2. Sotto i riflettori
Carmen si chiese se non avesse fatto il passo più lungo della gamba. Sentiva di poter essere più che una semplice coordinatrice, e voleva dimostrarlo. Desiderava che l'uomo che venerava da anni la vedesse sotto un'altra luce.
Scorgendo l'opportunità per mettersi in mostra l'aveva catturata al volo, ma già dopo pochi minuti era stata colta dal panico. Pensava di sorprendere il suo superiore mettendolo davanti al fatto compiuto, ma nell'entusiasmo del momento non aveva minimamente considerato la possibilità che qualcosa andasse storto.
Sivar non concedeva seconde occasioni a nessuno e non tollerava la stupidità.
Se avesse incasinato tutto, non gliel'avrebbe perdonato e, nel migliore dei casi, l'avrebbe cacciata a pedate dal circo. "Se vuoi che gli altri credano in te, devi essere la prima a farlo" le aveva detto una volta. Bene, era giunto il momento di mettere in pratica quell'insegnamento.
Sforzandosi di non pensare alle conseguenze, Carmen cercò di muoversi proprio come avrebbe fatto il suo mentore. Per prima cosa doveva reclutare una squadra di supporto.
Decise di fare affidamento sui suoi fedelissimi: coloro che facevano parte del suo numero equestre.
Li trovò raggruppati in circolo, intenti a discutere, in un tendone che veniva spesso utilizzato per le prove, adiacente a quelli in cui venivano tenuti gli animali.
Rimase sbigottita nel constatare che il centro di quel cerchio umano - e conseguentemente dell'attenzione dei presenti - era proprio l'Oca.
Venice sembrava perfettamente a proprio agio e stava discutendo di dettagli dell'abbigliamento con i suoi acrobati, senza averla avvertita.
«Sarebbe di grande effetto, secondo me, se a coppie avessimo tutti gli stessi colori.» stava dicendo, «pensavo a dei piccoli mantelli, diciamo lunghi non più di mezza schiena...»
«Niente mantelli!» sbottò Carmen.
Il piccolo consesso ammutolì, gli acrobati si dispersero, imbarazzati. Ma la figlia delle piantagioni fece un passo avanti e la fronteggiò a testa alta.
«Buongiorno, Carmen.» proclamò con voce suadente, un sorriso tirato dipinto sul volto.
«Un corno!» ritorse l'altra «si può sapere cosa pensavi di fare?»
«Stavo sentendo il parere dei ragazzi su alcune variazioni che vorrei apportare ai costumi di scena...»
Le parole della giovane sfumarono in un indistinto chiacchiericcio nella testa di Carmen, che riusciva a sentire solo la sua voce interiore. Con fragore crescente, essa le sibilava nelle orecchie che, dopo aver rubato il posto che spettava a lei nel cuore di Sivar, ora quella scema voleva portarle via anche la sua posizione nel circo. Non poteva tollerarlo.
«Silenzio, ragazzina!» sbraitò, con tale furore da indurla a fare un paio di passi indietro. Sentì tutti gli sguardi puntarsi su di sé. Benissimo: che vedessero pure chi comandava davvero.
«Vuoi cambiare qualcosa del mio numero... e non ti viene in mente di avvertirmi? Ma cos'hai al posto del cervello, la farina?!»
La ragazza accusò il colpo, lo sforzo che fece per non rispondere a tono fu quasi tangibile. «Volevo sentire il loro parere prima di interpellarti...» iniziò, ma di nuovo l'altra troncò la sua frase.
«L'unico parere che conta qui è il MIO!» gridò, calcando con la voce l'ultima parola. «Sono stata chiara?»
Venice distolse lo sguardo e strinse le labbra. La rivale ne approfittò per guardarsi intorno: qualcuno ridacchiava, altri sembravano senza parole. Con sgomento, però, l'artista si rese conto che a suscitare quei sentimenti non era l'albina, ma lei stessa!
Giudicavano esagerata la sua reazione? O conoscevano forse qualcosa di cui lei non era ancora stata informata?
«Che avete da ridere voi, mandria di smidollati!» gracchiò, la voce resa stridula dall'ira. Forse non stavano parlando solo di abbigliamento: forse Venice stava riorganizzando il numero equestre, e lei sarebbe stata l'ultima a sapere di essere stata rimpiazzata.
«Perchè non vuoi i mantelli?» la interpellò la giovane.
Carmen si voltò, furibonda; ma quando il suo sguardo incontrò quello vermiglio della giovane, si sentì lo stomaco rimescolato da un atavico ribrezzo e scordò quello che stava per dire.
«Sparisci dalla mia vista!» le soffiò contro e, vedendo che l'altra la fissava sorpresa, soggiunse a voce più alta: «fuori di qui!»
Scelse in preda all'ira le persone che l'avrebbero accompagnata, senza riflettere troppo sulle singole competenze.
Smyrna, una ragazza alta e slanciata che sfoggiava una cresta verde, dalla cui base si dipartivano numerose treccine che coprivano il cranio rasato; e Jethro, un uomo di colore di mezza età, magrissimo, che aveva tinto di fucsia i capelli, lasciati lunghi fino alle spalle, ad eccezione della parte anteriore del capo, completamente rasata. «Voi due, venite con me.» ordinò. «Con gli altri farò i conti più tardi!»
Nessuno ebbe il coraggio di discutere.
La velocità era essenziale: Dimitri avrebbe potuto imbattersi casualmente in Sivar e fargli qualche domanda, mettendolo in allerta.
L'appuntamento era nel Business District.
La città era divisa in settori che riflettevano la classe sociale dei rispettivi occupanti: oltre al luogo in cui i poveracci tiravano a campare, c'erano la zona residenziale, quella dedicata agli affari, quella per lo shopping, e così via. Al di là del centro abitato c'erano le piantagioni, dove i vertici di quella società, che vivevano nel lusso e nella ostentazione più sfrenati, dominavano con pugno di ferro gli schiavi.
Recentemente, un movimento massonico aveva cominciato a cercare di scuotere le coscienze, per impedire che la felicità di pochi fosse costruita sul sangue di molti.
Ma il governo l'aveva liquidato come "terrorismo".
Al momento di superare l'invisibile confine che separava il Ghetto dal resto del mondo, Carmen esitò. Da anni non metteva piede fuori da quel luogo dimenticato dalle leggi di Dio e degli uomini, che l'aveva separata dal proprio passato. Il circo era stato per lei come una rinascita: varcare quel limite significava riportare alla mente ricordi dolorosi. L'idea di tuffarsi in mezzo agli sguardi delle telecamere collegate agli AI di sorveglianza la sgomentava più di quanto si fosse aspettata.
«Qualcosa non va?» Chiese Smyrna.
Ormai il dado era tratto: non poteva tirarsi indietro senza scoprire le proprie carte.
«Mi stavo solo orientando» assicurò, quindi puntò con decisione verso il marciapiede.
***
Raven Karev aggrottò le sopracciglia.
«No, non lo vedo da ieri mattina».
Dimitri si passò una mano sul cranio rasato. Era sempre a disagio quando parlava con lei, quasi non si sentisse degno di farlo. Un po' come se si stesse rivolgendo a una divinità. «Sai per caso se è... partito?»
«Partito?» Fece eco lei, sgranando gli occhi «doveva partire?»
Lui si schiarì la gola. «Forse no».
La trapezista si fece attenta, i penetranti occhi neri sembravano scandagliargli la mente. «Sta succedendo qualcosa. Non è vero?»
L'uomo esitò. «Non so».
«Se non avessi questo dubbio, non saresti venuto da me».
«Credo che Carmen si stia mettendo nei guai».
«Raccontami tutto».
***
Si mossero furtivi ma senza dare nell'occhio, coprendosi le spalle l'un l'altro.
Carmen in testa, Jethro staccato di poco, dall'altro lato della strada e Smyrna un po' defilata, che faceva dentro e fuori dai vicoli e dalle strade laterali.
Si raggrupparono davanti alla meta, la stessa espressione perplessa stampata in volto.
«Sicura che sia qui?!» domandò Jethro.
«Così dice il biglietto.» spiegò Carmen.
Si erano fermati davanti a quello che sembrava un semplice box auto, chiuso e apparentemente in disuso da parecchio. Sulla saracinesca sbiadita spiccavano i rettangoli chiari lasciati da cartelli ormai spariti. La serratura era tanto vecchia da necessitare ancora di una tessera magnetica, anziché di qualche sistema di riconoscimento biometrico.
Carmen sentiva la propria credibilità evaporare ad ogni respiro, quasi essa potesse mescolarsi con le nuvolette di vapore del suo fiato nell'aria gelida.
Il posto era indubbiamente quello, ma lei non aveva nessun badge. Possibile che Dimitri non glielo avesse dato? Che l'avesse fatto apposta per darle una lezione?
O magari...
«C'è un pulsante, qui sotto!» notò Smyrna, esaminando il lettore di schede. Prima che lei potesse fare alcunché per impedirglielo, la giovane lo premette e il meccanismo prese a sollevare il pesante portone, cigolando e sferragliando.
L'ampio ambiente interno, abbastanza grande da contenere un furgone, era illuminato a giorno. C'erano un uomo seduto su una poltroncina, in fondo alla stanza, e cinque casse accatastate lungo le pareti laterali, proprio in prossimità dell'apertura che sembrava essere l'unico ingresso.
Lo sconosciuto si alzò in piedi e li invitò ad entrare con un gesto.
L'intuito di Carmen le gridò con tutto il fiato di andarsene. Ma lei sentiva di non poterlo fare, ora che era lì. Diede indicazione a Smyrna di attendere fuori mentre, con Jethro al proprio fianco, si fece incontro al misterioso interlocutore.
SPAZIO AUTORE
Rieccoci con le avventure di Carmen!
La poveraccia è talmente ossessionata dal bisogno di primeggiare su Venice da essere diventata paranoica, e non si rende conto che col suo modo di fare si sta rendendo ridicola, o quantomeno strana, agli occhi dei suoi amici.
Per fortuna, pare che ci siano degli angeli custodi pronti a vegliare su di lei... ne avrà bisogno? O qualcuno di voi pensa che sia in grado di reggere la situazione?
E Sivar? Dove sarà?
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