Capitolo Ventiduesimo
Abbandonata sul pavimento freddo dell'ingresso e con la schiena poggiata alla porta, piansi disperata fino sentire le palpebre farsi sempre più pesanti. Chiusi gli occhi, con le guance ancora bagnate di lacrime.
Un forte odore di fumo mi fece aprire gli occhi di colpo. Percepii il pericolo e fui completamente vigile fin dal primo momento in cui mi svegliai. Numerose grida arrivarono alle mie orecchie e mi unii ad esse quando vidi una nube di fumo nero entrare da sotto la porta di metallo color panna. Tutti i miei sensi in quel momento avvertirono che ci fosse qualcosa che non andava, capii velocemente che quelle che sentii non erano le solite urla che sentivo solitamente in questa gabbia di matti. Urlai terrorizzata anche io, ma la mia voce si spezzò quando l'insopportabile coltre di fumo iniziò lentamente ad entrare nei miei polmoni. Istintivamente corsi verso lo scomodo letto salendoci sopra, per poi affacciarmi fuori dalla finestra catturando quanto più ossigeno riuscii a far entrare nei polmoni. Tentai come altre volte di allargare le sbarre di metallo della piccola finestra ma non ci riuscii, ferendomi le mani con la ruggine come spesso capitava.
Urlai, unendomi per una seconda volta al coro di voci terrorizzate che sentii. Rimasi in piedi sul letto con il volto fra le due sbarre di metallo nell'inutile tentativo di respirare meno fumo possibile. Sentii una sirena provenire dall'esterno e vidi degli enormi camion rossi, che identificai come i soccorsi, entrare nel viale che riuscivo a vedere grazie alla piccola apertura nella parete che sicuramente non poteva definirsi finestra. Osservai i camion e li vidi fermarsi bruscamente, da questi scesero diversi uomini tutti uguali che iniziarono a correre verso l'edificio in cui ero intrappolata. Nessuno di questi sembrò vedermi ed urlai disperata nella speranza di essere salvata. Il fumo iniziò ad uscire dalla finestrella rendendo l'aria irrespirabile, fino a che la mia vista non si offuscò completamente. Disorientata, con gli occhi che bruciavano e i polmoni piedi di fumo, persi l'equilibrio e caddi battendo la testa, perdendo conoscenza.
Mi svegliai da quell'incubo orribile tossendo e urlando terrorizzata, lamentando silenziosamente un terribile dolore alle tempie. Sbattei le palpebre cercando di mettere a fuoco l'ambiente circostante e nel giro di pochi secondi vidi Agata correre verso di me preoccupata. Smisi di urlare quando mi resi conto di essere uscita da quel terribile incubo. Mi alzai da terra con l'aiuto di Agata ed insieme ci sedemmo sul divano. Mi versò un bicchiere d'acqua e fra un respiro profondo e l'altro, lo bevvi tutto d'un fiato. Restammo entrambe in silenzio e mentre lei prestò attenzione a me, io osservai un punto indefinito davanti a me senza riuscire a dire assolutamente niente.
<<Mi spieghi cosa è successo?>> mi chiese lei, prendendomi il bicchiere ormai vuoto dalle mani per poggiarlo sul tavolino accanto a noi.
<<Uran se n'è andato...> iniziai a raccontare scoppiando quasi subito in lacrime, <<Poi mi sono seduta sul pavimento appoggiata alla porta e credo di essermi addormentata...>> le dissi confusa, facendo mente locale.
Mi sentii sconvolta da quanto sembrasse reale quell'orribile sogno soprattutto per il fatto che mi sembrava ancora di sentire l'odore del fumo intorno a me.
<<Sì ma poi? Hai avuto un incubo Bat?>> mi chiese con tono gentile Agata, accarezzandomi il braccio lentamente.
Io in risposta annuii e strizzai gli occhi, facendo cadere altre lacrime sulle mie guance.
<<Me lo vuoi raccontare?>> mi chiese cauta a voce bassa.
<<Ero in quella stanza bianca, ho sentito delle urla disperate e poi la mia stanza si è riempita di fumo così velocemente che istintivamente ho provato a scappare via attraverso la piccola finestrella della camera... ma il fumo era così tanto che la mia vista si è offuscata e sono caduta perdendo l'equilibrio>> le raccontai cercando di essere chiara, nonostante fosse terribilmente angosciante ricordare ogni singolo attimo del sogno.
Per un attimo sentii delle sirene, le stesse che sentii nel sogno ma pensai che fosse solo un brutto scherzo della mia mente provata.
Mi impietrii quando Agata mi abbracciò senza alcun preavviso ma dopo qualche secondo mi resi conto di aver bisogno di quel contatto e ricambiai la sua affettuosa stretta. Chiusi gli occhi beandomi della calma che mi trasmise quel semplice gesto, dimenticando momentaneamente gli errori che rovinarono l'amicizia che stava per nascere.
Sciolsi l'abbraccio e notai l'espressione concentrata di Agata, così le chiesi spiegazioni.
<<A che pensi?>> le chiesi curiosa.
<<Se i sogni che fai fossero una qualche proiezione della realtà?>> disse informandomi dei suoi pensieri lei, guardandomi pensierosa.
<<Cosa intendi?>> le chiesi non capendo dove volesse arrivare con questa strana ipotesi.
<<Se ciò che sogni fosse o diventasse reale e fosse collegato in qualche modo alla ragazza del manicomio?>> mi spiegò mandandomi ancora di più in confusione.
Riflettei attentamente davanti alle sue parole, cercando prove per avvalorare o far cadere la sua tesi, ma l'unica cosa che mi venne in mente fu la poca credibilità della cosa.
<<Non ha assolutamente senso>> le risposi perplessa.
<<C'è qualcosa che ha senso in questa storia?>> mi chiese retoricamente ed io non potei far altro che darle ragione.
<<Se fosse così, starei sognando tutto ciò che vive quella ragazza?>> dissi in un sussurro, cosicché mi potesse sentire solo Agata, poiché attanagliata all'angoscia che provai nel dirlo.
<<Se non ci stiamo sbagliando e tu hai sognato la stanza riempirsi di fumo...>> iniziò a dire la mia coinquilina in tono insicuro.
<<Endora è in pericolo!>> esclamammo in contemporanea, spalancando gli occhi.
<<Cosa facciamo?>> le chiesi alzandomi in piedi dopo di lei.
<<Non lo so, non abbiamo nessuna certezza>> mi rispose lei frustrata, con le mani fra i capelli.
<<Ma non possiamo semplicemente aspettare di averne!>> esclamai a volume più alto in preda al nervosismo.
<<Calmati, possiamo cercare su internet se ci sono notizie preoccupanti>> disse dopo un respiro profondo e si sedette sul divano con il telefono in mano.
Mi sedetti immediatamente accanto a lei e guardai lo schermo del suo cellulare illuminarsi. Cercammo nei principali giornali della zona ma non trovammo nessuna notizia che ci portasse a pensare che Endora fosse effettivamente in pericolo... non più di quanto lo fosse prima almeno.
<<Niente...> disse Agata, forse sollevata dalla cosa.
<<Andiamo a dormire?>> proposi arrendendomi.
<<Certo che no, ma come ti viene in mente?>> mi disse guardandomi male ed io mi sentii sollevata.
<<Preparati>> mi disse, <<Andiamo a controllare di persona> continuò.
Non me lo feci ripetere due volte e mi alzai andando prima di tutto a fare una lunga doccia. Sotto lo scorrere dell'acqua non riuscii a scacciare i molteplici pensieri che mi investirono uno dopo l'altro. Pensai irrimediabilmente ad Uran e a come avrei potuto sistemare le cose, pensai all'università, pensai ad Agata ed infine pensai alla ragazza che mi somigliava tanto: Endora. Trovai buffo che avesse non solo il mio stesso nome ma anche i miei stessi dati anagrafici ed i miei stessi genitori, fu una cosa che non riuscii a spiegarmi.
Smisi di pensare quando l'acqua iniziò a diventare fredda facendomi rabbrividire. Uscii dalla doccia ed in accappatoio raggiunsi l'armadio, aprendolo. Senza starci troppo a scegliere, indossai un'anonima maglia nera, una felpa ed un paio di jeans neri. Indossai di fretta dei calzini e infilai gli anfibi stringendo bene i lacci. Dopo aver raccolto i miei lunghi capelli neri in due trecce ai lati della testa, tornai in salotto trovando Agata in salotto. La osservai fasciata da un paio di jeans militari ed una felpa beige con il cappuccio.
<<Non ti vesti di nero nemmeno di notte?>> scherzai facendola sorridere.
<<E tu non indossi un colore nemmeno sotto ricatto?>> mi rispose sorprendentemente, così le feci la linguaccia.
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