Capitolo 18

18.

Prudenza e sonata festosa

«Che cosa hai detto?», domandammo a occhi similmente sgranati io e Lawrence.

Il vampiro di nome Nicholas ci rivolse un'occhiata di timidezza e paura, come se volesse tutt'a un tratto rimangiarsi ogni cosa.

Dall'altro lato delle lapidi nel frattempo dei passi vicini parevano raggiungerci. Non persi altro tempo nel permettere a uno di quei poliziotti o ad altri sparsi chissà dove di scoprire la nostra inopportuna presenza, che resi chiaro attraverso un deciso movimento del capo di levare le tende il più in fretta possibile. I due vampiri dal proprio canto non esitarono e, con le orecchie e la vista aguzzate, riuscimmo tutti pian pianino e con felpata discrezione a guizzare via da lì, mimetizzandoci con le ombre di statue e mausolei.

La cancellata dell'ingresso secondario oltre la quale scavalcammo ancora una volta non era stata occupata da alcun chicchessia a far da guarda cosicché trovammo facile proseguire per la nostra strada zigzagando tra gli arbusti che affiancavano il sentiero maestro.

Mi ritrovai in testa al gruppo, col mio parasole a indicare il percorso da seguire, per nostra fortuna sgombro da altre presenze, come un baluardo giallo e nero che sollevavo di tanto in tanto a farci da guida. Grazie all'ausilio delle tenebre, compagne indiscusse di noi vampiri, superammo per un pelo senza essere scoperti, la nera e rumorosa carrozza di piazza che sballottando sulla strada pietrosa superava noi tutti proseguendo per il verso opposto.

Fra la calca rumorosa delle ruote del veicolo mi fu concesso, tuttavia, di percepire uno strozzato: «Era proprio lui...» derivato da un sospiro alitato da un Lawrence Holmes improvvisamente fermo, le braccia abbandonate mollemente lungo i fianchi.

«Lawrence, che fai fermo lì?», domandai sussurrando, ma il ragazzo temporeggiava e nulla mi parve poterlo scuotere da quel suo stato di paralisi di cui era stato fatto vittima mentre osservava la carrozza allontanarsi di gran carriera.

«Era decisamente lui...». Un nuovo sussurro vi giunse da Holmes, ed io non potei non pensare che se quella carrozza di piazza avesse davvero ospitato un bravo prestigiatore, in tutta probabilità Lawrence doveva averne subito un incantesimo ammaliatore bello potente. La sua aria inebetita la diceva assai lunga circa l'uomo che si era celato dietro i vetri del mezzo di trasporto.

«A-A- Allora, che c-c-cosa si fa adesso?»

«Conosci forse un trucco per ricondurlo tra di noi?», domandai a mia volta a Nicholas, il balbettante vampiro.

* * *

«Era proprio lui! Ti dico che era proprio Sherlock Holmes!». Così era andato informando Lawrence per tutto il restante tempo alle orecchie della campagna addormentata, ma causando pure nei miei nervi un certo pizzicore di crescente irritazione. «Ci è mancato tanto così che i nostri occhi si incrociassero!». Proseguì implacabile innalzando le braccia al cielo come a invocare una qualche benedizione divina, ma un saltello non previsto dovuto a un rametto spezzato per poco non portò lo sbadato violinista a ruzzolare al terreno in un intreccio di gambe.

Da mia parte, al contrario, tenni ferma l'attenzione verso il nuovo personaggio di cui ci eravamo accollati l'ombra, dedicandomi così all'ascolto di argomentazioni decisamente meno ripetitive come pure di gran lunga più balbettanti.

«Riguardo a te, Nicholas, dove ti eri nascosto in tutto questo tempo?», domandai tentando sarcasmo al vampiro che mi fiancheggiava con costanza alla mia sinistra. Lawrence dal lato opposto pareva ora aver placato un po' della sua eccitazione prestando l'orecchio ai nostri discorsi.

«A-A-A dir la verità mi considero un g-g-girovago, miss Atkins», rispose Nicholas singhiozzando sulle parole ma senza perdere controllo e dignità. Il viso magro, un po' smunto ma ospitante un naso dalle larghe narici, mi rivolse un fugace sorriso prima di riabbassare lo sguardo alla terra sotto i nostri piedi.

«I-I-Io n-n-non ho una famiglia, o almeno non più».

«Com'è successo?». Il mio quesito lo sconvolse irrimediabilmente; le labbra gli si contorsero in una smorfia di dolore talmente acuto che pensai subito fosse sul punto di scoppiare in lacrime. Anche gli occhi, di un chiaro azzurro limpido, vennero fatti strizzare più volte.

«Intendevo dire, chi ti ha trasformato?», riformulai velocemente la domanda e questo parve indurre il vampiro a riacquistare solo un briciolo di più di contegno. Avrei tuttavia desiderato non aver mai aperto bocca. Non era quello il momento di intrufolarmi con quesiti di natura così tanto personale e delicata.

Nicholas continuò a camminare a testa bassa mormorando qualcosa che tuttavia rientrò subito in contrasto con qualcos'altro.

All'esclamazione di Lawrence: «Gli zombie!» seguì l'intrusione dello stesso, che giunse a ostacolarmi il cammino. Col busto proteso a tentare di sporgere oltre la mia testa, Lawrence s'avvinghiò pesantemente alla mia spalla per puntare ancor meglio un granitico Nicholas, che dall'altra parte fissava il tutto allibito.

«Gli zombie che hai visto al cimitero... Sono stati loro a trafugare la tomba e a fare il resto? Gli hai visti davvero? Che aspetto avevano?»

«Lawrence, per favore, lo stai spaventando!». Avvertii mentre tentavo di scrollarmi di dosso le dita inopportune di Holmes.

Intanto il povero Johnson si contorceva le mani dal nervosismo, cercando temerariamente di comandare la lingua ad azionarsi nel modo meno isterico possibile. «E-E-Erano in due e a-a-avevano d-d-delle macchie azzurre sul viso, c-c-come tante macchie d'inchiostro a-a-annacquato». Riuscì a esprimersi il poverino.

«Se è così allora perché non hai tentato di fermarli?», insistette paranoico Holmes dopo avermi resa libera dalla stretta dolorosa.

«Adesso basta, Lawrence! Ti chiedo di non tormentarlo ulteriormente». Il mio monito non fu però ascoltato.

«Enya, tu non capisci! Se davvero uno zombie centra qualcosa allora vuol dire che ci ho visto bene».

Sospirai esasperata adocchiando il vampiro reso succube dalla balbuzie e che intanto mostrava un certo smarrimento negli occhi. Mi chiesi come avrebbe mai potuto reagire quel giovane tanto fifone contro un duo di possibili zombie scofanatori di bare e tagliuzzatori di resti umani. Lawrence, che tanto vantava coraggio e saccenza, non sarebbe pur stato da meno, codardo com'era nei confronti della mia stessa madre, severa solo un po' del dovuto.

Rivolsi tutta quanta la mia preoccupazione per il nuovo conoscente non-morto: «Ehm... Lawrence intendeva solo assicurarsi che tu potessi aver sentito o intravisto qualcosa prima dell'arrivo della polizia e che magari ciò possa essere utile come informazione». Dissi sorridendo accomodante al ragazzo, dopodiché liquidai la questione semplicemente allontanando il mio sguardo da Lawrence e riprendendo il cammino. Fui seguita fin subito da Nicholas, il quale riprese a camminarmi più vicino, come un docile cagnolino addestrato.

Per quanto le ultime novità circa l'arresto di Bob Coda Folta continuavano a frullarmi prepotentemente per la testa non riuscivo a convincere me stessa di come un solo indizio potesse aiutare noi, un piccolo gruppo di ragazzini a far luce su ogni sorta di misfatto accaduto fino a quel momento.

Oltre a ciò, un'altra questione di natura ben diversa avvertivo viva nei miei pensieri. Bob Coda folta era stato arrestato. Dio solo sapeva se ingiustamente oppure no.

Giunti al crocevia riconducente alla mia proprietà di famiglia, l'ombra sempre più vicina e familiare del mio patrigno mi occupò la visuale.

Benedict Atkins ci corse in contro a passi leggeri, e fui sorpresa di sentire poco dopo le sue braccia avvolgermi con un certo bisogno di conforto.

«Nerissa, mia cara, è tutto a posto, constato. Tua madre e io eravamo in pensiero». Disse l'uomo sospirando di sollievo.

Scostai il mio viso dalla bella giacca color verdone quel tanto che bastava per permettermi di sollevare di poco lo sguardo e scoprire la sincera emozione trasparirgli nelle iridi alle quali sentivo proprio tanto di somigliare.

«È successo qualcosa alla mamma?», domandai senza neppure un apparente spiegazione.

«Oh, no, noi stiamo tutti bene, compreso il tuo amichetto Basil. Un plotone di poliziotti è passato di qui, a questo proposito ho pensato di venirti a cercare... Bè, cercare te e Lawrence nonostante noto adesso essere addirittura in tre», spiegò in un abbassamento di tono perché dedito a studiare il trio di cui mi ero fatta parte.

Non mi parve basito dal fatto che una giovane signorina se ne andasse in giro bighellonando in compagnia di ben due ragazzi, uno dei quali che ancora consideravo un perfetto sconosciuto. Pregai con tutto il cuore che mia madre non venisse a saperlo. Speravo vivamente in un genuino e indulgente gesto di complicità da parte del mio caro patrigno, il quale molto spesso era stato solito concedermi patti di assoluta segretezza circa le mie abituali frequentazioni assieme al suo allievo violinista buono a nulla.

«C'est magnifique, mon cher!», esclamò con ritrovata allegria battendo piano entrambe le mani come un bambino. Mi chiedevo molte volte dov'è che l'uomo avesse appreso l'abitudine di esibirsi in quei piccoli costrutti francesi. «Che ne dici di un bel duetto padre-figlia?»

«Sarà per me un onore», accettai di buon grado sorridendogli complice.

«Oh, ma che maleducato sarei se prima non offrissi dei calici colmi di buon sangue a codesti signori». Per la prima volta Mr Benedict Atkins puntò le sue iridi sull'intruso di quel quadretto, colpendolo fin da subito con la sua aria gioviale che tanto lo contraddistingueva.

Tirato in ballo, Nicholas rimbalzò sul posto come una molla. «Ah, sì! Nicholas Jonson! Il p-p-piacere è tutto m-m-mio, signor Atkins!», scattò dunque all'attenti mentre contorceva le labbra in maniera grottesca a causa della perenne balbuzie.

«Incantato davvero, ragazzo», commentò mio padre squadrando attentamente il capo biondo del vampiro. «Quanto a te, Lawrence, ti andrebbe di entrare per una bevuta?».

Lawrence, che fino a quel momento se ne stava stranamente zitto zitto, fu costretto a interagire con un tempestivo: «Mi piacerebbe molto, ma ho un impegno piuttosto urgente che non può essere rimandato. Ho promesso a mio padre che lo avrei raggiunto».

Per qualche ragione la sua risposta mi lasciò con qualche dubbio.

«Oh, bè, sarà per un'altra notte. E tu, Nicholas?», richiamò in causa il secondo. Quello tuttavia si vide costretto a rifiutare goffamente tra vocali che inciampavano sulla lingua e un tic nervoso alla mano dovuto all'imbarazzo.

«Chi sono io per impedire a due ragazzi tanto in erba di assecondare le proprie attività notturne! Vi auguro un buon rientro a casa».

Dopo un paio di preamboli di educazione rivolti a mio padre, Lawrence mi si rivolse un'ultima volta. «Buonanotte, Enya», si congedò così Holmes abbassando di rimando lo sguardo e poi dandomi lentamente le spalle. Nicholas Johnson mi aveva prima indirizzato un sorridente saluto di commiato con tanto di canini appuntiti a sbirciare dai due lati della bocca.

«Enya?! Ho forse dimenticato come ti chiami, mon cher?». S'intromise sorpreso Mr Atkins scherzandoci su. Io non ci badai, intenta come fui a riflettere sul paio d'occhi verdi elargitomi da Lawrence assieme a quel suo modo di fare silenzioso eppure con qualcosa di indecifrabile dentro.

Mi chiesi se la causa di tanta sua mestizia fossi stata io e con me il mio comportamento riservato fino a quel momento nei confronti del giovane vampiro.

Potevo averlo in qualche maniera offeso così aspramente?

Mi interrogai su ciò mentre seguivo la coppia di non-morti allontanarsi pian pianino. Entrambi mantenevano una certa distanza l'uno dall'altro.

Dopodiché, mi unii al fianco di mio padre, e insieme varcammo la soglia della nostra dimora. Bagliori di un caldo arancio ci accolsero tremolanti sulle solide pareti del vestibolo grazie alle molte candele posizionate qua e là per l'ambiente. La bella carta da parati raffigurante bianchi gigli un po' ingrigiti dall'usura del tempo raccoglieva le ombre danzanti delle fiammelle, cosicché pure la donna che sedeva compostamente sulla poltrona del salottino attiguo pareva diventare un tutt'uno con quella solenne atmosfera.

I folti capelli ricadevano lungo il collo candido in un'unica treccia improvvisata e parevano emanare luce propria come il fuoco di una candela sulla quale uno stoppino non avrebbe mai potuto metter fine al suo continuo bruciare. Unica nota stonata in tutto quell'insieme armonioso e di bellezza quasi eterea, lo sguardo assottigliato e imbronciato di mia madre.

Intuivo quale fosse la causa scatenante di un così cruccio tempestoso. Le finestre del salotto concedevano una buona visuale del vialetto che conduceva alla dimora, perciò, mi dissi, non doveva essere stato difficile scoprire sua figlia uscire allo scoperto con altri due non-morti di genere opposto.

«Mia cara Nerissa», iniziò la donna sollevandosi con lentezza dalla poltrona. Un nuovo silenzio calò nella stanza come preambolo a ciò che ne sarebbe venuto da lì a poco. Persino mio padre pareva essersi tramutato in un rigido pezzo di legno. Non c'era da scherzare quando la bella Annabel decideva di far valere le proprie considerazioni, e in un modo che, sapevamo, avrebbe fatto rizzare i capelli dell'illustre conte Dracula. «Non mi aspetto che tu rimanga chiusa in casa tutto il tempo, è solo che... Per favore, Nerissa». Mi si avvicinò addolcendo i suoi tratti delicati e al tempo stesso decisi del viso, e mi circondò le braccia in una morsa carezzevole. Gli occhi trasmettevano un calore tutt'a un tratto nuovo e inaspettato. «Promettimi di stare attenta».

«Sarò prudente, mamma», mi impegnai a rassicurarla. Conoscevo mia madre per sapere quanto il coraggio ricevuto grazie alla trasformazione non avesse mai totalmente eclissato la continua paura che ella riserbava per la mia incolumità. Per quanto gli esseri umani fossero considerati alla pari di noi creature notturne, ero stata educata a riporre in loro fiducia quel tanto che bastava a restarci alla larga in una sorta di patto che credevamo fosse reciproco: non fare del male a loro se non vuoi che anche loro ne facciano a te.

Neppure per un vampiro la notte poteva dirsi sicura, e se gli esseri umani temevano i mostri che si nascondevano sotto i letti dei propri figli o dietro i vicoli più loschi delle vie, noi pallidi bevitori di sangue non eravamo esenti dal provare lo stesso nei loro confronti, sebbene la dolce bevanda che scorreva nelle loro succulente vene concedeva a noi "mostri" la possibilità di sopravvivere.

Quella notte la rumorosa pattuglia di polizia passata di gran corsa intorno alla Casa dei dormienti aveva messo davvero tanto in allarme i miei due genitori. E ancora non conoscevano il perché. Se solo lo avessero scoperto avrei potuto dire addio alle mie care uscite notturne.

Comunque fosse, la vampira a cui tanto speravo di poter assomigliare, mi sorrise. «Il tuo impegno con le bambole è ammirevole, sai?». Non capii dove intendesse andare a parare, finché la cesta delle bambole da me cucite non si materializzò alle spalle della donna, ben in vista per tutto quel tempo sul ripiano del basso davanzale. «Ho intenzione di far visita alle porte dell'orfanotrofio di Miss Abigail domani. Ti andrebbe di accompagnarmi nella capitale appena dopo il crepuscolo?».

Ritenetti piuttosto bislacca una simile richiesta, e resistetti all'impulso naturale di abbracciarla. Tuttavia, lasciai solamente che un saltello di gioia mostrasse tutta quanta la mia approvazione.

In seguito allo scampato richiamo, decidemmo in un comune e brioso accordo di spostarci nel salone della musica.

Attaccai al pianoforte esibendomi in un'allegra sonata di Beethoven, mentre le mani di mio padre afferravano la vita stretta della sua compagna vampira introducendola nella stanza in un connubio di sorrisetti civettuoli.

L'atmosfera si fece calda e festosa nonostante gli eventi di quelle ultime ore non lasciassero presagire nulla di buono. Così andammo avanti tutta la notte, Benedict ad affiancarmi con violino e archetto, fino a che il vecchio pendolo non batté l'inevitabile ora, che da lì a qualche minuto avrebbe preannunciato l'aurora.

Salutai caldamente i miei due genitori, entrambi visibilmente appagati da quegli ultimi momenti notturni trascorsi all'insegna di ballate e concertini.

All'interno della mia stanza da letto il battito regolare di un minuscolo cuoricino pulsante mi diede il bentornata e, insieme, l'augurio affinché trascorressi un buon sonno; non potevo vedere dove si fosse cacciato il topo Basil, ma ero più che certa di ritrovarlo il giorno seguente rintanato in qualche anfratto della stanza.

Dunque, mi recai alla finestra per dire arrivederci all'argentea amica luna. Un rumore di qualcosa che mi parve spezzarsi sotto le suole mi distrasse dalla veloce contemplazione al bianco astro morente nel cielo. Un animale poteva essere la causa di tal nitido scoppiettio, probabilmente un rametto calpestato accidentalmente. Tuttavia, la sensazione che due occhi celati da qualche parte là fuori osservassero proprio me mi seguì anche dopo aver richiuso e sbarrato le imposte con solide assi di legno.

Tirai infine le tende, mi svestii e fui pronta a liberare la mente per scivolare lentamente nel sonno.   

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