Capitolo quindicesimo

Uran usò la parola "romantico" per due volte nel giro di una sera. Questa cosa mi mandò su di giri, mi resi conto che sembrava l'appuntamento perfetto e ne ebbi la conferma quando ci fermammo davanti ad una vecchia casa abbandonata.

Saranno state le nove, forse le nove e un quarto, quando scavalcando una dopo l'altro il muretto che separava la vecchia casa dalla strada, entrammo in quello che aveva tutta l'aria di un'ambientazione perfetta per un film horror degno di questo nome.

Feci un sorriso a trentadue denti e sempre per mano, camminammo verso l'ingresso. Nel buio per quello che riuscii a vedere da fuori, mi sembrò una casa sopravvissuta ad un grosso incendio.

Chissà, mi venne da pensare, se questa casa fu abbandonata perché durante l'incendio morirono tutti coloro che abitavano lì. Pensai subito dopo che se fosse stato così ci sarebbero stati, con un po' di fortuna, i fantasmi di coloro che erano morti nell'incendio.

Smisi di pensare a cose lugubri ed esaltanti, solo quando il cigolio della porta mi riportò con i piedi per terra. Quel rumore mi trasmise una scarica di adrenalina così eccitante che dovetti trattenermi dal saltellare felice come avrebbe fatto una bambina in un negozio di caramelle. Entrò prima lui e subito dopo entrai anche io dietro di lui. Accese la torcia del telefono e la poca luce che produsse ci consentì di vedere con più chiarezza dove ci trovavamo. Il parquet di legno fece rumore ad ogni nostro passo fino a ché non arrivammo ai piedi di una rampa di scale posta sulla sinistra dell'ingresso, adiacente ad un buio corridoio. Salimmo quelle scale con grande attenzione per non far cadere le pizze e mentre io non riuscii a smettere di osservare ogni piccolo dettaglio di quella incompresa meraviglia, Uran sembrava essere abituato a questo gioiellino di casa. In cima alle scale trovammo un corridoio con delle stanze dove quasi nessuna di queste aveva la porta intatta. Entrammo nella seconda sulla sinistra e con mia grande sorpresa, ci ritrovammo praticamente all'aperto. Il tetto e due delle pareti erano probabilmente crollati molti anni fa permettendoci una vista su un piccolo parco giochi abbandonato. Immobile al centro di quella che anni prima fungeva probabilmente da camera da letto, ammirai nonostante la penombra un'altalena muoversi leggermente grazie alla forza del vento.

Mi girai sentendo un rumore e vidi Uran aprire una vecchia cassa ricoperta di polvere. Da questa ne tirò fuori una coperta che stese per terra e un'altra che poggiò ammucchiata su quella stesa.

La mia espressione si fece perplessa.

<<Ci vengo spesso>> mi spiegò facendo spallucce.

Tutto mi sembrò meno illogico e feci spallucce anche io, smettendo poi di guardarlo confusa.

Poggiammo le pizze al centro della coperta che usammo come tappeto e mi coprii le gambe con l'altra. Iniziammo a mangiare, con la vista sul cielo stellato e su quei giochi abbandonati dai bambini ed infestati dalla ruggine.

<<È magnifico>> confessai sorridendo a bassa voce guardando un punto indefinito della sua giacca.

Lui si avvicinò a me tanto da avere il suo viso a un palmo dal mio. Mi sentii soggiogata tanto che schiusi le labbra quando lui si spostò lentamente con le labbra ad un centimetro al mio orecchio.

<<Se quando ti riporto a casa non sogni di questa sera, giuro che mi offendo>> sussurrò vicinissimo al mio orecchio.

Sorrisi sentendo le sue parole e poi ci ritrovammo di nuovo faccia a faccia, ad un paio di centimetri di distanza.

Mentre lui alternava lo sguardo dai miei occhi alla mia bocca ed io facevo lo stesso con lui, le distanze si azzerarono fino a far toccare le nostre labbra in modo lento e dolce.

<<Ti salverò da quell'incubo, te lo prometto>> disse serio, guardandomi dritta negli occhi.

Ci baciammo ancora e ancora... Ma non appena sentii l'impulso di spingermi sopra di lui quel magnifico momento venne interrotto dallo squillo di un cellulare. Riconobbi la mia suoneria e mi allontanai sbuffando con il proposito di guardarmi intorno alla ricerca del telefono. Lo schermo acceso mi aiutò rendendo breve e semplice la ricerca.

Due chiamate perse da 'coinquilina'.

<<Perdonami, non mi chiama mai, credo sia importante>> dissi ad Uran con aria mortificata e dispiaciuta per l'interruzione, ma la preoccupazione per Agata crebbe e non esitai a rispondere quando il telefono squillò di nuovo.

<<Pronto?>> risposi sentendo un peso sullo stomaco dovuto all'ansia.

<<Endora devi tornare a casa, adesso.>> disse saltando i convenevoli Agata, parlando dall'altro capo del telefono.

<<Ma che stai dicendo Agata, che succede?...>> risposi sempre più preoccupata ma anche confusa.

Lanciai un'occhiata ad Uran mentre tenevo il telefono appiccicato all'orecchio e lo vidi osservarmi preoccupato, con un cipiglio sul volto.

<<C'è tua madre qui, chiede di te>> sussurrò lei spiegandomi finalmente cosa stava succedendo. Tirai un sospiro di sollievo pensando che non fosse nulla di grave.

<<Sto arrivando>> le dissi concludendo la conversazione.

<<Devo tornare a casa>> dissi poi ad Uran, che annuì prontamente.

Così prendemmo le nostre cose e sistemammo le coperte nella vecchia cassapanca di legno impolverata. Si offrì timidamente di accompagnarmi fino al mio appartamento ed io accettai sia per la sua compagnia, sia perché non ricordavo bene la strada per tornare a casa.

<<Mi dispiace per il telefono...>> dissi imbarazzata mentre camminavamo su un marciapiede poco illuminato.

<<Dispiace anche a me, ma può capitare... Non sentirti in colpa>> rispose accennando un sorriso per tranquillizzarmi.

<<È stata una bella serata comunque>> gli confessai regalandogli un sorriso. Fui sicura che i miei occhi in quel momento stessero luccicando.

<<La cosa che hai preferito di questa sera?>> chiese inaspettata.

Decisi di rispondergli con leggerezza, senza dargli troppe soddisfazioni ma con un sorriso spiritoso sulle labbra.

<<La pizza>> risposi, facendogli poi la linguaccia. Rise e riso anche io felice, con la mano che stringeva la sua.

Poco dopo arrivammo al mio appartamento. Avrei salutato Uran per fare in modo che mia madre non lo incontrasse, ma non ebbi nemmeno il tempo di salutarlo che vidi Agata sulla porta a braccia conserte e con uno sguardo negativamente inquietante.

<<Agata, perché mi stai aspettando qui? Mia madre dov'è?>> chiesi dato che mi sembrò strano.

<<In casa, immediatamente. Tutti e due.>> sibilò duramente.

Io e Uran incrociammo confusi i nostri sguardi prima di obbedire preoccupati.

Una volta nell'appartamento seguimmo in silenzio Agata fino alla cucina dove ci indicò due sedie facendoci cenno di sederci.

<<Dov'è mia madre?>> chiesi, sempre più confusa.

<<Tua madre non c'è, ora restate in silenzio e mi ascoltate>> intimò ad entrambi, lasciando cadere sul tavolo una cartella beige simile ad un fascicolo.

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