Quando in un minuto tutto cambiò

Città di Chernobyl

Daryna non riusciva più a dormire. Da quando la città si era svegliata all'una e ventitré di notte, i suoi tentativi di addormentarsi erano risultati tutti vani.

Così aveva deciso di scendere nella piazzetta dinnanzi al suo appartamento, per vedere se qualcuno, oltre a lei, si trovava nel luogo.

«Mio marito è dovuto andare subito alla centrale, sai, fa il pompiere.» Oleksandra stringeva attorno a sé un maglioncino, che la riparava dalla fresca aria della notte.

«Ti ha detto qualcosa riguardo all'incendio? Guarda che nube grigia. . .» Daryna, con le sue parole, non nascose il fatto di essere preoccupata.

«Ha detto solo che brucerà per un po'. Ma dovrebbe essere tutto sotto controllo, quindi non c'è alcun pericolo.»

Daryna annuì, e portò lo sguardo verso la centrale: il fumo si innalzava, macchiando il cielo notturno.

«Vedrai che non è niente di grave, è un incendio come altri, non ci hanno dato neanche un particolare allarme. D'accordo?»

«Sì, va bene, hai ragione tu. Probabilmente mi sto facendo una delle mie solite paranoie.»

«Visto? Preoccuparsi non giova a nessuno, e tantomeno a te, anzi, dovresti andare a riposare. So che oggi hai avuto un turno massacrante a lavoro.»

Era così. Dato che Daryna era troppo stanca anche per le parole, sorrise all'amica, invece che rispondere a voce.

Restarono lì per un po', finché non decisero di fare due passi. I minuti passavano, ma nessuna delle due - come altre migliaia di persone - non sapevano quello che realmente stava accadendo, e di quante radiazioni ora erano esposte nell'aria che respiravano.

. . .

Qualche giorno dopo, verso il primo pomeriggio, Oleksandra bussò insistente alla porta di casa di Daryna.

«Puoi accompagnarmi all'ospedale? Ho saputo che lì ci portano i pompieri, quelli che l'altra notte hanno operato alla centrale. Ti prego, ho bisogno della tua presenza.»

Daryna annuì, andò nel salotto, prese la sua borsa, si guardò un momento allo specchio (sistemandosi anche i capelli biondi) e chiuse la porta.

«Ho il permesso per andare a Mosca. Non temere.»

«A Mosca?! Sei per caso impazzita? Fammi prendere almeno le mie cose.»

«Ti prometto che ritorneremo presto, non c'è bisogno di portare niente.»

. . .

Mosca

Quando arrivarono Oleksandra andò dalla segretaria, chiedendole dove potesse trovare suo marito. Lei, con svogliatezza, le risposte una delle stanze dell'ospedale.

Salirono delle scale, e quando arrivarono, entrambe videro tre o quattro ragazzi raggruppati in una sala.

Oleksandra corse da suo marito, stringendo il corpo, come se avesse temuto di non poterlo più toccare. Che strano - pensò Daryna - eppure era così calma l'altra notte. Adesso sembrava estremamente preoccupata.

Daryna restò in disparte, vicino alla porta, aspettando un cenno dell'amica per qualunque cosa. Entrò svelta un'infermiera, che disse ad Oleksandra di staccarsi dal marito.

Dopo un saluto sbrigativo, essa lo fece, portandosi fuori anche l'amica. Mentre Oleksandra discuteva con la donna che l'aveva "tolta" dal marito, Daryna vide un'infermiera uscire da un'altra stanza con lo sguardo buio, intriso di dolore.

Forse aveva visto morire qualcuno quel giorno stesso. Daryna non poteva saperlo. Ella si avvicinò, e le chiese: «Cosa ci fa qui?»

«Ho accompagnato una mia amica a vedere il marito, lui era un pompiere. Vengo da Chernobyl.»

Istantaneamente, Dasha spalancò gli occhi.

«Capisco. Nessuna di voi due ha toccato i pazienti, vero?»

Daryna non poteva dire la verità, così annuii.

«D'accordo, ora, però, dovete uscire dall'ospedale. Trovatevi un posto dove stare, qui non c'è alloggio per voi.»

Dasha non aspettò neanche un cenno della donna prima di andare via, camminare svelta e uscire fuori, per prendere un po' d'aria.

Chissà se quelle persone sarebbero mai tornate a casa, un giorno.

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