Capitolo 25
25.
Frammenti di ossa e cane ferito
Fuori dalle porte di Londra e una volta percorso il largo viale di campagna conducente alla meta ultima della nostra missione notturna, abbandonammo il calesse e il cavallino che lo trainava e continuammo a piedi sorreggendo di peso il custode barcollante.
Ancora una volta varcai la familiare cancellata del cimitero reso ormai protagonista di azioni cattive e perciò chiuso al pubblico per ragioni di indagini in corso.
Non fu difficile arginare il solido lucchetto facente da sigillo, grazie all'irruenta forza di Bob Coda folta, l'uomo, che quasi per un atto di caritatevole fortuna, era stato in grado di controllare fino a quel momento il suo corpo scosso da brividi e spasmi. Tutto ciò che sarebbe seguito non avrebbe di certo continuato a restarsene nascosto ancora per molto sotto strati di pelle e ossa umane. L'effetto della luna, alta e ben in vista lassù in cielo, dava i propri frutti maledetti da un ancora sconosciuta anatema decisa da chissà quale esperto d'occulto vissuto in tempi remoti.
«R-R-R-Riuscite a controllarvi ancora u-u-u-un po', vero, s-s-signore?», domandò visibilmente preoccupato Nicholas, curvo sotto il peso del possente braccio dell'uomo.
«Intendi prima che riesca a farti guarire da quella lingua balbuziente con uno spavento, ragazzo?», ribatté prontamente Bob ma con certo immane sforzo nelle corde vocali dentro cui brontolii gorgoglianti iniziavano già a figurare la seconda natura di bestia intrinseca.
Nicholas sorrise insicuro all'ironia pungente del custode degludendo rumorosamente.
Percorremmo per intero il viale conducente alle varie diramazioni fatti di viottoli e appezzamenti di terra, riuscendo in fretta e furia a raggiungere la grata in ferro che introduceva dapprima a una stanza buia e piccola, sul fondo della quale un altarino sospeso e resti di un mosaico raffigurante una qualche scena atta alla sacralità, lasciavano intuire la funzione di quel piccolo edificio. La cappella sconsacrata per inutilizzo scoprimmo poi portare a un medesimo ambiente tramite una manciata di scalini in marmo, che calpestammo non senza un minimo di difficoltà. Bob ansimava sempre più, come se il suo paio di polmoni faticasse a funzionare nel modo più corretto.
«Lasciatemi qui», boccheggiò strizzando forte gli occhi mentre scivolava via dalla presa dei due vampiri e lasciandosi andare a ridosso di una parete umidiccia, segnata da innumerevoli solchi verticali, profondi e dalla natura piuttosto eloquente. Se quella era la tana del lupo, tutt'intorno alla camera era facile individuare segni inconfutabili dell'animale che vi dimorava una notte al mese. Notai nel fondo, a stagliarsi come unica prova al che qualcuno facesse visita alla struttura decadente, un giaciglio improvvisato di coperte ammucchiate e qualcosa di non ben definito che alla mia mente condizionata da un luogo simile mi parve subito di associare a frammenti di ossa. Inalai ancor meglio la stantia aria che vi aleggiava, ma riuscii soltanto ad avvertire un forte odore muschiato e di qualcos'altro proveniente dall'indirizzo di Bob Codafolta.
«P-p-penso che dovremmo a-a-andare», mormorò Nicholas indietreggiando a occhi sbarrati. E in effetti non aveva tutti i torti.
La sagoma adesso raggomitolata su se stessa di Bob prese troppo in fretta a contorcersi in maniera grottesca e a dir poco inquietante. Bassi rantolii accompagnati da lamenti di dolore dai toni sempre più crescenti bastarono a metterci in grave allerta e a farci scattare come tre cavallette giganti.
Un rapido movimento a me vicino mi strappò via di bocca uno straordinario urletto di puro terrore, ma era solo Lawrence che mi prese con mia sorpresa per mano. «È ora! Usciamo di qui», decretò, incapace però di sottrarsi al comando di emozioni dettate dal momento. Le corde vocali del giovane traballarono infatti un bel po', ma curioso era osservare quella sua patina di coraggio farsi avanti come per voler mostrare a tutti i costi un caparbio tentativo di domare i suoi turbamenti interiori.
La bestia urlò, questa volta più forte e altrettanto minacciosa, così fuggimmo senza farcelo ripetere due volte.
«Aspettate!». Un lieve strattone e lasciai andare la mano di Lawrence non appena risalimmo i gradini. Holmes parve comprendere quello che era il mio intento e corse ad aiutarmi nell'operazione di sbarrare la strada a Bob Codafolta nel caso in cui – e lo credetti molto probabile – avesse deciso di uscire da quelle specie di cripta, che invece avrebbe dovuto tenerlo nascosto. Era ciò che d'altronde egli stesso faceva ogni volta, e il fatto che non ci avesse raccomandato di farlo al posto suo la diceva assai lunga sul grado di sopportazione del dolore dovuto alla trasformazione che lo aveva avvinghiato senza dargli possibilità di rimanere lucido. Provai subito un'immediata pena.
La porta, che altro non era che un solido tumulo di ferro, scattò sigillandosi sotto la nostra spinta. Mi parve abbastanza massiccia al fine di contenere l'ira incontrollabile del lupo dall'altra parte, ma se pure così non fosse stato c'era sempre l'ingresso principale che avremmo pensato a non lasciare certamente aperto.
Ogni cosa era dunque al suo posto, unica nota realmente stonata, lo stesso prigioniero che prese a uggiolare come un cane ferito lasciando un senso amaro di impotenza e compassione nel mio cuore non più tanto vivo come un tempo. Mi chiedevo continuamente come mai assieme alla morte che mi aveva trascinata via con sé in una vita tanto buia come la notte stessa, non avesse spazzato via anche l'ultimo avanzo di emozioni tipicamente umani. È uno dei misteri su cui amo domandarmi tutt'ora.
«Ce l'abbiamo fatta», sorrisi di contro a Lawrence dopo che lo stesso ebbe rigirato più volte la lunga chiave arrugginita nella serratura della grigia cancellata. Non ricordavo fosse in possesso della chiave né quando Bob gliela avesse resa.
«Era sull'altarino, se te lo stessi chiedendo. Bob deve tenerla lì in modo da richiudere il cancello una volta entrato. Non credo che la bestia che è in lui sia così sveglio da capirne la reale utilità».
«Giusto. Non ho mai sentito di un lupo capace di aprire una serratura con una chiave», ridacchiai scivolando in quella dolce sensazione che si prova ogni qual volta si scampa a un pericolo. Eravamo riusciti nella nostra missione. Londra era salva o almeno lo erano nello specifico il commissariato di polizia e tutti gli umani al suo interno. Bob era stato liberato in tempo e messo in quarantena anche per quella notte di luna piena.
Adocchiai un'ultima volta la piccola cappella segnata dagli inconfutabili segni del tempo, e fui ben contenta di voltarmi dall'altra parte, senza tuttavia non pensare a ciò che di peloso e digrignante ero riuscita a scorgere solo un attimo prima di chiudere la porta che dava alla cripta. Sconvolgente e a dir poco incredibile.
«Solo un momento, Enya... Dov'è finito Nicholas?».
Venni strappata dal ricordo di Bob, constatando solo allora la totale assenza da parte del ragazzo preso in causa. Solo un attimo prima che mi accingessi a rinchiudere Bob laggiù in fondo con l'ausilio di Lawrence, Nicholas era lì che ci precedeva di qualche passo, certamente spaventato a morte e con un evidente smania di uscire all'aria aperta e dimenticarsi finalmente di tutta quanta la faccenda. Per tale motivo credetti di trovarlo da qualche parte lì fuori nell'attesa che anche Lawrence e io lo raggiungessimo.
«Vado a cercarlo», annunciai impossessandomi nuovamente del mio inseparabile parasole merlettato che poco prima avevo avuto premura di lasciare all'esterno.
«Io resto qui ancora un po'... Vorrei essere certo che Bob non ci faccia brutti scherzi», disse Lawrence indicando sicuro il cancello alle sue spalle.
Credetti che un brivido mi attraversasse la schiena al solo pensiero di ciò, trovando al contempo un che di strambo nello stesso comportamento adottato da Holmes. Poteva essere che tutta quella storia avesse reso la sua indole solo un tantinello più spericolata e meno trasognata del solito? Sangue oppure no di detective nelle vene, Lawrence sembrava lontano anni luce da quel violinista e poeta di rime scadenti che avevo sorpreso penzoloni su di un albero in Hyde Park.
Accennai un breve cenno al vampiro, ma proprio quando stavo per raccomandargli di stare attento le parole mi morirono in gola.
Aguzzai la vista verso un mucchio di lapidi poco lontani e quasi non credetti ai miei occhi da non-morta. Pensai di sbagliarmi e fu quello che continuai a ripetermi finché non fui più vicina, ma la strana apparizione o ciò che credevo essere tale cessò di esistere non appena le mie scarpe calpestarono la terra umida. Strabuzzai gli occhi per la sorpresa. Poteva mai essere un fantasma?
Ciò che invece avevano forma e corpi solidi furono un paio di creature mortalmente pallide e chiazzate da sfumature di un azzurro annacquato, che notai appena oltre due file di tombe più in là. Le due femmine di zombie si muovevano furtivamente, mimetizzandosi per bene grazie alle loro esili figurine fiancheggiando le lapidi dietro cui si spostavano. Non mi fu difficile riconoscere in quella giovane coppia di mangiatori di cervelli la piccola Lucy affiancata da Mary, sua sorella maggiore.
Che cosa ci facevano i Moore nel cimitero quella notte? Dopo la piccola avventura di salvataggio riguardante un lupo mannaro, mi parve tutto ancora più insolito eppure allo stesso tempo neanche poi così sorprendente. Non restava altro che seguire le mosse future delle due sorelline per poi attestare quanto giuste e veritiere fossero le ipotesi di Lawrence, il grande e geniale detective vampiro.
Poche congetture mi frullavano nella testa mentre mi affrettavo a stare dietro alle ragazze, ogni volta costretta ad acquattarmi alla meglio per non farmi notare. Il silenzio permeava quella parte di cimitero man mano che mi allontanavo dal luogo in cui veniva contenuta tutta l'ira bestiale di Bob, e i cui lamenti, che il mio udito era pratico captare, divenivano flebili, come ormai parte di un brutto sogno.
«Credo ci sia andata male... Niente cadaveri dissotterrati, Lucy», disse la più grande senza aver cura di abbassare la voce. A quanto pare continuavo a rimanere invisibile.
«Che cosa facciamo, Mary? Che cosa diremo a mamma e a papà?», domandò la bimbetta dai lunghi capelli quasi bianchi.
«Be', vedrai che Charlie ce la farà a rifornirci di cibo dall'obitorio in cui lavora, quindi poco importa se la nostra ricerca non ci permetterà di... Hai sentito? C'è qualcuno?».
A quanto pare avevo cantato vittoria troppo in fretta, tant'è che fui costretta a sventolare il mio parasole a mo' di una bandiera bianca.
«Miss Atkins, siete veramente voi?», chiese conferma Mary non appena fu conscia della mia vicina presenza.
«Mi dispiace di non essermi annunciata prima, però vedete-»
«Ci stavate seguendo?»
«A dire il vero...»
«Miss Atkins!!». L'assalto che ne seguì prevedeva due braccine lunghe e bianche ad avvinghiarsi voracemente alla mia veste. L'entusiasmo tipico dell'infanzia strappò dalle mie labbra un imprevedibile sorriso, che sparì rapidamente quando fui certa che qualcos'altro ebbe conquistato la curiosa attenzione della più piccola dei Moore: il parasole della trapassata prozia Elisabeth.
Che io rammentassi, il mio parasole aveva già attratto, come il miele fa con le api, l'interesse appassionato della bimba, ma esattamente come quella stessa volta impedii alle dita smaniose un contatto col medesimo. Finsi un impacciato colpetto di tosse prima di nascondere il cimelio di famiglia dietro la schiena. Non volevo apparire sgarbata ma era un modo come un altro per dire a Lucy quanto tenessi a quell'oggetto. Un vero balocco avrebbe fatto al caso suo, e in quel frangente mi chiesi di nuovo dove potesse essere finita la brutta bambola reduce del mio goffissimo lavoro di cucito. Con qualche piccola miglioria per mano della mia ben più capace madre sarebbe stata perfetta come gradito dono alla piccola Lucy.
«Non è prudente venire qui tutte sole», osservai volgendo il mio pensiero alla giovane Mary, la cui pelle veniva resa ancor più cadaverica sotto l'alone lunare. «Non con un pericoloso criminale che si diverte a barattare teste per zucche». La buttai lì come niente, rimanendo ben attenta alla possibile reazione della zombie. A scapito di quanto previsto, Mary ingoiò bene quella mia supposizione, assumendo invece l'espressione altera sulla faccia granitica.
«Non si direbbe voi siate venuta in compagnia di qualcuno... Io al contrario sono qui con la mia sorellina», contestò sporgendo il petto in avanti.
«Oh, ma non sono affatto sola», replicai dunque con calma. «Sono qui assieme a Lawrence Holmes e...», frenai la mia smania di imporre la mia ragione. Non ero più così tanto sicura della presenza di Nicholas Johnson nel cimitero, non dopo il suo comportamento da coniglio terrorizzato a morte che gli avevo visto adottare. Quel vampiro doveva aver abbandonato il posto fuggendo come se avesse avuto lo stesso Bob Codafolta alle calcagna. Mi ricomposi e ripresi: «Lawrence è con me, come dicevo».
«Lawrence è qui?», domandò a mo' di garanzia più sicura Mary, mutando atteggiamento in un altro tutto guizzi di speranza ed esaltazione. Riconoscevo un certo apprezzamento sentimentale da parte della fanciulla circa il mio compagno di indagine, incapace com'era di tenerlo nascosto.
«Proprio così», confermai da mio canto. Imitai persino l'aria di superbia che spesso avevo visto sulle facce arcigne di damine dell'alta società inglese. Non so quanto risultassi convincente, ma se per loro funzionava perché non provarci pur io.
Dopo non più che una manciata di secondi, la stessa ragazza dai capelli castani e un tantinello stopposi nelle ciocche ondulate ruppe il silenzio, interrotto dalle note di suoni e fruscii trasportati dal vento: «Non siamo qui per far ciò che probabilmente penserete di noi... La mia intera famiglia è innocente».
Mi stupii di una così trasparente emozione nei tratti addolciti e con qualcosa dentro che riguardava una fede sincera. «Be', veramente io...», blaterai causando il crollo dello stesso muro che io stessa avevo contribuito a frapporre tra noi.
«Tutto il cervello che nostro fratello arraffa dall'obitorio scarseggia, per questo abbiamo pensato che se non tutto il male viene per nuocere l'azione del colpevole, per quanto impensabile, avrebbe potuto farci comodo».
«Sottrarre, dunque, i cervelli a dei cadaveri già disseppelliti. In questo modo avreste colto semplicemente l'occasione», feci il punto della questione. «Mi spiace tuttavia deludervi... Il misterioso profanatore di tombe è solito portarsi via l'intera testa e sostituirla con una zucca. Non trovereste nulla comunque».
«Ne siamo a conoscenza, ma sapete... Magari siamo così fortunati da trovare dei resti». A capo chino come quasi per vergogna, Mary indugiò un po' sulla bassa figurina della sua sorellina.
«Non è mai successo prima d'ora, dico bene?», interrogai la ragazza. Poteva essere la volta buona che mi avrebbe fatto intendere della possibile implicazione oppure no degli zombie all'interno del caso.
«No!!!», la risposta giunse invece dall'indirizzo di Lucy, che quasi in segno di sfida mi scoccò un'occhiata di sbieco, rivelando così una bimbetta sveglia e persino più matura di quanto la sua età potesse far credere. I piccoli pugni si ostinavano a restarsene ben chiusi lungo i fianchi, come a dimostrare quanta forza ci fosse in quel seppur piccolo atto di ribellione.
Sorrisi alla bimba ostinata, un sorriso che poco dopo mi fu restituito e con quanta innocente spontaneità. Lucy non riserbava rancore a lungo e su quello dovetti dargliene merito. Un po' sentivo di assomigliarle.
«E io ti credo, Lucy», assicurai piegandomi verso il basso quel tanto che il poco pratico bustino mi permetteva di fare. Vi era un che di contagioso in quei due grandi occhi, dentro cui un mare grigio di innocenza disarmante rispecchiava in pieno ciò che faceva di lei l'indefessa sostenitrice della sua famigliola.
"Nessuno vi incolperà più di nulla", sentivo tanto il bisogno di promettere a voce alta, cosicché l'intera notte mi facesse da testimone.
Non ci riuscii. L'ululato che ne seguì riecheggiò agghiacciante e prolungato, squarciando bruscamente la quiete. Giudicai subito essere inspiegabilmente troppo acuto per un semplice animale contenuto in uno spazio chiuso, così come ci eravamo assicurati di fare con Bob. A quel punto, un sentore di catastrofe mi parve di annusare nell'aria come un odore particolare che si andava mischiando ai tanti altri effluvi di fiori e terra tipici di un cimitero. Quell'odore però non aveva nulla a che fare con qualcosa di concreto, al contrario sapeva di paura e di qualcos'altro che mi gelò gli arti.
«Lawrence», sussurrai temendo il peggio.
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