Capitolo Venticinquesimo
Uran mi accompagnò in facoltà e mi salutò con un bacio così poco casto che mi dispiaque lasciarlo andare via, ma quella mattina lui decise di saltare le lezioni per quei "suoi impegni" ed io mi ritrovai ad entrare in aula per poi cercare di seguire la lezione, accanto a quella che identificai come la ragazza fissata con gli evidenziatori. L'insegnante di filologia romanza iniziò a spiegare velocemente come se nessuno meritasse di avere la possibilità di prendere appunti, così lo registrai per non perdere nemmeno un secondo dell'argomento che poi avrei dovuto portare ad un esame a metà novembre. Pensai che registrarlo sarebbe anche stato utile per passare gli argomenti ad Uran, dato che probabilmente mi avrebbe chiesto gli appunti delle lezioni perse.
<<Comunque il ragazzo del coma si è svegliato>> mi sussurrò la ragazza, tenendo un evidenziatore rosa in mano.
<<Ah sì?>> risposi cercando di trattenere la sorpresa, parlando sempre a bassa voce.
<<Sì, a quanto so si è svegliato ieri ma non conosco i dettagli>> mi spifferò la pettegola improvvisata facendo spallucce.
<<Meglio così, è una buona notizia>> le dissi io, accennando un sorriso senza sapere cosa dire.
<<Certo che sì, tutte le ragazze non vedono l'ora che lui torni in facoltà>> mi disse lei entusiasta.
Il professore riprese tutta la classe per il chiacchiericcio di sottofondo alla sua spiegazione e restammo in silenzio finché non arrivò il momento di cambiare aula. Andai nell'aula C per la lezione di storia medievale e dovetti uscire da lì due ore dopo con il polso dolorante per aver scritto senza riposo tutta la lezione. Mi godetti l'ora buca passandola nel bar accogliente e adorabilmente spento in cui stavo iniziando ad andare più spesso, bevendo un doppio caffè nero ben zuccherato e leggendo le pagine di appunti prese in quella mattinata. Quando l'ora passò raccolsi le mie cose, pagai e tornai in facoltà raggiungendo l'aula O in cui avrei dovuto seguire la lezione di Papirologia, l'ultima di quella estenuante mattinata in cui riuscii miracolosamente a stare sveglia solo per i numerosi caffè ingeriti.
Dopo aver seguito con meno lucidità anche la lezione di Papirologia, delusa dalla pesantezza degli affascinanti argomenti e stanca per la notte insonne, scappai via dall'aula e dalla facoltà senza fermarmi nemmeno a salutare Gabriele, l'amabile custode della struttura in cui studiavo.
Tornai all'appartamento esausta e ringraziai infinitamente Agata quando scoprii di non dover cucinare, trovando tutto pronto.
<<Spero tu abbia voglia di spezzatino>> disse con voce squillante e fece aumentare il mal di testa che da poco mi accorsi di avere.
<<È perfetto>> risposi soltanto, sedendomi a tavola.
Bevetti un bicchiere d'acqua nella speranza di alleviare il mal di testa e iniziai a mangiare non appena il pranzo fu servito ad entrambe da Agata, decisamente molto più lucida e riposata di me.
<<Ho chiesto a Stefano come mai ha chiamato Uran con il nome Mondred>> mi informò, aspettando una mia reazione.
<<Cosa ti ha risposto?>> le chiesi sbadigliando.
<<Ha detto che l'ha chiamato con il suo nome>> mi disse lei, lasciandomi perplessa.
<<In che senso?>> le chiesi stordita dalla stanchezza.
<<Ha detto così, non so dirti altro>> mi rispose facendo spallucce confusa quanto me.
<<Anche io ho novità>> la informai, mangiando lo spezzatino che avevo nel piatto.
<<Quale novità?>> mi chiese lei mettendosi composta sulla sedia.
La troppa luce in cucina iniziò davvero ad infastidirmi così come la sua t-shirt bianca con i brillantini, quindi mi alzai da tavola per chiudere leggermente le persiane e tornai a sedermi.
<<Uran suppone che Stefano lo abbia scambiato per il fratello Mondred, quello che guarda caso ieri pomeriggio si è risvegliato dal coma>> la informai fra una forchettata e l'altra del mio pranzo.
<<Si è svegliato? Tu come lo sai?>> mi chiese lei, <<Te lo ha detto Uran?>> continuò poi con le domande.
<<L'ho saputo all'università, credo che la voce stia girando in fretta, probabilmente lo sanno già tutti>> le spiegai bevendo poi un sorso d'acqua.
Finimmo di mangiare e mi sentii in dovere di sparecchiare mettendo tutto in lavastoviglie, mentre Agata si rese ancora una volta la coinquilina perfetta preparando il caffè. Lo bevvi sperando di riuscire a restare sveglia ancora per qualche ora, non avendo la minima intenzione di addormentarmi dopo l'ultimo incubo.
Dopo pranzo andammo in salotto per guardare la televisione, che una volta accesa trasmise il telegiornale locale. La notizia allarmante che lessi nei titoli mi fece impallidire ed impedii ad Agata di cambiare canale, facendole alzare invece il volume.
<<Villa Barruzziana, l'ospedale psichiatrico accreditato va a fuoco nella mattinata, il grave incendio non è ancora stato spento dai vigili del fuoco che si sono immediatamente recati sul posto per soccorrere i numerosi pazienti della struttura>> disse la giornalista e immediatamente mandarono in onda il video del grande edificio color pesca avvolto dalle fiamme e dal fumo.
L'immagine mi fece rabbrividire e spalancare gli occhi, guardai Agata che fece la mia stessa espressione.
Il panico si impossessò di noi facendoci agitare, nessuna delle due riuscì a stare seduta sul divano un secondo di più. Feci avanti e indietro facendo uscire dalla bocca solo imprecazioni, Agata si mise le mani fra i capelli e quando smise di torturare quelli iniziò a mangiarsi le unghie in preda al nervoso.
<<Dobbiamo andare lì>> dissi impulsivamente ad Agata, non volendo stare ferma.
<<No, rischieremmo di intralciare i soccorsi, non è una buona idea. Inoltre, se qualcuno ci ha viste andare lì la notte prima dell'incendio, rischieremmo di finire nei guai tornandoci>> mi spiegò lei più lucidamente.
<<Cosa proponi? Di stare qui ferme ad aspettare?!>> le chiesi alzando la voce, sull'orlo di una crisi isterica.
<<Da qui avremo più facilmente notizie>> mi rispose lei, convincendomi a pazientare almeno un po'.
Annuii dandole ragione e tornai a sedermi sul divano grigio dell'anonimo salotto del nostro appartamento. Respirai profondamente osservando la televisione che trasmise diverse immagini dell'incendio e subito dopo iniziarono a parlare di vittime dell'incendio.
Alla parola "vittime" non riuscii più a stare ferma e chiamai Uran sentendo il bisogno di lui e del suo supporto. Il suo telefono squillò ma dopo diversi secondi scattò la segreteria e chiusi immediatamente la telefonata, lanciando il telefono sul tappeto.
<<Che hai fatto?>> mi chiese Agata, con voce un po' spenta.
<<Ho provato a chiamare Uran>> le risposi, sbuffando in preda all'impazienza.
<<Non ha risposto?>> mi chiese poi perplessa.
<<No>> le risposi.
<<Che strano, non credi? Sparisce proprio quando va a fuoco l'ospedale psichiatrico>> disse immaginandosi una qualche teoria a me ignota.
<<Non so, sarà solamente andato dal fratello>> ipotizzai difendendolo, per poi sbadigliare.
<<Troppe novità nel giro di due giorni>> disse lei iniziando a fare avanti e indietro per la stanza con l'espressione concentrata.
<<Uhm>> ebbi soltanto la forza di dirle, prima di accoccolarmi sul divano esausta.
<<Ma che fai, dormi proprio ora? Sul divano poi?>> mi chiese lei, portando le mani ai fianchi.
Mi prese per il braccio e mi trascinò in camera, lasciandomi sul mio letto. Iniziai lentamente ad allontanarmi dalla realtà fin quando non mi sentii chiamare dalla mia coinquilina e dovetti usare tutte le mie energie per aprire almeno un occhio.
<<Endora cosa è questo?>> mi chiese lei allarmata.
Il suo tono mi fece tornare abbastanza lucida da riuscire ad alzarmi con le mie forze e raggiungerla sulle mie gambe, dopo averla rintracciata davanti alla mia scrivania.
<<Cosa c'è?>> le chiesi ancora stordita dal sonno e dal forte dolore alla testa.
<<Cosa è questo?>> mi ripetè lei, indicando il mio diario.
Osservai con attenzione il diario aperto con una penna senza tappo accanto e notai solo dopo molti secondi uno strano disegno sulla pagina di destra. Quel disegno mi sembrò tremendamente familiare, ma in realtà non seppi dare spiegazioni ad Agata su cosa fosse o chi l'avesse fatto.
Feci spallucce guardandola e lei alzò un sopracciglio in risposta.
<<Non so, la pagina era bianca l'ultima volta che ho toccato il diario>> le dissi in preda alla confusione.
<<Riconosci il disegno?>> provò a chiedermi, osservandolo da più vicino.
<<Mi è familiare>> le dissi senza riuscire a capire dove avessi già visto uno scarabocchio simile.
<<Credo che tu abbia davvero bisogno di dormire, da quanto non dormi?>> mi disse dopo avermi visto sbadigliare.
<<Non saprei ma direi da fin troppo tempo>> le confessai restando però sul vago.
<<Cerca di dormire allora>> mi disse lei allarmata, spingendomi poi fino al mio letto.
Mi levò le scarpe fra una lamentela e l'altra.
<<Non voglio dormire>> le dissi, <<Non ho sonno, davvero>> continuai scalciando, <<Non voglio avere un altro incubo>> le confessai alla fine, sentendo gli occhi chiudersi lentamente fino ad addormentarmi profondamente.
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