⟣Capitolo 17 ― Gli occhi del serpente⟣
Luccicanti gocce d'acqua cadevano come diamanti sulla sabbia nera.
Nessuna figura immonda dilaniava gli stracci del sogno di Mahdi. Era ammaliato dai movimenti eleganti e dalle labbra piene della donna che amalgamava la sabbia. Constatò che non era giovane come Safiya e sembrava aver un'età matura.
― Hadiya... ― mormorò Mahdi e udì il tintinnio dei bracciali, dove i gesti gli specificarono di accomodarsi.
Il ragazzo obbedì e vide il velo ricamato dai fiori turchesi; non scacciò le mani di lei sfiorare il viso ovale né tantomeno destava la risata femminile.
― Ti ho seguito per tutto questo tempo, immersa nella tempesta dei sogni, per vedere i tuoi occhi simili a quelli di lui. Sono scuri e traboccanti di dolore. Eppure amorevoli, ― lei posò le braccia sulle ginocchia coperte dalla gonna.
― Perché ti ostini a non dirmi la verità? Perché non pronunci una parola su colui che devo cercare?
― Oh, Mahdi. Ti prego, ― sospirò la donna.
― Hadiya, Mu'ezz Nadir ha un tuo ritratto. C'entri tu? Non è così? Dahki Shah Dell'Ombra Scarlatta sospetta qualcosa, pure un servo anziano ha detto che assomiglio a un suo parente.
― Lui, la Bestia, ha condannato tutti noi. Nessuno può permettere di dividere la scelta di due stelle.
― Continui a ripeterlo, questo lui. Non mi dai la possibilità di capire,― si piegò per osservala meglio, ― Hadiya, c'entra qualcosa la mia adozione? Tu hai detto: "Fawziya mi proteggerà". È stata lei a darmi ai miei genitori adottivi?
― È vigile con tutti i suoi discendenti, ma no, non è lei. Non può nulla contro i nemici e alla scelta dei tuoi cari.
― Invece di Yazata Nafan? Lui non può agire?
― Il sacro Yazata Nafan, da quando ha perso l'amata, ha protetto solo pochi umani nell'arco dei secoli. È annoiato dalla vita dei mortali e viene spesso umiliato dagli altri Yazata. Inoltre è il prediletto del Dio Niyoosha e corteggiato dall'ardore del sacro Yazata Atar.
― Quindi non posso contare sul sacro Nafan?
― In parte, ti sei già dato la risposta da solo, ― sorrise la donna e spostò la sabbia con un piede dove c'era una voglia marrone, ― Però è ora di svegliarsi, Mahdi. Gli scorpioni sono impazienti.
La figura celeste si dissolte in lucciole.
*
La fragranza di ginepro sulle lenzuola melograno era intensa.
Le affusolate finestre, coperte dalle tende rossicce, permettevano ai sottili raggi del sole di illuminare la stanza ovale, mentre le lampade a goccia e gemme di spessartina penzolavano dal soffitto affrescato dai gigli; su dei tavolini esagonali, accumulati nella confusione, c'erano delle boccette d'incenso e dei papiri.
Mahdi sbirciava, sotto ai cuscini rotondi, le pareti con uno scorpione a due code posto su un giglio. Abbracciò una coperta per poi lasciarla cadere sui tappeti ocra e, accomodandosi sul materasso, abbassò lo sguardo.
"Quanto ancora Hadiya mi terrà all'oscuro degli eventi? Vorrei solo capire da dove provengo, comprendere cosa hanno nascosto i miei genitori adottivi. Dèi, quanto mi mancano. Perdonami, padre mio. Perdonami." Pensò Mahdi stropicciandosi gli occhi per fermare delle lacrime, detestava essere debole, soprattutto quando suo padre adottivo, Feisal, gli ripeteva che piangere era concesso solo alle donne e non agli uomini.
Donne che educavano i figli dalla loro nascita fino ai cinque anni. Tuttavia nel corso dei secoli e dalla fondazione dei tre Regni qualcosa era cambiato grazie alle leggi di Yazata Farah protettrice dei bambini e delle madri. Infatti, prima della sua opera, i padri non potevano vedere i figli dal concepimento fino ai cinque anni, il motivo era molto semplice, temevano che i piccoli potessero morire, portando al genitore una terribile sofferenza emotiva. Così, la Yazata Farah per rassicurarli e nel caso consolarli della perdita di un figlio, aveva decretato delle nuove leggi divine.
Qualcuno bussò alla soglia d'ingresso.
Il Mansur Najib cadde dalle nuvole e autorizzò d'entrare al Servo Rosso e cacciò le lacrime, mostrando un tenero sorriso al giovane con in mano degli abiti.
― Buongiorno, mio Signore. Il padrone mi ha ordinato di portarvi questi, ― disse il servo dagli occhi blu.
Mahdi era lì da tre giorni e faticava ad accettare la sfarzosità della nobiltà: ― Per favore, chiamami Mahdi. Ti ringrazio per avermi portato gli abiti.
― Come volete, Mahdi. Quando sarete pronto, il padrone vuole vedervi. ― il giovane si guardò in giro ― Che novità, questa è la prima volta che consegno degli indumenti qui.
― Come mai?
― Nessuno varca questa stanza, se non per delle pulizie. I padroncini non hanno il permesso di entravi.
― Nemmeno gli ospiti?
Il Servo Rosso scosse la testa e sistemò gli abiti su un tavolino.
― Non riesco a comprendere. Valgo meno dei nobili eppure mi ospitano in un ambiente dove non entra nessuno, ― mormorò Mahdi.
― Il padrone conserva molti segreti, ― il servo rise piano.
Il ragazzo libero si vestì, stringendo la cintura gialla attorno alla vita, mentre la qamis color alizarina gli arrivava alle ginocchia; allacciò il cordoncino dei siwal smeraldo, per poi afferrare il borsellino da un tavolino. Legò i capelli con una fascia arancione per non trasgredire a una regola di quel Regno, dove gli uomini erano obbligati a raccogliere i capelli, poiché solo lo Shah poteva lasciargli sciolti. Un piccolo insegnamento frutto della saggezza del nobile che l'aveva ospitato in quei giorni.
Solo dopo un po' di minuti, servo e ospite giunsero dal padrone, passando nei corridoi e scendendo delle scale.
Mu'ezz Nadir, insieme ai parenti, discuteva in un'area interna del palazzo. Era elegante nella qamis arancione stretta dalla cintura bluastra. Non rideva né sorrideva all'affondo di una battuta troppo provocante da parte di un cugino. Diede un'occhiata veloce al Servo Rosso e a Mahdi, per poi mandare via il servitore con un gesto delle dita impreziosite dagli anelli.
Il ragazzo libero non volle disturbarlo e guardò i dipinti floreali sugli archi a nicchia. Rimase vicino a una bignonia capreolata che rivestiva i bordi delle pitture, poi si fermò davanti a una raffigurazione.
Tre soggetti erano ritratti su una nicchia d'ambra: due ragazzini e un uomo. Ai loro piedi c'erano delle iniziali; uno dei due fanciulli era stato estirpato come una pianta marcia.
"M.N." Lesse e pensò Mahdi, guardando il ragazzino piccolo. "N." poi osservò il ragazzino raschiato dalla parete. "P.K. M." fissò l'uomo con in mano un giavellotto e che indossava un khaftān dai colori caldi. Le treccine della barba bianca arrivavano al petto e i capelli corti erano impreziositi da perle d'oro.
― Stai osservando i dipinti della mia famiglia? ― disse Mu'ezz Nadir che si era avvicinato dopo la discussione con i parenti.
― Sì. Ero curioso.
― La curiosità è un pregio. Devo confessarti, non mi sono mai piaciuto in questo ritratto, sembro così magro, ― il nobile rise e indicò la figura con la scritta "M. N".
― Siete voi?
― Sì. Il dipinto risale alla mia giovinezza. Sono presenti altre raffigurazioni all'interno del palazzo: nonni, cugini, figli. Mio padre ha chiamato i migliori pittori per dipingerci, ― Mu'ezz Nadir indicò "P.K.M".
― Riguardo al ragazzino al centro? ― Mahdi specificò il dipinto di "N.".
― Il ritratto di mio fratello maggiore è stato raschiato tempo fa. Ha commesso delle atrocità, Mahdi. Mio padre non ha mai permesso che il suo ricordo vivesse nel palazzo, ― l'espressione di Mu'ezz Nadir si incupì.
― Ha fatto un gesto così... disonorevole?
― Ha compiuto opere spregevoli. Non è piacevole il suo ricordo. Tuttavia... guardati, ― lui sorrise al ragazzo, ― gli abiti ti stanno bene, non sembri più un servo. Forse lo Shah aveva ragione sul farti maritare con una delle sue figlie, ― rise un po' Mu'ezz Nadir.
― Oh, Grazie. Ecco, non sono abituato alle attenzioni, ― Mahdi si toccò la tunica e sorrise.
― Avrai modo di abituarti, una volta tornato dall'addestramento ho intenzione di istruirti.
― Istruirmi? ― disse Mahdi con incredulità.
― Certo, mi avevi detto della tua passione per gli astri. Nel palazzo dello Shah abbiamo i migliori astronomici del Regno. Motivo in più per cercarti un istruttore. Magari potrai lavorare per loro un giorno.
― Non vorrei essere sgarbato, ma non mi conoscete bene, non temete che potrei tradirvi?
― No. Se fossi stato maligno nei miei confronti, saresti fuggito da tempo, magari rubando un cavallo. Invece sei qui a tener fede alla tua promessa. Inoltre, ― l'uomo guardò dei parenti da lontano. ― ho intenzione di partire oggi per i Monti Alabastro. Poche ore fa ho ordinato di preparare il necessario. Sarà un viaggio di qualche giorno.
― Forse non ve l'ho detto, ma non so andare a cavallo. Almeno, le poche volte che sono salito su una bestia è stato grazie a mio padre, eccetto l'asino.
― Non ti preoccupare. Ti condurremo su un cavallo scortato da un soldato. Quando Fathi tornerà dal campo di reclutamento, ti educherà nell'equitazione.
― Vostro figlio non verrà con noi?
― Sfortunatamente no. Però, gli farà bene stare lontano da te. Su, ora muoviamoci, ― Mu'ezz Nadir gli indicò il corridoio per le stalle.
***
I giorni passarono e, alla capitale della Luce D'Avorio, uno Shua con una missiva legata su una zampa si appollaiò nella Torre dei Messaggeri.
Uno dei messaggeri acciuffò il pezzettino di papiro e corse verso la Sala della Sodalite dove le nobili si ritrovavano per chiacchierare.
Della melodia nella sala, prodotta dagli strumenti degli eunuchi, rimbombava sulle pareti d'avorio con i decori floreali. Le bambine ridevano sedute sui tappeti lilla e giocavano, mentre le madri e le zie mangiavano della frutta secca.
Rasha mosse dei documenti su un tavolino esagonale e udì il chiacchiericcio di Fakhri Shahbanu Della Luce D'Avorio. Non vedeva le lunghe trecce castane scure nascoste sotto al velo bianco, gli occhi vispi simili a quelli di Taher si posarono su una cugina; non si era ripresa dalla morte di Majid, poiché indossava ancora l'abito bianco da lutto.
Le sorelle dello Shah non ambivano a restare accanto alla seconda moglie del fratello, Laleh Shahbanu Della Luce D'Avorio.
"La lasciano sempre da sola." Pensò Rasha e guardò da lontano prima le zie di Rahim e poi il velo lilla della sovrana; incuriosita si avvicinò.
― Mia Signora, buongiorno, ― disse l'ancella della sovrana.
― Buongiorno, Beeta, ― mormorò Rasha e sorrise, ― Buongiorno, sua Eccellenza. Posso sedermi accanto a voi?
Nulla. Nessuna risposta. Beeta si spostò un po' per far accomodare Rasha. Non mentiva Rahim su quanto la madre fosse magra e simile a lui nei lineamenti del viso, gli aveva donato pure i suoi occhi zaffiro.
― Sa, nobile Rasha, oggi Laleh Shahbanu si è svegliata di buon umore. Ha mangiato ed è stata attenta alle discussione con i nipotini, ― mormorò Beeta.
― Sono felice di ciò, ― disse Rasha.
― Poi ha bevuto il tè al pomeriggio e... ― abbassò lo sguardo Beeta.
― È stata male? Non è così?
― Sì, si è svestita davanti alle cugine. Sa, la capiscono in pochi, ma in alcuni momenti della giornata, cerca sempre vostro marito, ― sussurrò Beeta.
― Mio marito, Rahim, non ha molta voglia di vederla.
La risata di Laleh spezzò il dialogo e si toccò il velo.
Rasha non sapeva cosa dire, si sentiva impotente contro la malattia.
― Rahim... ― balbettò Laleh e rideva ― bello, Rahim... ― lei si schiaffeggiò la testa ― zanzare. Pungono, pungono, Rahim. Attento, cattive, cattive zanzare.
Beeta cercò di calmarla sussurrandole frasi dolci. La seconda sovrana si calmò, gli occhi spalancati saettavano da una parte all'altra.
Rasha le mancò le parole a quella visione, poi pensò a qualcosa, si spostò e afferrò da un tavolo un foglietto. Si risedette accanto alla sovrana sotto gli occhi vigili di Beeta.
― Cos'è? ― domandò l'ancella.
― Una frase scritta da Rahim, posso leggerla?
Beeta annuì.
Rasha deglutì un po' di saliva e trattenne le lacrime ― "Fiori del diamante perduto. Amore salato sulle ciocche di un bambino. Fili intrecciati sulle note di una memoria."
Rasha arrotolò la poesia, consegnandola alla sovrana, Laleh mugugnò e fissò la ragazza.
― Fiori del diamante perduto. Fiori, amore. Munir, amore. Amore. Io... ― Laleh accarezzò la guancia di Rasha, ― Io... amo Munir Shah, ― rise e guardò il soffitto colorato, ― amore. Ho... ― alzò la mano, ― scelto io, nome di Rahim.
Rasha prese la mano della sovrana senza farle male.
Beeta guardò il papiro e alzò un castano sopracciglio: ― Questa poesia, mia Signora Rasha, la conoscete?
― No, l'ha scritta Rahim dopo le nostre nozze, ― mormorò Rasha.
― Forse il Principe l'ha prelevata dalle poesie di sua madre. Vedete, questo poema è identico a quello scritto da Laleh Shahbanu.
― La sovrana riusciva a scrivere? ― chiese Rasha.
― Sì, prima che desse alla luce il Principe. Una zia del Principe Rahim, dopo il lieto evento, ha regalato alla Shahbanu delle collane, del tè e delle piante.
― Pensavo che le zie di mio marito non amassero Laleh Shahbanu.
― Oh, no. Le vogliono bene è solo che non la comprendo. Per questo mi hanno ordinato di tenerla con me al vostro matrimonio, non volevano che il Principe Rahim soffrisse alle sue nozze.
― Per questo non c'era, ― sussurrò Rasha.
Rasha fissò il sorriso di Laleh Shahbanu e udì dei passi.
Un eunuco si chinò di fronte alle nobili e mostrò un messaggio: ― Vostre Eccellenze, ho un messaggio per Rasha hamsar Della Luce D'Avorio. Me l'ha affidato un messaggero, lo Shua proveniva dal Regno Akram Sah.
Rasha afferrò la missiva ringraziando l'eunuco e la srotolò.
Anno 13,800; mercoledì 1 Farvardin
Cara figlia.
Spero che i giorni a palazzo siano ricchi di prestigio e saggezza, ho un compito da darti.
Ti raccomando, nel caso partissi o amministri i tuoi doveri a palazzo, di richiedere l'aiuto di una Serva Rossa di nome Safiya. Se ti stai domandando, e conoscendo la tua intelligenza, il motivo di ciò, ti darò la risposta tra qualche giorno, tramite un messaggio. Ti chiedo solo di non dir nulla al tuo Bak-sa, capirai i motivi a tempo debito.
Tuttavia come ben sai, dall'ultima nostra lettera, mi sto recando, insieme al Mansur Najib, ai Monti Alabastro. Sono accadute molte cose durante la nostra partenza e tuo fratello è partito per recarsi all'accampamento di reclutamento. Tua madre ha domandato di te e spera di tornare alla dimora Del Rubino D'Oro il prima possibile.
Cari saluti, tuo padre,
Mu'ezz Nadir zāda Del Rubino D'Oro
Rasha piegò il papiro e chiese gentilmente se potesse ricevere il prima possibile la serva di quel nome. Non comprendeva le decisioni del padre, ma accontentarlo le infondeva un pezzetto di soddisfazione.
***
Per il superamento del confine del Regno Talib Zayd ci vollero altri giorni di marcia. Le palme areche, l'ibisco e le plumeria davano spruzzi di colore che si amalgamavano al profumo degli alberi da frutto; dove il sole filtrava fra le fronde. Gli abbondanti fiumi permettevano d'irrigare le risaie e le coltivazioni dei villaggi.
I cavalli faticavano e, delle volte, si fermavano per farli abbeverare.
― Mi chiedevo, come conoscete la strada che conduce dagli "Antichi Uomini"? ― mormorò Mahdi di fianco Mu'ezz Nadir insieme ai soldati.
― So questa strada da molto tempo, soprattutto da quando ero giovane come te. Esse fluiscono verso i monti e le Miniere di Diopside. Da lì, basterà prendere un sentiero che ci porterà dagli "Antichi Uomini". Posso dirti soltanto, ― fermò un po' il cavallo, stando vicino a Mahdi, ― che solo pochi conoscono l'ingresso sacro per le porte dei Mansur Najib.
― Perché?
― La maggior parte di chi ha prova a varcare la soglia e il sentiero sbagliato è morto.
― Dunque... Solo pochi si sono sanno della via giusta?
― Esatto. Alcuni della mia famiglia si sono recati nelle zone gelide per trovare le sacre acque e quelli come te, ma sono morti.
― Riguardo alle miniere? So che sono famose.
― Le miniere della mia famiglia forniscono non solo lavoro, ma materiali utili per le armi, le armature e i metalli. Vedi, secoli fa, un lontano prozio ottenne le cave combattendo contro i ribelli, denominati, Masticatori di Selce, nemici dello Shah Akram Sahl.
― Capisco. ― mugugnò ― Nobile Mu'ezz Nadir, posso chiedervi una cosa?
― Domanda.
― Pochi giorni fa, un Servo Rosso mi ha detto che la stanza datami per dormire nel vostro palazzo non viene mai aperta. Perché? Non fraintendetemi, sono inebriato dalla vostra ospitalità, ma non capisco il motivo.
― Parli della stanza dello Scorpione Dormiente? Quella camera è stata costruita per volere mio, grazie ai progetti di mio fratello, lui amava dipingere e progettare le architetture quando non era in guerra. Nessuno ha il permesso di entrarvi, eccetto te, ― lui sorrise e socchiuse gli occhi, ― Fathi e Rasha hanno provato a varcare quella soglia da bambini, ma sono stati rimproverati molte volte.
Particolare era lo stupore negli occhi di Mahdi che rimase in silenzio riflettendo su alcune ipotesi.
Il gruppo di uomini aveva superato il confine del Regno Talib Zayd grazie ai permessi dello Shah; i monti erano una distesa di rupi coperte dalla neve, gli alberi scarseggiavano e soltanto dei fiumiciattoli scorrevano in quella terra grigia. Salirono sui sentieri per giungere alla base delle miniere, dove dei ricercatori ed esploratori, accampati vicino all'ingresso, discutevano sulla materiale.
Le voci, il rumore dei picconi e la polvere rocciosa che sporcava i minatori erano delle novità agli occhi di Mahdi.
Le xeyme arancioni erano i rifugi perfetti per gli operai, mentre quelle color panna erano attribuite ai dirigenti ed esploratori. Non mancavano le stalle per le bestie per sostenere i lavoratori e il personale.
Tutti i viaggiatori, compreso Mahdi, scesero dai destrieri. I soldati controllarono il perimetro della base, mentre il nobile e il ragazzo libero entravano in una xeyme color panna. Vennero accolti dagli esploratori e dai marzban.
Mahdi guardò le decorazioni riferiti alle divinità minori all'interno della xeyme, sopra alla struttura in legno venivano posti strati di lana; degli uomini dalle divise arancioni erano accanto al camino di roccia.
Mu'ezz Nadir non perse tempo per chiedere due cavalli per il giorno dopo e della produttività nelle miniere.
― Non fraintendetemi, Mu'ezz Nadir Sharīf Del Rubino D'Oro, ma attraversare quel tragitto non è pericoloso? ― domandò un marzban dalla folta barba castana.
― Non vi preoccupate, conosco bene la via.
― Come volete. A questo proposito, vi devo informare su una cosa molto delicata. Il Comandante Ahmad, pochi giorni fa, ha intravisto un gruppo di Hadi dell'Ombra recarsi a Sud del confine Talib Zayd. Non si sono avvicinati e con loro c'era un sicario e una donna in nero. Vi raccomando, quando tornerete indietro, state attenti, ― il marzban prese da un tavolino un documento e guardò il nobile.
Mu'ezz Nadir fissò Mahdi. Una risata sottile uscì dalle labbra: ― Ora, Nabih non finisce mai di utilizzare quei maledetti sicari. Come al suo solito non vuole sporcarsi le mani, per questo usa quella Aza. Tutto torna, anche alla Deave.
― Scusatemi, ma Nabih degli Hadi Dell'Ombra non è il successore di Kamal degli Hadi Dell'Ombra? Il sanguinario degli otto venti? ― domandò Mahdi.
― Sì, però non è il momento di discutere di lui, ― disse Mu'ezz Nadir.
― Perché? Non credo che sia... ― balbettò Mahdi.
― Perché mio fratello Nabih ha commesso delle efferatezze. Non pensa a nessuno, non pensa alla memoria dei suoi nipoti. Hai visto cosa ha fatto al matrimonio di Rasha. Non ha pietà, ― Mu'ezz Nadir guardò nervoso Mahdi.
Il ragazzo deglutì un po' di saliva. Disprezzava l'idea di aver un presunto legame con quell'uomo spregevole, ma non poteva ribellarsi alle informazioni che si incastonarono l'una alle altre: ― L'affresco... per questo era...
― Ascolta, non è il momento di discutere di Nabih, per quanto assurdo possa essere devo portarti dai tuoi simili, d'accordo? ― disse Mu'ezz Nadir, scrutandolo con severità.
Il ragazzo strinse un pugno e abbassò lo sguardo, ardeva dalla voglia di gridare, di fuggire per non affrontare la verità. Invece obbedì e lasciò che quei superiori dai mille impegni gli indicassero un posto dove riposare.
***
Il giorno dopo e alle raccomandazioni dei soldati, i due viaggiatori partirono. Il trotto dei cavalli riempiva il silenzio.
La via che portava all'entrata degli "Antichi Uomini" era segnata da alcuni tipi di rocce e simboli che Mu'ezz Nadir conosceva bene.
Mahdi strinse le redini del cavallo trascinato dal destriero del nobile. Non aveva riposato bene e desiderava sfidare la testardaggine dell'uomo per comprendere le sue origini.
Dopo mezz'ora, in lontananza e nascosta da una leggera foschia, videro due sculture imponenti.
― Siamo arrivati, ― mormorò l'uomo che scese dal destriero.
Mahdi fece la stessa cosa e si affiancò al nobile, prendendo le sue cose.
Le raffigurazioni serpentine nella roccia che facevano da "stipiti di una porta naturale" erano orribilmente meravigliose.
― L'Arco di Ametrina, la "porta" degli "Antichi Uomini". Quanti anni son passati? Troppi, ma le sculture di Zalwa, ― lui indicò il serpente con gli occhi blu ― e Yasum ― guardò il serpente con gli occhi verdi ― non sono cambiate. Questi rappresentano i figli di Zaisibas, il serpente sacro a Yazata Nafan. Lei aveva ragione.
― Lei chi? La donna ritratta nel papiro?
Le parole erano scaglie doloranti nella mente di Mu'ezz Nadir. Lo sguardo dei due si mescolò.
― Mahdi, non è il momento.
― Quando è il momento?
Dei tremori nel terreno destabilizzarono i movimenti dei due.
Mu'ezz Nadir lo trascinò per un braccio verso i due serpenti: ― Ti prego di comprendere, ti prego di non ostacolare le mie decisioni.
― Perché? ― disse nervoso Mahdi e si staccò dalla presa.
Mu'ezz Nadir posò una mano sulla sua spalla: ― Perché non permetterò che mio fratello calpesti i ricordi della mia famiglia! Devi comprendere chi sei, devi essere forte.
― Io...
I musi serpentini si mossero, gli occhi si illuminarono e puntarono contro gli uomini; un fumo bluastro coprivano i piedi.
― Mahdi! Non voltarti indietro, ascolta ciò che ti diranno e, una volta completato l'addestramento, quando tornerai da me, discuteremo di tutto, ― disse Mu'ezz Nadir e fece qualche passo indietro.
― Io... ― Mahdi si morse le labbra e guardò i serpenti per poi rivolgere gli occhi neri, identici a quelli del nobile, verso il volto rugoso.
― Ora va', wed-sa, ― disse Mu'ezz Nadir trascinando le ultime lettere del dialetto Zaka.
Nessuna ribellione sbocciò nell'animo di Mahdi, diede le spalle al nobile e si inoltrò nella foschia, superando dopo qualche minuto la porta.
Mu'ezz Nadir fissò con tristezza il cielo coperto dalle nuvole: ― Perdonami, wed-sa. Perdonami. Hadiya fallo tornare da me al più presto.
*
Khaftān - è una tunica di cotone o di seta da uomo, lunga fino alle ginocchia, fornita di bottoni sul davanti e con maniche lunghe.
Xeyme - Tende delle steppe (nome in persiano). Meglio conosciuta come Yurta. È una struttura in legno richiudibile e per questo facilmente trasportabile, che è stata tradizionalmente usata dai nomadi Turchi della steppa dell' Asia Centrale.
Yazata Atar - Nell'antica tradizione persiana, lo yazata del Fuoco.
*
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