Capitolo quattordicesimo

Erano le piccole cose a cambiare da sempre il mio umore, i piccoli gesti, le parole dette di getto e quelle visibilmente poco pensate. Erano i dettagli che mi cambiavano, che mi influenzavano, quegli stessi dettagli che mi distinguevano dagli altri. Quelli che facevano in modo che la gente si girasse quando camminavo per la strada. Delle volte un dettaglio era una collana, altre volte le scarpe vistose o i miei lunghissimi capelli ma questa volta quel dettaglio che catturò gli sguardi di chi incrociai tornando a casa fu il mio sorriso. Un sorriso colmo di felicità, gli occhi luccicanti da cui trasparì il mio stato d'animo.

Il progetto di riempire le mie giornate con l'aiuto di Uran mi diede una speranza in più di lasciarmi alle spalle questa storia degli incubi. L'idea mi rese così entusiasta che quando arrivai a casa all'ora di pranzo, mi sentii impaziente di dirlo ad Agata.

<<Questo tuo amico è... solo un amico?>> chiese dopo che gli raccontai la nostra idea. Sul volto, un'espressione ammiccante.

<<No... cioè sì ma non era quello il punto>> balbettai, vedendola fuori strada. Insomma, le avevo appena raccontato di un possibile modo di lasciarmi alle spalle gli incubi e lei si era fermata alla parola "amico".

<<Ah sì? >> rispose alzando un sopracciglio.

<<Sì, sei fuori strada.>> dissi seria abbassando lo sguardo. Non era una bugia, non le avevo mentito ma proprio per questo mi intristii di colpo. Una parte di me desiderò ardentemente di poter dare ragione ad Agata ma fra me e Uran non c'era davvero più che una semplice amicizia.

Agata si comportò come se mi avesse letto nel pensiero o come se semplicemente avesse notato l'ombra nei miei occhi e ne avesse compreso la ragione.

<<Ti piace, eh?>> mi chiese sapendo già la risposta. Annuii in risposta senza parlare.

Lei mi abbracciò e io mi beai di quel contatto che per la seconda volta da quando l'avevo incontrata mi fece di nuovo sentire a casa. Pensai che forse l'avevo giudicata male, ma l'improvviso ricordo della sua 500 rosa mi fece rinsavire. Sciolsi l'abbraccio e le dissi che era tutto a posto.

<<Non è mica una cosa negativa, se mi piace un ragazzo, no?>> le dissi facendo spallucce. Me ne andai in camera mia senza ulteriori indugi e levai i vestiti per sostituirli subito dopo con la mia adorata vestaglia di pizzo nero. Mi sedetti sul letto e presi dal comodino Obscura, di Edgar Allan Poe, amavo leggere gli scritti di questo autore.

Lessi per un periodo indefinito di tempo finché non venni interrotta da qualcuno che bussò alla porta. Un po' annoiata ma principalmente scocciata risposi <<Avanti>>. La porta si aprì e per poco urlai dallo spavento quando vidi Uran. Istintivamente, misi le braccia conserte per coprire almeno un po' la scollatura della vestaglia.

<<Preparati, dobbiamo riempire la tua giornata, ricordi?>> disse come se nulla fosse, senza ricordarsi nemmeno di salutare.

Il suo entusiasmo mi convinse, balzai giù dal letto e lo pregai di aspettare cinque minuti per poi spingerlo fuori dalla stanza e chiudergli la porta in faccia. L'adrenalina che mi contagiò mi fece fare tutto quanto di fretta. Infilai di corsa un vestitino nero in pizzo con le maniche lunghe e un'interessante ma non esagerata scollatura sul seno. Lo abbinai a dei semplici collant neri e scelsi di mettere degli anfibi neri anch'essi semplici. Dopo essermi pettinata ed aver aggiustato il trucco che già avevo, agguantai la mia borsetta a forma di teschio di velluto color vino e aprii la porta della mia camera. Vidi Uran appoggiato su un bracciolo del divano e lo sorpresi mentre si accingeva a controllare l'ora sull'orologio nero con il cinturino borchiato che aveva al polso. Attirai la sua attenzione schiarendomi la voce e mi beai del suo sorriso quando mi vide.

<<Sono pronta>> lo informai con voce contenta. Di Agata nessuna traccia, ma vidi la porta di camera sua chiusa e pensai fosse lì.

<<Allora andiamo>> mi disse, facendo un cenno con la testa verso la porta.

Uscimmo da casa mia e lo seguii per tutto il tragitto a piedi non sapendo dove stessimo andando. Chiedere non servì a niente ma capii cosa aveva in mente quando ci trovammo davanti all'ingresso del cimitero monumentale della città.

Ci guardammo per un istante e sorridemmo complici, prima di entrare. Girammo e passeggiammo per i quadri del cimitero, osservammo statue raffiguranti ogni tipo di santo, finché arrivammo ad una statua più bella, più grande, più maestosa delle altre. La statua rappresentante la morte. La figura di pietra, con la falce ed il cappuccio, vantava di avere una leggenda a proteggerla dagli sguardi di chiunque tranne che degli impavidi.

Chiunque guardasse in faccia la statua, secondo la credenza, sarebbe morto di lì a poco.

Sorrisi e osservai la parte superiore della statua, senza il viso e vuota al suo interno proprio come poteva esserlo una statua di cioccolato, mentre al posto del viso c'era un'apertura. Mi misi in punta di piedi per osservare da vicino cosa ci fosse dentro la statua, ma l'unica cosa che vidi fu la profonda oscurità. Uran fece lo stesso dopo di me e poi riprendemmo a visitare il cimitero. Le poche donne anziane che incrociarono il nostro cammino notarono la nostra spensieratezza e i nostri sorrisi e reagirono guardandoci come avrebbero guardato il diavolo in persona.

Poco dopo la sirena che avvisava i visitanti del cimitero l'imminente chiusura suonò diventando presto insopportabile, tanto che fummo costretti ad andare via. Mi balenò per un attimo l'idea di nasconderci e passare la notte qui nel cimitero,  ma ricordai che non ero proprio comoda nei miei vestiti e che non avevo nemmeno una giacca per sopravvivere al freddo della notte.

<<Sarebbe così romantico restare una notte qui, insieme>> sussurrò accanto al mio orecchio, stringendomi a lui con un braccio attorno al mio fianco.

Chiunque altro ci avrebbe creduti matti o incoscienti, ma noi due viaggiavamo sulla stessa lunghezza d'onda. Noi due eravamo in grado di capirci, avevamo la stessa concezione di normalità, gusti molto simili e soprattutto nessuno dei due avrebbe mai preso per matto l'altro per idee come questa. Eravamo folli, spericolati, guardavamo le cose da un punto di vista così diverso, che le persone non ci avrebbero mai capito. Mi sentii fortunata ad aver trovato una persona così mentalmente vicina a me e per un attimo non mi sembrò vero. Avevo passato così tanti anni a cercare una persona che mi comprendesse, una persona che non si limitasse a guardarmi fingendo di pensare che fossi normale ma che davvero pensasse che io non fossi strana. Eravamo diversi in un modo così simile che nessun momento nella mia vita mi fece sentir bene come quello.

<<Ceni con me stasera?>> mi chiese prendendomi la mano. Uscimmo dal cancello appena in tempo per non essere chiusi dentro ma non me ne preoccupai nemmeno per un secondo perché il contatto fra le nostre mani mi scaldò di colpo facendo prendere colore alle mie guance.

Camminammo mano nella mano fino ad arrivare in una piccola pizzeria. Lì ordinò due pizze e una volta prese, anziché sederci, andammo via con le pizze in mano.

<<Non dovevamo cenare?>> gli chiesi confusa.

<<Sì>> rispose tranquillamente, come se fosse una domanda scontata.

<<E dove?>> domandai impaziente di sapere.

<<In un posto ancora più romantico di un cimitero>> disse e mi fece l'occhiolino.

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