capitolo 6

Scarlett
Dheïña Reburtëa*

SAN FRANCISCO- UN ANNO FA
Ero in macchina con i miei genitori e mia sorella di cinque anni di ritorno da una gita al Luna park di Coney Island,durante la quale mi ero sinceramente divertita e avevo passato una giornata spensierata insieme alla mia famiglia come non succedeva da molto tempo ormai.  Erano stati mesi molto duri per la mia famiglia, durante i quali il nostro clima familiare sereno si era andato a perdere a causa della morte di mia nonna e alla perdita del lavoro di mio padre a causa della chiusura dall'azienda presso cui lavorava,colpo definitivo che lo aveva scaraventato nel baratro oscuro e senza fondo che era la depressione ,cercando di affogare in tutti i modi le sue emozioni nell'alcool.  Era sempre stato un buon padre per me e per mia sorella,eravamo le sue principesse,come amava definirci lui.  Attento e amorevole,anche con nostra madre,ma da quando era morta la nonna non era stato più lo stesso. Non era riuscito ad accettare la sua perdita,forse anche per il modo improvviso in cui se ne era andata.  Immaginatevi voi di cenare il giorno prima tutti insieme e salutarvi come sempre prima di andare via e poi andare a casa di questa persona il giorno dopo per portarle la spesa e trovarvela lì in salotto sulla sua sedia a dondolo,la TV accesa,suonare il campanello e non vi apre nessuno, aprire la porta  con la vostra copia delle chiavi e una volta entrati in casa,andare in salotto e trovarvi una persona collassata su una sedia a dondolo di vimini,la quale sta ancora dondolando per via del peso che vi guarda con gli occhi vitrei,accorgendovi solo in seguito che era morta. Questo era la scena che mio padre si era trovato davanti quella Domenica mattina di due mesi fa. Era stato uno shock per lui e per tutti noi. Quel giorno non era riuscito neanche a parlarne con nessuno in casa,persino con mamma. Lo avevamo scoperto solo qualche giorno dopo il funerale com'era morta e da lì in poi la nostra vita aveva iniziato a precipitare. L'azienda di mio padre,la Hight Tec Corporation Industry dopo dieci anni di attività aveva improvvisamente dichiarato  fallimento ,chiudendo i battenti,lasciando centinaia di addetti ai lavori, compreso mio padre senza lavoro. Lui era un informatico all'interno dell'azienda, forse anche uno dei più bravi,ma purtroppo nessuna nuova azienda in cui  aveva fatto il colloquio aveva deciso di prenderlo ,anche a causa del suo aspetto trasandato con cui la maggior parte delle volte si presentava ai colloqui, per cui adesso vivevamo solo con lo stipendio di mamma, la quale oltre a fare la maestra di musica in conservatorio, si occupava anche di dirigere numerose orchestre la sera in diversi teatri più o meno prestigiosi,per cui non potevamo lamentarci,ma nostro padre si sentiva comunque distrutto e un peso per lei. Distrutto per la morte inaspettata di sua madre e per aver perso il lavoro dei suoi sogni con cui era riuscito a pagare non solo la villa in cui vivevamo,ma anche le scuole private dove  aveva mandato me e mia sorella per assicurarci la miglior istruzione possibile, scuole da cui aveva dovuto ritirarci e sostituirle con una scuola pubblica.
A me non era dispiaciuto cambiare aria,devo ammettere. Certo non era il livello, né l'ambiente a cui ero stata abituata,ma lo preferivo. La gente era più spontanea e vera,che nelle scuole private dove sembra che tutti avessero già il loro futuro in mente e fossero  già pronti per seguire le orme dei propri genitori, pertanto non potevo lamentarmi del cambiamento fatto, anzi ero più felice nella scuola in cui ero ora,ma vedere papà in quello stato distruggeva il mio entusiasmo. Ormai era l'ombra di se stesso e sempre più spesso mamma lo ritrovava steso sul pavimento della cucina immerso nei suoi fluidi o escrementi e non solo,come era successo qualche sera fa,scena a cui avevo assistito anche io da dietro la porta della cucina,durante la quale mamma aveva dato un out out a nostro padre,minacciando di chiedere il divorzio e portare via me e mia sorella e chiedere l'affido esclusivo così da non farci assistere a scene di questo genere.
Mamma non era mai stata di indole così cattiva, anzi era sempre stata una persona dolce e spensierata che amava la vita e cercava di vedere il bello in tutte le cose,influenzata anche forse dalla sua indole artistica. La guardai da dietro, osservando i suoi lunghi capelli rossi che le ricadevano sulle spalle,vedendo dallo specchietto retrovisore  della macchina i suoi occhi verdi scintillare come uno smeraldo,vestita con una semplice camicetta bianca classica a maniche corte dato che eravamo in piena estate e faceva molto caldo,dei jeans classici e delle adidas bianche,mentre accanto a lei,sedeva un uomo suo coetaneo sui quaranta cinque anni,dalla pelle pallida,gli occhi infossati e rossi,con le occhiaie ben visibili che gli segnavano gli occhi e i capelli biondi a spazzola come se non li pettinasse da un po', vestito con una polo blu a maniche corte e dei pantaloni neri e delle semplici scarpe nere,il quale disse a nostra madre con fare spento,rompendo il silenzio che c'era stato in auto sino a quel momento:
PAPÀ:Tesoro, potresti accostare devo andare a comprare da bere ad un supermercato- mamma gli schioccò un occhiataccia, capendo perfettamente che non volesse andare a comprare una bottiglia d'acqua,infatti gli rispose in tono secco, continuando a tenere gli occhi sulla strada:
MAMMA:Non davanti alle tue figlie,John. Se non vuoi avere rispetto per te stesso, almeno abbi rispetto per loro- cosa che ferì nel profondo nostro padre,il quale si voltò a guardare dal finestrino il paesaggio urbano scorrere sotto i nostri occhi,come feci io rimpiangendo la mia vecchia vita,chiedendomi come un lutto potesse aver spezzato la mia famiglia in questo modo,cercando di trattenere le lacrime, dicendomi che questo brutto momento sarebbe finito presto e tutto sarebbe tornato alla normalità,non sapendo quanto mi stessi sbagliando,ma presto lo avrei scoperto, non potendo neanche lontanamente immaginare che a mio padre potesse frullare in mente una cosa del genere.

SOTTOMONDO- OGGI- CITTÀ DI NIMERIA- QUARTIER GENERALE DEL D.C.P.A.T.E.M
Ero sempre stata una ragazza e una bambina prima incline a vedere il bicchiere mezzo pieno e a sperare forse anche troppo ingenuamente che le cose si sarebbero potute sempre aggiustare e tornare al loro posto in un modo o nell'altro. Non avevo problemi a fare nuove amicizie, anzi ero sempre pronta a conoscere persone nuove e ad accogliere tutti a braccia aperte, perché grazie agli insegnamenti di mia madre ero convinta che ognuno di noi potesse dare qualcosa all'altro e che conoscere gente nuova potesse aggiungere qualcosa al nostro vissuto personale,ma per la prima volta in vita mia avrei preferito non venire a contatto con questa realtà e queste persone. Per conoscerle avevo dovuto perdere tutto! La mia casa,la mia famiglia, ogni cosa,spazzata via come la cenere che erano diventati e niente mi avrebbe spinto ad accettarlo,ne ora,ne mai. Odiavo vivere qui con tutte le mie forze perché mi ricordava cos'ero diventata e cosa avevo perso,in più nessuno sembrava capirmi e volermi dare il tempo di metabolizzare la mia perdita,mettendomi fretta. L'unico comprensivo era il ragazzo con i capelli neri che avevo accanto a me in questo momento.  Atlas Spell. Un giovane mago che era nato qui,che proprio come me,non per sua volontà era stato costretto a fare parte di questo circo gestito da una donna di ghiaccio,la quale ci aveva affibbiato la sua bisbetica figlia. Intendiamoci,io non odiavo Galatea,non era un sentimento che mi apparteneva,anzi i primi tempi avevo cercato di fare affidamento su di lei,dato che era proprio stata quest'ultima a trovarmi sotto ad un ponte mezza morta di freddo,con le mani che pulsavano di una luce rosso fuoco dalle quali scaturivano delle piccole fiammelle,ma dopo alcuni mesi in cui io e Atlas ci eravamo avvicinati Galatea era diventata scontrosa con tutti, non che prima fosse la persona più dolce del mondo,al contrario ,era sempre molto impostata e fredda,ma adesso era pure diventata scontrosa nei miei confronti senza alcun motivo apparente,anche se lo sospettavo,ma volevo credere che non fosse possibile. Atlas era il ragazzo più bello e dolce che avessi mai conosciuto, anche se a volte onestamente non lo capivo,ma almeno riusciva a farmi sentire a casa al contrario di Gethiel e sua figlia Galatea. Gethiel era il capo della baracca e potevo capire che non voleva avere altri problemi a causa mia con il Consiglio dopo lo scorso....... Incidente che avevo causato al villaggio degli gnomi,ma non potevo farci niente se i miei poteri erano così forti. Io provavo a tenerli sotto controllo ma ogni volta che provavo ad usarli nella mia mente rivivevo il mio trauma all'infinito.  Quello mi aveva dato i poteri e tolto tutto ciò che avevo e una parte di me non riusciva ad accettarlo e la parte peggiore era che non riuscivo ad ammettere a me stessa che nel profondo odiavo mio padre per il suo gesto e che se avessi potuto forse avrei cercato vendetta,chiedendomi perché mi avesse scaraventato in quest'inferno se mi aveva voluto bene.
I corridoi del Palazzo erano splendidi,con grandi finestre che facevano filtrare la luce al suo interno,riccamente decorati con stucchi e statue rappresentanti creature magiche importanti per la storia di Nïmeria,mentre ai muri erano appesi quadri della famiglia di Gethiel. Questo quartier generale era gestito dalla sua famiglia da generazioni,o almeno così avevo sentito dire. Tutti perfettamente incorniciati in cornici d'oro massiccio,intarsiate a mano,all'interno delle quali erano raffigurati degli Elfi in pose autoritarie quasi tutti biondi e con la pelle chiara,vestiti in abiti sontuosi,mentre dal soffitto pendeva un grosso lampadario ad anemone in cristallo,sul quale troneggiavano un sacco di candele spente. Accostate ai muri c'erano anche delle armature,intervallati da dei busti di marmo,mentre il pavimento era di un marroncino chiaro lucido, sul quale rifletteva la luce del sole,sul quale c'era uno splendido e lungo tappeto rosso,bordato in oro che lo ricopriva in parte. Sarebbe dovuto essere un sogno per me vivere in quel posto,circondata da tutta quell'atmosfera da fiaba che in cuor mio non avevo mai perso, desiderando un giorno di poter vivere anche io in un palazzo del genere,ma il mio sogno si era spento in una notte di un anno fa in un incendio.
Guardai Atlas,chiedendomi a cosa stesse pensando in quel momento dato che era difficile capirlo a causa del suo sguardo sempre enigmatico, che però ammetto che aveva un certo fascino per me. I suoi profondi occhi azzurri erano sempre vivi e sornioni,che quasi sembravano brillare come due zaffiri,facendomi perdere a guardarlo,capendo cosa ci trovasse Galatea in lui. Non so esattamente cosa provassi per Atlas,né al momento era una mia priorità capirlo al momento, data la situazione,ma in cuor mio sapevo di provare qualcosa nei suoi confronti che non era amicizia che si era intensificato mano a mano che i mesi passavano ed ero certa di essere ricambiata,allora perché nessuno dei due faceva qualcosa? Io sapevo il perché. Non volevo condannare qualcuno a bruciare con me per l'eternità. Io ero fuoco puro,ero quella che qui chiamavano Dheïña Reburtëa*,una Fenice di fuoco,condannata a bruciare,ma non a risorgere dalle sue ceneri,perché io stessa trasformavo in cenere tutto ciò che toccavo e non avrei mai permesso che Atlas diventasse cenere come tutto il resto.
Varcammo la soglia di una stanza,sentendo già il mio stomaco chiudersi, vedendo già l'enorme sala andare a fuoco. Era una stanza con un alto soffitto di marmo bianco,finemente intarsiato,sul quale però era stato praticato un foro per realizzare un lucernario che poi era stato chiuso con un vetro non troppo spesso.

Le pareti erano blu,con motivi dorati.La stanza era sorretta da pesanti colonne in marmo,anch'esse decorata con motivi,ma questa volta bianchi e beige,le quali formavano un semicerchio,il quale contornava il centro della stanza delimitando il perimetro di una piattaforma rotonda,con il pavimento bianco,mentre sul bordo c'erano dei piccoli quadrati grigi che facevano tutto il giro,al centro della quale c'era un fiore che simboleggiava il legame secolare tra gli Elfi e la natura,racchiuso in un cerchio d'oro. Oltre le colonne, nella penombra della stanza,la quale si formava grazie al lucernario,Gethiel e altre creature come fate e gnomi mi guardavano con fare terrorizzato, temendo che andasse a finire come tutte le volte che venivo in questa stanza,infatti a parte le fate d'acqua gli gnomi erano già pronti a evitare danni,tenendo in mano dei secchi ricolmi d'acqua,mentre le fate d'acqua iniziarono a creare delle bolle che si librarono in aria,mettendomi in ansia e soggezione,pensando che non potessi farcela neanche questa volta,vedendo con i miei occhi quanto poco le creature di questo mondo credessero in me e forse anche a giusta ragione,insomma dopo un anno cominciavo a dubitarne anche io.
Gethiel mi guardò con fare serio e solenne allo stesso tempo da oltre le colonne, sentendo il suo sguardo bucarmi l'anima e il suo fiato sul mio collo,intuendo che con quello sguardo mi stesse dicendo che non potevo sbagliare,sentendo l'ansia salirmi dentro e una morsa chiudermi lo stomaco,percependo che gli occhi di tutti erano puntati su di me,soprattutto quelli di Gethiel, la quale mi disse con tono perentorio e severo allo stesso tempo:
GETHIEL:Vieni avanti,Scarlett- Io deglutii a fatica,muovendo dei passi verso il centro della stanza con fare nervoso, lasciando delle impronte annerite al mio passaggio,non  facendo sperare  bene sia me che gli altri presenti, a parte Atlas,il quale appena mi posizionai sul fiore mi disse con fare incoraggiante,mantenendo un tono basso di voce per non farsi sentire dagli altri,tirando su i pollici:
ATLAS:Andrai alla grande,non temere- quando Gethiel disse con tono risoluto,facendomi perdere un colpo,spezzando il breve silenzio pesante che si era creato nella stanza :
GETHIEL:Scarlett de Flame,sei al cospetto degli Spiriti della Natura,nostri Protettori e dei membri di questo dipartimento.  Il Dono esige che tu risponda alla chiamata di Nïmeria per proteggere il Sottomondo fino a che avrai vita da qualsiasi minaccia lo possa mettere a rischio,a qualsiasi costo, ma prima dimostra davanti ai nuovi e i vecchi Spiriti che ne hai le capacità e hai abbastanza forza di volontà per controllarli e rendergli onere. Per i più deboli e per il legame che una volta univa i nostri due popoli. Iña*- ormai la sapevo così bene a memoria che la ripetevo con lei mentre la diceva,ma appena avevo sentito la parola in Elfico mi ero frizzata. Non volevo trasformarmi,ma purtroppo non potevo sottrarmi. Per la Legge del Dono dovevo fare ciò che mi chiedevano,così cercai nella sala lo sguardo di Atlas per trovare un po' di conforto, arrossendo leggermente, perdendomi ad ammirare i suoi lineamenti delicati,sprofondando nei suoi occhi azzurri,dimenticandomi per un istante dove fossi e cosa stessi facendo, ogni cosa,avendo l'impressione che il tempo si fosse fermato e al mondo ci fossimo solo noi due,trovando nel suo sguardo il supporto di cui avevo bisogno in quel momento. Sentii il mio cuore iniziare a battermi all'impazzata nel petto, desiderando di correre da lui e cercare rifugio tra le sue braccia e di supplicarlo di portarmi via da quella stanza,desiderando ardentemente di poter posare le mie labbra sulle sue,così rosee e sottili,ma purtroppo non avevo né il tempo, né le forze per dedicarmi anche ad una relazione,per cui decisi di trarre forza da quell'emozione e liberai i miei poteri,dopo aver tratto un respiro profondo.
Mi concentrai sui miei poteri,sentendo uno strano calore avvolgermi,sprigionando del fumo dalla mia pelle,mentre delle piccole fiamme iniziarono ad avvolgermi le mani e successivamente anche le altre parti del corpo,per poi smaterializzarmi,fino a che non diventai una vera e propria fiamma con le sembianze di una ragazza

Mi sentivo  leggera,non percependo neanche il calore che sapevo di emanare. Ero solo fuoco che danzava nell'aria e niente di più. La mia mente si era totalmente spenta,faticando a ricordare come ero da essere umano.  Bruciavo come una fimma vita nel mezzo della sala,sentendo il mio potere crescere sempre di più, faticando a controllarlo,avvertendo l'impulso di fare quello che fa il fuoco. Bruciare tutto ciò che lo circondava.
Rispetto alle altre volte dovevo ammettere che stava andando piuttosto bene,insomma nonostante l'impulso stavo continuando ad ardere nel mio spazio e non stavo causando danni,rispetto agli altri giorni ,lo  consideravo un miglioramento tant'è che tutti i presenti tirarono un sospiro di sollievo compresa io,sorprendendomi e congratulandomi metaforicamente con me stessa,faticando ad afferrare questi pensieri, peccato che l'idillio durò molto poco. Quando ero in quello stato non riuscivo a percepire i miei pensieri, né ero conscia di quello che stessi pensando,per cui la mente andava dove voleva senza che io potessi impedirle di farlo,infatti proprio in quel momento un flash mi attraversò la mente,distruggendo il mio incanto.
Ero sulla soglia della cucina della mia vecchia casa e stavo guardando un uomo con gli occhi incavati e arrossati,con due grosse occhiaie sotto gli occhi che mi stava guardando con uno sguardo folle e dispiaciuto allo stesso tempo,i capelli biondi a spazzola, vestito con una maglia bianca a maniche lunghe e dei pantaloni di una tuta grigi,il quale mi disse con voce rotta, tenendo in mano un accendino:
PAPÀ:Mi dispiace- Era mio padre,il quale  mi disse per poi buttare l'accendino a terra,vedendo il pavimento cosparso di benzina prendere fuoco,sbattendo gli occhi per cercare di cacciare via quel ricordo,sentendo un dolore lancinante farsi strada dentro di me,mentre un moto di rabbia mi attraversò la mente, desiderando di mostrare a mio padre cos'ero diventata a causa sua. Sapevo che non avrei dovuto essere arrabbiata con lui,era pur sempre mio padre,ma non potevo accettare che mi avesse distrutto la vita in questo modo. I miei genitori per me erano tutto,la mia famiglia lo era e adesso non c'era più, io non c'ero più. Quell'evento mi aveva così tanto segnata che a volte mi riconoscevo a stento e non solo per via di questi poteri, ma caratterialmente. Prima di quell'evento non avrai mai pensato di poter provare così tanto rancore verso una persona. Certo mamma diceva sempre che quando mi arrabbiavo ero come una pentola a pressione, ma mai avrei pensato che esprimere così la rabbia sarebbe potuto essere un problema per me.
Ero cambiata,la mia rabbia lo era e ogni volta che mi trasformavo sembrava prendere il sopravvento su di me e sulle mie emozioni,anche grazie ai flashback,i quali mi provocavano un vuoto dentro e un senso di solitudine che non avrei saputo spiegare,lasciandomi andare alle solite domande che ci si faceva in questi casi. Perché papà lo aveva fatto? Perché mi aveva distrutto la vita in questo modo? Io non riuscivo a capire e forse neanche volevo. Rividi la mia casa bruciare e il fuoco salire su una porta chiusa della stanza di mia sorella,iniziandosi a propagare per la camera da letto di mia sorella, rivedendomi abbracciata a lei,mentre il fuoco si propagava per la stanza,avvolgendola con le sue fiamme,crepitando e bruciando tutto ciò che trovava sul proprio cammino,mentre mia sorella urlava e piangeva ed io cercavo di calmarla invano, dicendole che sarebbe andato tutto bene, nel tentativo di convincere anche e soprattutto  me stessa,tremando,stringendomi a lei,nella speranza di trovare la forza che mi serviva.
Il mio corpo tornò solido,mentre un onda di energia infuocata si propagò per la stanza,esplodendo,sbalzando via i presenti,facendoli cadere a terra,ritrovandomi in ginocchio,tenendo i palmi a terra,sentendo la mia volontà dissiparsi,mentre dei forti dolori iniziarono a farsi strada nel mio corpo, scuotendolo,iniziando a emettere gemiti di dolore gutturali,mettendo in allarme tutti, soprattutto quando da quell'onda di energia si formò un colonnone di fuoco che toccò quasi il soffitto,mettendo in allarme tutti i presenti,i quali anche se ci erano abituati,dopo essersi rimessi in piedi si riversarono verso di me,parlottando tra di loro con fare spaventato,temendo che bruciassi l'intera stanza. Mi versarono addosso i loro secchi,ma non servì granché, dato che il fuoco si stava propagando dal mio corpo e molto velocemente. Il mio corpo era scosso da fremiti e tremori,mentre la mia faccia stava iniziando a deformarsi,prendendo la forma di un becco di un uccello,provocandomi dolore sia al naso che alla mascella. Gethiel guardò la scena inorridita come ogni volta,fissandomi con fare spaventato allo stesso tempo,comandando alle fate dell'acqua di intervenire,le quali ubbidirono senza battere ciglio volando verso di me,ma neanche il loro intervento servì a tenere sotto controllo la situazione. Le onde di fuoco divennero più intense e più frequenti ogni minuto che passava,mentre la mia bocca divenne un becco di un uccello vero e proprio, quando in quel momento Atlas si riprese e vedendo la scena corse verso di me dicendomi con fare preoccupato, per tentare di calmarmi,nonostante Gethiel gli avesse urlato di non avvicinarsi:
ATLAS: Scarlett,sono qui. So che puoi controllarlo. Concentrati sul suono della mia voce. Non permettere alla Dheïña Reburtëa di farti questo. Hai tu il controllo. Sono tuoi i poteri, seguono le tue di emozioni. Coraggio,dammi la mano e cerchiamo di controllarlo insieme- disse tendendomi una mano,guardandomi con fare preoccupato, in attesa che io la prendessi,mentre Gethiel gli urlò:
GETHIEL:Phaëlvhakþegheaēke,Atlas!Maghel dankelkós*- ma lui si voltò verso di lei e le rispose in elfico con fare deciso:
ATLAS:Mïasaghēran,Gethiel .Mïaþin soak mïtaghēr*- poi disse nella mia lingua per farsi capire anche da me:
ATLAS:Posso aiutarla con la mia magia. Se riuscissi a stabilizzarla eviterai un disastro- Io emisi un grido di dolore,simile al trillio di un uccello agonizzante,dicendo con voce gracchiante ad Atlas con voce debole e stanca per via dello sforzo che stavo facendo:
SCARLETT:Atlas,Gethiel ha ragione. Allontanati da me. Non puoi fermarmi. È troppo forte- Atlas mi guardò con fare sconvolto mentre io continuai a tremare,iniziando a perdere progressivamente l'uso della parola e la facoltà di pensare come un essere umano,iniziando a ragionare come un rapace:
ATLAS:Scarlett, ma cosa stai dicendo!Io posso aiutarti.  Devi solo prendere la mia mano- Atlas era un mago,cosa che gli dava diverse abilità come plasmare la magia che lo circondava e controllare le creature magiche,per cui questa situazione rientrava sicuramente nelle sue competenze, ma arrivata a quello stadio non c'era più niente che potesse fare.
Gli gnomi e le Fate dell'acqua continuarono a versarmi secchi e bombardarmi d'acqua inutilmente, facendomi arrabbiare ancora di più, infatti poco dopo il mio corpo si mosse come se fossi un uccello pronto per spiccare il volo,buttando in avanti il bacino e reclinando leggermente la schiena,stendendo le braccia all'esterno,emettendo uno stridio,come quando gli uccelli sono in pericolo. Sentii le mie braccia allungarsi,avendo l'impressione che mi si stessero lacerando i tendini e tutte le ossa del mio corpo si stessero rompendo mentre Atlas cercò di contenermi in una bolla di energia creata da lui con i suoi poteri, facendo illuminare i suoi occhi di viola,cosa che succedeva ogni volta che usava i suoi poteri.
Dalle braccia iniziarono a formarsi delle piume fatte di fuoco,mentre il corpo restò scoperto sul torcache sino al bacino che sulla schiena,rivelando la mia intimità. Gli occhi divennero completamente neri e vuoti senza iride,emettendo uno stridio di attacco,sollevandomi in aria,sbattendo le ali con fare minaccioso, lasciando i presenti sotto shock,nonostante lo vedessero tutti i giorni,mostrando la mia parte inferiore. Le gambe erano scomparse,eccetto per le cosce e le ginocchia,al loro posto c'era una lunga coda di fuoco che era formata da fiamme crepitanti lunga quasi sino a terra,le quali si erano impossessate anche dei miei capelli,trasformandoli in una chioma di fuoco.

I presenti mi guardarono con fare scioccato e spaventato allo stesso tempo,mentre io mi stavo alzando in volo con fare minaccioso, emettendo dei stridii acuti,per poi spaccare il lucernario,sciogliendo il vetro,volando fuori a tutta velocità, lasciando solo una scia di fumo dietro di me.
I presenti che erano rimasti dentro la stanza guardarono in alto,verso il soffitto con fare attonito,non sapendo bene come comportarsi e cosa fare in quel momento,anche perché di solito non facevano nulla. Aspettavano che tornassi da sola per paura che facessi del male a qualcuno se si fossero intromessi,ma quel giorno Atlas cambiò le carte in tavola dicendo in elfico,dirigendosi verso la porta:
ATLAS:Mïphaël gheżearch ar*- ma Gethiel tentò subito di fermarlo dicendogli in elfico con fare perentorio:
GETHIEL: Neich,mïnaphaëllanos nicht iþ na aonarat  żearch ar deïña żoaen alþe ażtebhe. Aþester siñ ,iadhphaëltis na aonarus me żepher- per poi aggiungere con fare secco,tornando a parlare nella lingua degli umani:
GETHIEL:Tu mi servi qui,Atlas. Sei il mio esperto e mi devi aiutare a capire perché delle creature magiche si sono riversate sulla terra senza un motivo apparente- ma Atlas ribattè dicendo, uscendo dalla stanza:
ATLAS:Può aspettare,Gethiel. La vita di una persona è più importante- ma Gethiel lo richiamò indietro dicendo,nel tentativo di farlo ragionare:
GETHIEL: Atlas Splell,in qualità di tuo capo ti ordino di fermarti all'istante. Atlas!- ma lui uscì dalla stanza ignorando le sue parole,dirigendosi fuori dal palazzo con fare sicuro,mentre Gethiel  lo guardò uscire in cagnesco,non accettando che non avesse eseguito i suoi ordini.
Intanto io volai nel cielo limpido per dei minuti che mi parvero interminabili, sentendo il vento accarezzarmi e passare tra le mie ali,muovendo la mia chioma infiammata,mentre io gracidavo,passando sopra ad alberi e case,sentendo la mia mente più leggera e libera da qualsiasi pensiero negativo,faticando a ricordarmi com'ero e chi ero. Volevo solo essere un uccello in quel momento e comportarmi come tale,sfrecciando nel cielo,lasciando una scia di fumo al mio passaggio. Scarlett la Flame non c'era più, ora c'era solo Phoenix o Dheïña Reburtëa,insomma la fenice di fuoco. Ero una fenice, ma purtroppo non potevo risorgere dalle mie ceneri in tutto. Dandomi fuoco sarei tornata in vita,ma quelle fiamme mi avevano già distrutto e non avrebbero mai potuto ridarmi la mia vita di prima. Adesso io ero questo. Ero diventata ciò che mi aveva fatto più male e quel fuoco che mi aveva distrutto adesso lo avevo dentro e mi stava divorando,ma non quando ero quassù, in cielo che volavo. Qui mi sembrava di sentirmi di nuovo me stessa e di ritrovare il mio equilibrio, lontana da tutte quelle voci e persone che mi assillavano perché diventassi ciò che volevano o che si aspettavano che fossi,quando io non riuscivo a passare sopra ad un evento così doloroso,almeno non adesso,in più non era mia intenzione creare danni o fare del male. Volevo semplicemente sentirmi di nuovo me stessa e non lasciarmi definire dal mio trauma, ma neanche con tutta la mia buona volontà  al momento sembravo riuscirci. Non volevo in eterno essere prigioniera di me stessa,ma purtroppo quel ricordo  era troppo vivido,infatti in quel momento una voce lontana mi riportò alla realtà scuotendomi violentemente dalla mia condizione. Era la voce di mia sorella. Stava piangendo e mi chiedeva di portarla via,chiamando  la mamma,sentendo qualcosa dentro di me rompersi,ricordandomi improvvisamente chi fossi,mentre in un angolino del mio cervello rividi quei flash dolorosi,spaccandomi la mente in due,non capendo più se fossi un uccello o una persona, sentendomi a metà tra i due,come se la mia mente stesse entrare in conflitto con sé stessa. Ero umana? Ero un uccello? Quella era mia sorella ed era morta bruciata tra le fiamme insieme al resto della mia famiglia,ma quel ricordo mi apparteneva davvero in quel momento? Non ne avevo idea. Ero confusa,ma prima che potessi anche solo metabolizzare quel pensiero iniziai a perdere quota,precipitando rovinosamente verso il suolo,vedendo il mio corpo cambiare e tornare umano senza che avessi fatto nulla,mentre sotto di me Atlas mi stava cercando, chiamandomi a gran voce per nome.Precipitai a pochi metri da lui con un tonfo sordo bruciando l'erba sotto di me,il quale sentendo un tonfo corse verso il rumore con fare preoccupato dicendo:
ATLAS:Scarlett!- il quale mi disse fermandosi per un istante a guardarmi,per poi correre verso di me con fare preoccupato,mentre io mi misi in ginocchio,emettendo gemiti di dolore,sentendo il mio corpo mutare per tornare alla forma originale,cosa che alla fenice non andava a genio,infatti lottò per farmi restare in quella condizione,iniziando a sudare per via dello sforzo. Atlas restó fermo a fissarmi per alcuni istanti senza dirmi una parola,guardandomi con fare sconvolto,pietrificandosi per via dello shock che provava in quel momento.  Era la prima volta che mi vedeva tornare umana da quando ero arrivata qui,per cui era più  che comprensibile, quando dopo pochi istanti si riprese dallo shock e provó ad  avvicinarsi a me,muovendo qualche passo incerto verso di me,dicendomi con fare dolce,mentre io tirai la schiena in avanti, come per stiracchiarla,tenendo le ali a terra,le quali stavano tornando braccia umane:
ATLAS:Lascia che ti dia una mano. Potrebbe farti meno male se mi permettessi di aiutarti- ma io cercai di respingerlo dicendogli,nonostante apprezzassi il suo gesto:
SCARLETT:No,Atlas,posso gestirla da me- dissi mentre la mia faccia, mutava,tornando quella umana,provocandomi un forte dolore al viso,sentendo i miei lineamenti riformarsi,tirandomi la pelle,mentre il becco rientrava in essa. Mi sentivo distrutta ed esausta,ma non potevo cedere anche perché in quel momento le ali si ritrassero,scuotendomi tirando un grido di dolore,sentendo le mie braccia formarsi nuovamente come le mani. Sentii le ossa del braccio formarsi e la carne rigenerarsi,così come le dita e il resto,mentre gli occhi ruotarono,ritornando del mio colore e con la loro pupilla e il loro iride,insieme alle mie gambe,le quali si riformarono allo stesso modo delle mie braccia.
Mi accasciai a terra stanca e tremando per via dello sforzo,sentendo il mio corpo dolorante privo di energie e madido di sudore,ansimando,cosa che spaventò Atlas,il quale si avvicinò a me e mi disse,creando una coperta per coprirmi dato che ero completamente nuda,sentendosi in imbarazzo, arrossendo:
ATLAS:Scarlett, sono qui. Voglio aiutarti, lascia che mi prenda cura di te- disse avvicinandosi a me con una coperta verde petrolio, guardandolo con fare spento e lo sguardo dilatato per via della stanchezza che provavo in quel momento. Avrei voluto impedirglielo perché avevo paura di fidarmi di nuovo di qualcuno, ma con Atlas non ci riuscivo,neanche con Galatea alla fine. Mi ero affezionata a loro,nonostante quest'ultima fosse gelosa di me,per cui lo lasciai fare,sentendo qualche minuto dopo una calda e morbida coperta avvolgermi,scaldandomi leggermente, sentendomi protetta,vedendo Atlas sedersi vicino a me sull'erba bruciata,il quale mi trasse a se per poi abbracciarmi ,sussurrandomi all'orecchio con fare dolce che sarebbe andato tutto bene,aggrappandomi a lui,sentendo il suo corpo sfiorare contro il mio,sentendo uno strano calore avvolgermi,come se tra le sue braccia mi sentissi protetta e in quel momento non potesse accadermi nulla di male.

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Oggi vi faccio venire un po' gli incubi. Se lo leggete a luci spente non mi riterrò responsabile. A parte gli scherzi. Non ho intenzione di andarci piano nel descrivere queste scene,quindi vi chiedo di nuovo di essere coscienti della vostra sensibilità e smettere se per voi è troppo. Spero di non aver fatto star male nessuno.
In più questo è un altro dei miei personaggi preferiti. Mi piace come l'ho creata e già dai flashback qualcosa si intuisce sul suo trauma. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, se così è lasciate un commento e una stellina e noi ci vediamo al prossimo capitolo.  Ciao
PS. Per sapere da dove nasce l'idea dovrete aspettare un po'. Ho in mente un progetto per svelarvi tutte le mie ispirazioni di questa storia, ma dovete pazientate,scusate. Se volete altri contenuti extra su questo racconto vi ricordo di seguirmi anche su Instagram.  Mi trovare con lo stesso nome,in più pubblico mie opinioni su film e serie TV che guardo e consigli su fumetti e libri( ma presto proverò a postare anche altri contenuti) se siete curiosi passate anche da lì.

Vocabolario
Dheïña Reburtëa* fenice di fuoco in elfico
Mïasaghēran,Gethiel .Mïaþin soak mïtaghēr* posso farcela, Gethiel. So cosa sto facendo
Phaëlvhakþegheaēke,Atlas!Maghel dankelkós!* Allontanati immediatamente da lei, Atlas! È troppo pericoloso!
Mïphaël gheżearch ar*vado a cercarla
Neich,mïnaphaëllanos nicht iþ na aonarat  żearch ar deïña żoaen alþe ażtebhe. Aþester siñ ,iadhphaëltis na aonarus me żepher*No,non ti manderò a cercare un essere di fuoco altamente instabile da solo. Aspettiamo che torni da sola,come sempre

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