Capitolo Tredici
Allucinazioni
Solitaria, la zattera oscillava assecondando il movimento leggero del mare. Un paletto era conficcato in una delle tre assi, e dalla punta pendeva una bandiera rossa. Maed diede un paio di remate, fino a quando la sua barchetta non cozzò contro il legno. Scostò la stoffa lacera. Dei tagli formavano delle lettere.
LA PROVA È QUESTA NOTTE
Maed si guardò attorno. Da lì se ne intravedevano almeno altre dieci, di quelle zattere, disposte in fila come a formare un cordone. Punti rossi sopra il blu intenso del mare. Afferrò il pezzo di stoffa e lo nascose in una tasca, poi riprese a remare.
Le acque in prossimità del porto erano in fermento.
Maed s'infilò tra scafi di velieri imponenti come palazzi, così vicini da toccarsi. In mezzo a loro, stretti e bui corridoi d'acqua serpeggiavano fino ai moli. Un'ancora piombò dal cielo con un ululato grave, tuffandosi in acqua qualche metro più avanti con un suono simile a un risucchio. L'acqua schiaffeggiò contro i fianchi delle navi, riversandosi di getto all'interno della barchetta.
«Via di qui!» Un uomo aveva gridato dal parapetto della nave, lontano e indistinto sotto la luce verde e abbagliante di Gamon. Si sistemò una corda sulla spalla e sbraitò un'ultima volta prima di scomparire. «Vai a giocare con i tuoi amichetti.»
Ci stava andando, dai suoi amichetti. Per derubare casa sua.
Maed riuscì a sfuggire illesa al traffico di pescherecci e barche, sempre più piccole con l'avvicinarsi al porto. Raccolse il pezzo di tela rosso. Lo studiò, facendo passare le dita attraverso le fessure nella stoffa, allargandone i tagli.
Poi lo stracciò con i denti fino a ridurlo in brandelli.
Nascose la barchetta nel solito posto e s'inerpicò su per le stradine. Era una formica sulla via del ritorno. Su, per la salita di un formicaio di mercanti urlanti e fradici di sudore, preso a calci da un bambino.
L'incontro con Shara e gli altri era al tramonto, ma lei non aveva potuto aspettare un minuto di più seduta sulla zattera del Cavalluccio, a scrutare le ville col suo tubo pieno di lenti. Aveva pensato di rubarglielo. Quell'oggetto era così formidabile che le aveva permesso d'intravedere persino sua sorella Adelin affacciata a una finestra della villa. Pura scienza. O forse, solo suggestione.
Non appena trovò un punto della strada meno affollato, Maed si appoggiò contro un muro. Quella notte tornava a casa.
LA PROVA È QUESTA NOTTE
Estrasse dalla tasca il Fiammerino e sentì il liquido al suo interno agitarsi contro le pareti del cilindro. Maed si era convinta che ogni fiammella si nutrisse di quel liquido e, se aveva ipotizzato bene, un giorno il suo tesoro avrebbe smesso di funzionare, assetato. Lo nascose di nuovo nella tasca.
Il fuoco dei nobili, invece, sembrava inesauribile.
Continuò a salire, e a salire. S'infilò nei vicoli laterali, accarezzando le pareti umide e fradicie con le dita, tirando calci ai gusci di cozze sparsi per terra, fino a quando non udì la voce di Shara.
Si fermò, appiattendosi contro il muro. La voce proveniva proprio da sopra la sua testa. Prese un respiro profondo e si arrampicò su per il tubo di scolo dell'acqua.
La discussione cadde nel silenzio non appena la videro sbucare sul tetto. I ragazzi erano seduti in cerchio, attorno a una massa luccicante.
«Be', sei arrivata in anticipo» disse Shara. Gamon, alle sue spalle, le dipingeva un'aura luminosa attorno ai capelli.
«Mi ero stufata di aspettare» rispose Maed, prendendo posto fra loro.
«Aspetteremo comunque l'oscurità prima di dirigerci alla tua Villa.»
Maed trasalì. Allora l'aveva detto anche agli altri.
Cran, il ragazzo con i capelli ricci, indicò alcuni specchietti ricurvi in mezzo a loro. «Mostracelo, Shara.»
Lei sospirò, poi si allungò per raccoglierli e li distribuì ai suoi compagni. Pems, maneggiando il suo tra le mani, studiò la propria immagine riflessa. Aveva i capelli legati in una coda e numerosi brufoli sulla faccia. Inclinò lo specchio verso Maed. Sobbalzò, poi si voltò a fissarla. «Ti vedo.»
«Come scusa?» gli chiese Maed.
«Ti vedo nello specchio.»
«E allora?»
«Pensavo, sai... sei una nobile. Non pensavo potessi comparire in uno specchio.»
«Ma che dici, idiota?» sbottò Haon. «Non vengono da un altro pianeta, eh. Come ti guardi allo specchio tu, possono farlo anche loro.»
«Sì, ma la scienza... non funziona mica allo stesso modo per i nobili.»
«Ma sei fuori di testa? Come farebbe a stare seduta insieme a noi, allora?»
«Sta facendo qualche incantesimo per tenersi ancorata al tetto.»
Haon si alzò in piedi, furibondo. Shara gli afferrò un braccio e lo trattenne. «Come possiamo pensare di farli fuori tutti se c'è ancora gente convinta di queste stupidaggini?» sibilò rivolta a lei, indicando Pems con un dito tremante.
Maed prese la mano del ragazzo, quella che stringeva lo specchietto, e con un vertice si recise il polpaccio. Lui tremò, mentre il sangue le bagnava la pelle.
Ne prese un po' con l'indice e glielo fece gocciolare addosso. «Rosso, vedi?» Lui si osservò i pantaloni, mentre il sangue formava piccoli cerchi sul tessuto. «Non è blu, non so ancora usare la magia e Tumenor mi tira a sé proprio come fa con tutti voi.» Forzò un sorriso. «Strano, ma vero.»
Cran prese la parola. «Sai, pensavo che il vostro sangue fosse per davvero blu. Non che lo abbia mai visto da vicino, eh.» Ridacchiò nervosamente.
«È veramente blu, io l'ho visto» disse Shara, tirando in basso il braccio di Haon per fargli prendere di nuovo posto. «Ma so che cambia colore solo quando iniziano l'addestramento.»
Lei e Maed si scambiarono uno sguardo.
«Ora basta. Prima che diventi troppo scuro, puntate i vostri specchi al centro.» Afferrò il suo ai lati e lo inclinò leggermente davanti a sé. «Così.»
Si alzò in piedi e si sistemò alle spalle di Maed.
«Pems, tirala fuori.»
Il ragazzo raccolse un barattolo di vetro e svitò il coperchio. Afferrò una lucertola marrone, poi la posizionò in mezzo al cerchio. Appoggiò il barattolo sopra la sua coda, ed essa rimase intrappolata sotto al suo peso.
Shara diede indicazioni a tutti su come posizionare gli specchi.
«Guardate!» Cran allungò un braccio verso il centro.
La lucertola iniziò a dibattersi. Un cerchiolino bianco si era formato sul suo muso. S'ingrandiva e si restringeva, fino alla dimensione di una capocchia di spillo, sempre più bianco e incandescente.
«Sta scappando!»
L'occhio della lucertola iniziò a sfrigolare, colando un liquido grigiastro pieno di bolle. Poi esplose in uno sbuffo. La bestia sfuggì dalla trappola di vetro, lasciando dietro di sé un guizzante pezzo di coda, bloccato per la punta dal peso del barattolo.
Pems si lanciò in avanti per afferrarla.
«Lasciala» disse Shara.
La lucertola girava in cerchio, esagitata. Maed notò che anche l'altro occhio era completamente andato.
«Che figata» sospirò Cran, lasciando cadere il suo specchio.
«Chi la vuole?» chiese Shara, girando attorno a loro.
Haon fece di no con la testa, allungando le braccia in avanti. Pems afferrò la lucertola e la lasciò cadere nel barattolo. «È che io ne ho già in mente un'altra...» mormorò Cran. «Però questa della luce sembra forte.»
«Nessuno, allora?» Shara li studiò un'ultima volta. «Allora la regalo a te, Maed» aggiunse, guardandola. «Sì, ti regalo l'idea. Inizia a pensare a un nome per te. Domani mattina torneremo al Faro da Scienziati.»
«Mi sembri troppo sicura.» Maed si protese in avanti e tutti la fissarono. «Sei troppo convinta di riuscirci.»
Shara fece un verso divertito. «Oh sì, sono molto sicura.»
«So cosa vuoi rubare, so dove si trova e non sarà per niente facile.»
«Proprio sopra al tavolo dove hai cenato per anni. Sì, un bel lampadario di vetro, con migliaia di lucine colorate.»
«Tu non conosci la mia famiglia. Mia sorella...»
«Chi delle due? La piccola o la grande?» Shara distese ancora di più il sorriso. «Ma sì, la grande. La piccola non farebbe del male a nessuno.»
«Voglio che seguiate me, stasera.» Maed fissò a turno gli altri. «Vi mostrerò delle scorciatoie sicure.»
Shara schioccò le dita, riportando l'attenzione su di sé. «Guarda, non farò finta di aver studiato per mesi la tua villa solo perché ora ti è venuta voglia di comandare.»
Maed fece per alzarsi in piedi. «Non voglio comandare. Voglio solo tornare illesa.» Si abbassò il colletto del vestito, mostrando il segno della collana sulla pelle. «Se ci vede, mia sor-»
«Tua sorella un bel niente!» strillò Shara, la voce roca, più fastidiosa che mai.
Silenzio.
Poi riprese con un tono più calmo, e con quel suo solito sorriso. «Sbaglio o a ogni Inchino la tua famiglia è sempre invitata a cenare dalla famiglia Rencan? Ma tanto Tanesin sarà comunque impegnata a scoparsi tuo fratello.»
Maed ebbe un tremito. Per alcuni secondi non sentì altro che il sangue pompare nella testa, e il desiderio di strangolarla e accecarla con uno di quegli specchietti. Ma rimase immobile.
Ha parlato di Tanesin. Di Tanesin. Non ha detto nulla di Adelin.
Sentì il petto alzarsi e abbassarsi furioso, mentre continuava a sostenere lo sguardo di Shara. Il suo sorriso si spense lentamente.
«Bene,» riprese Shara, mettendosi in piedi, «devo proprio averti convinta.» Si voltò per un attimo a guardare Gamon. «Andiamo.»
Sapeva tutto alla perfezione, tutto, come se avesse vissuto al suo fianco per gli ultimi diciassette anni.
La osservò tastare le tegole col piede, chinarsi e incominciare ad ammucchiarle di lato. Riesumò da sotto il tetto arpioni e cime logore, estraendole come budella da un cadavere sventrato. Tirò fuori anche un grande foglio di carta, e lo mostrò eccitata agli altri. Era una mappa. La mappa della Villa.
Maed non aveva intenzione di vedere quanto fosse dettagliata.
Si sedette sull'orlo dello spiovente, facendo penzolare le gambe nel vuoto. Di sotto, la gente scorreva a fiumi. Qualcuno si fermava col capo all'insù, a studiare i ragazzi. Come se trafugare le ricchezze dei nobili fosse una cosa immorale.
Sfilò il Fiammerino dalla tasca e lo accese. Voleva assicurarsi che la sua ipotesi fosse corretta, che quell'aggeggio un giorno sarebbe morto per davvero tra le sue dita. Udì un lieve clamore sorgere dalla strada. Sbirciò da sotto le palpebre, accorgendosi che un gruppetto di persone si era fermato a osservarla. Li ignorò. Presto gli Scienziati avrebbero incendiato le Ville. E il colore di quel fuoco sarebbe stato l'unico per tutti.
«Cavolo, cos'è?» Cran si sedette accanto a lei.
Maed si girò verso di lui. Aveva gli occhi sgranati sul Fiammerino.
«Dove l'hai preso?»
Maed scosse la testa, poi si voltò, per controllare a che punto fossero gli altri. Sentì qualcosa toccarle la spalla.
«Non è che...»
Quando lei lo guardò negli occhi, Cran serrò la bocca e abbassò lo sguardo. «Non... non potresti prestarmelo? Solo per questa notte.»
Maed lo spense e lo nascose nel palmo.
Dopo qualche istante di silenzio, Cran sbuffò, e fece per andarsene.
«Aspetta» disse Maed. Si bagnò le labbra. «Senti... tu cosa ne sai degli Astrali?»
Cran aggrottò la fronte e la fissò per un momento. «Sono caduti dal cielo anni fa. Si dice.»
Oh. Maed sollevò le gambe e le incrociò, girandosi verso di lui. «Perché sono caduti? Tu lo sai?»
«Ma che c'entra ora? Facciamo che non lo voglio più quel coso.»
«Te lo do se riesci a spiegarmi perché gli Astrali sono caduti dalle stelle.»
Cran sospirò, il capo chino. «Mio padre dice che sono stati loro a darvi... a dare la magia ai nobili.» La guardò per una frazione di secondo, poi tornò a osservarsi le mani. «Ve l'hanno donata perché... per la scienza. Avevano paura della scienza.» Fece una smorfia. «Mio padre ha detto che quando Asdenar è esplosa voi avete accettato e poi loro sono scomparsi per sempre.»
Maed studiò i suoi lineamenti contratti. «L'altro giorno ho sentito dire da qualcuno che in realtà non sono mai caduti dal cielo. Diceva che in verità siamo stati noi a farlo.»
Cran sollevò di scatto la testa. «Non è vero.»
Maed fece spallucce. «Diceva che si trattava di scienziati antichissimi in grado di viaggiare da un pianeta all'altro. Alcuni sono morti, altri ci hanno dato la scienza che conosciamo ora. Del resto non è rimasto niente.»
«La scienza esiste e basta.»
Maed sperimentò un guizzo di comprensione. «Forse anche la magia esiste e basta. Forse noi l'abbiamo scoperta. O magari l'abbiamo proprio inventata.»
Cran spalancò la bocca, e restò così per qualche secondo.
Per un attimo, dopo che le parole di Andelus al Cratere l'avevano tramortita, aveva pensato davvero che la magia potesse essere scomparsa, schiacciata dalla scienza.
Ma l'odore, l'odore era così reale.
Quella sera, alla Villa, l'avrebbe risentito con prepotenza dopo tanti giorni di astinenza.
Ma allora, perché quella storia, perché quella menzogna sugli Astrali caduti dal cielo? Perché nascondere la caduta degli uomini?
«Tu sei strana» balbettò lui, ritornando a guardarla. «Non capisco da che parte stai.»
Maed aprì il pugno, mostrando il Fiammerino. «È tuo.»
Cran lo afferrò facendo saettare la mano. «Potremmo pure essere stati noi a cadere, ma senza Astrali, i nobili non sarebbero stati comunque nessuno.» E si alzò in piedi. «Dobbiamo andare.»
Maed tese il braccio in alto. Lui la fissò per un attimo, poi fuggendo con gli occhi le afferrò la mano e l'aiutò a tirarsi su.
Ora guardava lontano. «E tu lo sai a cosa servono quelli?» chiese lui, infilandosi le mani nelle tasche e gonfiando il petto.
I pali, si riferiva ai pali affusolati e lucenti sorti in quei giorni alle spalle di Asdenar. Ne erano spuntati di nuovi, sempre più in basso, sempre più vicini al mare. «No.»
«Li abbiamo fatti noi. Cioè, gli scienziati.»
Li osservarono per qualche secondo in silenzio. Poi lui continuò. «Vogliono... distruggervi. Ma il Benefattore ha detto che sarà tutto silenzioso e ordinato. È tutto un segreto.»
Benefattore?
Maed sentì il suo vestito tendersi. «Maedlin, siamo finalmente pronti per tornare a casa.» Shara le mollò un paio di corde sulle braccia. Poi prese la rincorsa e saltò sul tetto adiacente.
Maed si sistemò le cime sulla spalla. Si girò verso il mare, troppo vicino e troppo piatto da quell'altezza. Poi guardò tutta Asdenar, fino alle ville, e quella distesa soverchiante di tetti rossi la turbò, come mai era successo.
Indietreggiò di qualche passo, poi incominciò a correre.
Frenò sul ciglio del tetto. Protese le braccia in avanti per tenersi in equilibrio, mentre qualche sassolino franava nel vuoto.
Si piegò sulle ginocchia, i capelli che ricadevano in basso. A ogni respiro, il tetto sull'altro lato si faceva sempre più lontano, e il vicolo buio assomigliava sempre di più a uno strapiombo.
Gli altri non si erano accorti di nulla.
Tornò indietro per riprendere la rincorsa, e d'un tratto, mentre si torceva negli incavi tra le tegole, sentì la caviglia trasformarsi in burro. Accarezzò la benda sopra l'articolazione, e premette con due dita sul rigonfiamento dell'osso, cercando quella dannata scarica di dolore. Se si fosse ripresentata, l'avrebbe accolta come un segno.
«Ehi!»
Maed sollevò di scatto lo sguardo. Shara la stava osservando, qualche tetto più in là. «Che hai?» Si avvicinò, pronta per venire a prenderla di forza e trascinarla alla Villa. Anche gli altri si erano girati a guardare. Gli occhi pesanti come macigni.
Spostò il peso da un piede all'altro. La caviglia avrebbe deciso per lei. La più infima scossa di dolore, e avrebbe lasciato che i ragazzi se ne andassero da soli. Incominciò a correre, e il bordo del tetto si fece sempre più vicino, così come il vuoto sotto di esso. I muscoli delle gambe tremarono, s'irrigidirono, pronti a bloccarsi di nuovo. Vicinissima, sentì un solo grido dentro la sua testa. Salta. SALTA!
Chiuse gli occhi e il mondo scivolò alle sue spalle.
Staccò.
Spostò il peso sulla sinistra, sulla caviglia malandata, pronta ad atterrare su quel piede. Doveva trattarsi di una scelta decisa, un taglio netto. Era stanca di trovarsi a metà. Si preparò a essere fulminata, a cadere e a squarciare il cielo col suo urlo.
Il tetto impattò sotto le punte dei suoi piedi, facendola tremare fino ai denti.
Ma non ci fu nient'altro.
Spalancò gli occhi e prese una boccata d'aria frettolosa, come appena sfuggita da un'apnea durata ore. Shara era di fronte a lei, sfocata.
Maed allungò la gamba sinistra, un'ultima volta. Se anche avesse sentito la minima fitta... E invece nulla. Nulla. Non aveva più scuse per tirarsi indietro.
«Muoviti, su» urlò Shara.
Forse la scelta decisa c'era stata eccome, e la Villa aveva vinto col suo richiamo. Si fermarono su un altro tetto, a raccogliere qualche asse di legno, dei bastoni e delle ruote. Ognuno di loro aveva la schiena carica. Nemmeno tutto quel peso impensierì la sua caviglia.
Udenas sorse e tramontò dopo un'ora, breve come sempre. Shara evitò le strade, guidandoli attraverso l'erba alta dei prati, lì dove l'oscurità era totale. Le uniche luci erano il debole bagliore delle ville alla loro destra, e quella del Fiammerino tra le dita di Cran. Aveva continuato ad accenderlo e spegnerlo per tutto il tragitto, e ancora non aveva smesso di funzionare.
Shara conosceva quella zona alla perfezione. Seppe quando lasciare il prato e quando salire il pendio.
Ben presto si ritrovarono nel giardino posteriore della Villa.
«Allora, quella è l'entrata» disse, indicando il portone. Erano nascosti dietro una siepe. «Come vi ho detto, non ci dovrebbe essere nessuno della famiglia. Ma state attenti, anche i servitori sanno usare la magia. Vi avviso che qui l'odore sarà molto più forte.»
Gli altri si voltarono verso Maed, i lineamenti preoccupati. Cosa volevano?
«Questo sarà un grande successo o un grande fallimento. Statemi dietro, non fiatate e fate solo quel cazzo che vi dico di fare.»
La ghiaia scricchiolò sotto il tremito di qualcuno.
«Se succede un casino, ne va di tutta la Combriccola.» Gli occhi di Shara scintillarono nel buio. Era la luce del Fiammerino. «Spegni quell'affare, tu.»
Rimasero fermi dietro alla siepe. Shara chiuse gli occhi e si puntò le dita contro le tempie. Dopo un po' aprì la bocca per...
«Sicura, non ci diranno niente?»
Qualcuno stava camminando sul sentiero dietro ai cespugli.
«Stai tranquillo.» Era la voce di Adelin.
Shara si portò l'indice sulle labbra, mentre con una mano tappava la bocca di Cran.
«Adelin, mi spieghi quella cosa?» Ancora la voce di prima. Era un ragazzo.
«Cosa?»
«Perché tua madre vorrebbe adottare un'altra figlia?»
«E ora?» Pems bisbigliò preoccupato. «E ora?»
Shara lo zittì con lo sguardo. Lasciò a terra gli attrezzi e fissò Maed negli occhi. «Questo non era previsto.» Sbatté le ciglia molto lentamente, poi si voltò. «Ora li tramortisco.»
Maed strinse con più forza la corda ruvida che aveva sulla spalla. «No.»
Haon le afferrò il braccio con le unghie. Si era protesa in avanti senza nemmeno accorgersene.
In uno strepito confuso di sassi Shara scomparve oltre la siepe. Maed guardò negli occhi Haon. Rilassò tutti i muscoli, aspettando che il ragazzo perdesse il contatto visivo anche per un istante solo. Poi gli scaricò una gomitata sullo stomaco. Lo lasciò mugolante a terra. Mollò dietro di sé tutti gli attrezzi e si alzò in piedi. Oltre il cespuglio, vide Shara correre a capofitto verso Adelin e l'altro ragazzo. Erano fermi, già a qualche metro dal portone, mano nella mano. Gli sguardi di Maed e sua sorella s'incrociarono, e lei si mise a correre, trascinando il nobile.
Scattò pure lei. La sua caviglia non fu mai più solida di quella volta. Ma Shara era troppo lontana, e troppo vicina a sua sorella.
Adelin, la magia, fai qualcosa...
Arrivati sotto al portone, il ragazzo inciampò e crollò a terra. Adel si fermò e cercò di rimetterlo in piedi, guardò dietro di lei e vide Shara, poi incrociò ancora una volta lo sguardo con Maed.
Vai via... lascialo.
L'aria entrava e usciva furiosa dalla sua bocca, e lei non riusciva a gridare una sola parola. Sentiva che si sarebbe messa a vomitare. Ma spinse, spinse più che poteva.
Shara girò di poco la testa, ancora lanciata verso il portone. «Tu occupati del ragazzo!» strillò sopra la spalla. «Io faccio fuori tua sorella!»
Adelin scomparve dentro la Villa. Il ragazzo rimase indietro, ancorato a terra. Cercava appiglio con le mani, ma riuscì solo strisciare col sedere, muovendo le gambe a spasmi. Shara salì gli scalini a due a due e con un balzò atterrò dentro l'atrio. Si guardò a destra e a sinistra. Mollò un calcio al fianco del ragazzo e scomparve dove era scomparsa Adelin.
Maed salì gli scalini, afferrandone gli spigoli con le mani. Per qualche secondo, non vide altro che la pietra sfrecciare davanti a suoi occhi. Quando emerse sul pianerottolo, il nobile non c'era più. Entrò.
Il ragazzo si trascinava nel corridoio sulla destra, con una spalla appoggiata al muro e l'altro braccio a tenersi lo stomaco. Emise un singulto soffocato e si mise a correre. Ci provò, almeno. Maed lo raggiunse senza difficoltà e si lanciò su di lui, braccandolo all'altezza della pancia. Gli rovinò addosso, e lui continuò a dimenarsi sotto il suo peso fino a quando lei non gli tappò sia il naso che la bocca. Gli fece riprendere fiato un attimo prima che fosse troppo tardi.
Era un sacco pieno di ossa e di carne. Lo trascinò sul pavimento, fino a quando non raggiunse una porta. La spalancò con una spallata e rinchiuse il ragazzo all'interno, serrando a chiave.
Poi corse dall'altra parte.
«Adel! Adelin!»
Intravide i tre ragazzi della Combriccola, in fondo al corridoio, carichi di oggetti sulle spalle. Svoltarono sulla destra e Maed li seguì.
Tutti e quattro si immobilizzarono.
Il lampadario era lì, proprio sopra le loro teste, maestoso.
Shara, sotto la sua luce chiara e cristallina, allungò un braccio verso di loro. Haon gli lanciò una corda e lei l'afferrò al volo.
«Abbiamo poco tempo, su. Quella stronza di sua sorella è ancora qua in giro.» Shara fece roteare la cima e la lanciò verso l'alto. L'arpione si agganciò a uno dei bracci di vetro del lampadario. Dondolò, gemendo con un debole tintinnio.
Lo avevano appena svegliato dal suo letargo.
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