Reparto speciale. Due parole che nel contesto in cui vennero dette da quell'uomo ci fecero rabbrividire entrambe. Io ed Agata ci guardammo per un attimo e bastò quel semplice sguardo per decidere di comune accordo che la cosa migliore era lasciare la villa il prima possibile.
Tornammo a casa levando immediatamente il disturbo e andammo in cucina, stanza che ormai aveva il tavolo sempre pieno di prove sulle due indagini che dopo questa giornata potemmo considerare collegate.
Mi sentii terribilmente insoddisfatta, frustrata e delusa. L'unica persona che avrebbe potuto darmi delle risposte, era rinchiusa in un inferno che probabilmente aveva qualcosa a che fare con gli incubi che la notte mi tormentavano.
Esausta, dopo una notte insonne ed una giornata così piena di emozioni, mi abbandonai sul letto senza nemmeno togliere le scarpe e mi lasciai cullare dalla musica di sottofondo del vinile che avevo scelto poco prima. Chiusi gli occhi addormentandomi quasi subito, ma quando un rumore sordo, regolare e ripetuto si insinuò nelle mie orecchie aprii gli occhi infastidita.
Dopo questo rumore, delle grida che imploravano aiuto mi fecero venire un terribile mal di testa. Mi alzai dallo scomodissimo letto e mi resi conto di essere rinchiusa nella camera bianca che tanto mi angosciava. Per assicurarmi di essere in un sogno, mi guardai le mani e contai le mie dita. Come da sospetti, ebbi la conferma di essere all'interno di un sogno quando mi contai più dita del dovuto. Sbuffai sonoramente, iniziando a camminare a piedi nudi per la stanza. Corsi verso il materasso e ci salii sopra, arrampicandomi per arrivare a guardare fuori dalla finestra. Fuori riconobbi un giardino di siepi ed alberi alti e rigogliosi. Cercai di allargare le sbarre di metallo della finestrella ma non ci riuscii, usai tutta la forza che avevo in corpo fino a che la ruggine delle sbarre non mi entrò nella pelle dei palmi facendomi fare una smorfia di dolore... non potei trattenere un lamento. Disperata ed in trappola, una quantità infinita di lacrime iniziò a solcarmi le guance.
Singhiozzai continuando a piangere e mi sedetti sul letto, urlando per la disperazione. Sapevo che non era reale, ma non avevo idea di come farlo finire. Guardai la vestaglia bianca di lino che copriva il mio corpo e mi sentii debole, come avvelenata da un colore che era l'opposto di quello che tanto amavo. Qualcuno aprì la porta, un uomo vestito di bianco, probabilmente un inserviente, entrò nella stanza con un vassoio di legno in mano.
Il terrore di dover prendere altre medicine contro la mia volontà mi pervase, facendomi stare sulla difensiva: portai le ginocchia al petto e le circondai con le braccia, restando immobile ma senza perdere di vista l'uomo. Questo poggiò il vassoio di legno sulla scrivania e contrariamente ad ogni mia ipotesi e aspettativa, se ne andò richiudendo la porta in un tonfo sordo. Qualche secondo dopo presi coraggio e mi avvicinai alla scrivania color panna dove l'uomo dal volto sconosciuto aveva lasciato il vassoio. Nel vassoio, un bicchiere in plastica con del latte caldo e due fette biscottate su un piccolo piattino di carta.
Mi sentii improvvisamente affamata e mi sedetti alla scrivania, consumando quella che aveva tutta l'aria di una colazione. Una volta finito, spostai il vassoio sulla sinistra della scrivania liberandone il centro e presi un foglio bianco. Osservai i pastelli a cera e ne presi uno nero, iniziando a disegnare qualcosa. Nella mia mente ci fu un turbine di pensieri così incontrollabile che non mi stupii quando finii di disegnare e vidi solo un mucchio di linee caotiche ed insensate.
Ad un tratto mi chiamarono, sentii il mio nome detto da una voce così familiare che mi girai speranzosa di vedere qualcuno di conosciuto. Niente, la porta era chiusa e la maniglia non c'era e non ci sarebbe mai stata. Sentii una voce chiamarmi ma non capii da dove provenisse... forzandomi di capirlo mi resi conto che la voce era come nell'aria, non proveniva da un punto preciso attorno a me. Urlai chiamando aiuto, risposi a quella voce che mi chiamava e mi disperai battendo i pugni sulla porta di metallo.
Pugno dopo pugno oltre al dolore alle mani iniziai a sentire caldo e la voce si allontanò sempre di più. Piansi, smettendo di tirare pugni alla porta. Mi sentii debole e la vista si fece offuscata, in quegli istanti prima di svenire mi resi conto che alla fine erano riusciti comunque a somministrarmi delle medicine e che il retrogusto amaro del latte probabilmente era dato dalla pasticca disciolta all'interno. Mi sentii terribilmente ingenua.
Aprii gli occhi urlando e mi calmai solo quando intorno a me non vidi niente di bianco, ma solo la mia adorata camera gotica in cui il colore dominante era il nero. Respirai profondamente vedendo Agata seduta sul letto che mi osservava preoccupata.
<<Hai avuto un altro incubo?>> mi chiese con voce dispiaciuta.
<<Sì, ma era diverso>> risposi, mettendomi seduta sul letto.
Agata non rispose, limitandosi ad osservarmi con aria preoccupata.
<<Ho fame>> dissi alzandomi dal letto diretta in cucina.
Agata mi disse che era ora di cena, ma non avendo nessuna voglia di cucinare, decidemmo di ordinare due pizze e fare a metà con il conto. Mangiammo le pizze sul divano, in silenzio. Cercai per tutto il tempo di non guardarla in faccia e evitai di fare conversazione, ma Agata, seduta dalla parte opposta del divano con il cartone della pizza in grembo non sembrò d'accordo davanti a questa mia idea.
<<Vuoi parlare del tuo incubo?>> mi chiese in tono dolce, facendomi quel suo sguardo angelico.
<<E perché mai dovrei farlo, vuoi indagare anche su questo?>> risposi infastidita davanti al suo atteggiamento.
Il fatto che si comportasse come se nulla fosse cambiato mi irritò a tal punto che finii per sputar fuori ogni parola che avevo tenuto dentro di me per non ferirla.
<<La verità è che pensi che siamo amiche, ma sai che c'è? C'è che se quella possibilità poteva esserci, ora non c'è né mai ci sarà. Sai perché? Perché le amiche non fanno come hai fatto tu con me, non indagano di nascosto sulla vita degli altri, non rovinano il primo appuntamento della propria amica per puro e semplice egoismo. Sopra ogni altra cosa sai cosa c'è? All'apice di tutto? C'è che i miei incubi notturni che prima erano semplici incubi, ora stanno diventando protagonisti della mia vita, fino a rovinare tutto il resto. Non parlo con Uran dall'altra sera solo e soltanto per colpa tua, della tua arroganza, della tua impertinenza e del tuo vizio di giocare a fare la detective. In conclusione, per quanto mi riguarda, noi due non siamo amiche e di conseguenza non ho la ben che minima intenzione di confidarmi con te!>> sputai fuori arrabbiata, sfogando tutti i sentimenti e le emozioni represse fino a quel momento.
La mia interlocutrice mi guardò con gli occhi lucidi e quando finii di parlare, esplose in un rumoroso pianto e scappò in camera sua correndo. Io rimasi in piedi, dov'ero da quando avevo iniziato a sfogare la mia rabbia su di lei. Non mi mossi di un centimetro fino a quando il campanello non suonò. Mi sembrò strano, così andai ad aprire la porta curiosa di chi potesse essere.
Chiusi per un secondo gli occhi e feci un profondo respiro prima di aprire la porta.
Davanti a me, un ragazzo più alto di me con i capelli corvini e un magnifico gilet di jeans nero ricoperto di toppe con i simboli di diverse band metal.
<<Non vogliamo aspirapolveri>> dissi al ragazzo e feci per chiudere la porta, ma questo la bloccò con la mano e così fui costretta ad ascoltarlo.
<<Di solito vengono alle dieci di sera a venderti gli aspirapolveri? Sono il tuo vicino di casa, abito nell'appartamento sopra il vostro.>> mi disse lui, facendomi sentire tremendamente stupida.
<<Allora che vuoi?>> chiesi confusa, poggiandomi allo stipite della porta e mettendo le braccia conserte.
<<Solo che tu beva una camomilla>> mi disse il ragazzo in tutta risposta, lasciandomi ancora più confusa di prima.
<<Come scusa?>> chiesi regalandogli una smorfia perplessa.
<<Capisco che la tua coinquilina non sia perfetta ma credo che abbiano sentito le tue urla in tutto il palazzo>> spiegò il tipo. Capii che forse avevo alzato senza rendermene conto il tono di voce ma feci spallucce.
Gli chiusi la porta in faccia e feci per tornare a mangiare la pizza, ma bussarono alla porta nemmeno due secondi dopo.
Aprii sbuffando e alzai un sopracciglio guardandolo ed incitandolo a dirmi cosa volesse.
<<In realtà avrei bisogno anche di un po' di zucchero>> disse il vicino di casa. Alzai gli occhi al cielo e provai a chiudere la porta, ma mise il piede in mezzo bloccandola.
<<Sul serio, odio il caffè amaro>> mi disse facendomi gli occhioni dolci.
Non so cosa mi convinse a farlo entrare, se gli occhioni, il gilet di jeans oppure la disperata ricerca di una distrazione dal pensiero di Agata, ma alla fine lo guidai fino al salotto e gli intimai di restare immobile sul divano ed aspettarmi.
Andai in cucina e presi lo zucchero ed un bicchiere di plastica, iniziai a riempire con molta attenzione il bicchiere, ma un rumore di passi mi distrasse e quando vidi il ragazzo con una foto del ragazzo in coma fra le mani, sobbalzai sorpresa e il pacco dello zucchero mi scivolò dalle mani finendo per terra.
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