EXTRA - Capitolo Tre
Ciao a tutti.
Sì, probabilmente non è l'aggiornamento che vi aspettavate. La farò breve: la maturità si avvicina, il collasso della mia salute mentale pure e io sto cercando di evitare di avere quattro in matematica e di prendere 5/15 alla seconda prova (non garantisco sulla seconda).
Purtroppo ultimamente il tempo per scrivere è stato davvero poco. Anche adesso in realtà dovrei dedicare tutte le mie energie alla stereoisomeria e alle reazioni chimiche, ma la voglia e l'interesse sono rasoterra.
Questo capitolo non è nulla di che, è solo un'idea che avevo in testa da un po'. Pensavo di scrivere dei trafiletti di eventi già accaduti, ma sotto un altro punto di vista. In meno di un'ora ho buttato giù questo pezzetto, che altro non è che il primo incontro tra Aziraphale e Isotta del capitolo tre, ma sotto il punto di vista di Aziraphale.
Nella speranza di riprendere presto il capitolo sedici (manca la parte dal punto di vista di Crowley), beh, enjoy.
*
L'orologio sopra la cassa segnava le cinque in punto. Aziraphale sorseggiò dell'altra cioccolata e voltò la pagina del libro. Soltanto un'ora e avrebbe potuto chiudere, un'ora e si sarebbe potuto cucinare una buona cena, ascoltando gli ultimi vinili di Rimskij Korsakov che aveva comprato. I volumi a stampa che aveva ricevuto giacevano ancora sulla sua scrivania e presto li avrebbe sfogliati. Moriva dalla voglia di studiare quelle prime edizioni di Stevenson, ma portarle in libreria, dove chiunque avrebbe potuto toccarle durante un momento di distrazione, era troppo rischioso, anche durante un pomeriggio di fine agosto che di rado portava clienti. Quanto erano belli i pomeriggi di fine agosto, pensò, ma subito dopo provò uno strano senso di soffocamento al petto.
La campanella tintinnò mentre gustava l'ultima goccia di cioccolata. Aziraphale trattenne un sospiro rumoroso, pregando non si trattasse di uno dei soliti acquirenti che insistevano per comprare le prime edizioni di Oscar Wilde che avrebbe difeso a costo della vita.
Abbassò il libro, incontrando invece una figura piccina, con indosso una maglietta verde bosco con le maniche a sbuffo che le donava molto e un paio di pantaloncini bianchi di stoffa.
«Buongiorno» mormorò con un piccolo sorriso. Lo pronunciò all'americana, ma aveva un accento del sud Europa. Forse era spagnola, o italiana, oppure ancora greca. Stringeva con forza la tracolla bianca e mosse qualche passetto incerto, senza far cigolare le vecchie assi.
Aziraphale le sorrise e la salutò, tornando a concentrarsi sul suo libro. Era solo una ragazzina, se ne sarebbe andata dopo neanche venti minuti, si disse. Non era frequente che incontrasse giovani nel suo negozio, fatta eccezione per qualche studente universitario. Quella ragazza non doveva avere più di sedici anni. Si guardava intorno con un sorrisino stampato in volto, ma si muoveva come un cerbiatto smarrito. Sì, gli ricordava proprio un cerbiatto. A occhi chiusi, non si sarebbe nemmeno accorto della sua presenza.
La ragazzina vagò un po' al centro della libreria, senza lasciare la presa sulla borsa. Aziraphale, tra sé e sé, scrollò le spalle e riprese la lettura, ma la ragazza girò sui tacchi, dirigendosi proprio dove non voleva che andasse.
Via, via, allontanati pensò Aziraphale. Non toccare nulla, fai quello che vuoi, ma allontanati da lì.
Si mosse sulla sedia, inclinando il busto in modo da poter guardare la sezione pregiata. Non erano i suoi volumi migliori, possedeva gioielli ben più preziosi, ma mai li avrebbe dati nelle mani di un bambino. La ragazza continuava a non allontanarsi, ma almeno tenne le mani al loro posto. Solo un istante si voltò nella direzione della cassa, ma Aziraphale non seppe dire se lo notò o meno. Fatto sta che, come colpita da un incantesimo, cambiò sezione e incominciò a sfogliare alcuni romanzi moderni. Aziraphale, sospirando di sollievo, tornò alla sua lettura.
Quando controllò l'orologio, mancavano quindici minuti alla chiusura. Non poteva udire la ragazza, ma era certo di non aver sentito il suono della campanella. Sbuffando, si alzò e dopo pochi passi la rivide vicino alla sezione della letteratura classica inglese, dove aveva riposto i romanzi delle sorelle Brontë. Si avvicinò piano e la ragazza cercò di alzarsi sulle punte delle scarpe da tennis per prendere un libro dalla costa viola, le gambe nude e pallide completamente tese. Aziraphale pensò di affiancarla e aiutarla, visto che l'impresa per la sua bassa statura pareva impossibile. A occhio e croce, visto che superava appena la quarta fila dello scaffale, non doveva superare di molto il metro e cinquanta.
Con un saltello, la ragazza finalmente afferrò il libro, che minacciò per un attimo di cadere sul pavimento. Non si voltò, come se non lo avesse affatto udito. Accarezzò con le dita il fantasioso lettering del titolo violaceo in rilievo, del tipo che Aziraphale odiava di più al mondo. Non aveva mai capito il senso di impreziosire in maniera così sciocca le copertine. C'erano modi ben più eleganti.
Aziraphale allungò il braccio verso di lei. «Cara-»
Un gridolino acuto lo fece trasalire. La ragazza si girò con una mezza piroetta, paralizzata come un animale inondato dai fari di un'auto.
«Scusami!» esclamò Aziraphale. «Non volevo farti paura...» Indietreggiò di un passo e la ragazza rilassò i muscoli. Le guance diafane le si colorarono di rosso e Aziraphale notò i suoi occhi di colore diverso. Teneva la testolina piegata indietro per guardarlo, ma abbassò immediatamente lo sguardo.
Gesticolando, borbottò qualche parola in una lingua straniera che non riconobbe, poi riattaccò in inglese. «No, volevo dire, non fa niente, sul serio.»
Aziraphale si rilassò e le sorrise. «Volevo solo dirti che chiudo fra pochi minuti.»
La ragazza passò il libriccino da una mano all'altra, guardando il pavimento. Forse non lo aveva capito, aveva parlato troppo in fretta? Prima che potesse ripetersi, gli disse «Uh, sì, ho finito» con un filo di voce.
Le fece cenno di seguirlo e l'accompagnò alla cassa. La ragazza aprì il portafoglio e gli passò una banconota da dieci sterline, ma dentro aveva anche due pezzi da cinque euro.
Aziraphale le passò il sacchetto. «Sei in vacanza?»
Lei lo guardò confusa. «No, perché?»
«Non sei di qui, giusto?»
La ragazza prese il sacchetto con dita tremanti. Non lo aveva guardato in faccia da quando la aveva spaventata. Aziraphale non poteva crederle di farle così tanta paura, dopotutto non aveva visto come cacciava certi clienti.
«Mh, no, sono italiana» rispose. Solo in quel momento Aziraphale notò l'accento, lo aveva già sentito a Milano anni prima. «Vivo qui.»
Aziraphale annuì. «Capisco. Scusa ancora per prima.»
«Non c'è problema, davvero.»
Gli sorrise un'ultima volta, si voltò e, guardandosi intorno, uscì dal negozio con uno scampanellio. La sua testolina bruna rimase un secondo davanti alla porta, poi sparì in mezzo alla strada. Aziraphale chiuse la cassa, portò la tazza sporca in cucina e iniziò ad abbassare le serrande. Girò il cartellino da "aperto" a "chiuso", ma prima di girare la chiave aprì la porta a vetri e guardò il foglio appeso. Forse era un'idea ridicola. Era appeso da giorni e nessuno aveva ancora risposto. Meglio così, avrebbe potuto toglierlo e fingere che nulla fosse accaduto, ma appena lo sfiorò con le dita la sua sicurezza svanì. Batté il piede sul gradino, poi tornò dentro e fece due giri di chiave.
Solo altri sei giorni, si disse. Sei giorni, avrebbe rispettato il suo ultimatum e tutto sarebbe tornato normale.
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