui lacci dei pantaloni a sbuffo.
Tuttavia lui scosse il capo e alzandosi dal materasso e, senza vergogna, tolse i pantaloni e i calzari. Rimase nudo e si accomodò sul bordo del letto.
Lei lo accolse facendo posare la sua schiena sul torace femminile, baciandogli il collo e strusciando i seni sulle scapole. Non erano distesi ma seduti nell'accoglienza di quell'abbraccio. Poi una mano scorse sull'addome tonico del giovane, fino pizzicare la mascolinità. Al contrario l'altra mano femminile afferrò con delicatezza la mandibola del giovane, facendogli alzare il mento e sussurrandogli ogni forma di dolcezza.
Mahdi pose i piedi sul pavimento con le gambe divaricate per permettere a Safiya di continuare quella stupenda tortura. Ansimò per dei secondi interminabili. Guardò gli occhi smeraldo e, alla fine, l'aiutò con il massaggio fissando insieme la mascolinità. Udiva la sua voce dirgli il motivo di quei gesti e che era dolce pure in quel momento. Digrignò i denti e strusciò la schiena contro al torace di lei, ricordando i pochi insegnamenti di suo fratello. Gemette per liberarsi dalla presa e la distese sul materasso con l'addome all'insù. Si posizionò a cavalcioni sopra di lei, sfiorando con i pettorali i seni e afferrandole un polso.
― Si dice che gli scorpioni siano esigenti, è così, Mahdi? ― mormorò lei.
― Sì e non sai quanto, ― lui la baciò e afferrò un seno.
Safiya alzò il mento con la bocca socchiusa, mentre il ragazzo impegnato a stringerle il seno scendeva con i baci per mordere l'altro. Non avrebbe rifiutato le carezze che dal seno coperto dalla mano atterravano come piume sull'ombelico fino a toccarle l'inguine. Mormorò il suo nome e chiuse gli occhi, quando le dita tremanti del giovane si inoltrarono nell'intimità. La pelle di lui strofinava su quella di lei, tanto che aprendo gli occhi lo vide lasciare il polso e tenersi con un avambraccio. Graffiò una spalla del Mansur Najib, spostando il viso verso sinistra. Non cercava di ribellarsi nemmeno quando Mahdi, disteso sopra di lei, le sussurrava frasi sull'unione. Tremante desiderò di accontentarlo, morse le sue labbra, spostando la mano tentatrice dall'intimità. Gli consigliò come posizionarsi.
Mahdi le accarezzò una coscia e pizzicò alla fine il polpaccio, dove sulla caviglia c'erano dei ciondoli. Strusciava la mascolinità su ciò che rimaneva del dono di Safiya, mentre lei lo baciava e stringeva i capelli color mogano. Solo quando si staccò per prendere fiato e, toccando il naso contro il suo, le sorrise: ― At-maus, Safiya.
La fanciulla trattenne una lacrima e gli sfiorò lo zigomo. Sapeva cosa significasse, conosceva il dialetto Bahi. Il dialetto che usavano da bambini. Una parola che sostituiva il dolore penetrante di quell'unione.
Il vapore dei profumi saliva verso il soffitto e decorava i gemiti dei due. Ondeggi irruenti, spasmi di piacere erano coperti dalla zanzariera e dalle fiammelle delle lampade a olio. Danzavano insieme e la notte scendeva con un velo scuro. Le lenzuola stropicciate sprofondavano sul tappeto coperto dagli abiti e i cuscini circolari venivano gettati lontano dal materasso.
Il Mansur Najib si muoveva con incertezza e stringeva il polpaccio di lei, mentre la gamba libera di Safiya si avvinghiava al bacino. Le ciocche color mogano si attorcigliavano con quelle castane e il braccio destro che teneva il peso del suo corpo tremava. Non pensava a niente, non rifletteva sui dolori del passato, voleva solo premere il corpo contro a quello dell'amata.
La Serva Rossa non riuscì a contrastare la sottomissione. Si lasciava trascinare dalle irruenze del ragazzo, tantoché gli stringeva i capelli e ansimava, guardando il soffitto. Era emozionata da quanta passione stava ricevendo, al contrario degli orrori che aveva subito con il suo precedente compagno. Chiamò Mahdi innumerevoli volte e inarcò la schiena. Pizzicò le spalle del giovane, le membra doloranti la fecero mugolare. Amava i gemiti del ragazzo, ma non sopportava quel dolore intimo. Era certa che l'ardore e l'ondeggio picchiettante di Mahdi fosse a causa del sangue della sua casata. Lasciò la presa dalle spalle e posò le braccia vicino al viso sudato, trattenendo la ribellione. D'un tratto lo sentì rallentare e, solo dopo un po', lo guardò.
― Perdonami... ― sussurrò il ragazzo.
Lei si sollevò grazie agli avambracci e afferrandolo dalle spalle lo baciò. Tra un bacio e un altro gli suggerì di diminuire la passione per non ferirla, lui annuì parecchie volte chiedendole scusa. Dopo un po' lasciò scivolare i capelli lunghi sulla schiena e cadde sul materasso.
Mahdi si inginocchiava e, posandole le cosce piegate sulle sue, teneva la schiena dritta. Una mano le accarezzava una coscia come se volesse tranquillizzarla.
Gli occhi smeraldo di Safiya si soffermarono per un breve istante sulle loro intimità. La eccitò quella visione e le sfuggì qualche battuta sulla bravura dell'amante, poi guardò la Yuha ancora una volta. Sentì Mahdi vacillare per la stanchezza, gli propose di cambiare posizione e, abbracciandolo, lo depositò sul letto, staccandosi dall'unione.
Mahdi si distese all'insù e guardò Safiya dandogli la schiena, la vide mettersi a cavalcioni su di sé. Le accarezzò i fianchi. Adorava quella posizione e le prese delle ciocche senza strattonarla.
Safiya gli suggerì di lasciarla fare, poiché voleva giocare con la sua mascolinità. Solo dopo qualche secondo, sistemandosi come poteva, ricominciò a unirsi. Massaggiava i seni e ondeggiava, spronandolo a continuare. Adocchiò un'altra volta la Yuha ma una terribile nausea la distrasse. I gemiti di Mahdi la facevano sussultare dall'eccitazione, lui le lasciò i capelli e lei gli raccolse.
Il ragazzo si sollevò grazie alle braccia e cercò di accomodarsi senza staccare l'unione.
Safiya posò il capo sulla spalla di lui, mordendosi le labbra quando le dite maschili le sfiorarono un seno e scesero in profondità, fino a giocherellare con l'intimità. Non si ribellerò nemmeno stavolta quando la voce pastosa del Mansur Najib la elogiava in quell'atto.
Quando passarono dei minuti, Mahdi la voltò di lato.
I seni impregnati di sudore e le ginocchia tastavano il materasso. Era prona, al contrario del Mansur Najib che era in ginocchio dietro di lei. Tuttavia avvertì nelle membra di nuovo quel distacco, non capiva.
― No... i tuoi occhi, voglio i tuoi occhi, ― rantolò Mahdi.
Non poteva credere, il ragazzo che aveva visto crescere non voleva sottometterla. Colse il frutto della richiesta amorevole e si girò supina. Alzò le gambe e posò i piedi sul petto maschile bagnato dalle minuscole gocce di sudore che scavavano sui muscoli tonici.
Mahdi le accarezzò un ginocchio e, spostandosi i capelli su un lato del viso, unì per l'ennesima volta le loro membra. Le grida di lei lo eccitavano e, a ogni spasmo, la vedeva stringere con affanno un lembo di lenzuolo. Non ne poteva più della posizione, così cinse le gambe della ragazza al bacino, dandogli la possibilità di avvicinarla a sé. La vide inarcare la schiena e alzare i tondi seni, ne afferrò uno e ondeggiò con veemenza, fino a farle di nuovo male, fino a farla urlare di piacere.
***
Le stelle come gocce scivolavano lontano al sorgere del sole. Solo dei servi passavano nei corridoi del palazzo reale per compiere i loro doveri, al contrario i nobili e gli ospiti riposavano nelle loro stanze.
Dei raggi di sole filtravano nella stanza di Mahdi tramite le due finestre. Erano lame di luce, le quali sfioravano i tessuti e i corpi distrutti dei due giovani.
Respiravano piano, l'uno di fianco all'altro.
Safiya toccava con la fronte sudata il mento del giovane, la bocca semiaperta e i capelli scompigliati la rendevano meno graziosa di ieri pomeriggio. Non si ribellava dall'abbraccio tenero di lui e con un pugno toccava il suo petto. Gli aveva concesso, durante le piccole pause, alcuni frammenti di preliminari, insegnamenti divertenti ed eccitanti che li portavano spesso alla "danza". Mugugnò e accarezzò la guancia di Mahdi e, pian piano con un po' di dolore nell'addome, si svegliò. Dei grattini sfiorarono la schiena del ragazzo, un'affettuosità nel silenzio di quella mattina per poi baciarlo sulla fronte sudata, sul naso e per ultimo sulle labbra.
― Mahdi-Jan, ― sussurrò Safiya accarezzandogli il collo, ― devo andare. Svegliati dormiglione.
― Ancora un po', Safiya, ― mugolò Mahdi.
Una risata fresca uscì dalle labbra di lei. Cercò di mettersi seduta senza togliere l'abbraccio dell'amato, si snodò i capelli lunghi con le mani: ― Mahdi... è vero quello che mi hai detto? Il At-maus era vero?
― Pensi che possa mentirti? Certo che era vero, ― sbadigliò.
― Capisco.
Safiya si spostò e liberandosi dalla presa afferrò gli abiti, vestendosi accanto al letto. Non le dava fastidio lo sguardo infatuato del giovane che abbracciava le lenzuola.
― Safiya... voglio rivederti, parlerò con mia sorella. Magari porterò dei mangostani, so che ti piacciono tanto.
― Lo sai che sarà difficile che la mia padrona mi riporti da te. Inoltre ho un mucchio di cose da fare, lavare gli abiti, danzare per i nobili, portare dei cibi agli ospiti. Forse non avrò tempo per rivederti.
― Lo so, ma ti ho promesso che ti avrei portata via. Non ricordi?
― Le promesse sono delle sciocchezze, Mahdi. Tu sei libero, io ancora no. Non voglio vederti rischiare per me, abbiamo subito tanto in questi anni.
― Lo so per questo voglio offrirti una vita migliore. Magari se compissi la mia missione per il Principe Rahim potrei liberarti. Potremmo avere una vita dignitosa. Senza nessun ordine, nessun impegno, soli in un posto tutto nostro. Forse riuscirei a chiederti... in sposa.
Il sorriso fresco del ragazzo sembrava un bagno caldo per l'anima martoriata di Safiya.
― Anche con la libertà, non posso offrirti ciò che desideri, non ora, Mahdi. Dico... stanotte è stato meraviglioso, non facevo l'amore con qualcuno da parecchio tempo, ma anche se quello che abbiamo passato insieme è solo un sogno. Non posso.
― Perché? Forse sono stato troppo aggressivo ieri notte? Ti chiedo scusa, ― si toccò la fronte, ― Dovevo calmarmi. Non dovevo ascoltare quell'idiota di mio fratello, lui e suoi stupidi consigli. Io non sono come il tuo vecchio compagno. Forse dovevo stare attento, sì, dovevo...
― No, non è questo che volevo dirti, tu sei stato meraviglioso, Mahdi. Sei un ragazzo buono e dolce. ― sorrise un po' Safiya ― Certo, ti sei lasciato trascinare dall'enfasi, ma ti ripeto, non è il momento, lo capisci?
Mahdi deglutì un po' di saliva e abbassò il capo: ― Capisco. Allora quando?
― Io... non lo so. Sono confusa, certo, i sentimenti ci sono, ma non ora. Io non voglio qualcosa di più da te. Comprendi?
― No, non ti capisco. ― tuonò Mahdi, incurvando le sopracciglia folte, ― Ti ho dato il mio cuore e ti ho promesso che ti avrei portata via da qui! Hai conosciuto un altro ragazzo in questi mesi, vero?
― No, Mahdi... non è questo il punto. Non ho conosciuto nessuno. Ci sono dei pensieri che mi destabilizzano. ― stropicciò il velo prima di rimetterlo, ― In questi mesi ho ragionato, ho cercato di capire che forse... dovevo zittire le mie emozioni. Poi sei arrivato tu a palazzo e ho tremato, non sapevo cosa fare. Una relazione e un matrimonio con la libertà sono troppi.
― Quindi... sono stato uno tra mille stanotte? ― si accomodò posando il braccio sul ginocchio piegato.
― Non sei stato uno tra mille, Mahdi. Ti ripeto, non posso. Forse è meglio che vai avanti, capisci? Non posso darti ciò che desideri. Non posso rischiare di vederti soffrire per colpa mia. Ti prego... cerca di capire, lo faccio per il tuo bene. Cerco di proteggerti da questo mondo e l'unico modo che posso fare è questo. Ed ora scusami, ma devo andare, ― piagnucolò Safiya.
Mahdi rimase scioccato e la vide uscire dalla stanza senza voltarsi. Odiava quella sensazione malinconica e la paura negli occhi della fanciulla. Gli sembrava che il suo cuore fosse stato calpestato e gettato nei panni sporchi dei Servi Rossi.
*
*-Jan - questo è un suffisso e segue un nome proprio. vuol dire "caro" o "cara".
*
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