⟣Capitolo 20 ― Corona di Scaglie⟣

Una manciata di sassi cadevano dalla sporgenza appuntita del dirupo a pochi metri dal Covo di Serpenti. Lo stridio degli Shua selvatici, che volavano eleganti nel cielo, rimbombava sulle pareti pietrose.

I papiri, nelle mani del lettore, erano zeppi d'informazioni, lingue antiche e aneddoti sugli Mansur Najib.

Un bungaro fasciato strisciava vicino al calzare del giovane, mentre un piccolo pitone delle rocce posto sulle spalle assorbiva i raggi tiepidi del sole. Quelle due creature non erano le uniche, molti serpenti erano appagati dalla compagnia dei discendenti di Fawziya, poiché li accettavano come se fossero simili a loro.

Mahdi leggeva assiduamente per la decima volta le varie nozioni, molte erano riferite alle magie, ai feromoni serpentini ereditati dai Zaisibas e usate come esche per attirare i Daeve a trappole ben escogitate, ai numerosi figli reduci dagli accordi economici e di alleanze, fino a giungere al sapere di sostanze erboristiche e piante magiche. A quel subbuglio di conoscenze, il serpente sulle spalle scivolò ma venne afferrato e collocato intorno al collo. Rise un po' per dare delle carezze sotto al muso del pitone che muoveva la lingua biforcuta.

Dopo quella situazione il giovane ritornò a leggere, consapevole che se non avesse appreso il Lidiomun: il Codice dei Mansur Najib sarebbe rimasto senza datteri per un'altra settimana. Solo dopo mezz'ora, alzò lo sguardo, osservando Yasser avvicinarsi lungo il sentiero immerso nel verde dei pini. In quei mesi si sentiva libero di esprimersi con il mentore, aveva la capacità di ascoltarlo e non giudicarlo per quanto si sentisse debole nel corso della sua vita, li lasciava l'autonomia di passeggiare lungo le foreste gelide dei monti bianchi, di confrontarsi con gli Sciamani dell'Ovest e di discutere delle donne; soprattutto di Safiya.

― Mahdi, hai finito? La Sacra Baharack vorrebbe parlarti, ― disse Yasser e sistemò i dread corti raccolti dai fili stoffe colorate.

― Oh, sì, ho finito, ma... perché mi vuole parlare? Ho fatto qualcosa di male?

― No, tranquillo, mi ha detto che deve... discutere con te, lascia a me quei papiri, ― mostrò le mani Yasser, dove i documenti vennero consegnati.

Il giovane spostò il serpente dalle spalle al terreno e si alzò. Entrambi indossavano la Pelle di Zaisibas, mentre le Yuha erano legate dietro alle loro schiene da una fascia azzurrina.

Yasser domandò, durante la passeggiata sul sentiero, al giovane se avesse, durante lo studio, assorbito qualche serpente, poiché grazie alla loro sacrificio e alla loro decisione di morire e inglobarsi nella Yuha del Mansur Najib, i guerrieri non riuscirebbero a essere forti nel sconfiggere i Daeve e non potrebbero curare le loro ferite.

Tuttavia Mahdi scosse il capo, nessun serpente in quel momento aveva preso quella scelta drastica, un senso di pietà nei confronti di quelle creature venne tirato verso il mentore, il quale sorrise e si intenerì. Molti serpenti, dalle parole di Yasser, erano stati assorbiti dalla Yuha dell'uomo dandogli forza, ma la conseguenza di quell'unione, come aveva testato Mahdi, gli aveva dato dei connotati simili a loro, come quello di migliorare l'ascolto e prediligere temperature calde.

D'un tratto Yasser scrutò il giovane che diventò silenzioso, non era da lui, molto spesso doveva zittirlo per quanto potesse parlare durante la giornata.

― Stai pensando al tuo vero padre?

― Sì, cioè, non riesco a dormici la notte. Da quando sono qui, Hadiya non la sogno più. Sarò stupido, ma perché il Rubino D'Oro non mi abbia detto nulla? Nasconde troppo, ecco. Io..., ― sospirò il giovane, ― Jumana e Feisal sono stati dei genitori eccezionali. Però... vorrei di più.

― Mahdi, ― Yasser lo fermò e posò una mano sulla spalla, negli occhi grigio cielo c'era compassione, ― sono troppe le domande nella tua mente, troppe. Vale la pena cercare un uomo mai conosciuto? Forse la tua vera madre era rimasta sola e l'unica scelta che ha fatto era darti a quella coppia.

― O forse è stata colpa mia se lei è morta, forse il mio vero padre ha visto che ero...

― Questo non possiamo saperlo, Mahdi. Ricorda, non è colpa nostra se abbiamo questa "punizione" e questo lo sa anche Yazata Nafan.

― Allora perché il mio vero padre non era lì?! ― l'urlo di Mahdi fece guizzare delle scintille d'energia sulle spalle. ― Voglio la verità! Voglio sapere che fine ha fatto?! Voglio sapere se è il fratello di...

― No! Non osare pensare a una cosa del genere! Non sai la fine che ha fatto la tua vera madre, ma non devi ipotizzare che Nabih sia tuo padre. Gli Hadi Dell'Ombra fanno cose orribili! Sono convinto che ci sia altro.

― Ma come fai a dirmi questo, Yasser?! Ho lo stesso naso e gli stessi occhi, persino un Servo Blu, quando ero nel palazzo del Rubino D'Oro, credeva di avermi visto in qualche dipinto, perché avevo gli stessi lineamenti. Gli Hadi Dell'Ombra mi hanno venduto, ignorando l'utilità della Yuha. Non credo alle coincidenze.

― Sai perché hanno ignorato la Yuha? Perché nella sua forma base è un oggetto inutile. Su una cosa sono certo, quegli uomini non provano pietà. Praticano magie oscure da tempo, tanto da corrompere quelli come noi. Fidati.

Mahdi si staccò dalla presa, mordendosi le labbra per racimolare i pensieri, poi proseguì insieme al mentore la passeggiata.

Yasser si toccò la barba pensieroso, fissando dei Al- mi'raj: ― Cambiando discorso, mi chiedo il motivo per cui Hadiya non si sia presentata nei tuoi sogni una volta giunto qui.

― Non lo so. Non c'è un modo di farla chiamare nei miei sogni?

― Un modo ci sarebbe, ma non attraverso i sogni. Di solito, se non chiesto dalla creatura, è un piano divino molto delicato troppo complicato da usare e richiamerebbe degli Daeve.

― Capisco. Invece... quel modo? Dico... quello che hai in mente.

Yasser sospirò, posando una mano sul fianco: ― Se vogliamo capire il motivo di Hadiya, dobbiamo attendere qualche giorno, finché la Stella del Giaguaro non intensifichi la sua luminosità.

― Perché?

― Le stelle canalizzano i Ricordi Spirituali.

Mahdi annuì comprendendo la saggezza di Yasser.

Passarono vicino a un villaggio di Sciamani dell'Ovest che sistemavano delle reti e li salutarono. Solo dopo un po' di minuti, giunsero alla riva di uno dei tanti laghi alimentati dalla sacre acque.

Baharack si voltò verso di loro, l'espressione nervosa coperta dalle ciocche bianche dai riflessi verdi della donna sembrava quella di una madre che rimproverava i figli: ― Siete in ritardo,

― Perdonateci, Sacra Baharack, ― disse Yasser.

La gonna azzurra strusciava sull'erba e i sassi della riva, mentre il seno coperto dai capelli e dalle collane di foglie le donava regalità: ― Yasser, so benissimo che il ritardo può essere causato da un inconveniente, ma la puntualità va comunque rispettata.

― Perdonatemi, mia Signora.

― Ora vai, Yasser, devo parlare con il tuo allievo.

Yasser non volle disubbidire e dando una pacca sulla spalla del giovane lasciò i due.

Baharack scrutò con severità Mahdi, ma poi sorrise: ― Mahdi, sei qui da quattro mesi e la briciola della tua sottomissione non si è consumata. La stessa briciola che aveva Fawziya nei confronti di suo marito. Certi tratti non scompaiono mai.

― Io... non credevo che vostra nonna avesse queste particolarità, Yasser mi ha detto di lei. Mi ha detto che siete sua nipote.

― Yasser, ― la donna roteò gli occhi, ― parla più di quanto vuole. Ti ha detto altro?

Mahdi si torturò le mani per poi fissare la donna che si mise accanto alla riva: ― Mi ha detto che avete incontrato Yazata Nafan? È vero?

Baharack rimase un attimo sconvolta da quella domanda, sembrava una divinità scesa sulla terra dei mortali, la luce pulsante che le copriva il corpo dai toni scuri la rendeva meravigliosa. Rise appena e socchiuse gli occhi: ― Sì, l'ho incontrato. Il nostro incontro è stato particolare. Io da giovane non volevo sposarmi né avere figli. Ed era così faticoso non farmi capire e accettare dalle mie sorelle e amiche. Così, uno dei tanti giorni, rifugiata e arrabbiata su questi monti, a causa delle mie compagne, vidi Yazata Nafan farsi il bagno. Si divertiva e rideva insieme agli Izedi.

― Com'era?

― Era splendido. Così ammaliante che restai a contemplarlo per parecchio tempo. ― disse la donna mentre si avvicinava con il ragazzo alla riva del lago, al di là c'era un ruscello brillante che sgorgava dalle rocce, ― Quando mi scoprì, gli chiesi perdono, ma lui amalgamò le alghe del lago come un velo e si coprì, ridendo per la mia espressione vergognosa.

― Poi... che è successo?

― Poi uscì dalle acque e riprese la sua Yuha posta su un macigno. Rimasi senza parole, ma lui... mi riconobbe come nipote dell'amata e mi domandò, curioso, se fossi io, la donna che aveva rifiutato matrimonio e figli.

― Come aveva capito che eravate voi?

― Perché lo avevo pregato molte volte quando ero... arrabbiata e sola. Mi aveva detto che le mie urla di dolore erano giunte fino alle sue orecchie, ― la donna fissò il riflesso sull'acqua, ― così, per consolarmi, mi propose l'eterna custodia della fonte del sacro fiume Ab-I-Hayat: il ruscello splendente.

― Perché? Insomma... potevate vivere senza la proposta della divinità.

― Mahdi... ti ricordo che questo mondo ha le basi di preconcetti devoti al matrimonio e alla sacralità di donare figli, e poi... non fu solo Fawziya ad aver provato amore per Yazata Nafan.

― Eravate innamorata di lui?

― Sì. Confessai al dio quello che desideravo, lui, però, non mi volle. Non poteva dimenticare Fawziya.

― Capisco, ― mormorò Mahdi.

― Ora, però, basta parlare del passato. Bisogna osservare il presente ed è per questo che ti ho fatto chiamare. ― lo fece avvicinare di fianco a lei, ― Essere una delle poche nipoti di Fawziya è un privilegio non da pochi. Ho visto discendenze, figli ripudiati o dimenticati. Tutta via, quello che ho visto nei tuoi occhi, a parte la goccia, sono quelli forgiati dall'aculeo di uno scorpione.

― Se conoscete la natura dei miei occhi, voi potete rivelarmi chi...

― No, non posso rivelarti ciò che desideri. Non è mio compito. Per questo motivo volevo sapere se Yasser ti avesse detto sullo sterminio della nostra dinastia.

― Ah, no, mia Signora.

― Immaginavo, quell'antico dolore è troppo pesante per lui. Vedi, Mahdi, le guerre non portano mai a una vittoria né una sconfitta, ma solo morte e carestie. Devi sapere che secoli fa, un Mansur Najib di nome Pejman tradì il Lidiomun. Voleva di più della benevolenza del Sacro Nafan, desiderava potere, la lussuria delle Aza. Egli cercò persino di liberare il Daeve di Salgemma, una creatura potente e imprigionata da Yazata Nafan eoni fa.

― Come si concluse tutto questo?

― Con le guerre. Molti morirono e le poche donne, della nostra dinastia, fuggirono.

― Se fosse come sostenete voi, mia madre, dico, la mia vera madre, sarebbe morta tra di loro. Invece... è sopravvissuta. Perché?

― Non lo so. Però se ti ha dato alla luce e sono passati venticinque anni, vuol dire che era una delle ultime. Solo colui che è giaciuto con tua madre sa la verità.

― Io... vorrei solo la sincerità una volta uscito da qui e poi ho fatto una promessa a delle persone.

― Esaudirai le promesse fatte. Mancherà poco alla conclusione del tuo addestramento. Sicuramente a Yasser non piacerà la tua decisione.

― Perché?

― Perché si è affezionato a te. Ha perso molto in quella guerra, gli ricordi i suoi giovani allievi e figli. Comunque... è questo ciò che volevo dirti. Puoi andare, avremo modo di parlare un altro giorno.

Mahdi non protestò, la salutò con garbo e percorse un sentiero dove avrebbe trovato Yasser, a quell'ora il mentore dedicava il suo tempo alla meditazione. Salì un colle e raggiunse un'area disseminata da lance conficcate e statue di serpenti.

Yasser era in ginocchio con le natiche sui talloni e le mani poste sulle ginocchia.

Mahdi guardando le statue illuminate dal sole, si accomodò e prese la stessa posizione del mentore.

Gli occhi di entrambi entra chiusi, mentre il mento abbassato permetteva di ridurre il campo visivo dell'area, favorendo la tranquillità e la vigilanza.

La meditazione poteva durare tra una ventina di minuti od ore e per interromperla bastava attendere le voci dei pescatori che tornavano a casa.

***

I cadaveri accumulati erano stati derubati e mutilati in una zona del pianeta.

Le poche dimore, ammassate vicino a delle palme, bruciavano. Gli animali vennero legati e trascinati per essere portati al rifugio degli Hadi.

Tinfi adocchiava le le casse colme di spezie, abiti e gioielli, afferrò una collana e diede un'occhiata a Piruz: il sicario di Nabih. Si avvicinò all'uomo, era estasiata dal massacro compiuto un'ora prima.

― Pensi che basterà il sangue per l'incantesimo? ― disse Piruz alla donna.

― Sì. Mi renderà forte abbastanza e non manca molto ormai, ― pronunciò Tinfi.

Un gruppo di Hadi Dell'Ombra pronunciò una battuta e si passò dei gioielli sottratti dai nobili di quel villaggio.

Piruz, guardò la donna che si tastava la macchia sull'avambraccio: ― Tinfi, avevi detto che potevo vederla. Ho obbedito ai tuoi stupidi ordini, ― lui sfiorò i pugnali e le sacche legate sulla cintura di cuoio che stringeva la veste color panna.

― Non è il momento. È abbastanza debole. Se parlasse con te, ora, potrebbe rifiutarsi di collaborare.

― Collaborare? La usi come un animale. Non ricordi più che suo padre mi ha detto che doveva essere mia moglie! Se continui a bloccare il nostro contatto, non potrò dimostrare nulla a lei. Questo perché è colpa tua, ― sputò astioso Piruz contro la donna. Si toccò la nuca rasata coperta dalle cicatrici. Su una delle due orecchie penzolavano degli orecchini d'oro.

― Colpa mia?! Beh, io non volevo questa dannata ospite e sai meglio di me che scelta ha fatto il tuo mentore e Nabih. Se vogliamo precisare, l'ultima volta che vi siete visti l'hai riempita di botte. Non rischierò di farla soccombere per mano tua. Mi serve viva.

Piruz masticò quelle parole, deglutì un po' di saliva e imprecò sottovoce. Udì la risata di Tinfi e le sue dita sottili posarsi sul mento coperto dalla leggera barba castana.

― Non credo che però ti costi così tanto vedere la sua presenza, dopotutto, sono io quella che ha sempre giaciuto con te e del mio corpo, puoi sempre usarlo. Sei..., ― sospirò Tinfi con un velo di lussuria, ― violento, egoista e maledettamente seducente. Lei non ha nulla.

― Nulla? Lei è testarda più di te. Non mi devi sfidare.

― Oh, sfidare? Sei tu quello debole, debole come la tua voglia di possedermi per avere lei.

I due si staccarono e gli Hadi Dell'Ombra finirono di sistemare il bottino sui destrieri e partirono verso un altro avamposto, prima che la notte scendesse.

*

Al-mi'raj - coniglio unicorno della mitologia persiana.

Izedi - geni buoni.

Tahdig - Non è altro che un croccante e dorato strato di riso "fritto" sul fondo della pentola.

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