II

Lo sapeva: vicolo cieco! Insopportabile ironia della sorte.

- Quando qualcosa potrebbe andar male – stanne certo! – andrà anche peggio delle più nefaste prospettive.

Tastò il buio denso che lo avvolgeva, cercando a destra e sinistra oltre il proverbiale palmo di naso. Niente da fare: le membrane pulsanti del cunicolo dove s'era infilato erano mura di carne, vive, a sbarrargli il passo. Lì fuori, poteva sentirlo oltre quell'imene purulento che gli soffiava in faccia miasmi da latrina, il crepitio impazzito degli AK47 non accennava a placarsi.

L'Inferno: questo deve essere l'Inferno... - si risolse a biascicare, forse solo per sincerarsi di essere ancora vivo.

Del resto, accantonate le verità di comodo delle varie gestioni più o meno religiose, che l'Inferno fosse – genericamente - una forma di dannazione personalizzata e personalizzabile lo sapeva bene. Come non gli sfuggiva di certo il dettaglio che non bastava parlare o pensare, per sentirsi certi di essere vivi.

Non nell'Arcologia!

Suoni, odori, pensieri: dettagli trascurabili. Sorrise amaro, quando questa constatazione gli rimbalzò dalla nuca al lobo frontale, come un dispaccio morse balbettato a fatica su tracciati elettrici possibili, attraverso autostrade di rame sospese a sballonzolare tra tralicci crocefissi.

Dettagli trascurabili? Convincersene, lui per primo!

Lì, stretto nel fondo più profondo del crasso di Granconiglio, mentre poco più in là, dal buco del culo del roditore,  un commando ben attrezzato di ferocissime amazzoni alate sforacchiava il suo attico con fucili automatici di fabbricazione russa e celeberrimo design. Per inciso, solo per inciso, la bocca della caverna nella quale, a fatica, era riuscito a infilarsi per sfuggire al delirio che s'era scatenato fuori, era proprio l'ano stellato di quella bestia pachidermica - pachidermica, ma comunque con stile, va detto!

Dettagli trascurabili, già. 

Come il puzzo di merda e il terrore di finire sparato fuori, assieme ad un mezzo quintale di materia fecale, quando le raffiche di mitra avrebbero finito col falciare la bestia che lo custodiva, regalandole l'ultimo, feroce, spasmo d'incontinenza.

E dire che il SognoLucido™ era cominciato nel migliore dei modi, come sempre aveva desiderato.

I pistoni di sicurezza che scattano a serrare la porta blindata della sua Residenza con quel CLACK rassicurante, metallico, di quelli che tagliano fuori la puzza di piscio dei marciapiedi e le nenie impastate dell'ultimo ubriacone.

Il divano avvolgente, ampio, fodera tweed grigio chiaro, dove spalmarsi sfilando i mocassini da disporre ordinati, con cura, proprio accanto alla seduta. Il cocktail Martini, scorza di limone appena arricciata a profumare il bordo ed il gambo del bicchiere.

Tutt'attorno, accoccolati, dodici coniglietti di razza Ariete in tutte le sfumature del grigio. Nascosta, dietro la porta della camera da letto, lei.

Alta e magra, seno francese, di quelli appena accennati, capelli corti, sui riflessi del celeste, tagliati alla maschietto, e due ali fucsia a sbocciarle dietro le scapole. Ali da libellula, ali da fatina, da quindicimila frulli al minuto.

Lei, col caschetto celeste e il nasino all'insù.

Lei: un corpetto di pizzo ed autoreggenti velate. Una frusta tra le mani e tronchetti neri su tacchi affilati come stiletti, a insegnargli un po' di disciplina.

- Cucciolo, finalmente sei a casa.

Tirò istintivamente le ginocchia al petto, accartocciandosi, per poi gettarsi, gattonando, nell'incavo più profondo dell'intestino di Granconiglio, cercando di ricordare quando - o come - tutto, attorno, fosse impazzito ed il Sogno-Lucido™ si fosse trasformato in un incubo mortale.

- Cucciolo, finalmente sei a casa... - e dalla cucina, in fondo al corridoio, il colbacco di pelo di quell'enorme roditore in livrea aveva fatto capolino, spingendo con la fronte un carrello da sala settoria. L'acciaio degli strumenti scintillò sotto la luce della sospensione in corridoio, mentre l'odore del disinfettante passato di fresco su quei bisturi, sui forcipi, sulle seghe e sui dischi diamantati si spargeva evaporando verso le volte a coprire o addolcire il deodorante per ambienti al pino selvatico.

Sì, il SognoLucido™ era impazzito in quel momento.

Non aveva mai chiesto di veder rimbalzare goffamente per casa une bestia di quelle dimensioni, nemmeno per tutta la morbidezza della sua pelliccia.

Tantomeno vederlo spingere un cazzo di agghiacciante campionario di lame ed altre amenità chirurgiche.

Eppure, ancora fino a quel momento, il sogno era rimasto tale, senza virare verso il terrificante. Una stranezza, una bizzarria messa lì da qualcuno degli sceneggiatori dell'Ufficio Dopolavoro e Ricreazione Operativi, così, tanto per rendere l'esperienza meno scontata e più coinvolgente.

S'era rassicurato così. Ci aveva provato. Almeno fino a quell'istante.

L'incubo?

L'incubo era arrivato pochi attimi dopo, mentre il culone del grasso roditore passava a fatica la porta del salotto e sulla testa della bestia aveva visto comparire, come materializzatosi tra una bruma verdastra ed un vapore elettrico, il cappuccio di Babbo Natale.

L'incubo era arrivato esplodendogli nei timpani solo una frazione di secondo più tardi. Un respiro prima, c'era stato quel bagliore che dalla porta d'ingresso lo aveva accecato. Esplosivo militare al plastico: carica potenziata per un ordigno che era piccolo come una moneta e morbido come chewing-gum. I pistoni di sicurezza sbocciarono dai cardini stracciati e il battente finì per cedere all'interno con uno schianto metallico.

- Trilly, non provarci mai più!

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