Prefazione + Prologo
PREFAZIONE
Questa è una storia ipocrita.
Lo ammetto con tranquillità e non me ne vergogno, dal momento che le persone con le quali dobbiamo essere più sinceri siamo proprio noi stessi.
Detto questo, perché "Gocce di Giove" è ipocrita? Molto banalmente, perché il messaggio di questo elaborato, ciò che vorrei comunicare a chi legge, neppure io sono in grado di metterlo in pratica.
Abbiate fiducia in voi stessi, credete nei vostri sogni, non fatevi abbattere dalle avversità, poiché verranno tempi migliori... ma, mentre scrivo, mi rendo conto di quanto sia complicato.
"Più facile a dirsi che a farsi" commenta cinica una parte di me, quella che non riesce mai a tener fede a questi insegnamenti, e si arrabbia, e pesta i piedi frustrata; tutto ciò che vorrebbe, sono solo un po' di conforto e una montagna di gelato, ma se fosse così scontato ottenere entrambe le cose, io avrei raggiunto il Nirvana già da tempo.
Quindi, se davvero questa storia è così falsa e infarcita di stomachevole buonismo, per quale motivo ho deciso comunque di stenderla e pubblicarla?
Ecco, io credo di averlo fatto in primo luogo per me stessa. Perché nel momento peggiore avevo bisogno di un appiglio, di una speranza, di qualcuno che mi dicesse: "Vedi, se cadi non devi per forza rimanere a terra. Puoi rialzarti." E così, questa storia è diventato quell'appiglio, quella speranza, quel qualcuno.
Tiny Town mi ha ospitata per qualche tempo tra le sue strade e nelle sue case, i personaggi sono venuti a ricordarmi ciò che voglio o non voglio essere, ciò che posso o non posso diventare. Con ogni probabilità, Laney si è presa una parte di me molto più grande di quanto io sappia, e di certo Samuel ha molto più di ciò che vorrei essere di quanto non mi piaccia ammettere.
Forse potrà apparire scontato, sciocco, perfino patetico, ma è la verità.
Questa narrazione non brilla per originalità, non è l'idea del secolo e non ha neppure la pretesa di esserlo. Ciò che veramente mi sta a cuore, in questo caso, quello che considero importante, non è il "cosa", ma il "come", quel prodigioso processo che ci porta a mutare, a crescere, ad acquisire la forza e la consapevolezza necessarie a proseguire le nostre vite.
Non fraintendete, non si tratta di una storia ricca di spunti filosofici e di grande spessore. Al contrario, la ritengo una favoletta piuttosto frivola e superficiale, ma non importa, ha fatto il suo dovere.
Mi ha aiutata.
Per questa ragione, se state attraversando un momento difficile, se vi sembra che tutto stia andando a rotoli, se vi sentite inutili, soli, incompresi e persi, io spero dal profondo del mio cuore che "Gocce di Giove" possa aiutare anche voi.
Anche se per poco, anche se per qualche misero, effimero istante, io spero tanto che vi sia utile, che possa indicarvi la strada per voi stessi.
Buona lettura.
Sayami98
***
DISCLAIMER: NESSUNO DEGLI ELEMENTI MULTIMEDIALI UTILIZZATI MI APPARTIENE. TUTTI I CREDITI AI RISPETTIVI AUTORI.
PROLOGO
"Baciami,
lontano dall'orzo irsuto.
Di notte,
accanto alla verde, verde erba.
Dondola,
dondola, dondola il passo che danza.
Tu quelle scarpe
e
Io quel vestito.
(...)
Baciami."
-Tana libera tutti!- urla trionfante Patrick, battendo forte il palmo della mano contro il muro.
Alicia salta fuori dalle siepi curatissime della signora Grint, un sorrisone sdentato stampato sul visetto di caramello. -Abbiamo vinto!- esulta.
Charlie si arrabbia, pesta i piedi a terra e quasi scoppia a piangere per la delusione: ce l'ha messa proprio tutta per scovare gli altri, e invece ha perso di nuovo. Nel frattempo, anche Veronika e James abbandonano i rispettivi nascondigli per riunirsi al gruppo.
Ora all'appello mancano solo... -Samuel! Laney!- chiama ad alta voce Veronika, guardandosi intorno alla ricerca del cugino e dell'amica del cuore.
-Certo che si sono nascosti bene...- commenta impressionato James.
-Forse sono andati lontano e ora non ci sentono- ipotizza Patrick.
-Verranno fuori, prima o poi- conclude svelto Charlie, ancora arrabbiato perché ha perso. -Io mi sono stancato di giocare.-
-Solo perché perdi sempre!- lo punzecchia perfida Alicia.
-Non è vero!- ribatte furente l'altro. -Stai zitta, brutta racchia!-
La bambina lo incenerisce con uno sguardo. -Che hai detto, scusa?-
-Laney! Samuel!- chiama ancora Veronika.
-Ripetilo, se hai il coraggio!-
-Brutta racchia- scandisce tronfio Charlie, e James ride.
La combriccola bisticcia, i maschi tirano le trecce ad Alicia e lei risponde a suon di calci sugli stinchi. Escono fuori un paio di parole che le mamme e i papà non approverebbero, qualche strillo e qualche lacrima, ma di Laney e Samuel nemmeno l'ombra.
Il punto è che, di uscire, quei non ne hanno proprio intenzione. Se ne stanno sulla veranda di casa Bribs, quatti quatti dietro al muretto di mattoni, uno di fronte all'altra, vicinissimi.
Si guardano e respirano piano, lui intreccia forte le loro manine ossute. Samuel si sta sforzando di non piangere, Laney lo vede, e per questo si impone di essere forte a sua volta. Quindi tira su col naso, si fa coraggio e gli chiede: -Ma devi andartene per forza?-
L'altro aspetta un po' a rispondere, poi annuisce e un lacrimone scivola giù, lungo la sua guancetta arrossata.
A questo punto, anche Laney demorde e comincia a singhiozzare, disperata. -Non è giusto!- si lagna. -Io non voglio che vai!-
Il ragazzino scuote il capo, si pulisce gli occhi e il naso con la manica della felpa blu, poi alza la testa e guarda Laney dritta in faccia. Anche se gli scappano un paio di singulti, la sua espressione è seria, risoluta a tal punto che quasi la spaventa.
-Te lo prometto- giura solennemente.
-Che cosa?- domanda confusa lei.
Samuel fa un passetto avanti, si avvicina ancor di più e stringe le sue mani. Laney sente il cuore che batte fortissimo nel petto, quasi le sembra che stia per scoppiare.
Samuel le piace. Le piace quando gioca a pallone, il più leggero e veloce di tutti. Le piace quando tornano a casa insieme, quando le racconta le storie più belle. Le piace perché non la prende mai in giro, perché profuma sempre di buono, perché ha i capelli castani e gli occhi scuri, grandi e allungati, diversi da quelli di tutti gli altri bambini. Lui è gentile e speciale.
E ora se ne andrà lontano, dall'altra parte del mondo.
Senza di lei.
-Che cosa?- chiede di nuovo, ricominciando a piangere al solo pensiero. -Che cosa mi prometti?-
-Che torno- afferma determinato il ragazzino, senza smettere di guardarla neppure per un secondo. -Ti prometto che un giorno torno e ci sposiamo. Va bene?-
Trascorrono pochi istanti. Il cuore di Laney fa una capriola, e lei si sente subito sollevata, leggera come una nuvola. Sorride raggiante e saltella sul posto, prima di annuire vigorosamente.
-Va bene- dice. -È una promessa.-
L'altro sorride di rimando, rivelando due denti mancanti e un paio di adorabili fossette. Poi ridacchia. -È una promessa- conferma.
Laney, tutta rossa per le lacrime, la felicità e l'imbarazzo, si solleva sulle punte dei piedi e posa le mani sulle spalle gracili di Samuel. Gli scocca un grosso bacio sulla guancia, lo abbraccia e scappa via, felice come una Pasqua.
È una promessa: prima o poi Samuel, il suo Samuel, ritorna.
"E non se ne va mai più."
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