Capitolo 11
11.
Irlanda, luna pelosa e pezzo forte
Interruppi il mio sonno abbandonando appena anche gli ultimi residui del dolce dormire. Venni, e con quanta irritazione, strappata infine dalle braccia di Morfeo da un continuo sbatacchiare di una coda rosa e liscia, che mi veniva sventolata con insistenza sulla guancia. Il fondoschiena di Basil fu la prima interessante attrazione su cui i miei occhi ebbero il piacere di posarsi.
«Se continui a rimpinzarti di formaggio diventerai una piccola luna piena pelosa», constatai sorridente ai due occhi rossi come sangue un po' annacquato che il bianchissimo topolino mi rivolse al suono della mia voce.
«Lo so che ne vuoi ancora un po', ma di questo passo troverò un mostriciattolo gigante al posto tuo!». Andai rimproverando all'animale, saltellando giù dall'alto letto a baldacchino. La luna permetteva di mostrare la sua luce tenendosi ben nascosta dietro a un muretto di nuvole, ma nonostante questo fui ben lieta di ammirare la notte appena arrivata rischiarata e, perciò, non poi così tremendamente buia da far quasi paura ai molti.
Il parlottio di mia madre e di mio padre proveniente dal piano inferiore mi offrì quell'ennesima certezza del loro risveglio e, in breve, volgendo un'ultima occhiata alla veduta di quella nitida parte di mondo notturno, raccattai un abito verdastro dall'armadio, acconciai i miei capelli raccogliendoli come meglio riuscii a fare e mi recai giù in salotto per inaugurare una nuova notte ai due sorridenti vampiri.
«Ben alzata, mia cara», mi accolse l'incantevole Annabel, suscitando l'invidia della sua stessa figliola. L'abitino color rosa perla le cadeva a meraviglia fasciando soavemente ogni curva delicata del corpo.
«Ah, Nerissa! Che ne dici di deliziare la campagna tutt'intorno con un duetto padre-figlia?». L'entusiasmo di mio padre allettò la mia mente di una grande aspettativa. Il sorriso smagliante dell'uomo, che pareva mai abbandonarlo tutte le volte in cui mi parlava, fungeva da quel sole allegorico che ogni tanto pareva mancare nelle mie nottate buie e malinconiche.
«Non prima di aver finito il lavoro di cucito con le bambole!», pensò a ricordare mia madre spegnendo troppo in fretta i miei pensieri proiettati in una stanza caldamente ridondante di sonate, melodie e uno scorrere del tempo che, per quanto potesse importarmi, poteva pure cessare di esistere.
A quanto pareva tutto era già ben stabilito, ma, dopotutto, una promessa è una promessa, dovetti ammettere.
Il mio patrigno avrebbe dovuto aspettare, le bimbe di Londra alle quali avrei dedicato il mio lavoro di cucito un po' meno.
Lanciai un cenno di scuse al rassegnato Mr Atkins il quale non ebbe neppure l'ardire di ribellarsi a sua moglie. Forse nel suo cuore da non-morto sapeva che in casi come quelli dare ragione a mia madre, la dolce e timida, Annie, sarebbe stata di gran lunga cosa buona. Avevamo più volte entrambi sperimentato la tenacia vampiresca della donna.
Consumai la colazione, una tazza colma di aromatico sangue fresco, condito con un infuso di erbe miste tra le quali capeggiava un odore molto forte di rosmarino e menta piperita. Dovetti ammettere la gradevole sinfonia di sapori che mi aleggiava nella bocca una volta rifocillato lo stomaco.
Salutai poi la coppietta affiatata di vampiri, che sapevo a breve avrebbero varcato la soglia di casa per la loro passeggiata notturna. Un attimo prima che mi accingessi a lasciare il salotto mia madre mi freddò con un sapiente: «Mi aspetto che mi racconti dove hai passato la scorsa notte, signorina». Il cipiglio che non vidi mi apparve però più eloquente dal solo tono utilizzato.
«Porterò a termine il lavoro, mamma. Le bimbe di Londra saranno contentissime, vedrai». Soppesai le parole per poi scappare via dall'imbarazzo e da mia madre. Avevo tenuto celato a entrambi i miei due cari genitori la breve visitina dai Moore, e non ero ancora pronta a rivelare tutto quanto scoperto ai danni del povero Bob Codafolta.
Salii le scale con calma e mi chiusi nuovamente nella mia camera. La brezza della notte entrava dalla finestra aperta al mondo sotto forma di sibili lamentosi ma gradevoli. Avrei passato del tempo piacevole impegnandomi con dedizione assoluta all'insieme di pezzi di stoffe messe insieme che mi aspettava in una cesta piena di gomitoli di lana.
Un bottone, due bottoni, ago in su, ago in giù, e cuci di là e cuci di qua, intanto il fantoccio prendeva forma tra una pausa e l'altra dovuta ai buffetti che donavo al curioso topino zampettante e contento della mia indaffarata compagnia.
A un certo punto dell'operato, lo sguardo che facevo posare di tanto in tanto al di fuori della finestra mi portò a scollarmi dalla comoda sedia a dondolo foderata e ad affacciarmi al davanzale, scansando intanto Basil, che subito scappò via spaventato dalla mia eccessiva reazione.
"Non ha lezioni di violino oggi", riflettei.
Non ci pensai due volte che già la bambola non ancora degna di tale appellativo finì scaraventata su di un baule decorato, con la promessa che niente avrebbe impedito la sua nascita prima che una nuova alba avesse infuocato l'orizzonte.
Mi ritrovai sul portico appena in tempo per vedere un improponibile Lawrence Holmes scattare con aria trafelata senza neppure badare attenzione alle preziose pianticelle di basilico e menta, che s'andarono appassendo al passaggio profanatore del giovane. Fui lieta che mia madre non avesse assistito a un così crudele scempio.
Lawrence mi venne incontro con tutta l'aria di chi non poteva resistere un solo secondo di più per farmi carico di notizie a lui solo conosciute. Rimasi piantata in cima ai tre scalini mentre seguivo con lo sguardo lo strusciante giornale che il vampiro mi spiattellava sotto il naso.
«Su, avanti, Enya, leggi un po' qui».
Impedita di fare diversamente toccai di mia mano la carta liscia che mi veniva spinta senza possibilità di allontanarla; un'impronta di scarpa macchiava la parte superiore della prima pagina di quel Daily Mail e sulla quale un titolo a caratteri cubitali attirò la mia attenzione.
Londra 30 Ottobre 1895
"Brutale violenza abbattutasi su Frank Pickford"
Il successivo articolo riportava:
"Il sangue si è versato ancora una volta per le strade della capitale. Il corpo di un noto professore universitario, Frank Pickford, è stato ritrovato in condizioni sconcertanti all'interno di un vicolo tutto fuorché losco e criminoso. Una donna della vicina abitazione pare sia stata succube di un immediato attacco di isteria alla vista del corpo riverso in una pozza di sangue. Uno spazzacamino ha ritrovato poi la suddetta svenuta ai piedi dello sfortunato professore, impedendo, inoltre, proprio in quel momento, a un giovanissimo monello di strada di strappare dalla mano dell'anziana signora inerme un anello riccamente impreziosito. Una lauta ricompensa pare sia stata gentilmente offerta dalla generosa padrona di casa al fortunatissimo spazzacamino.
Quartiere di lusso segue dunque i passi dell'Est End? Si chiede maggiore attenzione a tutti i cittadini."
Sgranai gli occhi sorpresa, poi sollevandoli a incontrare quelli di Lawrence, vispi e contornati da uno strano luccichio. Un ciuffo di capelli gli ricadeva disordinatamente sulla fronte.
«Non riesco a ben intendere cosa centri un uomo ucciso con me, ma deduco tu abbia trovato a terra il giornale».
«Oh, suvvia Enya, poco importa dove ho raccattato il giornale! Il pezzo forte sta in quell'articolo! Forse abbiamo una nuova pista».
Mi ostinai a guardare quel giovane dalla testa tanto piena di idee quanto lo era mancante di risposte la mia. Si trattava di un uomo assassinato in un vicolo come un altro, in una sera come un'altra e in una Londra che, per quanto sbagliato fosse, ancora una volta si macchiava di sangue.
Tutto a parer mio rientrava nella norma eppure dallo sguardo del mio amico la normale coincidenza poco o nulla c'entrava con i fatti precedentemente vissuti. Non avevo dimenticato la nostra visita nell'Est End, men che meno le facce degli zombie apparentemente non toccate da ombre menzognere.
«Cosa proponi di fare?», domandai con aria vagamente convinta. Fatto sta che non bastò a dare a Lawrence la totale sicurezza di cui tanto sentiva il bisogno.
«Enya, voglio farti vedere una cosa», annunciò, stavolta con occhi bassi.
Ci incamminammo in silenzio, il giornale arrotolato e tenuto sotto braccio da Holmes.
«Chi ti dà il permesso di chiamarmi Enya, a proposito?», lo rimbeccai.
«Sai una cosa? L'Irlanda è bellissima».
Accettai quella strana risposta. Forse un giorno ci sarei andata anch'io.
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