Capitolo 33

33.

Promessae distrazioni

Nicholas Johnson aveva spostato l'attenzione dalla tomba sulla quale mi era sembrato parlasse, e mi rivolse uno sguardo spaventato e al tempo stesso colpevole.

Il vampiro sussultò vistosamente muovendo insieme spalle e lingua in un connubio di suoni e gesti inarticolati.

«P-p-perdonami, era t-t-tutto tranquillo e i-i-io...»

«La colpa è solo mia, ti ho interrotto mentre parlavi alla...», tomba?, avrei voluto dire, ma quando mi avvicinai al mio amico, e in base a ciò che lessi dalla corta effige incisa sulla pietra grigia, mi corressi in fretta: «Lilibet Morgan».

"L'amore di Dio Salvatore veglierà sulla tua eterna giovinezza" era ciò che riportava l'elogio, con un ghirigoro di gigli a fare da delicata cornice. Il breve arco di vita della defunta andava dal 1798 al 1815, anni che sentivo particolarmente vicini perché vi avevo vissuto come umana fino a che l'incontro con Mr Benedict Atkins non aveva mutato il corso degli eventi.

Nicholas annuì con un muto cenno del capo e tornò a rivolgersi alla tomba. Chiuse gli occhi per un attimo ed espirò rilassando le spalle. Poi, quando fu pronto parlò: «Ti sembrerà alquanto stupido e forse immaturo», sorrise tra sé acquattandosi al suolo a ginocchia piegate, «ma dopo tante ricerche finalmente l'ho trovata».

Mi chinai al suo fianco incurante dell'abito e mi sforzai di capire cosa stesse significando quel momento alquanto strano.

«Lilibet era colei che sarebbe dovuta diventare mia moglie un giorno».

Frenai per un attimo i miei pensieri.

Qualcosa mi aveva avvinghiato la pancia in una morsa stretta.

«M-m-mi era stata promessa in sposa sin dalla nostra tenera età quando ancora la mia famiglia viveva qui a Londra nel distretto di Knightsbridge».

Soffermai con più senso critico e analitico la mia attenzione su quell'ultimo dettaglio dal vampiro fornitomi. I matrimoni combinati appartenevano a una normale consuetudine ai miei tempi, eppure era in certi ambienti ben diversi, e che io stessa non avevo avuto modo di conoscere, che i fidanzamenti tra famiglie benestanti, con tanto di blasone da sfoggiare, venivano decisi da ambedue le parti della coppia.

«Al contrario di quanto si possa pensare sui matrimoni combinati, ci piacemmo fin da subito. Non credevo di p-p-poter piacere a una ragazza come lei. Q-q-quando ci era permesso di stare assieme il mio nervosismo raggiungeva l-l-livelli altissimi e mi era d-d-difficile controllare la mia balbuzie».

Riscontrai pur io quel dato di fatto trovandomi in perfetto accordo su quanto esplicato. Pensare a Lilibet dava ancora i suoi effetti sul controllo della lingua del ragazzo. Ma vi era un sorriso ad abbellire la linea sottile delle labbra di Nicholas, quel segno inconfutabile di un dolce sentimento di amore sincero mai del tutto dimenticato.

L'aveva amata davvero.

«E i tuoi genitori?», domandai.

«Loro si trovano nel cimitero di Highgate», rispose ma confondendo chiaramente la domanda. Avrei voluto sapere qualcosa di più riguardo il suo passato da umano, esattamente come Lawrence mi aveva tenuto partecipe del suo. Tuttavia, il biondo vampiro parve capire quasi subito - forse decifrando la mia espressione un po' delusa - e con un cenno della mano mi guidò fuori da quel sentiero di lapidi.

«Non s-s-so te, Enya, eppure il vampirismo rappresenta per me una vera e propria maledizione senza rimedio di consolazione», disse tristemente guardando dritto e al contempo con aria lontana.

«Per quanto mi riguarda, il morso che mi è stato inferto dal mio patrigno non ha fatto che giovare alla mia disperata condizione da inferma e, ahimè, prossima alla morte».

Nicholas intonò una risata sguaiata, quasi isterica, «Non quanto quello che il mio stesso padre ha dato a me!».

Rimasi sconcertata.

«È stato lui a conferirmi l'immortalità. Ma allora non sapevo fin da subito cosa mi stesse succedendo».

«E tuo padre ne è stato colpito da chi?»

«Non si è mai saputo», disse lugubre Nicholas. «La cosa certa è che il tutto si è consumato in una sola notte dopo che mio padre ebbe fatto ritorno a Mayfair in seguito una visita al suo club per gentiluomini, il Boodle's club credo si chiamasse».

«Mayfair era il quartiere in cui abitavo in quegli anni», ricordai rievocando la mia vecchia casa nella mente.

«Allora è un vero peccato non averci mai incontrato», commentò il vampiro guardandomi, dopo aver addolcito i suoi tratti.

Gli sorrisi di rimando, improvvisamente imbarazzata da quel suo sguardo trasudante di una certa eloquenza. Il vampiro balbuziente che in spessissime occasioni aveva pareva essere del tutto scomparso, come due personalità ben distinte e impossibilitate a emergere l'una con l'esistenza dell'altra.

Passeggiammo per un nuovo tratto di cimitero, perdendoci tra i monumenti e il silenzio del luogo. Mi sentivo come racchiusa in una bolla senza tempo, il che mi dava sempre una certa serenità.

«Come dicevo, dopo che mio padre tornò a casa quella sera, udii entrambi i miei genitori discutere di qualcosa e pensai riguardasse papà e il suo solito vizietto di alzare un po' il gomito davanti a una bottiglia di brandy in compagnia dei suoi conoscenti del club. F-F-Fin lì tutto tranquillo. Mi addormentai quasi subito fino a che fui risvegliato immediatamente dopo da una cameriera che urlava. Aveva trovato mia madre in una pozza di sangue».

Emisi un mugolio, ma mi sorpresi a scoprire Nicholas in qualche modo non intaccato dal suo stesso racconto. O per lo meno ero ciò che voleva farmi credere.

L'intero suo modo di dare parole al passato era freddo e sbrigativo, niente a che vedere col racconto di Lawrence Holmes e con quel suo particolare stile dettagliato, quasi poetico e così intenso di emozioni. Inoltre non vi erano tentennamenti in quel suo snocciolare parole, a parte qualche strascico di balbuzie che comunque persisteva a mostrarsi come un semplice tratto caratteristico dell'umano che era stato un tempo.

«Qualcuno era entrato dalla finestra, dici?», domandai allarmata.

«Oh, no, ma qualcuno aveva trasformato mio padre durante il tragitto di ritorno a casa. Temo sia stata quella la causa dei rimproveri di mia madre, suppongo si fosse resa conto dei buchi sul collo o del colletto sporco di sangue».

«Tuo padre ha ucciso la tua povera madre!».

«L'ha fatto». Nicholas non mi degnò di un'occhiata stavolta, limitandosi a cogliere da terra un corto rametto e a rigirarselo distrattamente tra le mani.

Aspettai che fosse lui a proseguire e lo affiancai camminandogli vicino fino a raggiungere un'altra volta la casetta di Bob Codafolta; ci avevamo girato in tondo senza neppure accorgercene. Mi fermai dunque per impedire di essere inavvertitamente vista dalla finestra del custode mannaro.

Nicholas mi assecondò gettando via di lato il rametto e poi si mise le mani nelle tasche della giacca.

Rimanemmo lì tra il fruscio del vento freddo che s'insinuava tra le vesti e le fronde, e flebili mi arrivarono alle orecchie le voci calme e amichevoli del custode e il mio patrigno. Nicholas però sovrastò il mio ascolto riacquistando la parola, anche se con un iniziale e ormai tipico farfugliare: «F-f-fu un incendio a uccidere infine mio padre, dopo che mi ebbe morso, è ovvio. Ero riuscito a staccarlo da me in tempo e a colpirlo alla testa con una lampada a olio, e l'incendio si propagò in fretta con lui che si dibatteva a terra».

L'immagine dei due uomini nella casa venne subito spazzata via e rimpiazzata da quella di un altro uomo non più tanto umano come un tempo perché ormai ottenebrato da un'incontrollata smania famelica; un padre di famiglia colpito inconsapevolmente da un destino diabolico, negli occhi una furia animale di chi non sa più riconoscere neppure il suo stesso figlio.

«Riuscii a scappare e n-n-non mi guardai indietro mentre la casa bruciava e così vagai per tutta la notte fino all'alba».

«L'alba? Come hai potuto sopravvivere senza un posto in cui rifugiarti?», domandai allarmata.

Nicholas sorrise di sghembo, sicuro di sé. «L-L-Lilibet è stata la prima persona amica che mi fosse venuta in mente in quel momento, ma era notte fonda e non potevo introdurmi a casa sua senza un invito, men che meno in quelle mie condizioni poco appropriate.

Le stalle mi hanno ospitato fino al mattino, e ci è mancato poco mi scoprissero durante il giorno a seguire. Mi ero subito reso conto che c'era qualcosa che non andava con la luce del sole, gli occhi mi bruciavano al solo figurarmi i suoi raggi nella mente. Oh, a p-p-proposito di stalla, ti chiedo ancora scusa per aver usufruito del rifugio del tuo cavallo. N-n-non sapevo dove altro andare fino a che non fossi ripartito».

Scossi la testa come a scacciare via qualcosa di poca importanza. Ero concentrata su altro. «In che modo hai spiegato a Lilibet-»

«Oh, Enya, lei non lo ha mai saputo», disse mellifluo come a rimproverarmi di una cosa tanto ovvia. «Ricordi l'incendio? Ebbene, tutti mi credettero morto. Lilibet non avrebbe sopportato di vedermi ritornare dalla tomba». Seguì una pausa.

«Per uno come noi non è difficile rassegnarsi, e così eccomi qui. Vagare per tutti questi anni in giro per l'Inghilterra, nascosto nella stiva di navi, mi ha dato modo di scoprire molto altro rispetto a ciò che i miei limiti da umano mi avrebbero imposto».

Lo ascoltai ammaliata ritenendo fosse strano pensare a lui nei panni di un girovago, per lo più assiduo balbuziente sempre un po' impaurito, che vagasse tutto solo per paesi diversi senza una vera e propria meta.

«Ci sono volte in cui l'immortalità può essere noiosa, non lo metto in dubbio, e proprio per questo ho deciso di tornare a Londra e mettermi alla ricerca della tomba di Lilibet, solo non credevo di venire a conoscenza della sua dipartita troppo precoce».

«Dev'essere stato difficile per te».

Nicholas mi scoccò una nuova occhiata, e a labbra serrate annuì lentamente.

«Ma ora che l'ho ritrovata è come se avessi trovato io stesso la pace, il che è davvero insolito per un non-morto, dico bene, Enya?».

«Lo è», risposi. Non sapevo se pur io fossi stata destinata a trovare la mia piace.

«S-s-sono desolato per quello che sto per dire, Enya, potresti dirlo anche a Lawrence da parte mia?». Lo guardai interrogativa mentre prendeva un respiro ed evitava di guardarmi.

«Non ho più motivo di restare qui a Londra. Sto per andarmene via».

La notizia mi lasciò inaspettatamente di stucco.

«Oh... Capisco. E dove te ne andrai?», domandai con distacco cercando di non tradire i miei reali sentimenti.

«Ovunque vorrò! Ho pensato all'Irlanda, sai?», disse, ammiccando con l'intenzione di colpirmi nel personale. D'altronde mi era stato affibbiato un soprannome irlandese da un vampiro un po' bislacco, che si diceva fosse un antenato del famoso Sherlock Holmes, con la passione per i colori di una terra di smeraldo.

Non seppi cosa dire e non avrei potuto neppure se l'avessi voluto. Nicholas dimezzò impercettibilmente la breve distanza che ci separava, io tenni gli occhi fissi e spalancati, come stregati da tale attimo che ne seguì. Una mano del giovane corse a sfiorare la mia, e poi quel che accadde non riuscii in alcun modo a evitarlo, rimanendo fissa sulle mie gambe, stagliata su un sfondo dentro cui foglie, vento e tempo parevano essersi congelati perché tramutati in elementi secondari a far da cornice al vero fulcro del soggetto ritratto.

L'immaginaria tela, che così si riempiva di nere e bluastre pennellate, intrappolò dentro sé l'atto magico ed eterno del mio primo bacio, con le ombre delle tombe che a taluni sarebbero parse di macabro gusto, ma che a me, che d'abitudini tetre convivevo da tempi lontani, seducevano e incantavano, da perfetta creatura della notte qual ero.

L'impaccio delle labbra tra noi sopraggiunse poi però troppo in fretta, Nicholas per primo parve risentirne cosicché ci staccammo lentamente senza avere il coraggio di guardarci negli occhi. Riuscii a riacquistare il mio solito buon senso solo grazie al pensiero di mio padre che avrebbe potuto scoprirmi in tale inadeguato atteggiamento; dopotutto, si trovava solo a una manciata di metri di distanza dalla mia posizione neanche tanto strategicamente nascosta. Ero stata indicibilmente sconsiderata.

L'imbarazzo non mi abbandonò, lo stesso che invece sfumò dal vampiro il quale sorrise a trentadue denti come se un attimo prima niente di tutto quello fosse mai accaduto. Giudicai quel suo comportamento oltremodo strambo come pure affascinante. Lawrence non era il solo ad appiopparsi una certa ammirazione da mia parte, le stranezze erano ormai prerogative costanti nella mia duratura esistenza.

«È il m-m-momento di andare via».

Non trovai cosa ribattere e non feci nulla per fermarlo se non buttarmi su una domanda che in quel momento mi sembrò la più normale, anche se di normale non vi era proprio nulla.

«Tu sei davvero sicuro di aver visto gli zombie aggirarsi nel cimitero durante la notte dell'arresto di Bob, e nessun altro?», chiaro riferimento alla stessa notte relativa al nostro primo incontro.

«Ne sono c-c-certo», ribadì con convinzione, «ma lo stesso non posso affermare del loro coinvolgimento n-n-nella faccenda delle zucche». Di quello ero ben certa al suo stesso modo e la cosa mi colpì non poco. Mi piaceva constatare come qualcun altro mi dimostrasse manforte nel presupporre l'innocenza della piccola famigliola Moore. In quello Nicholas si dimostrava giusto e rispettoso come pochi. Lawrence era ancora di tutt'altro parere.

«Oh, e proposito delle mie ricerche, Enya... Sono stato io a richiamare l'attenzione del custode durante la prima notte in cui è successo tutto quanto; l'ho fatto per poterlo distrarre e riuscire così a entrare indisturbato nel cimitero».

Una lampadina mi si accese nella testa. Riuscivo a spiegarmi il motivo delle varie presenze di Nicholas tra quelle tombe, ma pure la dinamica raccontata dallo stesso licantropo dell'essersi visto costretto a lasciare per un attimo il suo posto di guardia e andare a controllare da dov'è che provenisse quello strano rumore di cui aveva parlato. «Non è più un mistero, dunque! Ora sappiamo il che cosa ha portato il custode ad allontanarsi mentre il colpevole si riteneva libero di occuparsi del primo cadavere relativo alla vecchia signora!».

«Be', sì... S-s-se non fosse stato per me però...»

«Non dartene una colpa. È un bene che tu mi abbia rivelato un dettaglio simile. Lawrence direbbe che all'interno di un'indagine ogni dettaglio risulta utilissimo».

Soddisfatta e ancora un bel po' frastornata per il ricordo nebuloso delle labbra morbide del mio amico sulle mie fui distratta dalla voci dei due uomini uscenti dalla casa.

«Bene, Enya, ti saluto. È stato per me un piacere e un onore conoscerti, chissà che un giorno non ci rincontreremo».

Ero lì lì per rivolgermi a Nicholas mentre osservavo mio padre salutare con un gesto della mano il signor Codafolta, lasciandolo dritto e a braccia incrociate sulla soglia, ma quando mi voltai Nicholas era sparito.

Mr Atkins mi venne in contro e dovette notare la mia aria di evidente smarrimento perché si guardò intorno come alla ricerca dello stesso vampiro biondo. Mi chiesi se sapesse.

«Com'è andata dal signor Codafolta?»

«Direi che è stato molto... illuminante!». Sorrise, poi mi porse il braccio che io agguantai riacquistando nonchalance. «Torniamo a casa, figlia mia».

Gli sorrisi a mia volta e aumentai un po' di più la presa sul tessuto della sua giacca, quindi prendemmo lentamente la marcia verso l'uscita del cimitero, entrambi ignari dei pensieri che fluttuavano sulle teste di ognuno.

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