Capitolo Quindici

Notte luminosa

Superarono le fiamme. Adelin ci passava in mezzo, Maed si faceva di lato, allungando il braccio.

«Adel, cos'è successo?»

«La scienza...» Scosse la testa, senza smettere di correre. «Te lo avevo detto che non era fatta per la Villa.»

Maed guardò alle sue spalle, ma scorse solo qualche fiamma indistinta, prima che sua sorella la tirasse di nuovo a sé.

«Se la caveranno, vero?»

Adel forse non sentì nemmeno la domanda.

Shara è in gamba. Li riporterà tutti al Faro.

Vero?

«No...»

Adelin si era fermata di colpo. In fondo al corridoio c'era un servitore. Con una mano stringeva il pomello di una porta, con l'altra teneva una lampada verde. La lasciò schiantare a terra, poi corse via, tenendosi la lunga veste azzurra.

«Mi ha visto.»

«Tranquilla, ci penserò io dopo.» Tenne lo sguardo fisso in avanti. Il suo petto si alzava e s'abbassava.

Ripresero a correre, stavolta con più calma.

«Dove mi stai portando?»

«Nella tua stanza. Ti nasconderai per due giorni. Fingerai di esserti pentita di tutto e ti farai ritrovare a cena.»

«Pensi che non scapperò?»

Davanti a loro si parò un altro servitore. Si stava calando da un botola sul soffitto. Appena li vide, farfugliò qualcosa verso l'alto e una mano lo afferrò per la collottola, tirandolo su.

«Ormai sanno che sono qui. Che senso ha nascondermi?»

«Sono troppo impegnati a capire cos'è successo. A capire che forse gli scienziati hanno sferrato il primo attacco.» Posso gli occhi su di lei. «Tu ora conti poco o nulla.»

Da quel momento, restarono per di più in silenzio, mentre continuavano a camminare per i corridoi. Assomigliavano tanto a lunghi budelli fossili, così vecchi da essersi cristallizzati in quella posizione, aggrovigliati.

A volte parevano caverne buie e profonde, rischiarate da qualche debole bagliore. Le pareti diventavano fredde, e appoggiarsi contro di esse, sentire il gelo piacevole sul collo, e sulle braccia, era pura goduria. Quando tutti dormivano e le caverne erano deserte, era il tempo migliore per pensare a qualche scherzo, o metterne in atto uno.

A volte, invece, diventavano opprimenti, soffocanti. Era così nelle giornate afose, o come quella notte. Allora i budelli sembravano contrarsi, e sentivi che stavano per digerirti. Il sudore cominciava a scivolarti addosso, e non potevi fare altro che scappare e cercare un soffio di vento. Scendere agli scogli e calarti in mare. Salire sul Faro, sdraiarsi sulla sua cima.

«Perché gli Spiriti erano nelle caverne?»

«Come?» Adel si fermò un attimo.

«Perché sono scesi fino a dentro la Villa.»

Adelin riprese a camminare.

«Non li hai chiamati tu, vero?»

«Non so nemmeno volare, e non le so usare quelle fiamme bianche. Come potrei chiamare gli Spiriti?»

«C'era un uomo, dietro di loro. Mi ha parlato.»

«Forse era un'illusione, colpa di tutta quella magia nella sala.» Adel fece una pausa e Maed aprì la bocca per prendere parola.

«Forse li ha mandati lui per farmi uscire dalla-»

«Maed, voglio farti vedere una cosa.»

Avevano parlato insieme.

«Dai, voglio farti vedere una cosa.» Adel stritolò le sue dita.

Salirono le scale e ben presto si fermarono di fronte a un muro. Lì non era più l'ambra a ricoprire le pareti, ma semplici mattonelle grigie. Adel ne accarezzava le scanalature con l'indice.

«Adel, è inutile tutto quello che stai facendo, lo sai?» Maed cercò il suo sguardo. «Non ci resto qui. Adel, mi senti?» La scosse per un braccio. «Capirò chi ha chiamato quegli Spiriti, perché li ha portati qui dentro. Non sono venuti per conto loro, no.»

E se erano scienza per davvero?

Vai, avanti cara, ce l'hai quasi fatta. L'ombra le aveva fatto cenno di avanzare, lei aveva ubbidito.

«Se scelgo gli scienziati, Adel... Adel...» La strattonò ancora. «Se scelgo loro, non m'importa se tu resti qua. Lo sai? Non m'importa niente.»

Lasciò risuonare con calma le ultime parole, sperando che lei si voltasse anche solo per guardarla. Adel si passò l'indice sulle labbra. Ma non come faceva di solito, per fare shhh. Lo addentò piano con i denti.

Il muro tremò di colpo. Della polvere crollò dal soffitto, portandosi appresso qualche scaglia di pietra.

Adelin si riprese dal suo sonno. Si guardò intorno agitata, mentre la parete sussultava con un altro tonfo.

Un altro ancora, un colpo metallico sulla pietra. Ma veniva da dietro al muro.

«Adel, che succede?» Maed appoggiò l'orecchio contro la parete. «Pensavo non ci fosse nulla qua dietro.»

Stette a sentire. Ancora quella vibrazione. Ma stavolta parve fratturarsi qualcosa, dentro la pietra. Adelin nel frattempo si mise a cercare qualcosa tra i mattoni, imprecando sotto voce.

«Viene da lì» esclamò Maed, spostandosi più a destra. S'infilò tra il muro e sua sorella. Non appena la superò, lei l'acchiappò per il vestito, lasciandola appesa a mezz'aria.

Un urlo furioso giunse da dietro la parete, poi l'ultimo colpo sordo.

E il muro si sgretolò. Crollò su se stesso, proprio di fronte a lei.

Alcune mattonelle ruzzolarono verso il centro del corridoio, e uno sbuffo di polvere riempì il corridoio.

Barcollando, l'ombra di un uomo si fece strada all'interno della nube, tossendo e imprecando. Inciampò su qualcosa e rovinò a terra, seguito da un riverbero metallico.

Maed, non sentendo più la stretta di sua sorella, avanzò di qualche passo. Quello non era un servitore. Nessuno di loro avrebbe distrutto una parete, né avrebbe imprecato così veementemente.

L'ombra si rialzò. Sbarellò a destra e a sinistra, diretta verso di lei. Maneggiava qualcosa che somigliava vagamente a una mazza, la faceva roteare.

Tadon sbucò dalla polvere, con un grosso martello in mano.

«Oh.» L'impugnatura scivolò dalle sue dita, e la testa del martello si conficcò nel pavimento.

«Come hai fatto?» Adel s'inserì tra loro due. Avanzò minacciosa, sfidandolo.

Gli afferrò un lembo della maglietta. «Come conosci i cunicoli della Villa?»

Lui si limitò ad allargare le braccia. «Non lo so, sai?» Si asciugò la fronte. «Camminavo qui in giro, quando ho deciso di seguire uno di quei servitori. In pratica mi ha fatto strada lui.»

Maed affiancò sua sorella. «Tadon» disse.

Adel con l'altra mano la fermò.

«Se te ne vai in questo istante,» disse, di nuovo rivolta a lui, «nessuno ti appenderà a un palo e ti farà scendere un fulmine sulla testa.»

«Non è colpa mia, dannazione. Mi ero perso. Quei cunicoli...»

Adel, sempre stringendolo al petto, lo spinse indietro. «Ho detto, vattene.»

«Adel, vado con lui.»

Lei si girò. Aveva il viso stremato. «Ti prego, Maed. Ascoltami, per una volta. Ti prego. Nasconditi in camera tua.»

«Deve decidere lei, ragazza.»

Maed appoggiò una mano sul braccio di sua sorella e fece per spingerlo via da Tadon. «Te l'ho detto, io non ci sto là dentro.» Spinse con forza. «La mamma mi odia, Tan mi odia. Io, le odio.»

Adel si chinò un poco, la guardò in faccia. Aprì la bocca. Sospirò. «Io non voglio essere come loro. Voglio che tu sia libera.»

«E allora lasciami andare.»

«Là fuori sei troppo pericolosa.»

«Hai paura?» Tadon ridacchiò.

Adel non si girò nemmeno. Appoggiò le mani sulle spalle di Maed. «Seguimi, dài. Voglio mostrarti una cosa.» Ma rimase lì immobile, a fissarla. Come se stesse scavando dentro ai suoi occhi.

Probabilmente lì sotto trovò una risposta, perché dopo qualche secondo distolse lo sguardo e incominciò a guardare il soffitto.

Maed approfittò. «Te l'ho detto, tornerò ogni tanto. E comunque ancora devo decidere, da che parte stare.»

«Va bene.» Tornò a guardarla. Ma ormai aveva trovato quello che cercava, e ora il suo sguardo era decisamente più distaccato. «Sali pure là sopra, spaventati. Quando vuoi torna, io ti aspetterò con un regalo. Ma non spaventarti troppo.»

«Andiamo, dài.» Tadon squadrò Adelin con occhi stretti. «Voleremo insieme questa notte. Saliamo sulla terrazza.»

«Aspetta.» Adel non aveva ancora finito. «Tu, scienziato, prenderai un'altra strada. Vi rincontrerete là sopra. Ma lei segue me.»

Maed e lei si fissarono.

Adel aveva detto una sola bugia nella sua vita, da quando erano diventate sorelle.

«D'accordo» disse Maed.

Tadon la puntò con un dito. «Se a un certo punto scopri che ti ha ingannato, Maed, tirale un calcio nello stomaco e scappa più che puoi.»

Dopo essersi girato, s'infilò per un attimo dentro allo squarcio nel muro e raccolse il suo sacco. Poi s'incamminò.

Maed si era dimenticata. Doveva dirglielo assolutamente, non ce la faceva ad aspettare.

Allora corse verso di lui, ignorando il grido di sua sorella, e lo fermò per un fianco. Si appese al suo braccio. Gli sussurrò nell'orecchio, così vicina da sfiorargli la pelle con le bocca. «Li ho visti. Gli Spiriti. Sono scesi nella sala e hanno strisciato per terra fino a sotto ai miei piedi. La tua aurora... Scienza, eh?»

Tadon si scostò. I suoi occhi erano increduli, quasi spaventati.

Maed non perse altro tempo e tornò sui suoi passi, senza voltarsi nemmeno una volta. Prese la mano di sua sorella e si fece guidare nell'oscurità dietro alla parete.

Là dentro c'era un rumore insistente di passi. Passavano pochissimi secondi tra un silenzio e l'altro, decine di piedi calpestavano il pavimento sopra le loro teste, sotto di loro, di lato. Dappertutto.

Ma la quiete, quando tornava, non era mai totale. Il ronzio era basso, fastidioso. Lo stesso che aveva accompagnato la danza degli Spiriti in fondo al corridoio, che aveva anticipato il tremolio del lampadario.

Maed s'immaginò un animale dalle scaglie metalliche strisciare dentro a quelle viscere oscure. Il suo respiro antico, ignoto, vibrante.

Strinse ancora di più la mano di Adelin.

Svoltarono una decina di volte e imboccarono svariate rampe di scale. Un tratto era così stretto che dovettero appiattirsi con le spalle al muro e trattenere il fiato.

«Aspetta.» I passi, quella volta, furono fin troppo udibili. Ci furono grida, schiamazzi. I muri vibrarono.

Il mostro metallico ci sta digerendo.

«Dove stanno andando?» chiese Maed, una volta tornata la quiete. «Non pensavo nemmeno avessimo tutti questi servitori.»

«È colpa mia» singhiozzò Adel. «Per attirarti, ho spostato troppa magia. E quando scienza e magia si toccano...»

«Ho capito» la fermò Maed, allungando la mano per sfiorarla. «Dai andiamo, non perdiamo altro tempo.»

Si rialzarono e proseguirono. Il pavimento sotto ai loro piedi d'un tratto divenne metallico. Non era come camminare sull'ambra dei corridoi. Gli echi rimbombavano sotto di loro, sì, ma non erano eleganti e cristallini come quelli nei pressi della sala. Erano sordi, disordinati. Maed si ritrovò la pelle accapponata, sporche vibrazioni che scalavano tutto il suo corpo.

Sentì i capelli rizzarsi. Si fermò un attimo per accarezzarli, preoccupata, e prese una lieve scossa.

«Siamo quasi arrivati, vero?» chiese, al nulla.

Non rispose nessuno.

Forse, ora, si trovavano proprio sopra le scaglie del mostro, immersi dentro al suo stesso fiato.

«Adelin, quanto manca alla terrazza?»

Avanzò di qualche passo. Sentì sua sorella bisbigliare. Era un bisbiglio lontano, eppure le parve di intravedere un'ombra, appiattita contro un muro.

Stava parlando alla parete.

Si staccò di colpo. «Sì, ora ci siamo davvero.»

Quell'ultimo tratto lo percorsero camminando. Adel ora teneva qualcosa in mano. Una lanterna, forse. Ne sentiva l'odore. Ma le fiamme, non le vedeva.

Fiamme nere.

La luce stava lentamente avanzando contro di loro. Era la pallida luce della notte, delle migliaia di stelle, del bagliore blu del Faro. Non se lo ricordava così forte da quella distanza.

«Questo è un pozzo di luce» annunciò Adel, sollevando lo sguardo. Lontane, si vedevano le stelle ammucchiate le une contro le altre. «Lo usano i servitori per entrare facilmente dal tetto.» Poi sollevò la lanterna.

Maed non riusciva ancora a distinguerle, le fiamme, ma in qualche modo, le percepiva. «Stavolta,» continuò sua sorella, «lo utilizzeremo per farti uscire.»

Aveva capito, così parlò. «Non ho nessun metallo addosso. Prima di venire qua ho tolto tutto, gli orecchini, la collana... Tanesin l'ultima volta mi ha quasi strozzato.»

«Oh.» Adelin armeggiò con qualcosa. «Tieni la mia cintura. Dovrebbe bastare.»

Maed la indossò, con dita tremanti infilò la punta nella fibbia e la strinse più che poté.

«Ora, rilassa braccia e gambe. Farò tutto io.» Le carezzò una guancia. «Considerala pure la tua prima lezione dell'addestramento, se ti va.»

«Sì.»

«Vado.»

«Va bene.»

Sentì Adel accucciarsi a terra e alzare le braccia al cielo. Le fiamme sibilarono, l'odore s'intensificò e la fibbia della cintura incominciò a tintinnare.

Le punte dei piedi di Maed si staccarono da terra e lei fece come le aveva detto sua sorella.

Stava salendo, lo sentiva. Sentiva la cintura spingere verso l'alto, quasi quasi sfuggirle dai fianchi e schizzare verso l'alto. La premette con le mani. Sentiva l'aria soffiare dall'alto sui capelli e sulle guance.

«Ricorda» urlò Adel dal basso. «Mi hai promesso che saresti tornata.»

Maed guardò in alto, il buco quadrato sopra la sua testa che diventava sempre più grande. Le pareti, sfuggite un poco dall'oscurità, sfrecciavano a neanche un metro da lei.

In breve, fu quasi all'esterno. Sentiva che se solo si fosse spostata di un passo, sarebbe caduta. Una colonna densa di nulla spingeva sotto di lei. E se Adelin non l'avesse fatta rallentare, sarebbe schizzata fuori troppo rapidamente.

Maed urlò verso il basso. «Adelin!» La sua voce rimbombò, allontanandosi da lei e sfuggendo nella profondità sottostante. «Rallenta, sono quasi arrivata!»

Guardò in alto. Qualcuno si era affacciato nel pozzo, ma era solo una sagoma indistinta. Tadon era già arrivato?

Aveva il braccio teso in giù, pronto a essere afferrato.

Maed allungò una mano verso l'alto, mentre con l'altra continuava a premere la cintura contro il fianco.

E mentre continuava a cadere verso le stelle, quando finalmente sbucò da quella finestra sul tetto, afferrò la mano tesa di Tadon, stringendo le sue dita.

Frenò di colpo, rischiando di portarsi in cielo pure lui. Strinse la presa, i suoi denti sbatterono forte gli uni sugli altri. Ora si trovava a testa in giù, il braccio teso, le gambe proiettate in alto. Aveva chiuso gli occhi.

Quando li riaprì vide che a stringerle la mano era sua sorella Tanesin.

Maed soffocò un grido, e mollò la presa per lo spavento.

Fluttuò un poco verso l'alto, ma Tanesin con un balzo la riafferrò.

«Eccola qui!»

Sua mamma era seduta su dei gradini. Si alzò in piedi, sistemandosi la gonna.

Di Tadon non si vedeva l'ombra.

«Adelin, riportami giù» strillò Maed verso il pozzo. «Con le fiamme nere! Puoi farlo, lo so, lo so...»

«E invece non può farlo» sentenziò sua madre, fermandosi poco sotto di lei. «Anzi, Tan, dille pure che dovrà rimanere lì sotto fino a quando non avremo finito, altrimenti Maedlin cadrà e si romperà tutte le ossa.»

Tanesin giunse le mani attorno alla bocca, gridò l'ordine.

La voce di Adelin non giunse in risposta. Ma aveva ubbidito, perché Maed si ritrovò ferma nel vuoto, come pronta per essere giustiziata da un nobile. La magia e la gravità si bilanciavano alla perfezione.

Le sue gambe incominciarono a tremare per la fatica e la paura.

Maed si guardò frenetica intorno, e si accorse che si trovavano sulla cima spoglia del bastione della Villa. Lì non c'erano palme o siepi, solo grandi mattoni di marmo bianco. Splendevano di azzurro, quella notte.

«Finalmente ti abbiamo trovato» disse sua madre. «Pensavamo di aver fallito con te.»

«Non pensare che non sapessimo di quel furto» s'intromise Tanesin.

«Però, non sapevate di tutto quel fuoco, vero?» balbettò Maed. «Quando scienza e magia si toccano...»

«Sai che non ce ne frega niente?» Tanesin si era avvicinata di un passo. «Mamma, forse non ha capito cos'è successo» aggiunse, sussurrando a sua madre.

«Piccola, voltati, ammira cos'è in grado di fare la nostra magia.»

Maed provò a girarsi, ma lì sospesa nel vuoto era tutto inutile. D'un tratto, la cintura sfuggì dai suoi fianchi e schizzò in alto, incastrandosi sotto la sua gabbia toracica.

«Non la sa proprio usare la magia» disse Yanesin, incrociando le braccia e ridacchiando. «Ma è tutta colpa sua. Tan, aiutala.»

Tanesin si avvicinò e le prese la mano.

Accompagnandola per mano, come aveva fatto tante volte sua madre durante le prime passeggiate per i quartieri dei nobili, la fece girare su se stessa.

E alla fine capì perché la notte era sembrata così luminosa.

Gli scienziati avevano desiderato un cielo illuminato dal loro fuoco. Chissà come sarebbe stato, se il colore di quella luce fosse stato rosso. Era quello che aveva tanto sognato Andelus.

Ora, una colonna furente di fuoco blu, venata di bianco e di azzurro, vorticava intorno al Faro dalle radici alla cima. L'acqua del mare bruciava di luce, e le stelle che avevano da sempre galleggiato nel cielo erano scomparse, divorate da quella furia abbacinante.

Il fuoco schioccava verso l'alto, e Maed se lo immaginò masticare la pietra sottostante. In quei momenti, la domanda tornava prepotente.

Cos'è davvero il fuoco?

È fatto della stessa sostanza degli Spiriti? È solido? Forse, ma è così incandescente che non puoi saperlo fino in fondo. Oppure è solo un'illusione? L'illusione sotto la quale opera la magia, dove si nasconde, e nel frattempo, in profondità, distrugge per sempre.

«Basta così.»

«Maed,» disse Tanesin, mentre la faceva girare di nuovo, «ora che quel cocuzzolo di pietra si sta sgretolando come sabbia, non hai dove andare. Resterai prigioniera nella Villa. Ti faremo respirare tutto l'odore della magia. A costo di farti vomitare te lo farai piacere.» Aveva detto tutto questo fissandola negli occhi, accartocciandole le dita nella morsa della sua mano.

Ma Maed stava guardando sua madre. Lei si era seduta di nuovo sugli scalini. Ricambiava con i suoi occhi stretti, da cui si diramava qualche leggero solco sulla pelle. Si addentava le unghie.

«Tanesin, zitta» disse. «Ho cambiato idea.» Si alzò. «Guardala, come si vuole girare. Ma sono le fiamme che le interessano, o quello stupido faro?»

Mosse qualche passo elegante verso di lei. Era bella, senza alcun dubbio. «Visto che ti piace tanto, perché non ci vai?» Fece un debole gesto con la mano. Il vento parve animarsi solo per mettere ancora più in mostra i suoi lisci capelli neri. «Sì, vai.» Anche la sua voce era perfetta. Cristallina, ma non fastidiosa. In quel momento, sembrò impossibile disubbidirle.

Maed pensò a qualcosa di assurdo in quel momento. Se non fosse stata una ragazza, avrebbe cercato in ogni modo di sposarla.

Con un tempismo perfetto, come per rompere la magnificenza di quell'immagine, Tadon sbucò sulla cima del bastione, affannato, proprio alle spalle di Yanesin. La luce azzurra lo colpì sul viso sudato. Per un attimo, sembrò essere fatto di pallida cera.

Maed distolse lo sguardo. Non aveva intenzione di assistere alla sua espressione di terrore.

Sua madre sembrò accorgersi che qualcosa era cambiato. «Immagino che la guerra, quella che voi scienziati volevate così tanto, sia finalmente iniziata. Forse è anche già finita. Il vostro corteggiamento è durato troppo, e lo sai anche tu che alla fine la donne si annoiano.»

«Maed!» urlò Tadon. «Scappa, prendi il mio Nibbio.»

Maed fece per girarsi, ma il nulla attorno a lei glielo negò ancora.

«Sarà divertente combattere tra di noi» aggiunse sua madre. «Alla fine, è quello che hai sempre voluto.»

«Muoviti Maed!» Intorno a Tadon iniziò a gonfiarsi qualcosa. Urlò ancora, mentre con le mani modellava un grosso telo sopra la sua testa. «Gli scienziati hanno bisogno di aiuto.» Alcune luci comparvero attorno a lui.

Lanterne colorate.

Yanesin lanciò in avanti entrambe le braccia, e d'un tratto Maed accusò un colpo alla vita. Si piegò in due, mentre una forza invisibile la spingeva indietro. L'altra forza, quella che l'aveva tenuta sospesa dal basso, venne a mancare, come se qualcuno l'avesse fatta cadere da un piedistallo fatto d'aria solida. Rovinò a terra.

Il marchingegno volante si trovava proprio sull'orlo della terrazza.

Tadon, intanto, si librava nel cielo.

Era circondato da fuochi. Sopra di lui, una tenda enorme si apriva a forma di cupola.

«Bastardo, le nostre fiamme!»

Tanesin si mise a correre verso di lui, fece per saltare, ma Tadon era troppo alto ormai.

«Fottetevi, stronzi» urlò. «Maed, prendi il Nibbio e salta giù.»

Voleva dirgli che non era capace, ma rimase a guardarlo. Guardò soprattutto le lanterne, appese a tutti quei fili, appese al telo, mentre rimbalzavano l'una contro l'altra. Guardò i fuochi tremolanti, e quel soffio invisibile e poderoso che gonfiava la tenda, che portava Tadon sempre più vicino alle stelle.

Corse verso il Nibbio Volante.

C'era un'imbracatura, e seppe che doveva infilarsi al suo interno. Si legò ai lacci sotto le ali. Poi, cosa ancora più semplice, seppe che doveva lanciarsi.

Chiuse gli occhi e saltò nel vuoto.

Ci fu uno strattone, e sentì le ali gonfiarsi e le giunture cigolare. Quando sentì l'aria ululare contro le orecchie, seppe che ormai era lontana e stava volando.

Riaprì gli occhi e di fronte ebbe solamente lo spettacolo atroce del Faro.

Come qualche sera prima, ma le fiamme erano state decisamente più umili, e di un altro colore.

Cambiate, vi prego, cambiate. Rosse, gialle, verdi, viola, bianche. Nere. Come volete, ma cambiate colore.

L'unica cosa che accade, però, fu che le fiamme si piegarono su se stesse in tutta fretta. Si accartocciarono. Crollarono verso il mare, insieme a tutta la pietra, a tutti i mattoni.

Forse era un'illusione anche quella.

Dopo qualche secondo di silenzio, il boato avvolse Maed in un abbraccio forte, un abbraccio morboso.

***

Planò per qualche ora, legata all'imbracatura. Si era immaginata che volare fosse molto meglio di quello.

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