Capitolo Trenta

Perversione

Maed attendeva impaziente che scienza e magia si toccassero.

«Ragazzina, scendi un po' da lì.» Qualcuno bussò sui mattoni del camino. Maed guardò in basso. Schiacciata in mezzo alla folla, una donna con una carnagione quasi cadaverica e le palpebre truccate la fissava col collo inclinato. «Tu, lo conosci il ragazzo nel pallone, vero?»

Maed fece guizzare lo sguardo in cielo. Sopra la piazza, alle spalle dei tetti di fronte a lei. Si voltò, guardò verso le colline e le ville. Niente, solo una distesa infinita di nuvole abbaglianti.

«Chi sei?» chiese, accorgendosi solo adesso che il suo cuore aveva iniziato a martellare.

«Sono una scienziata, dannazione, e con la maiuscola. Rispondimi.»

«Sono certo che hai altro da dire, Rael.» La voce di Andelus, nel frattempo, riverberò nella piazza. «Ti ascolto, volentieri.»

«Ehi, guarda me adesso.» La donna sibilò, afferrando le fessure tra i mattoni. «Voi due siete amici, lo so. Sai che sta facendo con quel suo coso?»

Il Benefattore rispose ad Andelus, ma Maed non riuscì a sentire le sue parole.

«Gli state sparando e non lo sapete?» chiese alla donna.

«Gli stiamo sparando proprio perché non lo sappiamo.»

«Credi che io venga a dirti quello che ha in mente di fare?»

La donna spalancò gli occhi e il suo collo iniziò a tremare. «Parla!» sussurrò.

«Ehi, Schiumante.» Un braccio sbucò dalla folla e una mano strinse la spalla della Scienziata. «Eccoti.»

Il Vaporoso si fece avanti a spallate.

«Silenzio» sbottò un uomo ai piedi del camino. «Voglio sentire quei due.»

La Schiumante e il Vaporoso si fissarono negli occhi per qualche secondo, a pochissimi centimetri di distanza. Lui le teneva le braccia strette tra le mani.

«Oh, ti ha dato fastidio che dicessi qual è il tuo vero nome, ragazzo venuto dal cielo?» urlò Andelus. «Il Benefattore ha un nome, sì. Non eri forse tu il sacerdote della conoscenza, l'esorcista dello stupore?»

A quelle parole si erano voltati verso la piazza pure i due Scienziati. Ci fu silenzio. Maed, dalla sua posizione, riuscì a scorgere il Benefattore. Nel frattempo era sceso dal tavolino e se ne stava con le braccia incrociate, senza fiatare.

«Si fottano» disse la Schiumante, riottenendo l'attenzione di Maed. «Ragazzina, ho detto che devi guardare me.»

«Ragazzina...» sussurrò il Vaporoso, aggrottando le sopracciglia mentre volgeva lo sguardo verso l'alto. «Che ci fai lassù? Pensavo fossi morta.»

«Lei sa che sta facendo Tadon con quell'aggeggio. Lo sa.»

«Lo so anche io, Schiumante. Sta scappando, non è difficile.»

«Vaporoso, quanto sei perspicace. Grazie al cazzo che sta scappando. Allora spiegami perché continua a girare come un ebete sopra la città. Prima o poi gli bucheremo quel coso e colerà a picco. Cosa diamine vuole? Scommetto che è in combutta con quel Benefattore. Che dici tu?»

«Non lo so» disse lui, guardando Maed.

«Anche tu sei alleato con quell'uomo. Lo hai aiutato tu a far funzionare quell'altovia, per forza.» Lo guardò negli occhi, poi abbassò lo sguardo sprezzante. Gli sputò sul petto.

Il Vaporoso scattò verso di lei e le artigliò le braccia, mandandola a sbattere contro il camino. Intorno a loro si formò un cerchio di persone.

«Non sono alleato con nessuno, dannazione» disse il Vaporoso. «Questa cosa degli scienziati che combattono tra loro è ridicola. Sei stupida come tutti gli altri. Continuiamo così, e i nobili ci faranno fuori mentre bisticciamo tra di noi. Una ragazzina. Una ragazzina prima stava uccidendo il Benefattore e nemmeno ce n'eravamo accorti. E adesso stiamo facendo vedere a tutta Asdenar che siamo rotti. Ci stiamo infrangendo davanti a tutti. Non importa con chi sto, cosa fa quel ragazzo sul suo pallone, chi è sopra il palco, chi sopra un—»

«Quello che dice Andelus io lo faccio.» La Schiumante piegò la testa in alto, la bocca spalancata, e fissò Maed.

Un'ombra passò sopra il camino e dalla folla sorse un clamore.

«Non è stato Andelus a ordinare di—»

«No?» lo interruppe la Schiumante, e sfoderò un sorriso fin troppo largo. No, non stava fissando lei. Maed guardò il cielo. «Adesso vedremo.»

«Lo sapevo, Andelus!» gridò il Benefattore dal palco. «Vuoi vincermi così? Vuoi fare alzare lo sguardo al cielo a ognuno di noi e poi pugnalarci alla schiena mentre siamo distratti?»

Come se in realtà il mondo reale non fosse altro che un oceano, e la distesa ribollente di nubi la superficie del mare, il Pianeta di Tadon — o meglio, il suo cestello di legno — si tuffò in acqua. Si tuffò ad Asdenar, mostrando alla piazza gremita la sua chiglia. Il pallone si rifiutava ancora di affondare, come se stesse galleggiando sulle nuvole. Se ne intravedeva la base degli spicchi colorati, come se un frammento di arcobaleno avesse infranto il cielo coperto.

Maed strinse i pugni, mentre avvertiva un brivido sul braccio. Attese che Tadon affondasse per intero, ma questo non accadde. «Tadon è alleato con me, con nessun altro» disse allora, lanciando uno sguardo veloce sotto di lei. Maed voleva scendere dal camino. Non poteva stare immobile là sopra. Si sentì in trappola.

«Tu annebbi la mente, è una droga quella che dai alla gente» continuò il Benefattore.

Uno sparo fischiò nel silenzio.

La Schiumante incominciò a ridacchiare, a tratti, fino a quando non riuscì più a trattenersi. Chiuse gli occhi. «Ascolta la musica.»

La musica iniziò. Maed si guardò intorno, rapida, mentre altri spari si levavano dal nulla e finivano nel nulla.

«Sei fuori di testa, Schiumante» disse il Vaporoso. «Il Benefattore non—» La scarica di proiettili nel frattempo si era trasformata in unico rombo assordante. Il Vaporoso alzò la voce. «Noi ci stiamo ammazzando da soli!» Scosse la Scienziata per le braccia. Lei rimase con gli occhi chiusi, abbandonata contro il camino, come immersa in un bagno caldo. «Siamo saliti sul palco, nessun nobile in mezzo ai piedi, e abbiamo tutta Asdenar di fronte, e stiamo morendo, davanti a loro!»

Siccome la donna continuava a ignorarlo, il Vaporoso ringhiò e cercò di farsi strada tra la folla. Prima di scomparire, si voltò di scatto e guardò Maed con uno sguardo preoccupato. Restò così un paio di secondi, poi alle sue spalle alcuni uomini si scostarono e aprirono uno squarcio tra la folla.

Uno scienziato puntava un Esplodiferro al cielo.

In piedi, dietro di lui, c'era un altro scienziato. Si lanciò addosso al compagno inginocchiato. Lo avvolse con le braccia, lo mandò a terra. L'arma rimbalzò sulle tegole, tintinnando. Ci fu uno sparo, in mezzo agli altri, un rombo così forte che Maed dovette tapparsi le orecchie. Un altro, ancora. Un terzo, e il rumore della terracotta che si spacca ed esplode. Una donna gridò, mentre della polvere rossa sbuffava in aria. L'ultimo sparo sembrò soffocato, come se qualcosa fosse entrato dentro la canna dell'arma, e fu soffocato persino il gemito dello scienziato che stava sotto il suo compagno.

«Basta così!» urlò Andelus.

Gli spari continuarono per qualche altro secondo, ma via via sempre più radi. Come una grandinata che infuria sul tetto di una casa e poi se ne va.

Il sangue colò tra le fessure delle tegole. Continuò la sua discesa e circondò il camino su cui si trovava Maed, bagnandone le pareti.

Il pallone di Tadon continuava docile a solcare le nuvole.

«Ah, ti sei accorto all'improvviso che stavi uccidendo lo stupore?» disse il Benefattore, riappropriandosi del silenzio appena calato sulla piazza. «O hai avuto pena per il ragazzo? Mi chiedo cos'abbia fatto di così sbagliato per meritarsi la furia delle mie armi.»

«Non parlare di quello che non conosci, Rael. Lo stupore ha regole ben precise. Non lo sai, ma è stato il ragazzo a rischiare di uccidere lo stupore. Lo ha ferito, e adesso non sta facendo altro che versarne il sangue sulla piazza. Ma a te non interessa, vero? Continuiamo.»

«Io aspetto la tua mossa, Andelus. Aspetto da anni questo momento, e quello che fai è arrivare in ritardo. Per un attimo, lo ammetto, ho pensato di aver vinto.»

Maed teneva lo sguardo fisso su Tadon, che come una mano gigante sembrava rimestare le nuvole.

«Il discorso sull'oceano, sulle piovre. Hai ragione, ti ho fatto aspettare troppo per una risposta. Eppure la risposta ce l'avevi sopra la testa dal primo momento. Tutti ce l'abbiamo da quando siamo nati.» E Andelus sollevò lo sguardo.

Il Benefattore ridacchiò. «Hai sempre sfruttato chi ti conveniva per i tuoi scopi. Ferito o non ferito, dillo che il ragazzo non ti sta facendo altro che un favore in questo momento.»

«Certo, Rael, che non riesci davvero a guardare più in là del tuo naso.»

Finalmente, il Pianeta di Tadon sembrò affondare verso la piazza, portandosi appresso un filamento di nuvole, bianco e avvolto su se stesso. Dov'era stato il pallone, lo strato di nubi si fece leggermente più chiaro, e quasi una lama di luce non lo trafisse una volta per tutte. Maed inspirò, guardò ai lati del palco nella speranza di intravedere Shara o sua sorella. Se Tadon affondava troppo in fretta e Andelus e il Benefattore ancora erano a discutere, scienza e magia non avrebbero fatto altro che salutarsi da lontano come tante altre volte. Si mise la mano in tasca, ricordandosi solo in quel momento di non avere più lo specchietto.

«Ah, ora ho capito» rispose il Benefattore, che adesso aveva alzato lo sguardo, le braccia incrociate. «Pessima giornata per parlarne, temo.»

Piano piano, tutti i presenti sollevarono lo sguardo. Alcuni si schermarono gli occhi, perché, nonostante fosse coperto, il cielo riluceva di una luce abbagliante e diffusa.

«Non importa. Le nuvole se ne vanno, il cielo rimane sempre al suo posto. È infinito, lo sai? Ma sì che lo sai, sai tante cose. Ammetto che il tuo fondale è una bella metafora, ma d'altronde dei due sono io il poeta. Lo hai detto tu.» Fece una pausa. «E infatti io ho preso l'altra metafora, la migliore, così ti faccio vedere cos'hai sbagliato. L'oceano è un buon punto di partenza, senza dubbio. Nessuno conosce i segreti che nasconde nelle sue profondità. Penso che se potessimo scendere tutti nel fondale e vedere cosa si cela a migliaia di metri sotto l'acqua lo faremmo tutti, e subito. Ma una volta arrivati in fondo? Hai scelto un buon trampolino, ma ti sei tuffato dalla parte sbagliata. Che fai una volta che tocchi il fondale? Torni su, hai detto. E su cosa c'è? Niente. Allora ritorni giù, ma giù è sempre lo stesso. Scavi la sabbia, trovi la pece, ma non c'è nient'altro. È tutto finito.»

«Parli come se l'oceano fosse un pozzo profondo e stretto. Tumenor è immenso, e noi viviamo su pezzi di roccia. Siamo circondati da cose che nemmeno immaginiamo, e possiamo conoscerle tutte.»

«Davvero ti accontenti con così poco? Tumenor? Tumenor è il pezzo di roccia, Rael.» Andelus sollevò un braccio verso il cielo, la tunica che gli ricadeva fino alla spalla. «Là sopra ci sono cose che nemmeno immaginiamo. Oltre Gamon, oltre Hajen, Udenas e Velian, e oltre gli altri pianeti che da qui non riusciamo nemmeno a vedere.»

Per qualche secondo non fiatò nessuno.

Maed afferrò un lembo del suo vestito, continuando a fissare il Pianeta di Tadon mentre continuava la sua discesa. Negli ultimi due giorni non aveva sperato altro che si avvicinasse a lei sempre di più, e adesso invece sperava che ritornasse lontano. Troppo veloce. Stava affondando troppo velocemente.

«E cosa c'è oltre, di così importante? Qualche altro pezzo di roccia colorato e luccicante? Stai cercando questo, Andelus?»

«Non lo so cosa c'è la dietro. È proprio questo. Non lo so. Non lo sa nessuno di noi. E non è una cosa stupenda?»

Il Pianeta di Tadon sarebbe atterrato sulla piazza, e niente sarebbe successo. Forse sarebbero ricominciati gli spari. Scienza che sparava ad altra scienza. Era come aveva detto il Vaporoso. Davanti a lei c'era solo scienza, e di quello non se ne sarebbe fatta nulla. Era come se la scienza avesse davvero vinto la guerra contro la magia. Non c'era più alcun nobile. Rimanevano solo gli scienziati, intenti a dividersi i tesori e a litigare per chi adesso avrebbe dovuto comandare la baracca scientifica. Non c'era niente per Maed.

Quella discussione non sarebbe finita mai. Non avrebbe perso né il Benefattore, né Andelus. Tanesin non sarebbe salita di nuovo sul palco. Non avrebbe fatto magie. Tadon sarebbe arrivato troppo presto e avrebbe rovinato ogni cosa. Il Fiammerino avrebbe scoccato la sua scintilla, ma il suo contenitore sarebbe stato vuoto.

«Sei un pervertito» disse il Benefattore.

La folla, che da qualche minuto era rimasta come congelata, si smosse lievemente.

«Sono un pervertito?»

«La scienza è solo una perversione se non ha come fine ultimo il miglioramento delle condizioni dell'umanità.»

«È questa dove l'hai presa?» ridacchiò Andelus.

«Troppo intelligente per te. Pensi solamente a lanciarti a bocca spalancata e con la lingua penzolante tra le gambe aperte dell'universo. Quello che ti interessa è solo godere. Questa è la droga che dai a tutti gli imbecilli che stanno dentro a questa piazza. Così è tutto più facile, no?»

Maed decise che era l'ora di lasciare il camino.

Guardò sotto di sé, un pozzo nero e senza fine. Della polvere volteggiò verso il basso, leggera. Non sarebbe stato così facile, ma lei si lasciò cadere lo stesso, strisciando con i piedi sulle pareti. Erano pareti relativamente pulite, rispetto a quelle di altri camini. Si stava inoltrando senza dubbio nell'abitazione di una famiglia ligia alla legge dei nobili. Aveva avuto fortuna. Altre volte si era intrufolata in camini lerci di cenere fino alla sommità, e aveva sempre buttato il vestito. Arrivò sul fondo e, come previsto, non trovò alcun resto di fuochi o legna bruciata. Il camino era chiuso da una lastra di metallo e Maed dovette abbatterla con un calcio.

Si voltò affannata per osservare da dov'era uscita. Quella gente doveva essere veramente spaventata dall'idea di avere un camino in casa. Eppure non aveva avuto la briga di murarlo del tutto. Una volta Maed era rimasta intrappolata per quello.

La casa era vuota. Chiunque l'avesse abitata probabilmente adesso si trovava affacciato al balcone o schiacciata in mezzo alla folla, cercando di guardare il palco. Probabilmente, aveva lasciato la casa ed era andata a vedere la gara del Benefattore per valutare se murare quel camino o andare a prendere della legna.

Maed trovò una finestra che dava sulla piazza. La gente era assiepata a ridosso del vetro e quindi era impossibile aprirla. Raccolse il manico di una scopa e la frantumò.

Le schegge di vetro piovvero sulle teste dei vicini. Si voltarono in tre o quattro, spaventati, ma la distrazione rimase limitata a pochi metri.

Un manto di ombra strisciò addosso ad Andelus e agli scienziati assiepati attorno a lui. Lui sembrava davvero un qualche salvatore, visto da là sotto. La sua veste bianca e nera svolazzava.

«Forse non ti è chiaro» gridò il Benefattore. «Non si tratta di una puttana qualunque, di una schiava del piacere. La usi e basta. Dobbiamo ripagarla con il nostro amore.»

L'ombra lasciò il tetto e scivolò lontana. «E quale sarebbe questo amore?» chiese Andelus.

«Mi sento davvero male a spiegarti una cosa del genere, dovrebbe venire dal tuo cuore.» Il Benefattore chinò il capo. «Sei un egoista, come i nobili. Ti servono i numeri, per andare in cielo, tra le sue gambe, ma alla fine la vuoi tutta per te. Sei avaro. Vendi il nulla, e tieni tutto il resto per te. Perché non condividi il tuo sapere? Io adesso dirò come ho fatto a vincere questa gara. Questa sarà la nuova legge d'ora in poi. Sapere.»

Maed sbriciolò ciò che rimaneva della finestra e scavalcò il davanzale. Strisciò sul bordo della piazza, tra le persone e le pareti delle abitazioni.

«Vai, non ti ferma nessuno.»

La folla incominciò a rumoreggiare. Maed, ogni tanto, lanciava uno sguardo al cielo, ma nella foga non riuscì a cogliere nulla se non capelli, teste e una distesa uniforme e indistinta di nuvole.

«Silenzio! Non volete ascoltare?» riverberò la voce di Andelus. «State a sentire il Benefattore, finalmente può spiegare al mondo la sua conoscenza. Sono sicuro che—»

«Partiamo dal veleno, il veleno che ho sconfitto con la mia conoscenza e che ha ucciso a decine di voi finti scienziati» lo interruppe il Benefattore. «Il veleno che hanno sempre usato. In realtà, se ve lo facessi vedere ora vi potrebbe sembrare semplice zucchero, o sale. Una polvere bianca. Loro la scioglievano in quella bevanda di colore blu, che sì, fa molta paura, ma non è che un succo di alcuni frutti che raccolgono dai loro cespugli. Io l'ho assaggiato prima, è molto buono. Ma è quella polvere in soluzione che uccide. Tallio. Solfato di tallio, si chiama. Appena vi entra nell'intestino il vostro organismo la assorbe, e così entra in circolo nel sangue, andando a finire in ogni vostra cellula. Ma voi non lo sapete cosa sono le cellule. Ci sarà tempo per spiegarvelo. Per ora vi basti sapere che il solfato di tallio finisce in ogni angolo del vostro corpo. E il vostro corpo cerca di espellerlo. Vomito, diarrea, tutte cose che avete visto su questo palco. Eppure io non sono morto. Perché?»

Dopo quella domanda il Benefattore si zittì. Maed era appollaiata sul davanzale di una finestra, il palco a pochissimi metri da lei. Vide ora che, alle spalle del Benefattore, dietro la finestra che lui stesso aveva varcato prima di comparire sul palco, Tanesin aspettava in piedi e con le braccia incrociate. Maed la studiò per diversi secondi. Nella piazza il silenzio era disturbato unicamente da qualche colpo di tosse. Forse Tadon ora si trovava esattamente sopra la sua testa e la stava osservando, ma lei non riusciva a distogliere lo sguardo da sua sorella.

Maed aspettò, concentrata unicamente su sua sorella, e forse il Benefattore disse qualcos'altro.

Doveva fare uscire Tanesin allo scoperto. Doveva costringerla a fare qualcosa con la magia.

«Ora torniamo indietro» aggiunse il Benefattore, la cui voce ora sembrava meno solida di prima. Tremolava. «Parliamo dell'altovia...»

Quando Tanesin ruotò la testa verso di Maed, lei sembrò sprofondare da qualche altra parte. In quel momento, udì solamente il proprio battito. Ma sostenne lo sguardo, non fuggì. Fu tentata di sollevare gli occhi al cielo, sentì un peso sulle spalle, percepì l'influenza del Pianeta di Tadon, ma restò immobile, lo sguardo sulla finestra.

Accanto a Tanesin comparve Shara e entrambe si voltarono per parlare. Maed si destò di colpo e per poco non spostò un piede rischiando di perdere l'equilibrio.

«Ma non ti rendi conto che nessuno ti sta veramente ascoltando?» disse Andelus.

Maed riportò lo sguardo sul Benefattore, ancora in piedi sul tavolino, così slanciato in avanti che per poco non cadeva. Ansimava. Provò a controbattere, ma non fece in tempo.

«Perché hai così fretta, Benefattore? Hai sempre avuto fretta, Rael.»

Il Benefattore non riusciva a rispondere. Mosse le mani verso la maschera, ma all'ultimo si bloccò.

Andelus non incalzava, e così Maed si voltò di scatto verso di lui. Andelus aprì la bocca, ma tentennò.

Il cuore palpitò, nel petto di Maed.

Il Pianeta di Tadon attraversò il cielo alle spalle della piazza, dove una volta aveva svettato l'altovia. Non era mai stato così basso, prima d'ora. Sembrava sbagliato. Così enorme, così gonfio. Maed ebbe la sensazione che non appartenesse a quel luogo. Come se avesse rubato lo spazio a ciò che già esisteva. Come se stesse spingendo la realtà per stare a tutti i costi al suo interno, come se si stesse facendo largo con tutta la forza in una calca affollata. Dava la sensazione di esplodere, di portare via con sé ogni cosa, da un momento all'altro.

Maed saltò giù nella piazza e si avvicinò ancora di più al palco. Vide le scalette.

Il Benefattore ritrovò la parola. «Non aspettavano altro, Andelus. Non ero io ad avere fretta, sei stato tu a essere troppo lento.»

«E questa lentezza ci ha fatto nascere. Adesso, se non ti avessi fermato, avresti distrutto ogni cosa. Le tue parole erano come fruste su ferite aperte. Io ho sempre dato carezze, e tutti sono tornati da me.»

«Sei un debole. Questa è veramente la scienza. Verità. Non ti piace, e hai paura di farli scappare. Ma non esiste alternativa.»

«Ricordi come sono venuti da noi? Lo ricordi? Carezze. Ho disperso verità, vera verità, come quella che stavi rigurgitando da quella cerniera che hai al posto della bocca, e la gente se l'è cercata da sola. Si sono infilati dappertutto. Hanno gioito quando l'hanno trovata, l'hanno sfogliata da loro, con le loro dita, hanno accarezzato simboli e lettere mentre lo facevano. E poi sono tornati da noi. Così è iniziato tutto. Tu lo hai dimenticato.»

Maed salì con cautela le scalette di legno. Il silenzio era tornato così denso che lei ebbe paura di farsi scoprire per il cigolio delle assi. Si affacciò con la testa sopra il palco.

Fece appena in tempo per vedere il Pianeta di Tadon nascondersi dietro un'abitazione. Come quando l'ultima fetta di Gamon s'inabissa sotto il mare. Solo dopo Maed si accorse della folla, di dove guardava. Erano girati di spalle, il palco non esisteva più. Ci fu qualche debole fischio, qualche sospiro, quando il pallone riapparve ancora e prese la rincorsa verso il cielo. Come se Gamon avesse deciso all'ultimo momento che ancora non era l'ora della notte.

«Perché stai facendo tutto questo, Benefattore? Dillo, lo so che fremi dalla voglia di dirlo. Hai fatto tutto per una ragione.»

«Voltatevi!» urlò lui, e la folla, come sgridata, ritornò a guardare verso il palco. «Siete venuti qui per questo, per vederci combattere. Prestate attenzione. Quello lì non è che un inganno.» E sbracciò verso il cielo, la manica della sua veste che ondeggiava.

«Ascoltate» disse Andelus. «Ci siamo quasi. Dillo, Rael. Dillo perché vuoi che vinca la scienza.»

Il Benefattore era appena a due metri da Maed. Lei poteva udire il suo fiato. Sentiva il tavolo cigolare sotto i suoi movimenti impercettibili.

«Stanno tornando.» Si bloccò.

«Chi sta torna—» provò a dire Andelus.

«Gli Astrali. Stanno tornando, è questione di momenti. Per colpa di persone come quell'uomo sopra quel tetto, e del ragazzo dentro quella macchina della meraviglia. Per colpa del loro stupore. Lo hanno sparso in giro più del dovuto e adesso loro lo hanno sentito. Lo hanno fiutato. Stanno venendo, per riprendersi tutto, per toglierci quello che abbiamo costruito con le nostre menti e con le nostre mani, con tanta fatica. Ne ho visto uno, l'altro giorno. Volava. Sopra l'oceano. Come se la scienza non esistesse, sfrecciava verso Asdenar, come un proiettile. Faceva ancora più impressione dei nobili. Lo sapete, lo sapete come l'ho abbattuto? Appena è passato sopra di me, gli ho gridato che esisteva la gravità, che lui non poteva fare quello che stava facendo. Si è schiantato sull'acqua ed è affondato nell'oceano.» Il Benefattore adesso ansimava così forte che per poco non avrebbe sputato i polmoni. «Devo spargere la conoscenza su Tumenor. Finché c'è conoscenza, loro non possono avvicinarsi. Sono deboli.»

Adesso Maed era a un metro dal tavolino. Era strisciata sul palco come aveva fatto Shara. Il Benefattore percepì la sua presenza e si girò di scatto. Fece un verso, con la bocca, come quando si ritorna in superficie dopo un'apnea troppo lunga.

Maed fissò la folla. Fece spaziare lo sguardo da una parte all'altra della piazza. Era consapevole della presenza del Pianeta di Tadon, metri più in alto. Se ne stava andando di nuovo. Ma lei era convinta stesse prendendo la rincorsa, per lanciarsi di nuovo in basso, e una volta per tutte. Non lo guardò. Mancava poco, davvero poco. E al momento giusto sul palco dovevano trovarsi lei e Shara, non lei e il Benefattore.

«Basta» gridò Maed, dopo aver inspirato il più a lungo possibile. «Questa gara sta durando troppo!»

«Zitta...» sibilò il Benefattore, e mosse un passo sul tavolino.

«Votiamo» gridò ancora Maed. «Votiamo per decidere chi dei due ha vinto, e facciamola finita, vi prego.»

«Credi che lo sconfitto si farà da parte senza fare o dire nulla?» Il Benefattore saltò giù dal tavolino. Richiuse entrambe le cerniere che aveva sulla maschera. «Qui non hanno mai funzionato queste cose» continuò bisbigliando, mentre si avvicinava curvo su di lei. Con la maschera quasi le toccò l'orecchio. «La democrazia, su altri pianeti sì, forse, ma su Tumenor si vince in altri modi.»

«Hai paura di un voto, Rael?» urlò Andelus. «La ragazzina ha ragione, abbiamo parlato abbastanza.» Dopodiché si sporse leggermente in avanti e si appellò alla folla. «O no?»

Tutta la piazza si unì in un unico grido.

Maed provò a urlare, a sovrastare la folla. Chi sceglie il Benefattore? urlò, ma nemmeno lei riuscì a sentirsi. Riprovò più forte, sentì la propria gola bruciare, ma la folla non sentì.

«Chi sceglie il Benefattore?» urlò Andelus, e la sua voce fu così profonda che s'insinuò in mezzo alle grida dei cittadini. Di nuovo. «Chi sceglie il Benefattore?»

Mentre qualche braccio si levava, il baccano si tramutò in un sommesso vociare, qualcosa di basso, che sembrava strisciare sulla piazza. Le braccia aumentarono, erano tante. Il Benefattore, accanto a Maed, non diceva nulla. Strofinò un piede sul palco. Il suo fiato premeva contro la sua maschera chiusa. Era invisibile. Maed non riuscì a dire, come sempre, cosa stesse accadendo all'interno della sua veste bianca e luccicante, ermetica al mondo esterno.

«E adesso» disse Andelus, e la sua voce parve quella del capitano di una nave che prova a vincere il frusciare delle onde, «chi vota per me?»

Adesso sembrò che l'intera piazza ebbe sollevato le braccia.

Quella di prima era stata un'illusione. Le persone, davanti e sotto di lei, erano così accalcate che sembravano di meno di quelle che erano realmente. Solo ora che votarono per Andelus, Maed si accorse di quanto quelli che invece avevano preferito il Benefattore non erano nulla in confronto.

Le braccia si abbassarono.

«E adesso?» disse il Benefattore, ma la sua voce sembrò impastata. Maed vide le sue labbra premere contro la seta. Sembrava che qualcosa si stesse dimenando, dentro quell'involucro bianco. «Gli Astrali verranno lo stesso. Non sarà un voto a fermarli. Se lasciate che sia quello lì a condurre la guerra contro i nobili...»

Dalla folla sorsero dei fischi. Si elevarono, acuti, poi sembrarono piovere sul palco come grandine.

Alle spalle Maed percepì una presenza. Si voltò di scatto per controllare se fosse vera, e si accorse in quel momento che la finestra che dava sul palco si era aperta. Da dietro il riflesso del vetro si affacciò Tanesin, avanzò verso di lei, mentre si lisciava il vestito con le mani. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma i fischi erano troppo forti.

E, subito dopo, i fischi si volatilizzarono. Maed ebbe l'impressione che il tempo avesse saltato qualche secondo. Tornò a guardare verso la folla. Erano tutti zitti.

Il Benefattore non c'era più. Era scomparso. Non c'era né a destra, né dietro di lei, né tra la folla né sui tetti né a sinistra—

Tanesin si affiancò a lei, alla sua sinistra. Maed le arrivava solo alle spalle.

«Ora tocca a noi» disse, ma lo disse piano, per farsi sentire solo da lei.

Maed guardò la finestra da dove era uscita, dalla quale Shara osservava nascosta dietro al riflesso. La sua espressione era indecifrabile.

Il Pianeta di Tadon era tornato un piccolo cerchietto che si stagliava contro le nuvole.

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