4. Death by Water

Ill fissava il suo riflesso nello specchio, stentando a riconoscersi. Aveva raccolto i lunghi capelli castani in una lunga treccia, a sua volta arrotolata sulla nuca, in modo che quelle poche ciocche che sfuggivano al suo controllo non fossero d'impiccio alla visuale.

Con indosso il mantello regalatole da Rangetsu sembrava lei stessa un higanbana.

Aveva rubato tutto ciò che era stata in grado di rubare dai risparmi del padrone di casa, atteso poi che tutti si ritirassero nelle loro stanze prima di abbandonare la propria, lanciando un ultimo sguardo, timoroso e nostalgico ma al contempo emozionato, alle sue poche cose: una spazzola di legno sulla sedia, una Bibbia rilegata in nero sul comodino, dei fiori sulla via della morte in un vaso di vetro, che proiettavano la propria ombra sul pavimento come lunghe dita adunche.

Voltò le spalle e abbandonò tutto ciò che aveva in favore dell'ignoto.

Come ogni principessa che si rispetti, aveva fissato l'appuntamento col suo principe presso il cancello allo scoccare della mezzanotte. Scese le scale del secondo piano ed attraversò i corridoi della casa percorsa da una strana euforia che le solleticava la pelle; ogni passo le sembrava troppo rumoroso, tanto da farla procedere nascosta nelle tenebre e temendo che la luce della luna potesse tradirla ad ogni finestra in cui si imbatteva.

Nessuno però sembrò notarla, nessuno forse l'aveva mai notata veramente.

Giunta nelle cucine raggiunse l'uscita di servizio, che aprì con un sonoro girare di vecchie chiavi arrugginite nella toppa della porta. L'aria fredda della notte la investì come uno schiaffo, facendola per un momento tentennare; non aveva rivolto neanche un pensiero a cosa sarebbe stato di lei dopo la fuga, se significava però vedere anche solo per un attimo il mondo su cui aveva solo fantasticato per tutta la vita, le andava bene essere riacciuffata subito.

Ripercorse con la mente i calvari dolorosi di quei poeti e scrittori che erano interiormente morti dopo essere stati privati della bellezza della natura. La prospettiva di fare la loro stessa fine aveva qualcosa di affascinante agli occhi di quella scervellata incosciente, tuttavia continuò a ripetersi con ostinazione che Rangetsu l'avrebbe protetta.

E così abbandonò per sempre quella casa.

Stretta nella sua mantella scarlatta, Cappuccetto Rosso giunse presso il cancello, al di là del quale il lupo le sorrise coi suoi occhi celesti.

«Hai la chiave?»

«Sì.»

«Fai piano...»

Il cancello scricchiolò così forte che il cuore di Ill per un momento si fermò: era impossibile che non l'avessero sentito, e a conferma di ciò una luce al secondo piano illuminò la notte.

«Scappiamo!» esclamò Rangetsu, stringendole la mano e strattonandola verso di sé.

Ill avrebbe voluto stringerlo in un abbraccio ora che finalmente ne aveva l'occasione, ma la fretta e la paura la spinsero ad attraversare il tappeto di foglie sul terreno ed avventurarsi assieme a lui nel bosco nero.

Alcune urla straziarono l'aria dietro di loro, ma Rangetsu non lasciò mai andare la sua mano. Quella di lui era calda, grande e molto forte.

«Londra non è lontana, saremo lì in un'ora!» le disse, con un sorriso luminoso sul viso.

La ragazza si abbandonò a una risata felice: non si era mai sentita tanto libera! La selva intorno a lei sembrava viva, sentiva la linfa scorrere in ogni ciuffo d'erba, in ogni tronco e in ogni animale notturno che si muoveva rapido al loro passaggio.

Gridi di gufi e civette si levavano dalle fronde scosse dal vento; quei movimenti improvvisi acceleravano di qualche passo la loro corsa sfrenata, aggiungendo altra paura a quella generata dalla fuga verso il nulla e dal buio.

L'euforia cominciò rapidamente a sfiorire, assieme all'aggravarsi della respirazione, che diventava più faticosa di minuto in minuto. Erano ormai distanti dalla casa sul lago, quest'ultimo poteva ancora essere scorto in lontananza attraverso l'intreccio di alberi, e solo ora la natura iniziava ad assumere quelle tetre e inquietanti forme che richiamarono alla mente di Ill innumerevoli descrizioni dei suoi romanzi preferiti.

"Quali sono le radici che s'afferrano, quali i rami che crescono da queste macerie di pietra?" ecco Eliot e la sua terra deserta che tanto aveva amato, che nell'insicurezza della notte faceva apparire tutto come ostile e pronto a saltarle addosso, aggredirla, morderla, sbranarla.

I suoi occhi grigi si riempirono di paura.

Stava cedendo alla suggestione. Ogni singolo passo nel buio era come essere avvolti da gelide mani di spettri che si allungavano dai tronchi, dalla terra stessa, dal cielo addirittura; neanche alla luna era permesso penetrare in quel luogo con la sua pallida luce bianca. Ill le sentiva attorno a loro, presenze meschine e pericolose: li guardavano attraverso la vegetazione, li seguivano coi loro occhi rossi come il suo mantello. Aspettavano solo il momento giusto per assalirli.

Il mondo iniziò a girare.

Lei si fermò, tremando dalla testa ai piedi «Rangetsu!» chiamò il ragazzo, che nel buio assumeva contorni allungati, una forma selvatica che la faceva fremere: non aveva mai visto il suo vero volto fino ad allora. Ne era sicura.

«Che succede, Ill?» le chiese lui con un sorriso a mezzaluna «Non avrai paura?»

«Sì che ne ho!» ribatté lei, la voce così bassa da non sembrare neanche la sua «Dove mi stai portando?»

Per un attimo lo vide metter su un'espressione basita, poi si rilassò «Come sarebbe a dire? A Londra, te l'ho già detto. Capisco che tu abbia paura, ma ci sono io, d'accordo? Fidati di me.»

Fidati di me, fidati di me...

Perché non riusciva più a fidarsi di lui? Perché proprio ora? Socchiuse le labbra per ribattere, ma alle sue spalle le grida di chi abitava con lei la fecero sobbalzare.

«Ci stanno braccando?!» mormorò, prima che Rangetsu la prendesse di nuovo per un polso e la trascinasse via con sé. Ill non seppe ribellarsi, per quanto il giovane le sembrasse improvvisamente estraneo, infatti, lo reputava ancora il suo unico alleato, l'unico disposto a farla fuggire dalla sua prigione.

Pregò solo di non dover fuggire anche da lui successivamente.

Vagarono nel bosco ancora a lungo, fin quando le gambe non iniziarono a far male, i respiri ad essere rochi e la pelle gelida. Ill aveva smesso di ragionare, si lasciava guidare e rassicurare da lui, che di tanto in tanto si voltava per assicurarsi che stesse bene o ripeterle che ce l'avrebbero fatta.

Mezz'ora più tardi, quando furono certi di aver seminato i loro inseguitori, Rangetsu le concesse qualche minuto di riposo in una radura da cui potevano vedere il cielo stellato.

Entrambi crollarono a terra stremati, Ill con le piccole mani ghiacciate strette sull'erba coperta di brina cristallina. Non aveva più emesso un solo suono e Rangetsu cominciava a preoccuparsi.

Quando si voltò a controllarla, Ill aveva il viso rigato di lacrime e rivolto verso la luna.

Le si avvicinò immediatamente, posandole una mano sulla spalla «Ill.» la chiamò, senza però ricevere risposta, al che la strattonò con delicatezza «Ill.»

Ill si riscosse in quel momento, sbattendo le lunghe ciglia ed incurvando le strette spalle; quando Rangetsu fece per prendere la parola, lei lo precedette chiedendo «Qual è il tuo vero nome?»

«Hm?» non aveva dunque mai creduto che si chiamasse davvero così? L'idea stranamente fece sorridere il giovane dai capelli rossi, che ribadì «Rangetsu, davvero. Rangetsu River. Mio padre è inglese e mia madre giapponese, perciò ho un nome così strano.»

La spiegazione sembrò convincerla finalmente, dopo un momento di insicurezza i suoi occhi si rasserenarono. Rangetsu le asciugò con il lembo della manica le lacrime e il sudore che le imperlava la fronte, poi, premuroso, le riscaldò le mani soffiandoci sopra.

«E tu? Non mi hai ancora detto il tuo nome.»

«L'unico nome che ho è Ill.» rispose lei prontamente «Non ho mai avuto cose come una famiglia o un nome. Loro mi hanno sempre chiamata così, quindi io...»

«Ho capito.»

"Ill" era una delle poche cose veramente sue, ma che al contempo non le appartenevano. Ciò diede a Rangetsu un'idea «In questo caso, che ne dici se decidessimo insieme il tuo nome?»

Probabilmente neanche facendole una proposta di matrimonio l'avrebbe resa altrettanto felice; dare un nome a qualcosa era un gesto con troppi significati intrinsechi per elencarli tutti, Ill lo aveva imparato dai libri. Abbandonò così per sempre quel triste nomignolo dato con inaudita crudeltà, attendendo pazientemente di sapere chi da quel momento sarebbe stata.

«Qualcosa che non si allontani troppo da Ill.» chiese, non volendo comunque chiudere in un cassetto ogni parte di sé.

Rangetsu si chiuse in un silenzio concentrato che durò diversi minuti, durante i quali la giovane si abbandonò al piacere dell'attesa. La pelle formicolava, il respiro era istintivamente diventato basso e sottile, fremeva dalla testa ai piedi.

Ma che ne era stato della paura della notte?

Rangetsu non se ne rendeva ancora conto, ma qualcosa in lei era cambiato durante quella corsa. Le sue iridi erano più spente di prima, lo sguardo più vuoto e i gesti stranamente fluidi: si muoveva come l'acqua.

Quando lui sollevò di nuovo la testa e sibilò il nome che aveva scelto, lei gli accarezzò la guancia con le mani fredde, poi annuì: quello sarebbe stato il suo nuovo nome, era perfetto.

«Staremo insieme per sempre?» domandò allora la nuova lei, improvvisamente dolce.

Quella domanda era strana, se avesse avuto il tempo di notarlo forse Rangetsu avrebbe capito l'enorme errore che stava per commettere e quelli che aveva già commesso.

«Sì, se lo vuoi.»

Portarla via da quella casa in cui era segregata.

«Lo voglio, sì.»

Fidarsi di una giovane sconosciuta dall'aspetto di Cappuccetto Rosso, che nel sorridergli mostrò una luce inquietante negli occhi. Ella strinse la presa su di lui, ora forte come Rangetsu non avrebbe mai sospettato.

Qualcosa in Rangetsu traballò: la sicurezza di aver fatto un'opera buona a liberare quella povera prigioniera dalla sua detenzione.

Quando le unghie della bruna penetrarono la sua carne, capì d'aver liberato il vero lupo dalla sua gabbia.

«Insieme, per sempre.»

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