Capitolo Undici


Gli Astrali sono caduti

La lanterna rotolò giù per la strada, e si fermò sotto una bancarella di legno. Fiamme di colore azzurro avvolsero ogni cosa.

Protesa fuori dal carro, Maed strinse tra le dita il coperchio della lampada e lo lanciò via stizzita. L'uomo dietro di loro, slittando sulla pietra mentre voltava l'angolo, urlava come un forsennato. «Infami!»

Cadde a terra e si rimise in piedi, pronto a ripartire. Ma rimase dov'era. «Nobili bastardi» sbraitò, avventandosi contro un muro e sbattendo il pugno.

Il carro imboccò una curva troppo rapidamente e Maed rischiò di volare di lato. Afferrò il tettuccio del carro con la mano destra, mentre con la sinistra teneva l'altra lampada. Si tirò su, i muscoli della schiena e delle spalle che le urlavano di mollare la presa. Si spostò in avanti come un ragno, poi si lanciò di sotto, atterrando su un sedile nella parte anteriore.

«Cazzo, era mio padre, vero?» Edon, il figlio del mercante di canne da pesca, continuava a lanciare sguardi a lei e alla strada, le redini in mano, e le dita che non smettevano di tremare. Maed annuì, adagiando tra le gambe l'altra lanterna. Quella col fuoco nero.

«Ma mi rispondi?»

«Non ti ha visto.»

«Sì, ma ha visto te!»

«E chi sono io?» Sollevò il capo svogliata. «Penserà che siamo dei giovani nobili un po' annoiati, dai.»

Edon artigliò ancora di più le redini. Uno dei due cavalli nitrì furioso, facendo slittare pericolosamente gli zoccoli sulla pietra.

Lasciarono la città, sotto gli sguardi immobili degli altri mercanti. Maed allungò una mano verso Edon. «Tranquillo, su.» Lui si ritrasse. Lei si voltò decisa dall'altra parte. Edon si sarebbe calmato presto o le fiamme nere sarebbero rimaste per lui l'unica magia di cui potersi accontentare.

Raccolse la lampada e se la sistemò sulle ginocchia. L'aveva rubata insieme a tutte le altre cose. Un vestito per Shara, tutto giallo con un fiocco blu sul colletto. Un vestito per sé, quello che stava indossando. Rosa pesca. Aveva trovato anche una graziosa cintura e degli orecchini bianchi. E quelle due lanterne. Una sola, ora. Quella azzurra le era caduta nella foga di fuggire dal padre di Edon, dopo avergli rubato il carro. La lanterna azzurra che muoveva le carrozze dei nobili, quella che vinceva la gravità e faceva volare gli scienziati, quella che lei aveva sperato di... Scosse la testa.

Rimaneva solo quella nera. Quelle fiamme oscure sulle mani di Tanesin avevano rischiato di strozzarla a morte, e poi l'avevano scaraventata a testa in giù contro il soffitto.

Era stato divertente rubare dalla villa di un'altra famiglia. E molto più facile. A casa sua non ci avrebbe rimesso piede mai più.

Maed guardò di lato. Il paesaggio lì era tutto uguale. La terra ricoperta da un tappetto sconfinato di erba sussurrante e, in lontananza, qualche albero solitario. Il Cratere non era ancora in vista. Lei non conosceva la strada per arrivarci. Sapeva solo che esisteva, da qualche parte fuori dalla città di Asdenar. Ma pure i ciechi ci sarebbero cascati dentro. Gli Astrali, quando erano crollati dalle stelle, dovevano aver fatto un gran bel buco.

Maed si voltò verso Edon, appoggiando il mento sul pugno con un sospiro. I suoi occhi si strinsero all'istante. Era inutile che continuasse a fingere. Maed allungò di proposito il collo, cercando qualcosa d'interessante oltre la sua testa.

E li vide ancora. Si aggrappò allo schienale e si mise in ginocchio, per guardare meglio. Stavolta erano molti di più. Sembravano delle lance giganti conficcate nella terra, tutte in fila. Maed si era accorta della loro esistenza solo da qualche giorno. Dai tetti di Asdenar si scorgevano quasi chiaramente, soprattutto al sorgere di Hajen, quando l'aria era ancora limpida. Qualcosa baluginò tra uno dei due pali. Come un filo argentato di ragnatela.

«Oh fuoco!» Edon si era voltato, mollando la presa sulle redini. «Cosa diamine sono quelli?»

Maed sapeva solo che era opera degli scienziati. Ci poteva scommettere.

"La battaglia sta per iniziare. Incominceranno a riversarsi fuori dal Faro..."

Ci fu un tonfo sul retro del carro. Qualcosa di pesante si agitò sul tettuccio, facendolo sobbalzare a destra e a sinistra.

«Ehilà!» La testa di Shara sbucò sopra di loro.

Edon sobbalzò.

«Il tuo ragazzo?» Shara picchiettò col pugno sul capo di Edon. Aveva un sorrisetto sulle labbra.

«Ma chi è?» strillò lui, piegandosi di lato per sfuggire al suo tocco.

«Tu stai qui, mi raccomando» gli sussurrò Maed. Si arrampicò verso l'alto e Shara l'aiutò a salire porgendole la mano. «Edon, quando arriviamo al Cratere fermati e aspetta sul ciglio.» Poi scomparve sopra il tettuccio.

«D-dove vai?» La voce terrorizzata di Edon fu seguita dal nitrito di entrambi i cavalli.

Maed gattonò verso il fondo del carro, quando una mano le afferrò la spalla. «Guarda» disse Shara, indicando in lontananza. «Siamo già arrivati.»

Alle spalle di un piccolo crinale si estendeva qualcosa di oscuro. «Il Cratere...»

«Be', cosa mi hai portato di bello?»

Si calarono dal tettuccio. Mentre il sentiero sconnesso scivolava sotto di loro, Maed aprì le imposte del carro ed entrambe si chiusero all'interno.

Accese il Fiammerino, e mostrò il vestito giallo a Shara.

«Grandioso.» Lo afferrò, studiandolo con occhi avidi.

«Allora, dove si trova questo lampadario?» chiese Maed, tormentandosi l'orlo dell'abito.

Shara rispose senza alcuna particolare enfasi, continuando a osservare il suo premio. «Villa Tamoni. Al prossimo Inchino.»

Maed ebbe un sussulto. Tamoni? Colpì per sbaglio il suo ginocchio e si ritrasse. «Ma Inchino è domani» ribatté infine, deglutendo e portando avanti una mano per scusarsi.

Villa Tamoni?

Shara finalmente alzò lo sguardo, scrutandola. «No, guarda che Inchino è fra tre giorni.» Cercò qualcosa nei suoi occhi, con un sorrisetto curioso. «M-mm... non mi ricordo il tuo nome.»

Tamoni... Villa Tamoni...

«Maedlin... Maed.»

«Ma che raffinato!» esclamò lei. Per sbaglio il dito di Maed scivolò, e la luce del Fiammerino scomparve. «Proprio come i nomi dei nobili» aggiunse lei, nel buio.

Maed approfittò per scacciare dal suo volto ogni indizio di paura. Prese fiato, pronta a rispondere con qualsiasi cosa, e riportò la luce nel retro del carro.

Shara ora la scrutava. «Dimmi, villa Tamoni è casa tua, eh?» Un sorrisetto si allargò sulle sue labbra, poi lei si lanciò all'indietro, tenendosi la pancia per le risate.

Maed provò a parlare, ma Shara si rimise seduta con un balzo. Affondò nel collo di Maed la punta di una canna da pesca.

«Finalmente ce l'hai fatta a dirlo, eh? Non mi hai ingannata per nulla, col fuoco che maneggi.» Spinse ancora più in fondo.

Maed tremò, e la luce proiettata dal Fiammerino traballò con lei. Ombre lampeggiarono sulle pareti. «Il furto lo voglio fare comunque» mentì, spingendosi indietro per sfuggirle.

Shara la guardava dritto negli occhi. Pensò un attimo, poi parlò. «Non me ne frega niente di quello che vuoi fare tu. Noi andiamo alla tua villa, rubiamo il lampadario e torniamo.» Diede un colpetto alla canna da pesca. «Se hai paura della tua famiglia, stanne fuori.»

«Ti ho detto che vengo.»

Tanesin in fiamme. Il corridoio d'ambra, gli sguardi di Adelin e di sua madre a cena, l'odore... L'imponente lampadario di vetro sulle loro teste. Tutto gli crollò addosso di nuovo.

Restarono entrambe in silenzio per qualche istante. Shara ritrasse la canna da pesca. Annuì. Poi aggiunse: «Ti avviso, non avrai altre—»

«Basta, Shara.» Maed sollevò le mani e il Fiammerino si spense di nuovo, richiamando l'oscurità.

Un pugno colpì il legno alle sue spalle. Di nuovo, un altro. Il carro si era fermato.

Shara spalancò i battenti della porta. La luce si riversò di nuovo all'interno. «Inchino, fra tre giorni. Sui tetti del mercato. Quando sorge Udenas.» Poi saltò giù e scomparve.

Maed accarezzò la rotella bollente del Fiammerino, ancora seduta contro la parete. Inaspettato, come in un soffio, un puzzo di magia giunse e scomparve. Maed annusò l'aria, i suoi vestiti. Non c'era più.

No, eccolo di nuovo.

«Maed!» Edon picchiava contro il legno. «Maed! Muoviti, ti prego, vieni!»

I cavalli iniziarono ad agitarsi. Lei raggiunse il fondo del carro e balzò all'esterno. E allora l'odore divenne fortissimo, come alla Villa... alla Villa, e come sulla cima del Faro. Girò l'angolo del carro e vide Edon che si tirava i capelli.

«Maed, che cazzo!» La guardò con occhi terrorizzati e saltò all'indietro. Una fiammata nera eruppe verso l'alto, cercando il cielo.

La parte frontale del carro era completamente avvolta da fiamme oscure.

Maed corse verso il rogo. «Cos'hai fatto?»

«Io... niente! Te lo giuro Maed, il fuoco è uscito da quella tua dannata lampada da solo e le... le fiamme si sono allungate all'infuori. Poi hanno leccato il legno.»

«Leccato?»

«Non lo so, ti giuro che hanno fatto tutto da sole... Guarda!» Si allontanò da quello che restava del carro. Indicava in alto. «Guarda quelle fiamme.»

Maed guardò. Il fuoco si piegava di lato. Verso qualcosa più in là, più in giù... Maed cercò dove il fuoco nero stava... indicando. Oltre un bordo di sabbia e di rocce, si estendeva il Cratere. Fumi gialli e densi esalavano dalla roccia scura e strisciavano pesanti sulla terra. C'era gente. Formiche cariche di oggetti sulle spalle. Delle urla sparute. Al centro, un ammasso sconnesso di pietre nere. Qualche luccichio.

Un nitrito acuto attirò nuovamente la sua attenzione verso il rogo. Le redini dei cavalli erano in fiamme. Strillando e scalciando, le due bestie fuggirono, sollevando nubi scure di cenere e terra.

Edon stava quasi piangendo. S'inginocchio tra la sabbia, e l'afferrò con le mani. Maed tornò a guardare le fiamme nere. Erano veramente piegate verso il Cratere. Si elevavano, agitandosi come lingue, e poi si curvavano. Ma non c'era vento.

Il fuoco mi sta dicendo qualcosa.

Ebbe un'idea. Si avvicinò al rogo. Lo scrutò e lo studiò, proprio come sua sorella Tanesin anni prima sulla nave. Si guardò alle spalle, poi si fece più vicina. Una goccia di sudore scese lungo i capelli e le cadde sulla spalla. Del legno scoppiettò, poi crollò a terra.

«Maed?» chiamò Edon, tirando su col naso. «Sicura che ci riesci?»

Maed scosse la testa. Poi la vide, che luccicava tra la cenere e i tizzoni.

«Tu la magia ancora non la sai usare.»

Zitto Edon.

Prese una di quelle assi che si era staccata dal carro. Sulla sua punta danzava altro fuoco nero. Il sudore le scivolò tra le dita. Infilò il legno tra le macerie fumanti, dove la lanterna di vetro riluceva ancora. Le fiamme si arrampicarono verso le sue mani e il calore le avvolse le dita, pericoloso. Fece leva, combattendo contro i tizzoni pesanti, e la lampada rotolò fuori. Prima che il fuoco potesse raggiungerla, Maed lanciò via l'asse e con uno scatto afferrò la lampada.

Il vetro bollente le baciò i palmi delle mani e lei urlò, lasciando cadere la lanterna ai suoi piedi. Sfrigolava e fumava. Il fuoco nero era ancora vivo al suo interno. Si allungava a destra, verso il Cratere.

Maed si osservò i palmi arrossati. Afferrò della sabbia e la gettò sul vetro della lampada.

«Il carro di mio padre va in fiamme e tu pensi a salvare la tua lampada?» Edon si era alzato. Maed si voltò a guardarlo.

«Sai cosa ti dico?» Si strofinò le mani e si asciugò una guancia. «Era ora che ritornassi alla tua dannata Villa con i piedi. Li hai anche tu, signorina.» Si allontanò, guardando a terra. Calciò una pietra.

Maed raccolse la lampada. Percepì un brivido nello stomaco. Prima di scendere nel Cratere, si voltò a guardare. Edon era seduto su un masso, col capo chino. Le fiamme nere del rogo, sospinte da un vento inesistente, si stavano asciugando da sole. Entrambi si fissarono per il tempo di uno schiocco di dita. Lei quasi si vergognava a scusarsi. Sentiva solo il bisogno di correre via, di andarsene.

Fiamme nere, sulle dita di Tanesin. Corridoi d'ambra. Lo sguardo di Adelin.

Inspirò, cercando di sciogliere la tensione dentro di lei, poi si lanciò giù per il pendio. Scese a lunghi balzi, come per le vie di Asdenar, continuando a tenere d'occhio la lampada. Il fuoco al suo interno era ancora piegato. Leccava il vetro, annerendolo.

Con un balzo atterrò sul fondo. Avanzò a passi rapidi, aggirando le pietre che affioravano da terra e passando in mezzo agli scienziati. Uno di loro stava colpendo una roccia con un piccone e si fermò per osservarla. Fece cadere l'occhio sulla lanterna.

«Maed!» Un uomo dai lunghi capelli giallastri agitava un braccio, poco più in là. Era Gravio. Maed rispose con un debole sorriso, poi rituffò lo sguardo sulla lanterna. Continuò a seguire la direzione della fiamma. Puntava dritta verso l'ammasso roccioso al centro del Cratere.

Il fuoco nero mi sta indicando dove sono caduti gli Astrali con il loro cristallo.

Aggirò una di quelle colonne di denso fumo giallo. Aveva un odore forte, forse più penetrante di quello della magia. Ora che era più vicina, riuscì quasi a riconoscerlo. Una sera, alla Villa... alla Villa, avevano mangiato uova. Le navi le portavano dalle altre città ogni dieci Saluti, come minimo. Erano un alimento molto raro ad Asdenar. Come ogni notte, lei era sgusciata nelle cucine e ne aveva trovate molte altre, ancora crude. Ma con lo stesso odore nauseabondo che sentiva ora.

Superò con un balzo un rigagnolo di un liquido nero e denso. L'ammasso roccioso al centro del Cratere si faceva sempre più imponente. Maed affiancò il muro di pietra, fino a quando non trovò una fessura che lo spaccava in due, sottile e tortuosa. S'infilò al suo interno.

Il trambusto dall'esterno si fece più attutito, il puzzo del fumo giallo ancora più vomitevole. D'un tratto sentì la collana strisciare sul petto, fredda. La fibbia della sua cintura tintinnò lievemente. Maed si fermò un attimo, interdetta. Guardò la fiamma, ora sensibilmente protesa in avanti. Doveva proseguire.

La fessura si allargò. Le pareti rocciose erano frastagliate, il terreno disseminato di macerie.

Era forse quel luogo?

Se precipitando gli Astrali avevano dato vita agli Spiriti nel cielo, cosa potevano aver lasciato nel luogo dove si erano schiantati?

Anche gli orecchini cominciarono a tormentarle i lobi delle orecchie.

Quella cicatrice nella roccia era pregna della loro arte.

Poi la fiamma nera si spense, estinta da un soffio. Ma ancora, non c'era stato alcun vento. Niente. Maed abbandonò a terra la lampada e continuò a camminare. Il terreno incominciò a sollevarsi e in breve tempo si ritrovò costretta ad aiutarsi con le mani per continuare a salire.

Poggiò una mano su qualcosa di freddo. Era una lastra di metallo. C'erano alcuni simboli incisi sulla sua superficie. Parole degli Astrali? Maed spolverò la lastra, ma emersero semplici lettere umane. Lettere sconnesse, senza alcun senso. Ma certo. Il metallo non era degli Astrali. Erano crollati all'interno di un cristallo, loro. Così dicevano le storie, così diceva il pavimento decorato nella sua Villa. Sentì ancora quel brivido allo stomaco, ma lo ignorò, e continuò a salire.

Quando arrivò sulla sommità di quel terreno inclinato, la collana e la cintura sussultavano con troppa foga. Dovette sfilarsi gli orecchini, per lenire il dolore. Li osservò rotolare e tremare sul suo palmo, come insetti morenti.

Un suono metallico, come l'intonare solitario di un gong, catturò la sua attenzione. Di fronte a Maed si estendeva un piccolo cratere dentro al Cratere, poco profondo e scuro come le fiamme nere che avevano distrutto il carro di Edon. Le fiamme nere che qualche sera prima Tanesin aveva usato per strozzarla con la sua stessa collana, e poi fatta volare...

Maed capì.

Quelle fiamme scure avevano controllato la sua collana di metallo, così come i suoi orecchini e la fibbia della sua cintura. E quel fuoco nero l'aveva portata in quel luogo oscuro, prima di estinguersi.

Di nuovo quella vibrazione. Maed si sdraiò a pancia in giù, si protese e scrutò il fondo del piccolo cratere che si estendeva lì davanti. La vide, una lunga veste nascondersi dietro una roccia.

Maed decise di scendere là sotto. Si mise seduta oltre il ciglio e si lasciò scivolare fino in fondo, accompagnata dal ruzzolio di pietre e ciottoli. Un altro vestito rovinato. Arrivata in fondo, non se lo spolverò nemmeno. Camminò direttamente verso il centro, verso le rocce scure e appuntite. Altro fumo giallo sgorgava dalla terra, nauseabondo. Sapeva di marcio, di corrotto.

«Maed.»

Si voltò di scatto. Alle spalle di un pilastro di roccia nera fece capolino la testa di Andelus. «Sono felice che tu sia qui.»

Maed si tappò il naso, cercando di scacciare l'odore.

«Forte, vero?» Andelus si avvicinò. «Questo è l'odore della scienza!» Le diede una pacca sulla spalla e ridacchiò.

Maed si addentrò tra le rocce scure che affioravano come spine da terra. Quel posto sembrava una foresta.

«Cosa ci fai qui sotto?» gli chiese, accarezzando gli spuntoni di pietra mentre ci passava accanto. Altro metallo, freddo al tocco.

«Vengo qui e leggo, cara.»

Maed si chinò a terra, osservando un rottame argentato, macchiato di nero qua e là. Altre parole, incise direttamente sulla superficie metallica.

M I S S    N E    N   M E   O    Q   T T R O

«Non me lo aspettavo così, questo posto.»

«Maed, sei molto scaltra.» Andelus si chinò accanto a lei, adagiando a terra un martello, e le accarezzò una ciocca di capelli. «Credi che non mi sia accorto che mi hai rubato la polvere dalla tasca, l'altra notte?»

Lei si alzò di scatto. Intravide un altro luccichio ai suoi piedi si fiondò a terra per osservarlo. Niente cristalli. Un'altra lastra di metallo. Maed si voltò, a cercare Andelus.

«Lo vedo, conosci già la risposta.» Era in piedi, appoggiato contro una roccia, e nel frattempo la scrutava. Le sue labbra erano leggermente piegate, ma quello non aveva l'aria di un sorriso.

«Sono caduti qui. Dove sono i cristalli degli Astrali? »

«Lo sai, Maed. Dimmelo.»

Non seppe perché lo fece, ma si sfilò la collana e la distese sul palmo. Gli anelli tremavano, tintinnando e sbattendo l'uno con l'altro, sospinti da una forza inesistente. Quella cos'era, scienza o magia?

«Non lo... Andelus. Non lo so.»

O forse lo so ma ho paura?

Andelus sospirò, rattristendosi. «Molte storie sono confuse. A crollare dal cielo è stato qualcun altro.»

«Non... non sono stati gli Astrali?»

Andelus annuì. Guardò in alto, dove il cielo era ridotto a una sottile striscia bordata di pietra.

Maed chiuse la collana nel pugno, immobilizzandola. Serrò le palpebre. «Siamo caduti noi dal cielo.»

Silenzio. Quando Maed riaprì gli occhi, Andelus era ancora assorto. Ma stava sorridendo, un sorriso debole.

Le domande crollarono di colpo addosso a Maed.

«Chi... chi altri conosce questo segreto?»

«Qualcuno. Qualche scienziato che si è spinto fino a qui dentro e ha capito.»

«E i nobili lo sanno?»

«Maed, tu lo sapevi?»

«Io non so molte cose...»

L'odore di marcio tornò prepotente nella sua mente. Per un attimo era come scomparso, perduto tra le sue parole e quelle di Andelus. Quando fu di nuovo lì, ebbe come l'impressione che la stessa magia avesse perso quota e fosse crollata più in basso.

Andelus guardò un'ultima volta in cielo. «Una volta sapevamo come spostarci da un pianeta all'altro. Ora, abbiamo dimenticato tutto. Dobbiamo...» Andelus continuava a parlare. Ma Maed non lo stava a sentire.

Maed invece provò il desiderio di qualcosa. Era quel formicolio nella testa. Quella sensazione di nausea.


Tornò dove il carro aveva preso fuoco. Andelus era rimasto a studiare i rottami di metallo che anni prima erano appartenuti agli uomini. Tutti morti, aveva detto. Probabilmente altri erano caduti nell'oceano. Ed era così che si erano salvati. Ed erano nati loro, anni dopo.

Il fuoco nero si era estinto, il carro ridotto in cenere ancora fumava. Edon non c'era da nessuna parte. Maed si avvicinò ai resti carbonizzati e ne prese uno in mano. Lo sbriciolò tra le dita. Era già tempo di tornare, di tornare alla Villa, per il grande furto, per odorare e respirare un po' di magia. Perché ne aveva bisogno. E poi doveva tornare al Faro. E decidere da che parte schierarsi.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top