Capitolo Nono
<<È solo che... Ho degli incubi terribili che mi perseguitano>> gli confessai in un sussurro, sciogliendo l'abbraccio. Lo guardai negli occhi, asciugando poi i miei dalle poche lacrime scese con il dorso della mano.
Ebbi paura di una sua reazione, mi resi conto di non conoscerlo abbastanza bene da sapere come avrebbe reagito davanti a questa confessione. Temetti quasi di vederlo ridere in risposta, ma la sua dolcezza mi stupì. Mi chiese in tono dolce se avessi voglia di raccontare uno di questi incubi ed io non fui immediatamente sicura di volerlo fare. La paura di rivivere ogni attimo non mi piacque per niente e non mi piacque nemmeno la possibilità che tutto sarebbe sembrato più reale dopo averlo ripetuto a voce alta. In qualche modo mi ero convinta che se non avessi detto tutto quanto a voce alta, sarebbe rimasto tutto quanto dentro la mia testa.
Avvicinai le ginocchia al petto e incrociai le braccia attorno ad esse, mi convinsi che fingere che non stesse succedendo nulla non mi avrebbe portato a niente e assecondai la decisione di raccontargli ciò che rendeva il suo sonno qualcosa di terribilmente pauroso.
<<Mi vedo vestita di bianco in un posto terribilmente strano in senso negativo, è spaventoso e asettico, impersonale... Sembra quasi familiare ma non lo riconosco... Cerco di muovermi ma delle catene mi bloccano polsi e caviglie, poi delle persone con dei camici bianchi mi tengono ferma, io mi agito e uno di loro punta una siringa sul mio braccio e a quel punto mi sveglio>> raccontai tutto d'un fiato perfettamente consapevole di non essere stata chiara nel racconto, presa dall'angoscia.
<<Sembra stupido reagire così ai dei banali incubi, lo so. Ma sento quelle sensazioni in modo così reale, vedo quel posto così familiare>> mi giustificai, sentendomi in dovere di farlo, dopo che lui rimase in silenzio per troppi secondi osservandomi con uno sguardo indecifrabile.
<<Non è stupido>> disse soltanto guardandomi negli occhi, il suo sguardo mi confuse poiché mi sembrò così assorto e criptico che la curiosità si impossessò di me. In realtà però, non riuscii a formulare una domanda la cui risposta avrebbe soddisfatto la mia curiosità perché in effetti la mia fu più una sensazione e non ero affatto certa che fosse giusta.
La porta d'ingresso si aprì distraendoci entrambi dai nostri pensieri. Agata, in tutta fretta, corse in camera sua salutando con un cenno della mano, senza degnarci nemmeno di uno sguardo. Non capii il motivo della sua fretta né sentii il bisogno di interessarmi più di tanto, così feci spallucce senza farmi domande. La sua interruzione riportò Uran alla realtà che cambiò improvvisamente atteggiamento.
<<Forse è meglio se torno in facoltà, tu hai bisogno di riposare>> iniziò a dire, <<ci vediamo domani.>> finì, alzandosi in piedi. Lo squadrai stranita e stupita da quell'improvvisa fuga apparentemente immotivata, ma non me la sentii di fargli domande, né tanto meno di chiedergli di rimanere.
Così ascoltai il mio istinto e mi alzai anche io. Lo accompagnai alla porta e una volta lì, lui mi regalò un dolce bacio sulla guancia. Arrossii, probabilmente.
Andò via e io chiusi la porta, appoggiandomi poi ad essa. Chiusi gli occhi, cercando di bearmi della sensazione che mi aveva regalato quel contatto così innocente. Solitamente non mi sarei definita una persona affettuosa o dolce, ma quel semplice gesto mi mandò in brodo di giuggiole e mi sentii come Gomez si sentiva davanti a Morticia quando gli parlava francese. Sorrisi pensando al perfetto paragone, senza preoccuparmi del mio repentino cambio d'umore: da quel piccolo gesto affettuoso in poi, il mio umore migliorò inspiegabilmente.
Tornai alla realtà quando Agata uscì dalla camera, solo che questa volta mi notò. Lei mi squadrò stranita e un po' perplessa. La osservai anche io notando facilmente i suoi capelli umidi, probabilmente bagnati dalla pioggia e l'espressione frastornata.
<<Hey, tutto bene?>> le chiesi, un po' preoccupata.
<<Dovrei chiederlo io a te>> rispose con un sorriso visibilmente forzato.
<<Io me la cavo, tranquilla>> la tranquillizzai con voce stanca, accompagnando la frase con uno sbadiglio.
Si avvicinò a me, lentamente. Mi prese la mano stringendola con la sua, mentre con l'altra mano mi fece una carezza su una guancia. Davanti a quella dimostrazione d'affetto, di fronte a quella dolcezza, scoppiai a piangere e mi buttai fra le sue braccia. Non riuscii a spiegare il perché di questo improvviso crollo: forse furono gli incubi ormai ricorrenti, forse fu la fuga di Uran dopo il racconto di questi, forse fu lo stress o più probabilmente fu l'unione di queste tre cose. Mi abbandonai fra le sue braccia senza preoccuparmi di sembrare fragile ai suoi occhi. Quelle braccia mi strinsero, facendomi sentire per un brevissimo momento a casa.
<<Hai dormito almeno un po' dopo stanotte?>> mi chiese, con una punta di preoccupazione nel tono.
<<A lezione, ma ho avuto di nuovo un incubo simile>> risposi sincera, facendo spallucce nel tentativo di minimizzare l'accaduto.
Ci sedemmo sul divano una accanto all'altra, lei mise un braccio attorno alle mie spalle ed io poggiai la testa su una sua spalla. Fissavamo entrambe il vuoto quando mi disse di provare a riposare. Dopo un momento di riluttanza provai a fidarmi di lei e mi misi comoda, con la testa sulle sue gambe. Chiusi gli occhi ma li riaprii dopo pochi secondi.
<<Non riesco, ho paura>> le confessai, tenendo gli occhi ben spalancati.
<<Posso chiederti una cosa?>> mi chiese dolcemente, con voce calma.
<<Cosa?>> risposi curiosa, tornando a stare seduta su quel divano grigio che da quando ero arrivata qui pian piano si stava riempiendo di ricordi.
<<Credevo che le cose spaventose e strane ti piacessero, come mai questi sogni invece ti terrorizzano?>> chiese perplessa lasciandomi a boccheggiare per qualche secondo.
Fu una domanda che per un attimo mi scombussolò la mente. In qualche modo la sua domanda non era priva di logica, ma feci molta fatica a formulare velocemente un'ipotesi che convincesse non solo lei, ma anche me.
<<Hanno qualcosa di familiare, qualcosa che mi riempie di sensazioni negative... Qualcosa che mi sussurra che non sono solo dei sogni>> sussurrai, fissando il vuoto davanti a me.
Un brivido corse lungo la mia schiena al breve flashback che si insinuò nella mia mente. Quel soffitto bianco, quel letto con le catene, quella lunga camicia da notte che mi copriva fino alle caviglie. Vidi questi angoscianti fotogrammi davanti agli occhi e feci fatica a scacciarli via.
<<Ma in fondo sono solo degli incubi, no? Dei sogni solo un po' più inquietanti.. potresti provare a viverla diversamente, se capitasse nuovamente>> mi consigliò.
Pensai che in fondo potesse aver ragione così fissai in mente questo consiglio, nonostante io non fossi affatto abituata a seguire realmente i consigli delle altre persone poiché solitamente più attratta dal fare l'esatto contrario. Prese dalla fame decidemmo poi di alzarci e preparare il pranzo, per mangiare presto. Lei fece un'insalata di pomodori e iceberg, mentre io cucinai alla piastra due fettine di carne. Apparecchiammo di fretta e ci sedemmo una di fronte a l'altra come al solito.
Forse per la prima volta, parlammo a tavola. La cucina non era più un posto silenzioso, in cui entrambe stavamo zitte per non disturbare l'altra, ma era un luogo comune, in cui chiacchierare e dialogare in modo tranquillo. Fui orgogliosa di quel passo avanti che insieme compimmo, nonostante una parte di me ancora non riuscì a non sentirsi nauseata guardando il suo aspetto così angelico a livello quasi nauseante.
Dopo pranzo di comune accordo io sparecchiai e lei lavò i piatti. Ancora intenta a sparecchiare, guardai verso la finestra vedendo che fuori, contrariamente a quanto avrei voluto, c'era un sole che avrebbe potuto spaccare le pietre. Alto e luminoso, mi fece venire caldo pur essendo dentro casa.
Una parte di me si sentì indignata, ma insomma, stava iniziando ottobre, come poteva ancora esserci un sole che tanto ricordava l'estate?
Anche Agata si accorse del sole, così disse la sua.
<<Che meraviglia, andrei volentieri al mare se potessi>> disse entusiasta. Io in tutta risposta, feci una smorfia schifata. Odiavo andare al mare quasi quanto odiavo il sole. Ancora una volta ebbi conferma di quanto fossimo diverse, di quanto fossimo ai poli opposti non solo nei colori delle nostre camere da letto e dei vestiti, ma anche nel modo di pensare. Ogni gusto e pensiero mio era l'opposto del suo e viceversa.
<<Vado in camera mia>> le risposi soltanto non volendo mandare avanti la conversazione, finendo di piegare la tovaglia a fiori che avevamo usato poco prima.
Presi una mela uscendo dalla cucina e la diedi ad Edgar, che sbatté le ali per ringraziarmi. Mi sentii in colpa per le attenzioni che gli stavo facendo mancare e gli feci una carezza sulla testolina. Azionai il giradischi. Il vinile dei Green Day fu un regalo dei miei genitori alla mia partenza, subito mi vennero in mente gli amici e la famiglia che avevo lasciato nella mia città natale. Mi sentii un po' più vicina a loro e sorrisi, nonostante quella leggera malinconia dovuta alla mancanza mi attanagliò lo stomaco in una morsa fastidiosa. Mi buttai sul letto esausta, pensando a ciò che avevo lasciato e a ciò che mi aspettava. La stanchezza poco dopo prese il sopravvento... Mi sentii cullata fra le braccia di Morfeo e sperai di stare alla larga dagli incubi che tanto mi turbavano almeno per una volta.
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