4. Quando meno te l'aspetti
Come una volpe braccata tende a rifugiarsi nella propria tana, così le gambe stavano guidando Carmen verso il Ghetto.
Quando se ne rese conto, la donna si bloccò di scatto. Cosa stava facendo?
Si impose la calma.
Doveva cercare di seminare gli inseguitori. Ma dove altro poteva farlo, se non nei sobborghi malfamati della città? Non conosceva granché del Business District, e di sicuro molto era cambiato dall'ultima volta che l'aveva visitato, diversi anni prima.
Mentre rifletteva, il ronzio acuto dei motori elettrici si fece più vicino: gli AI la stavano raggiungendo.
Quelle oscenità! Quale mente perversa poteva aver ordito una cosa simile?
Freddi mostri di metallo che non potevano provare pietà.
Senza ulteriori esitazioni, riprese la corsa, tuffandosi in una strada laterale e, di lì, in un vicolo stretto. Sapeva che ad ogni angolo della strada c'era almeno una telecamera che seguiva i suoi passi, alla quale probabilmente i robot che la stavano inseguendo avevano la capacità di connettersi. Ma al momento non poteva farci niente: se avesse rallentato, quelle macchine infernali l'avrebbero...
«Presa!» esclamò una voce maschile, mentre una morsa d'acciaio si stringeva intorno al suo braccio.
Carmen fece per divincolarsi e si preparò a lottare: riconobbe Dimitri giusto in tempo per fermare il pugno che aveva caricato.
«Sono... sono...» avrebbe voluto dire "nei guai", ma il sollievo per essersi imbattuta in un alleato le impedì di esprimersi. Sentì la gola annodarsi, mentre nuove lacrime, stavolta di sollievo, s'affacciavano sotto alle palpebre. Come se Dimitri avesse in tasca la soluzione a tutti i suoi problemi.
«Sei un'idiota.» sentenziò l'uomo, terminando la frase in sua vece.
La giovane cercò di non lasciarsi prendere dalla disperazione e conservare quel po' di dignità che le rimaneva. «Io... lo so, ho fatto una stupidaggine, ma...»
«Cosa pensi di fare, correndo in giro come una mosca impazzita? Non lo sai che ci sono occhi elettronici ovunque?»
Ah, allora era di quello che si trattava. In effetti, ci stava giusto pensando.
«Non c'è tempo. Dobbiamo andare!» Nel riconoscere la voce di Raven Karev, Carmen si sentì mordere dall'imbarazzo.
«Ma dove?! Se continuiamo semplicemente a girare a vuoto, prima o poi quelli ci friggono!» sbottò Dimitri, nervoso.
«Forse ho un'idea. Seguitemi!»
L'acrobata rimase senza parole. Avrebbe riconosciuto la terza voce anche tra mille: petulante ed a tratti stridula, era quella dell'Oca! Cosa ci faceva lei lì? Desiderava la prima fila per assistere al suo fallimento?
«Tu fai strada, io ci terrò al sicuro.» dispose Dimitri prendendo la figlia delle piantagioni sottobraccio, mentre con la mano libera impugnava un dispositivo, grande all'incirca come una moneta antica, su cui era visualizzata una mappa della zona circostante in cui si muovevano continuamente delle lucette. Carmen lo conosceva bene: permetteva di individuare le zone d'ombra delle telecamere.
Ma com'era possibile fidarsi di quella svampita, in una situazione di emergenza come quella? Probabilmente la più grande difficoltà che aveva dovuto affrontare in vita sua era stata scoprire che il vasetto di crema per il viso era finito anzitempo.
Prima che Carmen potesse dire alcunché, però, Venice s'incamminò di gran carriera, con il suo angelo custode che la spingeva ora da un lato, ora dall'altro della strada.
«Sbrighiamoci!» intimò di nuovo Raven, dandole una gomitata mentre si accodava a quell'improbabile coppia.
***
«Si può sapere che cosa diavolo ti è preso?!» le domandò la trapezista, mentre seguivano la ragazza albina verso una meta sconosciuta. «Dimmi che ti sei fatta di roba pesante. È l'unico caso in cui potrei scusarti!»
La giovane rimase in silenzio. Lei stessa, razionalmente, non avrebbe saputo dare un senso alle sue azioni delle ultime ore. Era come se l'intero ambiente che prima chiamava "casa" fosse diventato improvvisamente ingestibile, e l'avesse spinta ad agire.
La verità era che non poteva tollerare che lo sguardo ammirato di Sivar si posasse su qualcun altro. Lui guardava tutti con sufficienza, squadrava la gente dall'alto in basso. Oppure usava la sua fama per incutere timore.
Spesso bastava invocare il suo nome per mettere fine a una lite. Oppure, bastava una sua occhiataccia per riportare la gente a più miti consigli.
Sembrava non avere legami. Carmen aveva sempre sopportato senza problemi le sue mille relazioni: le donne che frequentava non erano niente più che distributori di sesso, per lui.
Era gelosa, però, della complicità che il domatore aveva con la tigre bianca del circo. Quante volte aveva sognato di prendere il suo posto!
Ma finora si era sempre accontentata di nutrirsi del suo sguardo, aveva respirato solo nella speranza di incontrare la sua approvazione: scoprire che entrambe le cose le erano state portate via dall'Oca l'aveva fatta dare di matto, l'aveva esasperata al punto da essere disposta a tutto pur di ribaltare la situazione. Pur di attirare l'attenzione di Sivar, aveva deciso di tentare un atto estremo.
Che ora rischiava di costare davvero caro.
«Qui!» esclamò Venice, eccitata.
Sfuggendo al contatto con il suo angelo custode, l'albina si avvicinò ad un portone blindato e premette un pulsante. Uno sportellino si aprì di scatto, rivelando un sistema di rilevamento biometrico, un lettore di schede e un tastierino numerico. Senza esitazioni, la giovane inserì un codice di nove cifre.
Ci fu un tenue sibilo seguito da uno scatto secco. Dimitri schiuse il pesante battente d'acciaio, quindi sbraitò: «Tutti dentro!»
L'interno era freddo, umido e in penombra. L'oscurità era interrotta solo da deboli luci di emergenza, sparpagliate qua e là sull'alto soffitto; sufficienti comunque a intuire che si trattava di un ambiente molto grande.
Venice non volle accendere lampade: «Non so se questo posto è monitorato!» spiegò.
«Dove ci hai portato?» domandò Raven, facendo vagare lo sguardo attraverso le molteplici file di appendiabiti.
«Questo è uno dei magazzini del famoso stilista Eric Bloom Surperry. Io sono... volevo dire, ero una sua collaboratrice». Un'esitazione davvero breve, notò Carmen: non sembrava troppo dispiaciuta di quel che si sera lasciata alle spalle.
Cosa poteva spingere una ragazzina viziata ad abbandonare gli agi della sua vita privilegiata, per rifugiarsi in un covo di pezzenti e malfattori?
«Per questo conoscevi il codice?» s'informò Dimitri.
L'altra annuì. «Lui usa solo quelli. Dice che le tessere si possono rubare, e le impronte digitali possono essere riprodotte e contraffatte.»
«Molto saggio» concluse l'altro.
«Che facciamo ora?»
«Ci serve un quadro più dettagliato della situazione.» stabilì Raven, esortando con un gesto Carmen a ragguagliarli. L'acrobata cercò di non omettere nessun particolare, arrossendo nel ripercorrere i recenti avvenimenti.
***
«Un bel casino» riassunse il clown alla fine.
«Una tragedia.» rincarò Raven.
«Se posso, io avrei...»
Di nuovo quella voce, fastidiosa come il ronzio di una zanzara in un orecchio.
Carmen l'interruppe, come già aveva fatto al circo. «Non frega niente a nessuno di cosa avresti fatto tu!» sbraitò, isterica. «Sei venuta qui per dimostrare di essere migliore di me? O forse vuoi gustarti la mia caduta! Se avessi un minimo di...»
Lo schiaffo la colse completamente alla sprovvista, uccidendole il discorso in bocca.
Per un lungo momento calò un silenzio teso.
Quindi Raven, massaggiandosi la mano, parlò con voce calma. «Dovresti mostrare un po' più di gratitudine a Venice. È stata lei a convincermi a non dire nulla a Sivar, dicendomi che lui non concede seconde possibilità e che avrei posto fine alla tua carriera. Ha insistito per venire qui ad aiutarti, in quanto parte del tuo gruppo. Inoltre, è riuscita a trovare un nascondiglio in cui possiamo riprendere fiato e pianificare le prossime mosse, e forse scongiurare la catastrofe a cui hai dato inizio».
Carmen fissò la ragazza albina come se la vedesse per la prima volta. Una leggera ricrescita bianca faceva capolino alla base della folta capigliatura ma, in quell'occasione, lei riuscì a guardarla senza provare il consueto ribrezzo.
Davvero le aveva coperto le spalle?
Cercò la voce per scusarsi con lei, ma al suo posto trovò solo uno spazio vuoto.
Per evitare di continuare a boccheggiare come un pesce rosso, chiese allora: «Che cosa avresti fatto tu?»
La figlia delle piantagioni sorrise a mezza bocca e scosse la testa. «No, no!» esclamò. «Stavo dicendo che io avrei... un'idea!»
SPAZIO AUTORE
Talvolta capita che proprio l'ultima persona che vorremmo vedere, in circostanze straordinarie, sia l'unica in grado di aiutarci.
In questo capitolo di collegamento, Camelie (Venice) dimostra di non essere così irrecuperabile come la sua autrice vorrebbe farci credere, e di avere qualche asso da giocare.
In cosa consisterà l'idea?
Lo scoprirete presto ma, se volete, potete provare a indovinare ;)
E se vi va, ditemi anche se avete immaginato subito da chi arrivava lo schiaffo, o se sono invece riuscito a ingannarvi e per un attimo avete pensato che fosse stata Cam a schiaffeggiare Carmen!
Spero che la storia stia continuando a piacervi e che i personaggi siano coerenti con l'opera principale ;)
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