Capitolo Venti

Corridoio di stelle

Maed si era dimenticata di quanto fosse divertente organizzare uno scherzo.

Il secondo passo era ormai completato, e il nobile giaceva a terra tra le sue gambe. Una macchia di sangue blu si allargava da sotto la sua tempia, andando a mischiarsi con una pozzanghera.

Stavolta, a dirla tutta, non si trattava di uno scherzo vero e proprio, ma di certo le avrebbe rubato tutto il giorno, così come aveva fatto con tutta la sua attenzione. Il grado di preparazione era stato dei più elevati. Forse, lo superava solo l'infruttuoso tentativo di bruciare sua sorella Tanesin.

Quando era saltata addosso al nobile non l'aveva vista nessuno. Ad Asdenar, quel giorno, erano tutti impegnati a fare la fila per la lotteria, o stavano ascoltando i comizi del Benefattore.

Maed aveva aspettato seduta sul ciglio del tetto, con le gambe penzolanti. Era lo stesso tetto della lucertola, quello dove Shara e i suoi amichetti avevano accecato la povera bestiola. Tutto il materiale era rimasto lì per giorni, nascosto sotto un telo.

Aveva fatto la prova per qualche minuto, maneggiando lo specchietto fra le dita, rapita dal restringersi e dall'allargarsi del dischetto di luce sul fondo del vicolo.

Ogni tanto alzava lo sguardo, e vedeva il Benefattore in piedi qualche tetto più in là. La sua voce giungeva debole, ma si udivano il suo tono pomposo e i frequenti clamori di una folla invisibile. Che parole poteva mai usare, per farli esultare così tante volte?

Alle sue spalle, lo scheletro dell'altovia regnava lugubre. Era il simbolo di un potere durato fin troppo poco, ma che aveva irrimediabilmente cambiato gli animi dei cittadini di Asdenar. Sì, forse era l'ombra di quella costruzione, a esaltarli in quel modo.

Maed si destò dai suoi pensieri quando vide il nobile attraversare il vicolo. Indossava una bella veste blu, decorata con alcune righe dorate.

«Ehi, stronzo!»

Il nobile lanciò lo sguardo in alto, mettendo gli occhi a disposizione di Maed.

Seguendo i movimenti dello specchio, il dischetto di luce era corso prima sul fondo del vicolo, si era arrampicato sulla veste dello sventurato, e, per finire, era andato a coincidere sulla sua pupilla.

Maed aveva atteso il suo urlo, e solo dopo si era lanciata su di lui. Era rimasto silenzioso a quel modo da quando aveva battuto la testa.

Mentre cercava di riportare alla mente il suo grido straziante, Maed si accorse di aver avuto un atteggiamento fin troppo indolente, per fin troppi giorni. Tutto era cominciato la sera del lampadario, e non aveva fatto altro che peggiorare.

Rise da sola, mentre sfilava la cintura al nobile e la lanciava di lato. Lo spogliò, rivelandone le numerose collane e i bracciali, e il collo e la schiena tempestati di piercing.

La veste era troppo lunga. Usò il filo tagliente dello specchio per tagliarne il bordo, cercando di misurarne la giusta lunghezza mentre lo accostava al proprio corpo, come una sarta.

Lasciò il nobile nudo e a faccia in giù, in mezzo al vicolo. Indossò la sua nuova veste da nobile — sopra il vestito giallo che già aveva — e tirò su il cappuccio.

Anche il terzo passo dello scherzo "distruggi l'Astro" era completo e archiviato.

Cercò la piazza dove aveva luogo la lotteria. I nobili non avevano aspettato un solo giorno a rispondere all'attacco degli scienziati, come la gente aveva iniziato a chiamarlo ormai da qualche giorno. E la risposta non si era di certo limitata a far esplodere l'altovia.

La lunga coda per poter ricevere il regalo dei nobili era davvero spropositata. Da dove si trovava ora Maed, aveva le sembianze di un enorme biscia incastrata nella strada. Scompariva dietro una curva, per poi riapparire ogni tanto in qualche scorcio tra gli edifici.

Maed si grattò la testa, osservando un paio di nobili invitare alcuni cittadini a inserirsi nella coda. Era giunto anche quel momento, dopo giorni.

Si arrampicò su un tetto. Si era dimenticata di cosa si provava a stare là sopra. Rivedere la cascata di tetti rossi e l'orizzonte curvo di Tumenor le fece formicolare la schiena. Quel formicolio si trasformò in un brivido, quando prese la rincorsa e si lanciò in una corsa sfrenata.

In meno di un minuto, raggiunse il punto della fila dove i nobili marchiavano i cittadini con i loro tatuaggi. Un comune mortale, con tutta quella confusione, ci avrebbe messo almeno un paio di ore ad arrivare in quel punto. Da lì in poi, la coda s'immetteva in una stradina laterale e proseguiva zigzagando attraverso vicoli stretti e bui, in una specie di folle labirinto. A Maed, per tagliare la fila, bastò saltare da un'abitazione all'altra. Ogni volta che lo faceva, l'accompagnavano i clamori della gente quando la sua ombra sfrecciava sopra le loro teste.

La piazza del mercato assomigliava tanto a un imbuto, vista dall'alto. A forma di cerchio, era circondata da alte abitazioni. Il pavimento lastricato, incrostato di alghe e di pece secca, digradava dolcemente verso il centro, lasciando defluire l'acqua in un grande tombino. Appena Maed giunse sul bordo della piazza, tutti coloro all'interno di quell'imbuto le lanciarono uno sguardo, ma ritornarono subito ad attendere l'estrazione. Vestita a quel modo e in piedi lì sopra, l'avrebbero di sicuro scambiata per l'ennesima nobile venuta a controllare che tutto procedesse come previsto.

Camminò sul bordo del tetto, riprendendo fiato per la corsa. L'urna che si era preoccupata di nascondere qualche giorno prima si trovava esattamente dalla parte opposta.

Le carrozze, tutte di legno dorato, erano disposte seguendo le pareti degli edifici, agganciate con delle cime ad alcuni anelli. Ogni minuto, una donna con una veste da nobile ne sceglieva una, apriva la portiera e, profondendosi in un inchino, faceva accomodare un cittadino fortunato a bordo. La carrozza, una volta slegata dalla parete, incominciava a macinare la pietra senza che nulla la spingesse, s'immetteva in una stradina laterale e scricchiolava su per la salita come se niente fosse.

Calava il silenzio più assoluto.

Si udivano solamente i tacchi della nobile, mentre si riavvicinava a un tavolino di legno davanti alla folla. Armeggiava con un vaso, ed estraeva un bigliettino. Urlava un nome, spiegando il foglietto agli astanti, e in risposta giungeva un singolo ululato di esultanza. Dalla calca, sbucava un uomo, o una donna, affannato. S'inchinava ai piedi della nobile. Lei l'accompagnava a una nuova carrozza, e tutto riprendeva da capo.

Maed, approfittando del momento in cui l'urlo di un fortunato stracciava il silenzio, saltò giù in un vicolo e si calò dentro a un tombino.

L'urna era ancora lì, nascosta in una nicchia nella pietra. Più in basso, gorgogliava un fiumiciattolo, e l'odore di alghe marce e salsedine esalava in un flusso continuo, accompagnato da un soffio caldo e umido.

Maed ripensò ai cunicoli della Villa, alle vibrazioni, ai sussurri di Adelin. Tutta la Villa era viva, aveva detto, e pure Asdenar.

Stava facendo tutto per quello. Di sicuro c'erano alternative più semplici per ostacolare gli scienziati e convincere Adel che poteva finalmente iniziare l'addestramento. Scoprire il segreto della magia. E cercare di distruggere un grosso cilindro di metallo che non sapeva nemmeno dove si potesse nascondere non era di certo una delle alternative più fattibili. Ma quella cosa, quello che gli scienziati chiamavano l'Astro, l'aveva ferita allo stomaco. Tutto quello scherzo, in fondo, era anche una sorta di vendetta personale.

Sbucò con la testa fuori dal tombino e appoggiò l'urna davanti a sé. La aprì, constatando che i biglietti c'erano ancora tutti. Ne aprì uno.

Luminosa, c'era scritto.

Ne aprì un altro. Luminosa. Luminosa. Luminosa.

Al decimo foglietto spiegato, si convinse che tutto era ancora al suo posto.

Raccolse l'urna e si diresse di nuovo verso la piazza.

La nobile le dava le spalle e continuava a estrarre biglietti. Presto sarebbero finiti. Ora che era più vicina, poteva osservare con più attenzione quel momento, quello che era il secondo regalo ai cittadini di Asdenar.

Ogni estratto arrancava incredulo fuori dalla folla, quasi in lacrime. Lì, al cospetto della nobile, tanto erano emozionati, si dimenticavano dell'ultimo passo. Il tatuaggio fresco fresco che avevano al braccio. Era la donna a srotolare loro la manica, e a controllare che il nome inciso sulla pelle coincidesse col nome scritto sul biglietto estratto. Se era così, una carrozza lasciava la piazza e accompagnava un fortunato su fino alle ville, regalandogli qualche minuto di stupore gratuito.

Maed non sapeva cosa provare, se rabbia, o gioia. Ma forse era solo indifferente. Ormai, oltre alla fazione degli scienziati e dei maghi, c'erano anche lei e Adel, a giocare.

Eppure, riconosceva che quella della lotteria era una risposta geniale all'altovia, al fascino del vapore e delle bolle di vetro ondeggianti sopra la città.

Arrivò quel momento che Maed ormai aspettava da quasi un'ora.

La nobile, tornata per l'ennesima volta al tavolino, si accorse che erano finiti i biglietti. Si girò a destra e a sinistra, e allora Maed sbucò fuori dal vicolo, con la sua nuova veste da nobile blu e oro, il cappuccio indossato e le braccia protese in avanti con la nuova urna.

«Grazie» sospirò lei, avvicinandosi. «Non finiscono più, dannazione.» E tornò al tavolino.

Ora, doveva correre.

Maed si lanciò di nuovo nel vicolo e si stracciò la veste da nobile, ritrovandosi addosso il suo vestito giallo.

Dopo essere passata per il tombino e per la fognatura, si sarebbe sporcato a sufficienza da eliminare ogni sospetto di eleganza. Maed sarebbe sembrata in tutto e per tutto una semplice ragazzina del porto che, a costo di stare in fila per ore, desiderava solamente farsi un giretto sulla carrozza di un nobile.

Saltò in fondo allo stretto pozzo, e atterrò con i piedi in mezzo al fiumiciattolo sotterraneo. Lottò contro la corrente, appoggiandosi alle pareti viscide, mentre gocce gelide le picchiettavano sulla nuca. Appena intravide delle fessure luminose sopra la testa, si arrampicò in alto e con una mano spinse la grata del tombino.

La luce si gettò a cascata su di lei, rivelando decine di gambe e scarpe lorde. Strisciò su per il collo di quell'imbuto che era la piazza, mentre la gente si accorgeva che qualcosa stava sfuggendo alle fogne di Asdenar.

«... Luminosa?» chiamava una voce. «Luminosa?»

Maed allargò i gomiti per farsi spazio.

«Ehi, ragazzina, ma che...»

Un uomo si allontanò da lei non appena capì da dove era appena sbucata.

Maed lo ignorò, cercando un modo per uscire da lì.

«È l'ultima volta che chiamo, va bene?» urlava la nobile, oltre la calca, mentre la folla incominciava a rumoreggiare. «Luminosa

«Ragazzina, non si salta la fila, dove credi di andare?»

Maed si srotolò la manica e gli mostrò il tatuaggio sul braccio sinistro. Il triangolo, ovviamente, era al sicuro su quello destro.

L'uomo si ammutolì.

«Un attimo» gridò a squarciagola Maed. «Ci sono, arrivo!»

La folla si aprì attorno a lei.

La nobile, girata di spalle, era sul punto di pescare un nuovo bigliettino. Era sul punto di scoprire che qualcuno aveva messo su un bello scherzo.

«Aspetta, ci sono» disse Maed, affannata.

Aveva già il tatuaggio scoperto.

La donna guardò bene. «Si può sapere che razza di nome è Luminosa?»

«L'importante è che sia lo stesso del biglietto, no?» rispose Maed. «Ho vinto il viaggio, vorrei andare.»

Dopo aver annuito confusa per qualche secondo, quasi con l'impressione di essere stata ingannata, la nobile la guidò verso la prima carrozza disponibile.

Era da molto tempo che non si sedeva sul comodo divanetto di un carro nobile. Si lasciò andare con la schiena, sospirando. L'odore di magia era flebile, l'ideale per dare all'ospite quella sensazione di esotico, di sano pericolo, ma non così penetrante da farlo scappare via.

La portiera si chiuse. Il conducente si sporse con la testa oltre il sedile. «Dove vuole andare, ragazzina?»

«Voglio fare un giro di Asdenar, così.»

«Mi spiace, ma posso solo portarla in una destinazione precisa e lasciarla lì. La lotteria non può assolutamente fermarsi.»

«Allora mi porti alle ville.»

L'uomo si sporse ancora di più. Rimase in silenzio, fissandola con uno sguardo granitico.

«Va bene, ho capito» disse Maed, scivolando ancora di più sullo schienale. «La guiderò io passo passo. Però ora vada.»

Mentre la carrozza partiva e imboccava uno stretto viale, Maed chiuse gli occhi e cercò di ricapitolare ciò che mancava nel suo piano per distruggere l'Astro.

Il quarto passo ormai era compiuto. All'improvviso, in un guizzo inaspettato di terrore, si accorse di aver rischiato molto. Luminosa era un nome assurdo. Alla nobile sarebbe bastato guardare cosa nascondeva un po' più in su sul braccio, e per lei sarebbe stata la fine.

Come per giocarsi del nobile che la stava portando a spasso per la città, Maed si srotolò tutta la manica sinistra. Il conducente era così vicino, ed era quello a donare al gesto un tocco di ebrezza in più. Lui non poteva immaginarsi minimamente di avere a bordo una scienziata.

La Luminosa, diceva il tatuaggio completo.

Se l'era fatto da sola. Era stato il primo passo dello scherzo, ed era stato difficile. Ma non era venuto poi così male.

Il Vecchio Cavalluccio, negli ultimi giorni, aveva spesso lasciato la casa incustodita. Si calava in mare, restando in apnea per parecchi minuti.

"Maed, che fai?" le aveva chiesto all'inizio, vedendola lì seduta sulla zattera.

Lei si era limitata a scrollare le spalle, facendo finta di fissare il fantasma del Faro.

Ogni volta che tornava a galla, il Vecchio la squadrava, scuoteva la testa e, dopo aver preso un bel respiro, si immergeva di nuovo, piano piano, per non sforzare troppo le ossa. Tutto quello era... Era strano vederlo così indaffarato, distratto. Il Cavalluccio aveva perso d'un tratto tutta la sua saggia e lucida immobilità.

Ma Maed se ne rendeva conto solo ora.

In quei preziosi minuti aveva approfittato di quella libertà per utilizzare i suoi bastoncini d'avorio. Si era marchiata il suo nome da Scienziato sull'avambraccio sinistro. Gli scienziati l'avevano cacciata, ma lei era stata testarda comunque.

Ora, secondo i due tatuaggi, lei era sia un mago che uno scienziato. Anche se, in realtà, era tutto uno scherzo.

Le scappò una risatina e il conducente fece scattare il collo di lato. «C'è qualche problema, per caso?»

Maed si schiarì la gola e si protese in avanti. «No, no, nulla. Ecco, qui giri a destra.»

Il nobile ci mise un po' a recepire, anche lui con l'aria di qualcuno che pensa di essere stato preso in giro, ma che non riesce a capirne il perché. Eseguì un elaborato gesto con la mano destra e la carrozza svoltò.

Andò avanti così per qualche minuto. Maed dava un'indicazione e il conducente obbediva, disegnando ogni volta qualcosa nell'aria.

La nuca del conducente si era colorata di un rosso acceso. Maed poteva scommettere che lui, in realtà, non avesse la minima idea di dove lo stesse portando, troppo distratto a capire se avevano già percorso quella strada o se era la prima volta che la imboccavano.

«Perché ora stiamo tornando in basso?» balbettò. «Ora ti faccio scendere, ragazzina, si sta facendo buio» aggiunse, allargando le spalle.

«Osservare la città dalle ville non è proprio la stessa cosa che percorrerne le strade, vero?»

«Come, scusa?»

Maed saltò sul sedile anteriore. Anche il nobile saltò sul posto.

«Che fai?» squittì, voltandosi di scatto. La carrozza continuò ad avanzare, contro la sua volontà.

Scendeva lentamente, quasi galleggiando, invece che lasciarsi trasportare dal proprio peso. Il fuoco azzurro sul retro avvampò, allontanando l'oscurità che si era insinuata all'interno.

La luce fredda mise in risalto le gocce di sudore sulla fronte dell'uomo.

«Ma che...»

La strada, d'un tratto, era diventata completamente buia. Lì non c'erano più le lanterne colorate, solitamente appese sulle pareti delle case o delle botteghe. Qualcuno doveva averle rubate.

Maed attendeva in silenzio. Sì, erano quasi arrivati.

Il nobile, bisbigliando terrorizzato, iniziò ad armeggiare col nulla. La carrozza sbandò di lato, prima a destra, poi a sinistra. Andò a sbattere su un muro con la fiancata.

«Ahhhhhh» urlò l'uomo, tirandosi i capelli. «Che cazzo succede?»

Attorno a loro tremava tutto, mentre il legno sfregava sulla parete. Il nobile si guardò un'ultima volta di lato, alle spalle, e infine decise di lanciarsi addosso a Maed. La carrozza frenò di colpo, scaraventandoli in avanti.

L'uomo era sopra di Maed, e se non le era crollato addosso schiacciandola sotto la sua mole, era per lo specchietto aguzzo che lei puntava sul suo stomaco flaccido, come un pugnale.

Percepì il suo corpo teso all'indietro con ogni forza, pur di non cadere in avanti e sventrarsi l'addome. Il suo fiato era mozzo, represso. Dal suo collo calò un odore di sudore, di profumo andato a male.

«Ora» disse Maed, spostandosi di lato per sfuggire al suo alito, «non era proprio qui che volevo che ci fermassimo. Ma la strada sembra quella giusta.»

«Cosa... cosa vuoi... da me...»

Maed strisciò sotto di lui e andò a prendere il posto del conducente.

Come liberatosi da un cappio, il nobile crollò a faccia in giù. Grugnì e si arrampicò su per il sedile del passeggero. Maed aveva pronto di nuovo lo specchio, ma stavolta glielo puntava alla gola.

Il nobile, ancora in ginocchio, deglutì e abbassò gli occhi per guardare la sua immagine riflessa.

«Che ne dici di aiutarmi a distruggere un'invenzione degli scienziati?» propose Maed.

Il suo tentativo di annuire fu chiaro.

«Scommetto che passeranno a breve da qui» aggiunse, ritirando la sua arma. «Penso siano stati loro, a rubare tutte le lanterne, in modo che nessuno potesse vederli.»

«E cosa vuoi che faccia io?»

«Devi dare fuoco alla carrozza, con le fiamme azzurre. E poi, farai in modo che crolli addosso a loro. Sbaglio o gli scienziati non sono così resistenti al fuoco?» Maed per dire quell'ultima cosa, fu costretta a deglutire un difficile fiotto di saliva.

Il nobile incominciò a scuotere la testa e si portò le mani ai capelli.

«Stammi a sentire!» gridò Maed. «Ormai è tardi, non sai come tornare alle ville, e ti ho fregato. Asdenar è la vostra città, ma è ovvio che non la conosciate per davvero. L'unico modo per redimerti di fronte agli altri nobili è tornare domani mattina con un'impresa eroica da raccontare.»

Questo sembrò calmarlo.

«Cos'hai intenzione di distruggere?»

«Lo chiamano Astro, non saprei come descrivertelo. Ma penso che lo vedrai a breve.»

Il nobile annuì incerto, più volte, e incominciò a respirare sonoramente.

Attesero qualche minuto, entrambi con lo sguardo fisso di fronte a loro, sul fondo del pozzo. Erano bloccati nel bel mezzo di una ripida discesa. Non la vedevano, perché il buio era totale, ma la percepivano eccome. Si sentivano cadere, entrambi aggrappati con le mani agli schienali.

Maed si sentiva intrappolata in una furiosa ma silenziosa guerra tra scienza e magia.

Per distrarsi dal sangue che continuava a fluirle alla testa, cercò di imbastire una discussione. Voleva sapere se il nobile sapeva qualcosa sulla nuova figlia adottiva dei Tamoni. La sua sostituta.

«Per caso hai sentito di quella nuova ragazza...»

Non poté continuare, perché successe qualcosa che nemmeno lei aveva previsto.

Dalla base profonda del pozzo, tante lucine gialle incominciarono a scalare le pareti. Si accendevano due alla volta, una a destra, una a sinistra. Presto superarono anche la carrozza, e tutto il viale sembrò d'un tratto un corridoio di stelle.

Maed osservò meglio una di quelle luci. Erano intrappolate in sofisticati involucri di vetro a forma di prisma. La fonte della luce, aliena e accecante, aveva le sembianze di un vermiciattolo attorcigliato e incandescente.

«Sono loro, per caso...?» disse il nobile. Aveva gli occhi spalancati, una vena blu gli solcava la fronte.

«Oh, mi sa proprio di sì» rispose Maed, aguzzando la vista. «A quanto pare, piuttosto che fare tutto di nascosto, vogliono che più gente possibile li osservi.»

L'Astro, luccicante più che mai, rotolava su per la strada, rispedendo le luci in tutte le direzioni. Un coro indistinto ed esaltato accompagnava lo spettacolo.

«Va bene, ora inizia l'ultimo passo dello scherzo» disse Maed, sporgendosi fuori dal finestrino.

«Che scherzo, scusami?»

Accorgendosi che Maed non l'aveva degnato di risposta, chiese ancora: «E come vorresti distruggerla quella cosa?»

«Di solito non pianifico mai gli scherzi fino alla fine» rispose, strisciando all'esterno. «Mi toccherà improvvisare. Tu preoccupati di fargli cadere addosso la carrozza in fiamme e andrà tutto bene.»

«Improvvisare?»

Maed saltò in strada, lasciando il nobile appeso allo schienale. Passò accanto a una di quelle luci, appese con un catenella a un lungo palo nero. La carrozza, dietro di lei, era ancora immobile in mezzo alla strada. Testarda, fronteggiava l'Astro, che nel frattempo continuava ad avanzare come un grosso rullo. Chissà se si sarebbe mai fermato.

Maed si arrampicò sul palo e salì su un tetto. Osservò più da vicino la luce degli scienziati. Il vermiciattolo era attorcigliato tutto se se stesso, sospeso nel vuoto grazie a due fili sottili. Quando lei osò toccare il vetro, ritrasse la mano all'istante. Era bollente.

Era strano vedere da così vicino una luce, senza però sentire alcun odore.

Corse giù per i tetti, a lato del corridoio di stelle. Presto si accorse che, a spingere il cilindro su per la strada, erano decine e decine di scienziati.

Magari, tra di loro, c'era pure Tadon.

Cantavano, mentre avanzavano imperterriti, portando l'Astro sempre più in alto.

Il loro coro fu sovrastato all'improvviso da un poderoso soffio.

«Fermi tutti!» gridò una voce sopra le altre.

Gli scienziati s'immobilizzarono. Uno a fianco all'altro, tenevano le braccia distese in avanti per sostenere l'Astro. Altri stavano in retroguardia, come se avessero potuto risolvere la situazione, nel caso il cilindro avesse deciso di rotolare in basso. Qualcuno di loro si girò, e si accorse di Maed accovacciata sul tetto, ma l'attenzione della maggior parte degli scienziati era catturata dall'enorme rogo azzurro poco più in alto.

L'ombra scura del nobile era in piedi, in mezzo alle fiamme e con le braccia sollevate. Maed non gliel'aveva chiesto, ma effettivamente dava alla scena un tocco di classe in più. Ora toccava a lei, a improvvisare.

Saltò un altro paio di tetti e poi scese in strada. Gli scienziati erano davanti a lei, di spalle, bisbigliavano concitati. Maed doveva trovare un modo per distrarli, e attendere che il carro con tutte le fiamme crollasse su di loro. L'Astro sarebbe rotolato fino in mare, sarebbe tornato nel suo letargo per sempre.

«Guarda chi c'è» bisbigliò una voce.

«Maed...»

Dalla retroguardia si staccarono due ragazzini.

«Che ci fai qui?»

Riconobbe solo ora la voce di Haon, uno degli amichetti di Shara. L'altro, con quella coda ai capelli, doveva essere Pems.

Oh, merda.

«Dove sono gli altri?» chiese Maed, cercando di sviare l'attenzione su un'altra questione. Nel frattempo, lanciò uno sguardo oltre la folla, oltre l'Astro. La carrozza era ancora immobile dove l'aveva lasciata. Uno scoppio annunciò che un asse di legno era crollata, mangiata dal fuoco.

Perché non si muove quell'idiota?

«Non lo sappiamo, Maed» disse Pems, facendosi avanti. «Cran e Shara, dopo l'incidente alla tua villa, non si sono fatti più vivi.» Abbassò la testa.

«Saranno morti schiacciati sotto il lampadario» aggiunse Haon. «Noi siamo riusciti a scappare.»

Maed si avvicinò a loro, intravedendo sul volto di Haon, illuminato dalle luci delle lanterne incandescenti, un accenno di rabbia.

«E tu che fine avevi fatto, eh?» fu proprio lui a parlare.

Nel frattempo, la discussione fra gli scienziati, si fece più viva. Altri schiocchi annunciarono la fine imminente della carrozza.

Haon si avvicinò fino ad afferrarle il colletto.

Maed cercò di restare calma. Era solo un ragazzino. Se era riuscita a gestire una discussione con Shara, una volta, poteva farlo anche con lui.

«Dopo quello che è successo alla Villa... mia madre mi ha imprigionato. Sono riuscita a scappare, ma non sapevo però dove trovarvi, ora che il Faro non c'è più.» Prese un respiro. «Dove state portando l'Astro?»

«Alla nuova casa degli scienziati, Maed» disse raggiante Pems. «Su, alle ville. Andelus ci ha trovato una casa tutta nuova.»

«Coglione, zitto» sibilò Haon, tirandogli uno schiaffo e spedendolo a terra. Continuava a tenere con una mano il colletto di Maed. «Sta dicendo solo balle. Sei una puttanella, lo ha detto pure il Temprato.»

Quando una ruota, o meglio, ciò che ne restava, rotolò accanto a loro avvolta da fiamme azzurre, Maed inspirò e chiuse gli occhi. «Il Temprato ormai è andato.»

Sputò in faccia ad Haon e si tolse di dosso la sua mano. Scappò in mezzo alla folla.

«Andiamo» sbraitò qualcuno all'improvviso. «Passiamo sopra il fuoco!» Gli scienziati esultarono.

Maed si voltò, mentre continuava a farsi strada in mezzo alla calca. Vide Haon intrufolarsi in mezzo agli altri. «Prendetela!».

Per fortuna nessuno parve accorgersi di lei, tutti troppo impegnati ad addossarsi nuovamente all'Astro, urlando a più non posso.

Maed si sentì le mani addosso, e fu costretta ad avanzare. Si ritrovò all'estremo del cilindro, di fronte allo spigolo argenteo sulla sua base.

«Puttanella...»

Si girò, solo per vedere il braccio allungato di Haon spuntare dalla folla, che cercava di acchiapparla.

Tutti erano così impegnati a urlare, a correre in avanti, da non accorgersi minimamente che lei si era chinata, sfuggendo sulla sinistra. L'Astro era cavo. Quando vide la grande apertura circolare di fronte lei, non poté non lanciarsi al suo interno.

Il metallo rimbombò, mentre la superficie liscia schizzava sotto di lei. Cercò di aggrapparsi a qualcosa, ma non c'era un bel nulla là dentro. L'Astro sembrava avvolgerla come uno specchio cavo.

Gli schiamazzi all'esterno crebbero, sfociarono dentro al cilindro e si trasformarono in un unico assordante grido.

Quando Maed sussultò, sballottata da tutte le parti, fu certa che l'Astro avesse schiacciato i resti della carrozza. L'urlo del nobile, se c'era stato, non riuscì a scavalcare quello degli scienziati, infiammati, diretti in un tutt'uno con la loro invenzione verso la loro nuova dimora sulle colline, in mezzo alle ville.

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