Capitolo Sei - Luce
Saltellò e canticchiò come una bambina fino alla porta di casa, dove Crowley l'accolse con una bottiglia di vino.
«È andata bene, vedo» le disse contento.
Isotta annuì. «Settimana prossima sistemiamo un po' di cose, ma è ufficiale». Afferrò la bottiglia e lesse l'etichetta. «Oh, Prosecco da Valdobbiadene».
«Non sono esperto di vini italiani» fece Crowley prendendo due bicchieri. «Me lo ha consigliato il sommelier veneziano della cantina. Brindisi e ordiniamo cinese?».
Isotta alzò il pollice e corse a cambiarsi d'abito.
La telefonata del signor Fell non tardò ad arrivare e ben presto dovette rinunciare - sebbene non troppo a malincuore - alle mattine passate a poltrire sul letto. Faceva colazione insieme a Crowley, che il primo giorno si offrì di accompagnarla, ma lei rifiutò. Gli disse che voleva imparare la strada, ma in realtà la sola idea la imbarazzava un po'. L'immagine del suo primo giorno di liceo, quando suo padre decise - si impose - di accompagnarla fino al cancello, davanti a tutti i suoi nuovi compagni, soli e armati di motorino o bicicletta, accendeva ancora un moto caldo nella sua testa da cui fuggiva scuotendola.
La libreria apriva, teoricamente, alle otto e mezza, ma il signor Fell spesso tardava a causa della sua lunga colazione, o dei tre quarti d'ora passati a prepararsi. Nel frattempo, Isotta girovagava per gli scaffali canticchiando le canzoni della Winehouse e dei Queen. Sistemava in ordine alfabetico i nuovi arrivi, controllava i titoli più venduti e, durante la pausa pranzo, spolverava le lunghe file. Ci aveva passato poco tempo ma amava quel posto, come se fosse una bolla di vetro separata dal fracasso londinese, il giardino segreto di un palazzo fatiscente dove i fiori erano libri e i tomi più pregiati le spine delle rose che non andavano toccate. Nonostante la bonarietà del signor Fell - la accoglieva con un gran sorriso, le chiedeva sovente se le servisse una mano, le aveva offerto un'ottima paga e le lasciava sfogliare i libri - una cosa si era subito premurato di metterla in chiaro: non le era permesso toccare i manuali antichi.
Erano ben separati dal resto della libreria, in una sorta di grande abside dove capeggiavano cartelli dorati con su scritto "solo consultazione", "richiesto uso dei guanti protettivi", "richiesta supervisione del proprietario". Non erano però tutti esposti: alcuni (Isotta credeva si trattassero di quelli dal valore più che inestimabile, come alcune prime edizioni a stampa o codici illustrati con maestria) erano conservati in un piccolo magazzino del retrobottega e non erano presenti nei cataloghi. Una piccola collezione privata che veniva conservata con una gelosia che mai aveva visto, dato che il signor Fell eludeva sempre le sue domande a riguardo e li teneva in un baule chiuso col lucchetto. Isotta però divorava con gli occhi la costa di una traduzione della "Divina Commedia" vecchia di duecento anni e fu più volte tentata di sfilarla di nascosto dallo scaffale durante una delle solite mattine ritardatarie del signor Fell, ma la ragione prevalse, soprattutto quando, nella tarda mattina di una giornata ventosa, un uomo sulla sessantina fece trillare la campanella della porta e trascorse molto tempo nella sezione dei libri antichi. Troppo tempo, per i gusti del signor Fell, che fissava con aria indagatoria chiunque osasse posare lo sguardo sui suoi "tesori". Anche Isotta, che comprendeva quella sua abitudine ma al contempo la trovava irritante, imparò presto a evitare gli scaffali dei tomi pregiati. Il cliente a quanto pare non aveva notato - o faceva finta - come il signor Fell fosse divenuto la sua seconda ombra.
Soppesò un sottile manuale a stampa. Isotta li teneva d'occhio dal retrobottega, dove stava consultando il catalogo. Le mani del signor Fell ebbero un tremito non appena l'uomo aprì bocca. «Quanto vuole per questo?»
«Non è in vendita, mi dispiace» sbottò. Isotta lasciò il catalogo e si avvicinò alla porta semiaperta: non aveva mai sentito il signor Fell usare quel tono sbrigativo.
«Quanto vale? Posso offrirle il doppio» sfogliò qualche pagina.
«Ascolti» il signor Fell gli si avvicinò con passo pesante. «Se desidera consultarlo, è liberissimo di farlo, ma non può acquistarlo».
«Duemila sterline, che dice?»
«Signore» ringhiò. Isotta iniziava a temere che lo avrebbe preso a botte. «Se insiste sarò costretto a chiederle di uscire».
«Quattromila?»
Il volto del signor Fell divenne rosso. «Fuori dal mio negozio! Ora! Immediatamente!»
Come un fulmine, Isotta tornò a sedersi al tavolo e agguantò il catalogo. La campanella trillò e la porta principale sbatté con foga. Fece per alzarsi, ma il signor Fell irruppe nel retrobottega con i pugni serrati. Isotta finse di concentrarsi sul catalogo, mentre lui prendeva due grossi respiri appoggiato alla cucinetta. Aprì la credenza e prese il pentolino. «Tè? Cioccolata?»
Isotta avrebbe rifiutato (era reduce da una colazione al bar con suo zio) ma optò per la cioccolata. Pensò fosse meglio assecondarlo, almeno per un quarto d'ora.
*
Dato che la pausa pranzo durava due ore e mezza, dopo aver spolverato gli scaffali Isotta soleva tornare a casa a piedi, dove consumava un rapido piatto di pastasciutta o una fettina di pesce o carne accompagnata dalla voce monotona del telegiornale o dai concitati messaggi vocali di Ilenia, che ormai aveva ripreso la scuola e temeva la maturità. Il signor Fell le aveva chiesto più di una volta di rimanere e di pranzare con lui nel suo appartamento, ma lei se ne andava sempre, spinta da un timore radicato che non si sentiva di ignorare, come se la voce di suo padre la tormentasse anche ora che era ridotto in cenere in un loculo a Trieste: "non accettare mai gli inviti di un uomo sconosciuto a casa sua", le avevo detto quella volta che, dopo aver aiutato un vecchietto a portare le borse della spesa nel suo appartamento al quarto piano, era rimasta a bere un caffè. "Cosa credi che vogliano da una bambina?".
Una volta, però, circa tre settimane dopo l'inizio del contratto, le cose andarono diversamente. Si scordò di collegare il cellulare alla presa di corrente e durante la notte la batteria si esaurì del tutto. Suo zio se ne andò molto prima del solito per alcune osservazioni astronomiche e quella mattina nessuna sveglia squillò nell'appartamento. Senza badare alla sensazione di vuoto nello stomaco corse a perdifiato fino a Soho, con il cappuccio della felpa che sbatacchiava in tutte le direzioni e la tracolla che le picchiava il fianco. Raggiunse la libreria con la faccia rossa e madida di sudore.
«Cara» il signor Fell, ormai, era solito chiamarla così. «Cosa è successo? Sei sempre puntuale. Santo Cielo, vuoi dell'acqua?»
Isotta annuì. «Ho perso...» il fiatone le mangiava le parole. «... il bus...» mentì.
«Avanti, siediti» le prese la tracolla e la appese nel retrobottega. Tornò con un bicchiere d'acqua e lei lo scolò in pochi secondi. «Va meglio?»
Isotta ansimò. «Ah, sì».
«Hai fatto colazione? Non sembri molto in forma». Si sedette di fronte a lei sistemandosi il panciotto.
«No, ho... » il battito incessante del suo cuore le rimbombava in testa. «Ho fatto tutto in fretta».
Il signor Fell batté i polpastrelli dei pollici tra di loro. «Vuoi mangiare qualcosa? Stai diventando pallida, ti gira la testa?».
Se Isotta avesse avuto un briciolo di forze in più avrebbe rifiutato il suo aiuto, continuando stoicamente come se nulla fosse successo, ma, come se le parole del signor Fell avessero avuto proprietà profetiche, minuscole macchie nere presero a formarsi alle estremità del suo campo visivo.
«... un po'». Si portò le dita alle tempie e abbassò lo sguardo. Pregò che la terra la inghiottisse.
Ci fu una piccola pausa e il signor Fell si alzò in piedi. «Vieni di sopra con me, ho un po' di dolci in frigo. Sei tutta sudata, non puoi stare qui al freddo».
Isotta, che ancora respirava profondamente, tacque per qualche istante. «Ma apriamo fra meno di dieci minuti».
«Chi frequenta la libreria sa che gli orari della mattina sono molto... flessibili». Si avvicinò a lei e le offrì il braccio. «Insisto».
Un senso di torpore in testa la spinse a scacciare la roca voce di suo padre. Si sollevò a fatica e fece appena in tempo ad afferrare il braccio del signor Fell quando barcollò. «Piano, cara, non muoverti troppo».
L'appartamento si trovava al primo piano dell'edificio, un trilocale arredato con mobili di legno scuro e oggetti d'antiquariato. Un grammofono illuminato dalla fievole luce mattutina beava l'ambiente con note di musica classica e alcuni vani della parete attrezzata del salotto erano occupati da fotografie di famiglia. Quando ci passò davanti, Isotta vi scoccò una rapida occhiata: in una, il signor Fell era al lago con due uomini, forse amici o i suoi fratelli, in un'altra vi era anche una donna dai corti capelli mossi e castani.
Isotta si sedette al tavolo della cucina. «Vive da solo?»
Il signor Fell prese due tazze dalla credenza. «Sì, ma non da molto. Tè o caffè?»
«Caffè, grazie».
«Con latte?»
«Sì, grazie signor Fell».
Le preparò un macchiato coi fiocchi e le porse dei piccoli biscotti decorati con creme alla frutta che trovò familiari.
«Li prendo da una pasticceria vicino a Piccadilly Circus» le disse sorseggiando il suo tè. «Fanno delle prelibatezze eccezionali».
«Quella con l'insegna rosa e bianca, dice?»
«Sì, quella. La conosci?»
«Ci vado per comprare gli ingredienti per le creme, ogni tanto».
Il signor Fell mandò giù quello che Isotta constatò essere il decimo biscotto. «Oh, fai dolci?»
«Qualche volta», finì il caffè. «Ora meno, però».
L'espressione sul volto del signor Fell si rattristò. «Come mai?»
«Diciamo che mio zio è quasi svenuto dopo aver visto la bolletta di agosto» ridacchiò e il signor Fell la seguì a ruota. «Uso tanto il forno. Fin troppo».
«Cucini soprattutto italiano? Oh, vuoi dell'altro caffè?»
«No, grazie signor Fell. Cucino soprattutto italiano, ma faccio un po' di tutto, anche pasticceria francese e tedesca, per esempio». Si rigirò la tazzina tra le mani, ammirando il disegno di tre piume al vento vicino al manico. «A scuola studiavamo anche la cultura straniera, quindi, sì... ci ho preso la mano». Il signor Fell sorrideva benevolo e lei smise di parlare. Un tiepido calore le invase le guance e si portò le nocche davanti alla bocca.
«Ti piaceva andare a scuola?». Il signor Fell si versò dell'altro tè e vi immerse l'ennesimo biscotto.
Ma quanto mangia? «Abbastanza» rispose guardando un punto vuoto sul tavolo.
«Continuerai a studiare qui?». Nella voce una nota di educata curiosità.
Isotta portò la testa verso destra, poi a sinistra. «Non lo so. Forse mi converrebbe di più, ma non sono sicura. Potrei fare uno di quei corsi a doppio titolo, metà qui e metà in Italia. Devo pensarci».
«Studiando lingue ti tornerebbe utile un'esperienza all'estero» osservò lui.
«Non voglio studiare lingue» rispose lei in tono forse troppo duro, dato che sul volto paffuto del signor Fell apparve un velo interrogativo. «Credo. Non so. Sono indecisa» tagliò corto.
Il signor Fell annuì comprensivo. «Hai tempo per pensarci». Afferrò l'orologio da taschino e lo richiuse subito dopo. «Forse è meglio aprire. Ti va?»
«Sì, va molto meglio, grazie signor Fell». Aveva bisogno di occupare la mente con qualcos'altro.
«Allora andiamo. Dimmi pure se vuoi fare una pausa».
Accettò anche il suo invito a pranzo, quel giorno. Mangiarono tacchino e insalata, finirono i dolci avanzati della mattina (o meglio, il signor Fell lo fece, perché Isotta a causa della colazione tarda non aveva più molto spazio nello stomaco) e bevvero anche un goccio di vino leggero. Il tacchino era cucinato e speziato alla perfezione e il signor Fell ne mangiò ben due fette, ma ciò che più sorprese Isotta fu il suo umore: di solito flemmatico con lei, prese a parlare come una macchinetta. Dei libri, di quanto antichi fosse certi manuali, di quell'uomo che glieli aveva affidati in fin di vita e aneddoti di clienti oltremodo fastidiosi. Uno di questi, due anni prima, un ragazzino sui quindici anni, si divertì a macchiare di nascosto le pagine di un volume tedesco a stampa del 1520 e il signor Fell fu costretto a rivolgersi a un centro di restauro bibliografico. Successivamente, Isotta gli chiese che musica fosse quella che proveniva dal grammofono ("Mahler, sinfonia numero due, magnifica vero?") e da lì il signor Fell parlò dei suoi gusti musicali, di come amasse Bartok e Schubert e Bach e il "Fidelio" di Beethoven e di come i suoi fratelli (ne aveva due, le disse, entrambi più grandi, ma non rivelò altri dettagli) ogni anno lo trascinassero a guardare "Tutti Insieme Appassionatamente" a teatro.
Isotta, sopraffatta da quella scarica improvvisa, da una parte faticò a seguire appieno il discorso, dall'altra pose tutte le sue energie per interessarsene perché, ne fu certa, raramente aveva visto una persona più gioiosa del signor Fell in quel momento, con la sua voce buffa e soffice che sparava parole come una mitragliatrice. Quando tornarono al lavoro, rammentò di quella volta, mesi prima, quando suo zio le chiese di raccontargli una novella del Boccaccio. Rimase stranita, perché suo zio non le era parso il tipo a cui piacesse la letteratura trecentesca, ma anche felice, perché era sola in quei giorni, una sensazione di vuoto che soltanto la pelle di Ilenia sopra la sua era riuscita a scacciare. E lui aveva voluto ascoltarla, per cinque minuti. Si chiese se anche il signor Fell si sentisse solo, ma non fece molte supposizioni.
***
Nota dell'autrice: sì, stavolta lo divido perché sennò viene fuori un polpettone lungo quanto un papiro mi sa.
Capitolo un po' autoindulgente, lo ammetto, ma alla fine so scrivere bene (credo. Spero) solo di rapporti tra le persone, quindi sarà bene o male tutto così, gente.
Come al solito, spero vi sia piaciuto. La seconda parte spero di prepara al meglio entro qualche giorno.
Sempre vostra
Fran Truth
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