Capitolo 32

32.

Foglie sciupate, bella Miss e interrogatori


Durante l'intero giorno che seguì non riuscii a prendere sonno, e neppure la lettura di un libro servì a distrarmi dal pensiero sempre fisso che mi tamburellava nella testa.

L'ultima notizia di cui la stampa aveva fatto presente la diceva assai lunga sul presunto responsabile dell'orribile ritrovamento della sfortunata zingara a opera di un probabile animale quanto più somigliante a un lupo feroce.

Bob Codafolta poteva essere stato scagionato da Sherlock Holmes in persona per quanto riguardava l'omicidio del dottor Frank Pickford, ma chi poteva eliminarlo da ogni sospetto su quell'ultima inquietante vicenda quando ogni dettaglio riportato dalla cronaca remava contro di lui? Lui, le cui uniche, ma sufficienti, prove per incastrarlo erano un paio di zampe artigliose e letali e un echeggiante ululato, udito nella notte persino dagli stessi esseri umani imparentati con la vittima.

A un tratto, un minuscolo tassello vagante nella mia testa, e che per tutta la giornata ormai passata mi aveva indotto a pormi domande, tornò al giusto posto concedendomi una spicciola risposta rispetto a tutte le altre che bramavo e su cui in quel momento non sentivo di poterne venire a capo.

Capivo finalmente il motivo dello strano e sospettoso comportamento di Lawrence nei riguardi proprio del custode del cimitero. Sospettoso in tutti i sensi! Del resto, il mio amico era già a conoscenza di quanto riportato sul giornale, lo stesso che, fin dal nostro incontro di quella sera, aveva tentato di tirare fuori dalle sue tasche e spiattellarmi sotto al naso. E se a ciò vi si aggiungeva la dura supposizione avanzata dalla ragazza fantasma, andava a finire che pur io, esattamente come il giovane Holmes, sentivo di non potermi più fidare fino in fondo di Bob.

Fu con questo continuo andirivieni per la mia stanza oscurata dai pesanti tendaggi chiusi, che le ore scivolarono finalmente via, e con esse anche il sole, che calò con gradito anticipo dovuto all'accorciarsi di un giorno tipicamente invernale.

Capirete dunque, lettori, come la mia preferenza pendeva inevitabilmente sulla fredda stagione grazie alla quale mi era permesso di usufruire di alcune ore di buio in più.

Dopo la mia consueta toeletta serale, che in quell'occasione prevedeva uno chignon piuttosto rigido sulla testa e un vestito dalle maniche a sbuffo a cui faceva da contrasto una gonna dalle linee semplici e dritte, indossai il mio scuro mantello e mi misi sotto braccio la cesta da cui sporgevano testoline di bimbette fatte di stoffa e segatura. 

D'improvviso un urletto acuto risuonò sia fuori che dentro il cottage, e ciò mi spinse a fiondarmi fuori dalla stanza e poi giù dalle scale e a incappare in mio padre che, allarmato quanto me, si diresse veloce all'ingresso.

Raggiunsi il giardino assieme al vampiro, e la scena che ci apparve davanti non poté che risultare alquanto irreale: mia madre, posta in ginocchio tra l'erba, lamentava un forte rammarico nei riguardi di alcune piccole foglioline raggrinzite sui suoi palmi diafani.

«Hanno rovinato le mie piantine! Tutto il mio lavoro rovinato dai soliti conigli!», ripeteva con indignazione la donna tanto che toccò a mio padre cingerla per le spalle e tentare di calmarla.

«Su, mia cara Annie, in compenso ne sono rimaste intatte ancora molte, guarda lì».

«E non è stata opera di Basil, stavolta», aggiunsi io prendendo le difese del mio topolino.

Ma mia madre non ne volle saper ragione, ritornando a invocare a tono offeso tutto il suo disappunto verso il colpevole.

Da mia parte, cercare di dare una parvenza di indifferenza ai miei possibili sospetti diveniva cosa non facile quando deducevo fin troppo bene quale presunto animale fosse stato a calpestare quella parte di orticello posto proprio sotto alla mia finestra. Lawrence non doveva aver prestato particolare attenzione nel momento in cui si era arrampicato di soppiatto su per la parete per raggiungere il mio davanzale.

«Sono completamente sciupati! Sarà meglio spostarli da qualche altra parte del giardino».

«Non metterti fretta, mia cara Annie, mi occuperò io delle offerte di beneficienza... Be', io e Nerissa».

Mi scoprii a osservare sconcertata dapprima mia madre poi il mio patrigno, il quale non pareva in alcun modo scalfito dalle nostre due occhiate sorprese.

«Tu, Benedict, caro?», gli si rivolse mia madre con tanto d'occhi e un labbrino da neonato piagnucolante, che rendeva il tutto ancora più farsesco.

«Sai bene, Annie, che ogni scusa è buona per non resistere al richiamo della nostra fumosa Londra», assicurò l'uomo con totale convincimento che alla fine la riccia Annabel dovette cedere il suo posto al suo compagno.

Così, armati di ceste e mantelli (quello nero, in aggiunto al cappello a cilindro, di mio padre riusciva a conferire all'uomo un aspetto aristocratico e affascinante come pochi) partimmo verso la grigia capitale lasciando che il trottare di Gilbert coprisse il rumore dei pensieri.

«Quella faccia riesce a rivelarmi dei retroscena alquanto curiosi, ma chère, o forse dovrei dire Enya?».

Sussultai come scossa da uno scossone causato delle ruote del carretto, ma rivelai una faccia che voleva rasentare l'innocenza fatta a vampiro.

«Non è nulla, papà. Ero solo sovrappensiero».

«Se sapessi risponderti a rima lo farei volentieri, sai? Ma forse Lawrence saprebbe farlo meglio. Le improvvisazioni sono il suo forte, dico bene?».

Annuii con un accenno di sorriso, ma stando molto attenta a non guardarlo dritto in viso. Non volevo in alcun modo che proprio lui si accorgesse di tutto quello che mi passava per la testa. Era sempre molto bravo a capire le persone.

«Davvero un gran bravo ragazzo Lawrence. Anche quel tuo nuovo amichetto biondo possiede un certo non so che, e vanta tante qualità nascoste...».

Sorrisi ancora malcelando il mio imbarazzo. Era chiaro che mio padre non tentasse di nascondere nemmeno un po' la fatidica domanda che sapevo sarebbe presto giunta e che riguardava per l'appunto Nicholas e quel suo incredibile talento consistente non tanto per il violino quanto nel ballare. Iniziavo a credere fosse stato ciò il motivo che aveva convinto Mr Atkins a sostituire mia madre in quella missione benefica.

«Sono entrambi molto affidabili», dissi semplicemente e provocando nell'uomo al mio fianco in cassetta un accesso di risata spontaneo a causa del mio, forse troppo, ingenuo tentativo di sorvolare sopra al suo discorso.

«Oh, non ne dubito, ma credo che a tua madre la cosa non vada particolarmente a genio, e quella storia sulla licantropia del Signor Codafolta deve averle fatto arricciare ancora di più i capelli».

Stavolta la risata fu la mia alla quale si accompagnò anche quella squillante del vampiro.

Mi beai tra quelle note allegre che si perdevano nell'aria fredda e ventosa della sera, cosicché fui sul punto di confessargli ogni cosa tanto il momento di complicità padre-figlia lo permetteva. Se da un fronte però la paura di dirgli proprio tutto mi impediva di farlo, pensai anche non gli avrebbe causato particolare scompiglio venire a conoscenza di fatti che avrei anche potuto distorcere a mio piacimento.

«Avevi ragione, papà. In realtà non riesco a non pensare che a Bob Codafolta...», confessai alla fine.

«Che succede?», domandò mio padre con una certa urgenza.

«Hai mai pensato che durante le ultime notti di luna piena Bob potesse aver nociuto a qualcuno incappato malauguratamente nel suo cammino?».

Mio padre quasi sobbalzò dal sedile. «Santo cielo! Non era forse stato scagionato da ogni accusa?»

«Quello riguarda l'omicidio del dottor Frank Pickford e ha niente a che vedere con la sua licantropia. Di queste ultime notizie si parlava sul giornale, a quanto pare. Lawrence dice che suo padre ne porta sempre uno a casa». Mi lasciai scappare quella piccola bugia; era già abbastanza strano che un vampiro centenario come Lawrence non avesse ancora imparato destreggiarsi col suo violino, cosa ancor più eccelsa sarebbe stata confidare della smania del mio amico di raccattare per le strade ritagli di notizie su omicidi e Sherlock Holmes, il suo più grande idolo.

«Lo ha riportato la stampa? Bob ha fatto una strage?», domandò allarmato mio padre spostando a scatti lo sguardo dalla strada a me.

«Un'umana... Una zingara facente parte di una carovana accampata da qualche giorno qui vicino. Pare sia stata ritrovata in condizioni tali da permettere alla polizia di additarlo come l'opera di una bestia feroce, un lupo per l'appunto. Inoltre, i restanti zingari dicono di aver udito degli ululati quella stessa notte».

Benedict tacque e tornò a puntare gli occhi azzurri sulla strada così da permettermi di osservare quella sua nuova espressione pensosa e affascinante mentre teneva saldamente le redini di Gilbert.

«È un gran bel guaio se così fosse. Pover'uomo...»

«Credo che sia meglio per lui non saperlo, a meno che non abbia già letto la notizia da qualche parte. Non sembra un gran lettore di quotidiani», dissi per poi farmi più vicina al mio patrigno, e insieme proseguire silenziosi al trotto costante di Gilbert, ognuno immerso nei propri pensieri.

☪️

Il carretto trainato da Gilbert si fece largo tra il via vai di londinesi che si affaccendavano quella sera e accostò sul lato destro del marciapiede.

Mio padre mi lasciò dunque le redini, saltò giù con un saltello e recuperò la cesta con le bambole da donare al medesimo orfanotrofio che lì dinanzi a noi si ergeva grigio e cupo.

«Temo che dovrai attendere qui, ma chère. Gilbert può essere una preda piuttosto appetibile», confermò il vampiro. «Ma sta' attenta».

Mi guardai intorno, facendo scivolare lo sguardo da un viso all'altro di quei molti cittadini, alcuni dei quali, e nel particolare un paio di signori con indosso delle vesti piuttosto cenciose, riserbava già a Gilbert e all'intero carro sguardi di acceso interesse. Dovetti dunque attestare la veridicità di tal consiglio, e sperai che a nessuno di quelli venisse in mente di avvicinarsi più del dovuto.

Lasciai così che fosse il mio patrigno a occuparsi della cesta mentre io me ne restavo a cassetta col cappuccio del mantello a coprirmi la testa. Chissà se sapesse sul serio in che modo funzionasse la leva, di solito certi aspetti del lavoro riguardavano mia madre, Mr Benedict Atkins aveva solo l'incarico di farle da diligente accompagnatore.

Prima però pensai bene di richiamare il vampiro per permettermi di privare il suo bottino di una bambola in particolare, quella mancante ancora di dettagli e che avevo sbadatamente dimenticato tra le altre. Chiunque avrebbe giudicato quel balocco la bambola meno bambola che si fosse mai vista in tutta la storia della civiltà umana. Non che tutte le altre fossero più belle e aggraziate, con le loro testoline troppo grosse e gli occhietti strabici dati da due bottoni di grandezze differenti e che minacciavano di venir via a causa della mia ancora ben attestata incompetenza nel cucito. In fatto di apprendimento non ero tanto meno diversa da Lawrence, dovevo ammetterlo.

«Siete voi», si pronunciò tutt'a un tratto una vocina che non ebbi difficoltà a ben udire, proveniente da qualche parte in quella fiumana dinamica di gente.

«Sì, dico a voi, miss!».

Scrutai curiosa tra il costante via vai di umani e carrozze fino a quando il muro di corpi non si diramò quel tanto che bastava a lasciar libero uno scorcio di spazio dentro cui una figura ricoperta di vari strati di tessuto malconcio guardava dritto verso di me. La sciarpa di lana grezza indossata, che sembrava molto ruvida al tatto e che copriva per metà il viso roseo della giovane fanciulla, non bastava tuttavia a nasconderne l'identità, perché ricordavo chiaramente dove l'avessi già vista.

Non risposi al suo raggiante sorriso né feci alcun cenno che la invitasse ad avvicinarsi. Invece, abbassai la mia testa sul manto grigio di Gilbert fingendo il più totale disinteresse.

Ciò non servì che a spronare ulteriormente la mendicante di fiori, che scoprii corrermi in contro mentre dal basso mi chiamava a gran voce per sovrastare il brusio della gente tutt'intorno.

«Miss, finalmente vi rivedo! Mi riconoscete? Voi mi avete salvata!».

Girai il collo dall'altra parte tentando di mostrarle noncuranza e, insieme, per cercare con lo sguardo il mio patrigno intento a ritornare da me e Gilbert a passo lento e disinvolto.

«Miss, volevo solo ringraziarvi, io... io non ho avuto l'occasione di farlo quella notte», continuò imperterrita l'umana allungandosi in alto sul fianco del cavallo.

Con un salto frettoloso atterrai giù e afferrai, sebbene con garbo, la ragazza dalle spalle spingendola a seguirmi sul retro del carretto. Adocchiai con certa ansia Mr Atkins sperando trattenesse ancora un po' il suo passo quel tanto che bastava a non accorgersi dell'umana. Non avrebbe di sicuro avuto niente da obiettare se solo quella giovane avesse smesso di urlare a gran voce dando adito alla vicenda che ci aveva viste entrambe protagoniste: difenderla dalle spire cattive di un gruppetto di ladruncoli scapestrati rischiando quasi di perdere il mio autocontrollo. Se solo mio padre lo fosse venuto a scoprire non so fino a che punto sarebbe stato comprensibile.

La ragazza mi osservava come urtata e spaventata al tempo stesso, e io mi chiesi se ciò fosse dovuto a un ipotetico suo sospetto circa la mia reale identità. La sfortunata notte dell'incidente, ero sicura, il mio strambo comportamento non era certamente passato inosservato, come pure i miei canini che s'allungavano più del dovuto perché spinti dalla brama di azzannare gli aggressori.

La guardai teneramente negli occhi scuri e cercai di rimediare al mio ingiusto trattamento; dopotutto era lì per dirmi grazie.

«Non c'è bisogno di ringraziarmi, ero lì per caso e ho ritenuto opportuno giungere in tuo soccorso... Ciononostante, il merito è tutto da dare al cocchiere che, grazie a Dio, era lì ed è riuscito a calmare gli animi di quei maramaldi».

La piccola venditrice di strada sembrò crederci ma ritenne doveroso regalarmi un bel sorriso candido.

Prima però che potesse aprire bocca e attirare l'attenzione di mio padre, acciuffai la brutta bambola che tenevo per una gambetta grassoccia e la spinsi tra le braccia dell'umana.

Non mi fu permesso tuttavia di cambiare idea sul piccolo fantoccio e domandarmi se fosse realmente degno di finire tra le mani di una bimba, perché già il capo sormontato dal cilindro di mio padre sbucava da quel lato del carretto chiedendo curioso: «Che succede qui dietro?».

Allora, presa da un nervosismo decisamente insolito per un vampiro, pronunciai a voce gracchiante: «Ecco, prendine una! Facciamo parte di una società benefica che si occupa della creazione di bambole e coperte. Prendila, è tutta tua!», spronai la giovane ad accettare in tutta fretta la bambola senza chiedermi per davvero se fosse quello il caso, se quella bimbetta dal visetto tondo e protetto dal freddo da indumenti non poi così lussuosi riversasse, così come sospettavo, in uno stato di assoluta povertà.

«Oh... Vi ringrazio, bella Miss! La terrò sempre con me, promesso!», si rallegrò la suddetta, con le guance arrossate. «Che Dio vi benedica! Oh, il mio nome è Margareth!».

«Che Dio benedica te, Margareth», replicò il mio patrigno, scoccandole un sorriso ammiccante a cui l'umana non fu in grado di non ridacchiare.

Così, mentre guardavo la figurina tornare a mischiarsi tra la folla stringendo a sé soddisfatta il mio regalo, sospirai di sollievo quando risedetti a cassetta al fianco di mio padre.

Sorrisi rincuorata all'indirizzo dell'uomo per essere riuscita a districarmi da una situazione tanto scomoda, e ancora una volta riprenderemmo la marcia come se l'umana venditrice di cui adesso conoscevo il nome non fosse mai incappata sul nostro cammino. 

☪️

Lungo la via del ritorno verso casa, mio padre volle interessarsi più a fondo alla vicenda che vedeva coinvolto il signor Codafolta, e mi pose domande alle quali risposi semplicemente in base a quei pochi indizi di cui avevo letto sul giornale. Ne sapevo tanto quanto lui, e inutile è ammettere quanto il desiderio di scavare più a fondo fosse per me forte e irresistibile.

Ciò che mi sorprese, una volta poi giunti al limitare del vialetto d'accesso alla nostra dimora dei dormienti, fu la decisione del mio patrigno vampiro di comandare Gilbert a proseguire oltre, per riagganciarsi al largo sentiero maestro fiancheggiato dalla vasta campagna oscura.

L'uomo intuì la mia muta domanda e allora spiegò: «Ho proprio voglia di fare due chiacchiere col nostro amico custode, non ti dispiace, vero?».

«Assolutamente no», sostenni.

Il suo sguardo distaccato e al tempo stesso preoccupato la diceva molto lunga circa il proprio grado di attenzione che riserbava alla faccenda del licantropo, ma c'era pure qualcos'altro a solcargli la fronte appena contratta e segnata da poche rughette destinate a rimanere le stesse nel tempo, e che rammentava lo stesso sentimento di diffidenza e sospetto che spesso leggevo negli occhi di Lawrence.

In quel momento fui sicura che un nuovo membro di non-morti fosse entrato indirettamente a far parte della nostra piccola combriccola investigativa.

Il cavallo fermò il suo trottare una volta arrivati di fronte alla larga cancellata del cimitero; quasi ad attenderci, il custode dei morti si apprestava a raggiungere l'entrata principale per adempiere al suo giro solito di chiusura serale.

«Uhm, visitatori tardivi, eh!», esclamò affabilmente Bob Codafolta dall'altra parte dell'ingresso, tra le grosse mani un mazzo di chiavi tintinnanti. «Che ci fanno il signore e la signorinella Atkins qui? Siete forse venuti a trovare i vostri trapassati congiunti oppure siete in vena di interrogatori?». La domanda era indirizzata chiaramente a me, ma Bob si prodigò di rimanere sul vago e gli fui grata per quell'atto di gentile discrezione.

Optai comunque per la seconda, Bob sapeva bene non ci fossero nostri defunti a dimorare nel proprio cimitero. Nessuno di noi Atkins lo aveva mai frequentato per tale motivo. Scappatelle saltuarie si riferivano a quelle che io e Lawrence eravamo soliti fare per un nostro personale diletto deduttivo.

«In realtà, signor Jones, mi piacerebbe intrattenere quattro chiacchiere con voi, se non vi è di troppo disturbo», spiegò mio padre sfoggiando uno dei soliti sorrisi accomodanti che doveva aver fin da subito incantato anche mia madre. Il medesimo effetto subì lo stesso custode il quale accettò senza pensarci minimamente su.

Ci immergemmo così nel camposanto; non c'era stato bisogno di scavalcare cosicché il mio abitino all'ultima moda inglese non rischiò di subire dei danni.

«Come va in quest'ultimo periodo? Non è stato difficile per la mia famiglia venire a conoscenza dei fatti che ha colpito il vostro cimitero oltre che i vostri stessi personali riguardi». Parlò papà con tono rammaricato.

Bob, che ci camminava davanti un po' curvo, irrigidì tutt'a un tratto la schiena e mugugnò un sospiro infelice. «Mi sembra di vivere un incubo a occhi aperti, Mr Atkins, parola di mannaro. Tutto quello che è successo ai danni di quei poveri cadaveri e quello che forse potrei aver fatto io a quella zingara...».

Dunque lo sapeva.

«Vi prego di non incolparvi su quei scabrosi trafugamenti. Non avete colpe per quello», lo incoraggiò il vampiro, tuttavia credetti di avervi letto qualcosa di più di un solo tentativo di conforto, come se invece avrebbe voluto fargli intendere che la sua unica e vera colpa ricadeva davvero sull'uccisione dell'umana ritrovata brutalmente assassinata.

«... La polizia è venuta qui stamane a domandarmi se potevo aver sentito qualcosa durante quella notte, e ho dovuto mentire. Come potevo ammettere davanti a quelle sanguisughe – passatemi la parola – di aver udito gli ululati di cui parlano in molti, se quella bestia ero proprio io. Era come scavarmi una fossa da me, sennò».

«Oh sì, avete agito bene. Nessun essere umano deve in qualche modo sospettare di voi. Significherebbe mettere in pericolo ognuno di noi. Comprenderete bene i nostri timori, Jones».

Adesso capivo ciò a cui mio padre mirava sin dall'inizio della sua decisione di raggiungere il camposanto e intavolare un discorso con Bob Codafolta.

«Be', vero, signore. È giusto», ammise il secondo uomo con non poco tentennamento che lo costrinse a fermarsi di colpo per guardare attentamente mio padre. Se fossi stata nei panni del custode avrei confuso quelle parole per un vero e proprio avvertimento.

Benedict Atkins non era mai stato un uomo meschino, fin dagli albori del nostro primo incontro si era sempre dimostrato di parola e trasmettitore di fiducia e bontà d'animo, perciò non riuscivo a rimproverargli quel suo nuovo atteggiamento di difesa assunto per la tutela mia e di mia madre. Salvaguardare il segreto della nostra specie era considerato come il più alto proposito per noi esseri immortali, ed io c'ero dentro senza possibilità di replicare su ciò che potesse essere giusto o sbagliato in quel delicatissimo momento.

Proseguimmo più in là verso il piccolo edificio in cui dimorava il guardiano durante le sue ore in cui si asteneva dal proprio lavoro: una minuscola e bassa casetta costruita interamente in pietra e che pareva a mal la pena ospitare un paio di persone. La costruzione si ergeva in uno spazio di terreno sgombro da tombe, ma quelle, a pochi metri di distanza, tornavano a far capolino più lugubri e nere che mai.

«Nerissa, ti andrebbe di aspettare fuori, nel mentre che io e il cordialissimo signor Jones discutiamo di alcune questioni?».

«Vorrei proporvi una tazza di tè, ma in base alle circostanze...», intonò una rauca risata il licantropo.

Da mia parte annuii docilmente senza lasciare che il mio disaccordo risultasse troppo evidente. «Certamente, papà. Io mi aggirerò nei dintorni».

Dopodiché, lasciai i due uomini oltrepassare la soglia bassa e mi diressi lungo un sentiero fiancheggiato da alti salici piangenti, le cui ombre allungate prendevano le sembianze di tante braccia scheletriche pronte a ghermire chiunque al suo passaggio.

Girovagai per un bel po' allontanandomi mio malgrado dal luogo in cui vampiro e licantropo erano intenti a dirsi chissà cosa a mia insaputa. Sarei potuta restare a origliare dalla finestra, tuttavia vi era il rischio che mio padre mi avrebbe scoperta.

Oltrepassai una serie di spiazzi di terra non ancora utilizzata finché, non da molto lontano, una serie di sussurri concitati mi giunsero alle orecchie, forte e chiaro quanto il tubare riecheggiante di una civetta nascosta da qualche parte sugli alberi.

Spinta dalla curiosità, mi portai a raggirarmi nell'intrigo di lapidi e statue di angeli raccolti in preghiera, per poi riconoscere un ciuffo di capelli biondi e scompigliati dal vento che sbucava da un muretto fatto di tombe. Non potei vedere la figura per intera né chi fosse il suo diretto interlocutore.

«Non dovrai fare altro che aspettare, dopodiché tornerò qui da te e potremo stare insieme per sempre. Te lo prometto».

«Nicholas», mormorai, e quello si rialzò scattante come un felino voltandosi verso di me con la tipica espressione allarmata di chi viene scoperto a farne una delle sue.

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