Capitolo 26

26.

Pelliccia, fiammifero e rime baciate

«Dovete andare via di qui! Mary, prendi Lucy e corri più veloce che puoi!», urlai a gran voce un attimo prima di fiondarmi in avanti e dirigermi verso il sentiero opposto come un cavallo che galoppi sospinto da un vento impetuoso.

Non mi curai della veste che si sollevava nell'aria mostrando molta più caviglia di quanta ne se potesse far scorgere. I defunti ormai morti e sepolti potevano fare a meno di quella mia sconveniente condotta.

In men che non si dica, tornai laddove mi aspettavo di trovare Lawrence Holmes a guardia della vecchia cappella, ma quello con cui mi imbattei e che ora occupava il suo posto superava di molto la mia aspettativa.

Indietreggiai lentamente incapace di abbassare lo sguardo su un altro paio di occhi animaleschi, e per nessun modo di dire. Assottigliati in atteggiamento quasi curioso ma altamente selvaggio, quello che ipotizzai essere Bob Codafolta nella forma di un licantropo completo mi puntò contro le gialle iridi luccicanti per poi soddisfare il proprio interesse sulla bizzarra ragazza che aveva di fronte.

«Law... Lawrence...», mormorai a fatica, priva di ogni qualsivoglia padronanza sul mio corpo da non-morta, freddo, vuoto di vita eppure così tanto ottenebrato dall'emozione che quella creatura scatenava nell'atto di allungarmi contro il suo muso lungo e peloso e alla cui estremità superiore capeggiavano due narici frementi e sbuffanti.

Brontolii gutturali accompagnavano l'insistente fiutarmi del lupo; suoni rauchi parevano nascere da chissà quale meandro profondo infernale di un'anima dannata da una tale maledizione.

«Come... come hai fatto a uscire...», domandai più a me stessa che alla bestia, che altro non era che un'ombra gigantesca su di me. Mai prima di allora, Bob mi era parso tanto alto e possente, e constatai che ciò probabilmente fosse dato dalla folta pelliccia che ricopriva interamente l'uomo lupo, gonfiando irrimediabilmente gambe e braccia e dando dunque una perfetta illusione di misure di gran lunga più sviluppate.

Con la forza della mente sforzai il mio corpo rigido a sciogliersi dal ghiaccio che bloccava le membra, e solo dopo un immane tentativo di volontà impedii alla bestia sempre più vicina di alitarmi a meno di un palmo dal mio viso.

Tuttavia, l'intento coraggioso di sottrarmi a quel dominio finii solo per tramutarmi un'altra volta in un grosso pezzo di granito, come una delle tante lapidi che adornavano la terra del cimitero. Il breve e banale scoppiettio di un rametto rinsecchito sotto la suola di uno dei miei stivaletti altro non fece che provocare l'impulso animale del lupo, il quale mi sorprese ringhiando minaccioso e aizzandomi contro una delle due lunghe zampe anteriori, munita di spessi artigli ricurvi; un atteggiamento violento, il suo, quasi d'indignazione, come a volermi rimproverare per la piccola distrazione subita. Poi, sollevando di scatto il capo aguzzo, sormontato da due piccole orecchie da folletto, dedicò la sua attenzione al cielo nero: un alto e prolungato ululare, lugubre e da far rizzare persino i capelli del non-morto più longevo, venne fuori.

La luna, ora nascosta dalle nubi, era quella alla quale veniva dedicato tale omaggio, e tutto ciò mi portò al paragone con lo strambo Lawrence Holmes e il suo altrettanto strimpellare di violino rivolto lassù in cielo durante il nostro primo incontro notturno. Giusto, Lawrence!

Ben prima che potessi indirizzare la mente sul dove potesse essere finito il vampiro, quello stesso parve leggermi nel pensiero anticipando la risposta al mio quesito.

«Sono qui!!! Dico a voi, signor Codafolta!!! Venite a prendermi, da questa parte!!!». Lawrence Holmes, a qualche metro di distanza, si sbracciava forsennatamente per richiamare l'attenzione del licantropo, e un sospiro di sollievo mi spirò allora dalle labbra. Troppo in fretta, tuttavia, il raccapriccio rimontò con prepotenza su di me, quando poi a una velocità impressionante ciò che rimaneva di Bob il custode ruotò su se stesso per girarsi dall'altra parte e, dunque, dirigersi verso una sola direzione precisa: Lawrence, per l'appunto.

Tutto mutò in un sol battito di ciglia e io mi ritrovai coinvolta, quasi senza alcuna volontà, dentro un inseguimento davvero curioso. Il grosso uomo lupo dietro il quale mi affrettavo a rimanere a sua volta articolava con poca grazia tutti e quattro i propri arti sul selciato pietroso procedendo con ferocia alle spalle del mio amico.

«Corri, Lawrence, corri!!!», incitai squarciando il sacro silenzio del camposanto mentre con un balzo goffo e impacciato superavo un carretto da lavoro già divelto con grande furia al passaggio della bestia. Mancò davvero poco che sentissi la terra mancarmi sotto i piedi e solo per un qualche favore benedetto riagguantai controllo sulle gambe.

Il spasmodico inseguimento si protrasse anche fino alle due alte cancellate che costituivano l'ingresso principale del cimitero, lo stesso che restava adesso aperto e di fronte al quale Lawrence si arrestò inavvertitamente rischiando di farsi quasi piombare addosso il suo inseguitore peloso. Il ragazzo slittò via dalla traiettoria furente dell'essere sbracciandosi un'altra volta e gridando: «Ehi, sono qui, da questa parte!».

Non capii immediatamente il perché del suo atteggiamento finché non mi scoprii a osservare lo sguardo accesso del licantropo, rivolto con quanta intelligente loquacità verso l'uscita di quel luogo di riposo eterno. Fu allora che con un balzo sorprendentemente robusto, Bob Codafolta sorprese entrambi nel fiondarsi direttamente al di là della nera cancellata, spalancando il tutto per mezzo di una decisa testata.

«No!», mi fece eco Lawrence Holmes, dopodiché ci affrettammo a seguire la bestia, ma subito ci accorgemmo che qualcosa non tornava.

«Dov'è andato?», mi chiesi in quella notte ammantata da un silenzio alquanto sospetto. Per quanto ci guardassimo intorno, la figura del lupo pareva tutt' a un tratto essere scomparsa nel nulla, come a volerci rassicurare che tutto quello al quale avevamo assistito poteva anche essere frutto di un brutto e inquietante sogno a occhi aperti.

Drizzai le orecchie più che potei e misi in allarme tutti insieme i miei sensi da vampiro. «Lawrence, tu senti qualcosa?»

«Silenzio, Enya...», mi ammonì l'altro.

Restammo in ascolto, ruotando le attente pupille a destra e sinistra, girandoci intorno lentamente come gufi intenti a cacciare nell'oscurità. Eravamo pronti a captare ogni più piccolo suono, e intanto i nostri corpi se ne rimanevano vicini, a sfiorarsi in maniera concepibile dall'etichetta e allo stesso tempo così benedettamente rassicurante. Da mio canto ero tesa come corde di violino, e per nessuna ragione avrei mai finto di non bramare il conforto necessario dalla vicinanza col vampiro altrettanto spaventato. Il sostegno era reciproco.

Il vento mutò direzione, soffiando sui nostri visi pallidi e colpendoci con violente sferzate. Un brivido, che nulla aveva a che vedere con il freddo ottobrino, attraversò la mia pelle al di sotto della veste, e uno strano presentimento si fece strada anche all'esterno.

La notte, coi suoi silenzi e sussurri, non concesse preavvisi e accolse un nuovo e fragoroso ringhio minaccioso accompagnato dall'improvvisa apparizione di un'ombra alta e terrificante sui nostri due capi. Il lupo mannaro aveva fatto la sua ricomparsa muovendosi da chissà quale parte della via e balzando dunque sulle due grosse zampe a pochi passi da me e Lawrence.

Inutile fu il mio spontaneo tentativo di afferrare il mio compagno e trascinarlo via di lì, perché in un batti baleno l'orrenda creatura sorvolò le nostre teste, atterrando dalla parte opposta per sbarrarci nuovamente una possibile via di fuga.

Un urlo mi scappò di bocca sconquassando le mie stesse orecchie quando, dopo, un grosso arto dotato di unghie grigiastre e adunche sferzò l'aria molto vicino al visino magro e pallido di Lawrence, ma fortunatamente mancandolo. Il ragazzo intanto aveva sentito il bisogno cavalleresco di proteggermi dall'uomo lupo facendomi scudo col suo stesso corpo, ma nonostante il nobile e gentilissimo gesto non lasciai che la creatura si abbattesse ingiustamente su di lui. Grazie a un mio fugace intervento, spinsi via il giovane Holmes da una nuova e possibile mira animalesca brandendo il parasole della mia prozia Elisabeth e usandolo a mo' di barriera anche se un bel po' instabile.

«Lawrence, sta' indietro!», comandai con sforzo in gola mentre cominciavo a dondolarmi da gamba a gamba in un grottesco balletto senza tutù e scarpette rosa. A ben pensarci, sarei potuta apparire molto simile a un moschettiere bislacco a causa della mia altrettanta insistenza di pungolare ripetutamente la bestia a braccio teso in avanti, servendomi della punta sottile che troneggiava al centro del parasole aperto.

La creatura, magicamente stranita dalla scena, parve sottostare a quei lievi colpetti, cosicché si lasciava spintonare all'indietro di qualche passo quasi in atteggiamento mansueto.

Trovando quello come il momento più propizio, concessi a Bob una piccola tregua pregando nella mente che ciò di cui ero in procinto di attuare avesse buon esito.

«Enya, consiglierei di cogliere il momento per scappare», mormorò alle mie spalle Lawrence, con certo tono diplomatico nella sottile voce.

«Aspetta! Forse so cosa fare», informai in risposta.

Lentamente mi apprestai a richiudere il delicato ombrellino prestando particolare attenzione a ogni più piccola mossa del lupo, che intanto poggiava tutto il proprio peso sulle quattro zampe senza tuttavia spostare i grandi occhi su di me. Soffiava emanando sbuffi di vapore dalla bocca larga, dischiusa ma da cui si riuscivano a ben vedere una fila di denti acuminati e crudeli. Era evidente come non perdesse volutamente di vista ogni qualsivoglia movimento, mio e di Lawrence.

Dunque, abbandonai poi il parasole lungo un fianco della mia gonna e presi a sollevare il braccio libero tendendo il palmo in avanti come un gesto di concessione di resa dinanzi al nemico, o - come in quel preciso caso - a un enorme animale con sembianze antropomorfe.

«Enya, non vorrai mica... È una brutta idea! Enya!».

Non ascoltai il consiglio amichevole di un Holmes ritornato totalmente succube della paura, oltre che di buon senso. Ero io la forsennata che avanzava con fiducia nel cuore verso un uomo che in realtà poco o nulla di quest'ultimo pareva più possedere.

«Signor Codafolta... Sono io, Enya. Va tutto bene, non voglio farvi del male», andai dicendo con fare rassicurante, sperando di riconoscere in quegli occhi color ambra annacquata un qualche possibile accenno del buono e gentile custode giunto in Inghilterra dall'America per cercare un po' di pace e serenità da un mondo per nulla avvezzo alla sua primitiva e indomita natura lupesca. Ed è allora che lo trovai. Considerai la cosa come un semplice fatto di suggestione, dato insieme dalla speranza che riserbavo nell'indurre il licantropo, ottenebrato dal solo istinto, a ragionare come un uomo. Ma scrutando invece all'interno delle iridi fui sicura di carpire la vera essenza della bestia, un barlume di intelligenza umana nonostante il mostruoso aspetto generale. Bob parve riconoscermi per davvero.

«Sì... Così va bene. Io e Lawrence vi aiuteremo a superare anche questa notte».

«Enya, ti prego, sta' attenta», ribadì il vampiro, scoraggiato nel muovere anche un solo muscolo. Continuai ad avanzare iperterrita, la mano amichevolmente tesa.

«Coraggio, Bob, lasciate che-»

«Enya, attenta!!!».

Ciò che ne seguì risultò per me essere inevitabile tanto quanto lo fu per lo stesso licantropo. La nera figura drizzò le orecchie appuntite facendole roteare per metà perché colte all'improvviso dal nitrire non lontano di Gilbert. Prima che l'avvertimento di Lawrence squarciasse l'aria, il lupo si era già alzato su se stesso sorretto dalle zampe posteriori; protese poi in avanti il muso cosparso di fitta peluria e scattò in avanti lasciandosi dietro una nuvola di polvere grigiastra. Con un balzo secco balzò atterrando di fronte al cavallo maculato, che di conseguenza impennò bruscamente brandendo gli zoccoli per difendersi dalla minaccia incombente.

Che stolti ad aver dimenticato Gilbert incustodito al di fuori del cimitero!

Temetti per la vita del povero animale e non permisi ai secondi a venire di passare inosservati. Neppure Lawrence lo concesse, e insieme partimmo scattanti alla volta del cavallo imbizzarrito, come due soldati sicuri e dimentichi di essere solo dei giovani non-morti alle prese con un lupo mannaro assetato di sangue.

Nel breve tragitto che vedeva Gilbert dimenarsi contro il suo aguzzino facendosi scudo a furia di zoccoli e nitriti battaglieri, qualcos'altro di nuovo, ma non troppo, mi strappò un urlo di paura.

«Papà!!!».

Un insieme di rumori e immagini mi colpì in pieno petto durante la corsa, e con me anche Lawrence dietro di me, quando fui costretta a frenarmi di colpo al fine di impedire al lupo mannaro di venirmi addosso. La bestia arretrava in quel momento sbuffando dalle narici un certo disappunto e sbattendo ripetutamente le palpebre come infastidito da qualcosa che vi fosse entrato. La causa fu subito evidente non appena la scintilla di uno dei fiammiferi, che riconobbi come quelli utilizzati nella mia dimora familiare, si fece viva tra le mani bianche ed eleganti di mio padre. Subito dopo l'alone aranciato di una fiamma bruciante all'estremità di un rametto veniva fatto sventolare dalla mano di Benedict Atkins molto vicino al petto villoso di Bob Codafolta.

«State indietro, ragazzi! Via, via!».

Ascoltai l'ammonito dell'uomo andando a occupare il posto immediatamente dietro di lui e trascinando con me anche Lawrence. Servì l'ausilio del giovane Holmes per riuscire nell'impresa di riportare a uno stato di ritrovata calma il povero e impaurito Gilbert, tenendolo fermo per le briglie da lato a lato.

Attimi di angoscia imperversavano nel frattempo dall'indirizzo del mio patrigno, che mai prima di allora avevo visto lottare, sebbene il cosiddetto scontro prevedesse il brandire un semplice e rinsecchito ramoscello contro un grosso lupo mannaro. Non c'era nulla che potessimo in apparenza fare per Bob se non solo ricondurlo chissà come nella cripta, ma l'impresa risultava sempre ardua sia pure con l'ausilio di Mr Atkins.

Continuai a osservare la scena che proseguiva quasi sempre allo stesso ritmo, col vampiro in costante vantaggio. Il fuoco che fungeva da arma perfetta riusciva ad allontanare il licantropo, ma ancora mi chiesi per quanto altro tempo avrebbe dovuto continuare a sventolare quel grande fiammifero improvvisato davanti agli occhi del gigante ringhiante.

«Dovremmo aiutarlo...», espressi rivolta a Lawrence, il quale accarezzava il cavallo elargendo buffetti sul lungo muso vellutato.

«E se provassimo a spingerlo fino alla cripta utilizzando quel... metodo?», avanzò il ragazzo indicando mio padre e quel suo ramoscello.

«Potrebbe essere un'idea», sostenni.

Il debole bagliore lunare che sfumava attorno alla palla argentata si fece più vivo e luminoso in mezzo al manto nerissimo del cielo. Una sorta di potere incantatore subirono i miei occhi e quasi mi beai nell'ipnotica contemplazione. Chissà se lo stesso accadeva ai licantropi, e quale diversa sensazione induceva a provare. La magia venne tuttavia meno con l'udire un uggiolio che pareva di dolore e subito dopo con la fuga della bestia, che prese a correre a quattro zampe tagliando per i campi.

Ne seguimmo con gli occhi la scia riuscendo ad avvertire anche quando fu lontano quel suo particolare ansimare canino, mentre con le possenti spalle ricurve abbandonava definitivamente l'umano che era prima per non farne restare più traccia.

«Per l'amor del cielo, non era mia intenzione colpirlo», si scusò Benedict con tono affranto, impugnando ancora la sua arma ad alta efficacia anti lupo mannaro.

Mi aggrappai al collo possente del cavallo come per cercare una qualche stabilità; non ero esausta nelle membra quanto nella mente dentro cui pensieri e immagini si accumulavano senza tregua. Ero scossa e su quello neppure un buon calice di sangue vi avrebbe potuto porre rimedio. Dio solo sapeva di quali orrendi fatti quella notte si sarebbe fatta protagonista.

«Ora, pretendo una spiegazione. Nessuno dei due sarà esente dal raccontarmi in che guaio vi siete cacciati», ordinò il mio patrigno sfoggiando un cipiglio altamente severo come non ne aveva mai mostrati prima.

 «Il custode dei morti è scappato oramai,

ossari e defunti son soli, lo sai?

Il lupo peloso il suo posto vi ha preso,

ululati e artigliate a noi tutti ha poi reso!

Fuggiamo! Preghiamo! Rifugiarci dobbiamo!

La bestia pei campi ululare ascoltiamo».

Voltai lentamente il capo assottigliando le palpebre.

«Ti sembra questo il momento più adatto?», domandai con pungente ironia all'inventore di rime ormai noto al mio mondo di creature delle notte.

«Tutto ciò mi ha ispirato e non poco!», disse quello euforico.

Resistetti all'impulso di colpirlo sulla testa. 

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