Capitolo 31
31.
Seconda scelta, zingara e belva feroce
«Com'è possibile?», si domandò Lawrence, seduto in poltrona con le gambe accavallate mentre io, al contrario, non riuscivo a stare ferma neppure per un secondo.
In quegli stessi frangenti dall'altra parte della casa una musica costante e scaturita rispettivamente da un pianoforte e da un violino giungeva a riempire le pareti del salotto dentro cui ci trovavamo. L'incalzante susseguirsi di note, che oramai andava avanti dal momento in cui mia madre aveva aperto la soglia non soltanto alla propria figlia bensì anche a due intimiditi vampiri dai vestiti troppo zuppi di pioggia, provocò per l'ennesima volta in Lawrence un imbranamento momentaneo; ciò consisteva nel bloccarsi di punto in bianco a mo' di una statua e restare a fissare l'alone aranciato sprigionato dal camino, come rapito intanto dalla bellezza decisamente ipnotica del duetto musicale che vi era in corso.
«Ehm, cosa stavamo dicendo?», riprese poi dopo la terza o quarta volta, tossicchiando imbarazzato per la pausa a cui era stato costretto a sottostare.
Il motivo lampante era da ricercarsi nella sola e unica circostanza che vedeva il balbuziente Nicholas Johnson alle prese con una melodia di violino. Le sue corde, a quanto pareva, non farfugliavano come la sua lingua, e di questo Lawrence dovette rimanerne un bel po' sbalordito e invidioso.
«La misteriosa liberazione di Bob dalla sua cripta, Lawrence, e il come sia stato possibile che lo spirito di una ragazza morta si sia mostrato a noi», ricordai prontamente io facendo il punto del discorso.
«Giusto. Sì, be'... Io... Io non riesco a capire», sospirò frustrato il ragazzo con la fronte aggrottata e strizzando forte gli occhi, come se lo sforzo potesse aiutarlo a pensare meglio.
Intanto mi arovellai pur io giungendo infine a una sola spiegazione possibile: «Mi fa pensare che probabilmente la morte stessa sia ciò che serve a creare il nesso necessario tra il nostro mondo e quello dei defunti... Un tempo eravamo degli umani, e siamo morti in un certo senso... Forse è per questo che siamo stati in grado di vederlo, oppure semplicemente capita molto di rado che un certo defunto senta il bisogno di mettersi in contatto con uno di noi, vampiri o umani non importa, al fine di renderci partecipi di un messaggio importante».
«Be', se è così lo credo. Non penso proprio che un defunto qualunque vada a spifferare al primo che gli capita a tiro una cosa tanto specifica e accusatoria», commentò Lawrence lasciandosi andare contro lo schienale della poltrona di mio padre.
Il suo cappotto gocciolante e steso alla meglio su di una sedia davanti al fuoco formava una macchia sul tappeto che a mia madre non era ancora venuto in mente di rimproverare. Annabel aveva preso piuttosto bene la presenza del mio amico in casa propria e, come fosse stato il proprio figlio, aveva riempito Lawrence di premure e attenzioni al fine di asciugarlo alla meglio, fradicio e simile a un pulcino com'era. E ora il mio rabbuiato amico sedeva infagottato in una grande coperta di lana coi piedi nudi a sbucargli timidamente dall'orlo.
Io stessa avevo dovuto cambiarmi d'abito sotto ordine della rossa Annabel, eppure non mi sento di affermare di aver ricevuto un tale premuroso trattamento come lo era invece stato per Lawrence.
Qualcosa il precedente soggiorno del ragazzo nel nostro cottage aveva contribuito a far nascere tra lui e mia madre, e che molto si avvicinava a un affetto decisamente materno.
Così, mentre l'una si affaccendava a viziare il primo ospite, ugualmente il mio patrigno si premuniva di mostrare al secondo, Nicholas, un lunghissimo repertorio di spartiti, decidendo pure di impartirgli qualche lezione intrattenendo l'intera casa con un duetto.
«Il fantasma mi è sembrato alquanto eloquente, non trovi?», avanzai parandomi di fronte a Lawrence a braccia incrociate.
«La questione degli zombie», confermò Holmes corrucciando pensieroso lo sguardo ma ottenendo come risultato un'apparenza ancor più teneramente infantile. «Se davvero dobbiamo supporre siano loro i colpevoli, per lo meno delle zucche sostituite alle teste dei defunti riesumati dalle loro bare, ecco spiegato il motivo di quel loro piano di fuga da Londra! Ricorda cos'ha detto tuo padre a riguardo? E se stessero progettando di fuggire? In fondo li abbiamo sentiti anche noi quella volta!».
Riflettei su quanto da Lawrence enunciato, ma chissà come mai il ricordo del dialogo avvenuto tra i due zombie, padre e figlio, origliato diverse notti prima per le strade buie e losche della città, mi appariva niente più che un vago sogno sbiadito, ciò probabilmente dettato dal mio continuo ostinarmi nel non voler peccare in alcun modo di accusa nei confronti della gentile e altruista famigliola Moore. Insomma, non potevo credere a nessuna di quelle odiose congetture quando proprio per merito degli zombie la mia famiglia aveva fino a quel momento goduto del nutrimento di cui necessitava. Inoltre, qualcos'altro non quadrava.
«Perché una famiglia di creature molto simili a noi altri dovrebbe mettersi coì tanto in mostra per la bellezza di soli due cervelli rubati da un cimitero sorvegliato per lo più, giorno e notte, da un custode come Bob? I cervelli sono l'indizio più lampante per poter accusare i Moore! È una vera e propria arma a doppio taglio per se stessi, Lawrence, questo devi ammetterlo. Non sarebbe lo stesso se un vampiro lasciasse sulla scena del crimine un umano dissanguato e con due buchi da canini appuntiti in bella vista sul collo? Sarebbe come scavarsi la propria tomba da soli rischiando pure di lasciarsi cadere addosso tutte le accuse riguardanti il vampirismo! Chi può dirci che il fantasma non ci stesse semplicemente mentendo?».
Lawrence abbassò lo sguardo incapace di contraddirmi. «Non abbiamo prove in ogni caso, Enya. Ciononostante, non dobbiamo dimenticare la mia teoria secondo la quale qualcuno sta cercando di incastrare il signor Codafolta, qualcuno a conoscenza del rancore riserbato dal licantropo nei confronti del professor Frank Pickford a causa dei suoi crimini passati, e chi meglio degli zombie potrebbe usare la storiella dei cervelli e dunque il conseguente collegamento tra Bob e il ladro di cadaveri come capro espiatorio per poter gironzolare liberi nel cimitero e asportare cervelli a proprio piacimento».
«E se tutta questa storia delle zucche fosse uno stupido scherzo di cattivo gusto? Non è raro che la festa dei morti, assieme ad Halloween e alle sue tradizioni, porti con sé anche un pizzico di pazzia».
«Aprire la testa di due defunti non è cosa da tutti», mi rimproverò secco Lawrence, e io dovetti ritirare tutto quanto e concedergli ragione.
«Per quel che riguarda la liberazione di Bob durante la trasformazione... Ero assieme a Mary e alla sua sorellina Lucy quella notte quando la bestia è emersa dalla cripta. Non avrebbero in alcun modo potuto eludere la tua sorveglianza e conversare con me allo stesso tempo. Tu sei sicuro di non aver visto proprio nulla in quell'esatto frangente?».
Il vampiro scosse piano la testa volgendola poi alle fiamme del camino.
Seguì una pausa, tempo necessario per consentire alle nostre due anime di riavvolgersi al dolce flusso di note delicate del violino maneggiato da Nicholas. Il mio papà aveva smesso di suonare il piano, forse per dar maggiore spazio al suo nuovo allievo.
«A ogni modo, sappiamo almeno che Sherlock Holmes ha ritenuto Bob totalmente innocente. Un motivo in meno per sospettare di lui sull'assassinio del professore universitario».
«Certo, ma siamo così sicuri che sia innocente in tutto e per tutto?», tornò a fronteggiarmi Lawrence con una punta di durezza nella voce.
«Dubiti di Sherlock Holmes?!», esclamai con tanto d'occhi spalancati.
Lawrence si fece piccolo piccolo nella grande coperta. «No... Bè, a proposito di Bob...», iniziò a dire ma fu costretto a interrompersi bruscamente non appena la figura di mia madre si palesò nel salotto reggendo un vassoio d'argento con su perfettamente allineati tre calici riempiti di sangue.
La vampira riccioluta puntò entrambi con aria sospetta, per poi sorriderci affabile mentre avanzava verso il tavolo da pranzo a sistemarvi le bevande.
«Ringraziamo Lawrence e suo padre per questo ben di Dio, mia cara Enya», disse melliflua mia madre con chiaro riferimento al gentilissimo gesto di altruismo attuato dal signor Walker e che consisteva nell'averci regalato diverse scorte di sangue senza pretendere nulla in cambio.
«Forza, ragazzi, servitevi pure», intonò con tono sorprendentemente accomodante, ma dovette quasi rimproverare se stessa scuotendo con disapprovazione il capo ramato una volta accortasi che il suo giovane ospite dovesse raggiungere il proprio calice a piedi nudi.
Non che Lawrence ne fosse impossibilitato in toto, mancante solo di scarpe com'era, eppure la mia bella e preoccupata mamma si prodigò di servirlo direttamente in poltrona riserbandogli un sorriso davvero molto raggiante.
Lawrence ringraziò timidamente tornando a sprofondare come un riccio che si richiuda in se stesso nel suo bozzolo di lana.
In quel momento anche Nicholas si presentò all'appello, come fosse stato attratto dallo stesso odore del sangue, e si servì sotto consiglio di mia madre ringraziandola goffamente.
Spiai di nascosto Lawrence per scoprirlo totalmente assorto nei propri pensieri con le labbra appena bagnate di rosso. Guardava qualcosa all'interno del suo calice con aria alquanto truce e severa. Neppure quando il mio patrigno e suo insegnante di violino si aggregò a noi tutti parve non accorgersi della sua presenza.
Giudicai il mio amico preoccupato o in cruccio per qualcosa che non comprendesse di certo un paio di scarpe umide o un futile sentore di gelosia nei confronti del suo rivale in archetto.
Si leggeva nei suoi occhi una strana luce fioca che bastava a scoraggiarmi dall'intento di chiedergli cosa lo turbasse tanto. E come fin troppo spesso accadeva, lasciai correre, frenata anche per via della presenza più o meno scomoda della mia famiglia, estranea - o quasi - a ciò che riguardasse la nostra indagine o almeno a quella che voleva esserle quanto più simile; non seppi dire se pure Nicholas significasse allo stesso modo qualcuno al quale omettere certi aspetti della bella complicità che sentivo di avervi instaurato con Lawrence. Il biondo vampiro del resto era giunto solo da relativamente poco a entrare a far parte del nostro gruppetto di giovani non-morti ammaliati dal mistero.
Mi voltai a recuperare il mio calice di sangue da cui bevvi un sorso, tuttavia neppure il fresco aroma di una fogliolina di menta, che placida galleggiava sulla rossa superficie, riuscì a nascondere un certo sapore insolitamente diverso dal solito. Allontanai le labbra, assecondando il mio istinto, e soppesai la lingua sul palato per tentare di capirci qualcosa di più.
Nello stesso istante scoprii gli occhi di mia madre puntati addosso in un atteggiamento quasi allarmato e oltretutto severo, il classico atteggiamento materno che vuole rimproverare la propria figlia di cibarsi senza fare storie ed essere quindi un po' più grati e meno schizzinosi.
Tuttavia, scoprii pure Nicholas che, alla mia stessa maniera, frenava una smorfia di scetticismo quasi rischiando di ricacciare indietro nel suo calice il liquido corposo.
«Oh, Nerissa, speravo che la menta camuffasse almeno in parte il sapore...»
«È sangue di mucca», disse Lawrence, riacquistando interesse per ciò che gli stava intorno. Riserbai attenzione al suo viso ora tramutato in un altro che denotava un forte imbarazzo.
«È molto buono, Lawrence», sorrise bonaria mia madre e scoccandomi al contempo un'occhiatina di rimprovero.
«S-s-sì, è molto b-b-buono», concordò anche Nicholas dopo aver ingoiato senza più ripensamenti la bevanda dallo strano sapore.
Tutti a quanto pare – compreso mio padre, che sosteneva gli altri due sfoggiando una placida espressione di complicità – conoscevano il motivo che ancora io ignoravo, sebbene la scoperta fatta sul reale contenuto dei calici avrebbe dovuto lasciarmi sorpresa come pure più attenta a non lasciar trasparire così candidamente la mia reazione all'assaggio.
E invece me ne stetti ferma sulle mie gambe, sperando di non aver offeso Lawrence per via della mia smorfia di non gradimento che in tutta probabilità mi ero lasciata sfuggire, e solo perché non mi era mai capitato di assaporare prima di allora del sangue che non fosse appartenente a un umano.
Mi costrinsi a bere un piccolo sorso e appurai che, prima impressione a parte, l'aroma di sangue di mucca non era poi così cattivo come poteva sembrare. Se avessi dovuto trovargli un difetto, lo avrei giudicato solo meno sostanzioso e ricostituente; in qualche maniera non riuscivo a sorbire la carica vitale necessaria a sconfiggere la sete che in parte mi aveva raggiunta dall'ultima volta che mi ero nutrita.
Il sangue degli umani concedeva un'ebbrezza tale da saziarmi completamente e riportare i miei sensi già prodigiosi a un gradino persino più alto.
Non scherzo affatto col dire che un buon calice di sangue avrebbe anche resuscitato un vampiro affamato di secoli, ridonandogli forza e anche un bel colorito più sano sul volto. Potevo forse aver trovato il motivo per cui lo stesso Lawrence Holmes sfoggiava perennemente su di sé una faccia smunta e dal pallore più accentuato del mio?
Mi dissi di sì guardando la poltrona che ospitava il mio amico la cui timidezza, mista ad impaccio, che prima lo aveva colto, si spense tanto in fretta lasciando nuovamente il posto a un cruccio pensoso, come se per la testa gli fosse passato qualcosa che non poteva per nulla al mondo passare in secondo piano.
☪
La nottata proseguì con il continuo picchiettare della pioggia contro i vetri, attutito dall'interno della casa da un melodico connubio di suoni piacevoli che però si andava ad alternare a qualcos'altro di gracchiante e spaccatimpani, e che in un paio di occasioni fece rabbrividire vistosamente la mia impassibile madre.
Lawrence e le sue numerose occasioni di tornare alla ribalta contro invece le esperte dita di Nicholas, si videro fallire miseramente soprattutto quando il mio patrigno, dall'espressione mortificata, richiese di poter riavere indietro il suo violino Maggini, forse preoccupato che l'archetto sfregato in maniera poco incline a un bravo musicista potesse compromettere le corde del suo delicato strumento.
Dalle nostre postazioni da ascoltatrici, io e mia madre accennammo a un debole applauso di incoraggiamento che Lawrence accettò piuttosto sconfortato prima di tornare a sedersi accanto a Nicholas sulla chaise long posta all'altro capo della sala di musica.
Fu poi il turno di mio padre grazie a cui riuscimmo a godere nuovamente dell'incanto fatto a spartito di una lunga e ritmata sonata che prendeva il titolo, sebbene straziante, di "Una morte innamorata".
Mi persi così in quel sogno di spensierata dolcezza in cui, complici gli sguardi innamorati dei miei due genitori, immaginavo a occhi aperti cosa si provasse nel sentirsi così attratti da un amore destinato a rimanere in eterno nella memoria di due esseri immortali.
Poi, mentre coglievo quel magico filo invisibile che pareva collegare di significati nascosti mio padre e mia madre, mi ritrovai ad accettare quasi barcollando dalla sorpresa la mano fredda, ma dalla presa morbida, di Nicholas, che mi guidò a passo sicuro proprio al centro della grande camera.
Sentivo addosso gli occhi dei restanti presenti, ma per via del mio impaccio sempre più crescente non osai incrociare neppure una volta per sbaglio i loro sguardi accigliati.
Mi concentrai, piuttosto, al fine di drizzare al meglio la schiena e coordinare i miei passi a quelli di Nicholas, il quale si scoprì con mia grande meraviglia essere un più che discreto ballerino. In quelle nuove vesti dentro cui vi scomparivano balbuzie e paure da licantropi inferociti, il mio biondissimo compagno di ballo sorrideva beato, cingendomi stretta a lui per la vita e guidandomi a ritmo di archetto in ampi cerchi leggiadri.
A un tratto, tutto in quella calda e vibrante atmosfera festosa mi convinse che nulla mi avrebbe potuta rendere più felice di così, circondata da persone che amavo e che, pure, stavo pian piano imparando ad accettare come parte integrante della mia vita notturna.
Nicholas era una di quelle, ma dal mio modo di abbandonarmi totalmente ai suoi tocchi decisi, e che rivelavano allo stesso tempo una gentile discrezione, cominciò a farsi strada dentro di me l'idea alquanto frivola che qualcosa di nuovo poteva star nascendo fra le pieghe un po' fredde del mio cuore immortale.
Proseguimmo nella danza ancora immersi in quel piacevole pas de deux lasciando che la stanza ci girasse intorno in un turbinio aranciato e dolcemente ovattato dalle tante candele brucianti contenute in candelabri d'argento, e che tremolavano, un po' come pure la mia anima, al nostro passaggio.
Non seppi dire con certezza dopo quanto tempo la sonata terminò, sapevo soltanto che non appena rialzai lo sguardo sui volti del resto della combriccola trovai mia madre sorridermi teneramente mentre il mio patrigno mi scoccava un'occhiatina emozionata che tentò di camuffare dietro a un colpetto di tosse fin troppo forzato. Invece, seduto zitto zitto come un bambino che si senta estraneo e intimidito da ciò che lo circondi, c'era Lawrence, il quale riabbassò immediatamente il capo dai folti capelli ondulati non appena si accorse che mi voltavo a cercarlo.
«Grazie per aver accettato di ballare, Enya».
«Il piacere è stato mio, Nicholas», risposi accomodante ma rimanendo sul vago perché intimidita da tutte le emozioni che non accennavano ad abbandonarmi anche a ballo terminato.
In seguito, ogni cosa parve scivolarci via così velocemente che già il vecchio orologio a pendolo intonò la fine di un'altra ora, come a ricordarci a mo' di una balia apprensiva che la luna ci avrebbe lasciati di lì a poco per dar spazio al suo compagno sole.
Così in men che non si dica, mia madre si prodigò di controllare personalmente che gli abiti sia di Lawrence che di Nicholas - soprattutto di Lawrence - fossero asciutti, e pensò personalmente a scortare i due ragazzi alla porta senza dimenticarsi delle sue tipiche raccomandazioni sul tornare quanto prima a casa senza troppo cincischiare sulla via del ritorno.
Rimasi ancora un po' sveglia dedicandomi al cucito dei piccoli fantocci di stoffa, affiancando mia madre in giardino in quel suo lavoretto benefico a cui si dedicava assiduamente per le bimbe umane meno fortunate di Londra. Con gli ultimi sprazzi di buio sulle nostre teste cominciò anche a prendere forma tra le mie mani una piccola coperta da donare a una qualsiasi creaturina infreddolita, che fosse umana o animale non importava, con la quale speravo di allietare i giorni gelidi che ne sarebbero presto giunti.
Tornai infine nella mia camera e scattai verso la finestra per sbarrare al più presto le imposte aperte, ma prima che potessi far fronte alla violenta folata di vento che vi entrò mi chinai ad agguantare, e insieme salvare dai dentoni affilati di un curioso Basil, un quadrato di carta ripiegato su se stesso in quattro parti, apparso come per magia sul mio letto a baldacchino. Mi fu subito facile riconoscere la grafia nervosa di Lawrence Holmes, che a inizio pagina informava tramite un appunto a matita:
Ho cercato di dirtelo fin da inizio serata, ma c'era sempre qualcuno ad affiancarci.
Trovai tale affermazione estremamente eloquente, chiaro riferimento al nostro nuovo amico Nicholas Johnson. Potei finanche leggervi tra le righe un certo tono pungente tipico di Holmes.
Immediatamente a capo vi erano inoltre appuntati ben due diversi post scriptum:
P. S.: Sono entrato dalla finestra, tua madre era impegnata col cucito.
P. P. S.: Mi spiace se non ti è parso di tuo gradimento...
Abbassai immediatamente le mie difese provando unsentimento di acerbo dispiacere.
Ripensai al calice colmo di sangue di cui mi ero nutrita poche ore prima nonostante inizialmente non mi avesse in verità convinto a pieno, ma solo perché il retrogusto cangiante dovuto alla diversa specie di appartenenza mi aveva lasciata un tantinello smarrita in quanto da sempre abituata al sapore inconfondibile e ben più afrodisiaco di sangue umano.
Il nutrimento di un vampiro, era risaputo, risiedeva nelle vene prelibate di un essere umano, e da quello dipendeva la piena sopravvivenza della mia specie. Mai prima di allora mi era passato di mente che sarebbe potuta esistere una seconda scelta, d'altronde in quasi cento anni di vampirismo nessuno di noi, mia madre e men che meno io, aveva mai tenuto in considerazione la possibilità di nutrirsi di animali, gli stessi di cui ci preoccupavamo di tenere al calduccio con qualche coperta o che persino ospitavamo nella nostra dimora. Basil ne era l'esempio lampante. Il mio amorevole patrigno si era sempre prodigato di tenere noi tutti in piena forma, trovando espedienti sempre efficaci e che rientrassero nella prospettiva di una rispettosa condotta, sia pure per un non-morto.
Un lusso per noi, dunque. Seconda scelta per Lawrence e suo padre. Questo era ciò che doveva essere stato per lui motivo di vergogna nel momento in cui il mio status di vampira troppo agiata aveva pensato di storcere lingua e naso, incurante del gentile atto di condivisione a cui avevano voluto tener fede il signor Walker e suo figlio.
Con quei pensieri nella testa, mi sedetti sul mio letto, a capo chino sulla pagina di giornale e cominciai a leggere curiosa. Voltai tuttavia presto il foglio spiegazzato dall'altra parte quando mi resi conto che il vivace paragrafetto riservato all'intrattenimento e allo spettacolo non poteva suscitare l'interesse di Lawrence. A quanto pare il circo Barnum & Bailey invitava ancora una volta i londinesi ad assistere a nuovi mirabolanti numeri di prestigio, tra i quali quello di un gigante sputafuoco e di un'orsetta col tutù.
Sulla seconda metà di quella che era una prima pagina vi lessi invece:
THE TIMES
Londra 13 Novembre 1895
A Londra, Scotland Yard è in subbuglio:
scoperto corpo orribilmente mutilato di una giovane zingara appena fuori dalle porte della capitale.
Gli inquirenti pensano all'azione di una belva feroce. Nel frattempo i componenti nomadi della piccola carovana stanziatasi da qualche giorno nella radura vicino alla quale si è protratto lo sfortunato incidente, affermano di aver udito ululati agghiaccianti durante quella stessa notte, ore prima del ritrovamento del corpo avvenuto al sorgere del sole. Nessuno di quelli si era reso conto della misteriosa assenza della giovane vittima.
Un lupo è forse il responsabile di tale gesto cruento?
Servizio dettagliato all'interno.
Saltai giù dal letto spaventando il topino ed esclamando: «È stato Bob!».
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