Capitolo 15
15.
Sotto il naso del lupo!
Curioso come il tempo scorri via, un silenzioso e imperturbabile fiume d'acqua, ottimo dominatore di ostacoli a sbarrargli la strada.
In men che non si dica era già trascorsa una settimana senza che nient'altro si figurasse e mi scuotesse l'esistenza. Tra i miei compiti di cucito, concertini spacca timpani che, puntualmente, Lawrence dedicava con solerzia e grande impegno al mio patrigno, la routine come sinonimo di noia pareva ogni notte di più soffocarmi.
Alle volte usavo chiedermi se la vita mi rendesse veramente soddisfatta mentre quella stessa scivolava lentamente via ma pur senza nulla togliermi.
Al contrario, mi lasciava come chiusa in una bolla, immutabile e inetta perché costretta a non sapermi servire delle tante gioie e piccole cose permesse invece a chi di vita ne faceva altro utilizzo. A questo proposito, una vita finita, effimera, consapevole che un leggero alito di vento potesse spazzar via da un momento all'altro la propria essenza, avrebbe indotto l'essere umano a far tesoro di ogni istante concessogli. La morte, ovvero, non diveniva che un maggior incentivo a rendere partecipi e protagonisti assoluti per cogliere ogni sorta di dolori e affanni e, dunque, viverli e affrontarli al meglio.
Mi chiedevo troppo spesso quale senso comportasse la mia perpetua esistenza, quando non ero in grado di godere neanche un po' della grande fortuna di cui ero stata fatta partecipe. Se tu provassi a capirmi, caro lettore, sapresti certamente di cosa sto parlando: fare della tua vita un bel palcoscenico e sapervi interpretare il copione più bello che un protagonista possa mai sperare di ottenere.
Per me non era altro che un susseguirsi di luce e oscurità che, come lancette di un eterno e antico pendolo che non necessitasse di alcuna carica, ne scandivano i rintocchi tediosi.
Quindi, no. Nessun obiettivo s'era fatto vivo fino ad allora; rimanevo la solita spettatrice malinconica di una vita fatta di tinte sempre uguali e immutabili.
Spulciai con attenzione la bella bambolina vestita di rappezzi gialli e rossi; avevo quantomeno tentato di dare al fantoccio una qualche dignità, catalogando e ricucendo assieme pezzi di stoffe tinteggiate da sfumature che potessero quanto più abbinarsi tra loro. Infine, lanciai un ultimo sguardo soddisfatto e la posai nella sua cesta ospitante altre cinque sue compagne.
Per lo meno, la mia rossa e graziosa madre avrebbe gradito e non poco l'aiuto concesso dalla sua figlioletta ubbidiente. Di ben altro pensiero sarebbe stata se solo fosse arrivata a scoprire segreti retroscena condivisi da me e Lawrence Holmes una settimana addietro. A quel punto, il mio spasimante detective dalle note intonate quanto un'unghia a graffiare su un vetro sarebbe divenuto appetibile vittima per le grinfie della riccia e composta vampira.
I timpani del mio patrigno sarebbero allora stati vendicati anche più del dovuto.
«Coraggio, Basil, che ne dici se stuzzicassimo qualcosa?».
In men che non si dica, la squittiente bestiola s'era già appollaiata al di sopra della mia spalla, contenta e soddisfatta del pezzetto di formaggio che le porgevo tra le minuscole zampette. Ero grata della compagnia che il bianco topino era solito donarmi, e quei baffoni e il roseo musino non facevano altro che incrementare la tenerezza che nutrivo nei suoi confronti.
L'immortalità, mio malgrado, non sarebbe stata parte di Basil. Ero consapevole quanto quei momenti vissuti assieme fossero ogni giorno di più preziosi e fugaci nella loro breve durata, motivo per cui pensavo a rendere piacevole ciò che rimaneva della vita pulsante in tal corpicino caldo e soffice.
Scacciai quei tristissimi pensieri per, invece, impegnare la mente con una manciata di parole stampate su carta ingiallita e umidiccia.
Mi persi nella lettura del sottile libriccino - posato ormai da troppi giorni sul como' con un ciclamino rinsecchito come segnalibro improvvisato - intanto che il topino provava un certo entusiasmo nel fare su e giù dalla testa all'incavo del mio collo, dove parve poi trovare un po' di pace rannicchiandovi nel mezzo.
Resistetti al solletico che la morbida pelliccia insisteva a infliggermi, e per questo la sperata lettura si tramutò infine in un momento da passare a osservare sempre la stessa pagina a vuoto. Soltanto pochi capitoli e il racconto avrebbe avuto fine, ma a quanto pareva una creaturina fatta di peli e zampette aveva deciso che quella non era ancora la notte giusta per terminare il racconto.
«Un castello infestato da uno spirito inquieto, l'atto impuro causato da un brutale omicidio e una donna che torna dal mondo dei morti», ricapitolai sovrappensiero. In tutto quello non potei non trovarci accomunanze con fatti e circostanze di cui s'era sporcata Londra giorni addietro. Una veste spettrale, oltre che sanguinosa, vestiva la nebbiosa capitale.
«Oscar Wilde sa di certo come vivere la sua vita...»
«... e finire alla forca come un qualsiasi criminale».
Sobbalzai pesantemente alla porta che si apriva piano piano, scorgendovi poi in penombra uno scorcio di naso a palesare la sua presenza nella stanza. Ci mancò davvero poco che saltassi giù dal letto dimenticandomi del topo in bilico sulla mia spalla. Mi rizzai su a sedere per accogliere con un misto di sorpresa e timidezza il ragazzo al quale si doveva quel commento poco carino ma, dovetti ammettere, pertinente. Le ultime notizie riguardanti il noto esteta Oscar Wilde avevano occupato già da mesi l'attenzione della pubblica opinione, entrando nelle grazie neanche poi così indulgenti della stampa londinese. Famoso per i suoi molteplici scritti letterari, qualcos'altro aveva intanto attratto critiche e giudizi tra i più implacabili, come i poco rispettabili e parecchio scandalosi atteggiamenti di vita privata. Una sregolatezza tale che aveva condotto l'eccentrico scrittore umano a far parlare di sé, talmente tanto da divenire persino protagonista di processi davanti a una corte di giustizia.
«Il signor Wilde era consapevole dei rischi, eppure ha continuato a fare ciò che riteneva giusto fare per se stesso». Elogiare un uomo incline a tutto ciò di cui si leggeva sui giornali avrebbe fatto accapponare la pelle diafana della mia sgomenta madre, ma c'era pure da ammettere il coraggio da vendere che l'irlandese in questione continuava a mostrare davanti a tutta un'Inghilterra intransigente.
Forse era quello ciò che significava godersi a pieno la vita e renderla allo stesso tempo degna di essere vissuta.
Dovevo al più presto cercarmi uno scopo di vita, come Lawrence col suo investigare e sognare un detective con la pipa e un cappello da caccia in testa; come la continua ricerca del bello e del proibito per Wilde, scrittore di meraviglie e dal forte di desiderio di evasione da un mondo troppo rigido e severo.
Nei secondi che poi videro le pupille di Lawrence posarsi per tutta la stanza, io mi domandai che cosa ci facesse quel giovane dall'apparenza disorientata proprio lì, dove non avrebbe sperato di mettere piede non prima ottenuto il giusto permesso.
Mosse timido i suoi passi e intanto si pronunciò: «Non ero mai stato qui dentro, belle tende, Enya». Si complimentò sotto il mio sguardo un po' smarrito. Pareva letteralmente rapito dalle mie tende tirate alla finestra.
Ancora non riuscivo a comprendere né la sua aria da esperto di tende né cosa avessero quelle stesse per ricevere degli elogi.
«Oh, per la cronaca, la signora Atkins pare non essere in casa», spiegò distrattamente il vampirello a mo' di una valida scusa a quel suo sgattaiolare nella stanza di una donzella. Qualcos'altro catturò la sua attenzione, e non potei che sentirmi tutt'a un tratto orgogliosa del mio lavoretto di cucito con le bambole da donare in beneficenza. Holmes osservava con vivo interesse la cesta contenente quei corpi inanimati.
«Quando saranno pronte tornerò a Londra per consegnarle alle povere bimbe», spiegai avvicinandomi al ragazzo; Basil con ancora le zampette ben ancorate alla mia spalla.
«Londra! Giusto!».
Sussultai come in preda a un violento singhiozzo, come pure perdendo un bel po' di equilibrio mentre la vista mi veniva occupata interamente da uno stralcio di giornale lacerato malamente ai quattro lati.
Il vampiro, che tenne alto quel ritaglio bianco e nero, mi annunciò con grande ardore: «Enya, non capisci? Un nuovo trafugamento è avvenuto sotto il naso di Bob!».
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