Capitolo Quattordici
Le luci sussurrano
Il lampadario si trasformò in una campana. Dondolava, insieme alla corda su cui si stava arrampicando Shara. Le gocce di vetro che pendevano dai bracci incominciarono a danzare, lanciando bagliori sulle pareti e affollando la sala di brevi rintocchi acuti.
Maed si guardò attorno, convinta che sua madre e sua sorella Tanesin avrebbero fatto irruzione da un momento all'altro. Ma non accorse nessuno al concerto nella sala, perché la Villa era deserta, e i servitori stavano preparando l'addestramento dell'indomani.
Adelin. Dov'era?
«Maed, sali qui e aiutami a sganciarlo» urlò Shara, sovrastando il baccano tintinnante. Arrivata in cima, s'inoltrò in quella foresta di luci e di vetro.
Non ce l'avrebbe mai fatta da sola, contro quel gigante. Ed era inutile sperare che non sarebbe arrivato nessuno a fermarli. Come in un lampo, Maed rivide la faccia di Adelin nascondersi dietro alle posate fluttuanti, gli occhi pieni di vergogna, chini sul piatto.
Si fiondò verso la corda e si appese con un balzo. Incominciò a scalare.
«Ti sei risvegliata, eh?» Shara si affacciò verso il basso, mentre il vetro riprendeva a scampanellare. «Mi stavi irritando, con quel tuo atteggiamento indolente.»
«Pensa a un modo veloce per fuggire» disse Maed. Afferrò uno dei bracci del lampadario. «Adelin non ci metterà molto a tornare insieme a mia sorella e a mia madre. E loro sanno volare.»
Shara le porse una mano. «Ma va, scommetto che si è nascosta in qualche stanza. Una di quelle lontane, così da non sentire tutto il baccano che stiamo facendo. Oh no, ladri in casa...»
Maed si appoggiò al corpo centrale del lampadario. Era come stare tra le fronde di un albero di cristallo.
«L'avrebbe fatto una volta, forse. Ora non più.»
Osservò Shara. Anche lei stava il più possibile al centro, lì dove i bracci di vetro non si sarebbero infranti sotto al loro peso. Allungò un braccio e si tirò su.
Scommetto che si è nascosta in una di quelle stanze, una di quelle lontane...
Maed s'immaginò nel futuro.
Nascosta per davvero in qualche stanza sperduta di quella villa, con i suoi tesori scientifici appesi alle pareti come trofei. Fuochi colorati sparsi a terra, specchi e lenti che modellano la luce e la fanno rimbalzare da un angolo all'altro, e le finestre sbarrate per trattenere l'odore di magia tra le mura. Nessuno l'avrebbe scoperta.
Avrebbe costruito qualcosa a difesa della stanza, rendendola inespugnabile come il Faro. Avrebbe spiato l'addestramento magico delle sorelle. Le avrebbe tormentate con i suoi scherzi, come quando era piccola e non conosceva gli scienziati.
Una volta, da quel lampadario, aveva fatto cadere una scrosciante pioggia di brodo sui capelli di sua madre e sua sorella. L'aveva trafugato la notte precedente dalle cucine, e nel frattempo era diventato denso e appiccicoso. In cambio di un segreto su Tanesin, uno dei servitori l'aveva aiutata a far fluttuare verso l'alto i due pentoloni di peltro. Lei si era issata con una corda, li aveva appesi sui bracci e aveva aspettato, mentre faceva dondolare le gambe.
Aveva ascoltato la loro discussione per qualche minuto e, quando si era stufata, aveva dato una spallata a entrambi i calderoni.
Il brodo era crollato in un sonoro schiaffo, seguito dal fracasso dei pentoloni. Entrambe erano scattate in piedi, strillando. In un gesto maestrale di stizza, Tanesin si era pulita il viso con le dita, schizzando a terra quel liquido melmoso. Aveva lanciato un solo sguardo verso l'alto, uno, e tutto il lampadario si era messo a tremare, a lampeggiare.
Maed si era abbracciata al tronco centrale per non cadere. Era scoppiata a ridere, a ridere più forte che poteva, inarcando il collo verso il soffitto, mentre perline di vetro piovevano a terra tintinnando, rimbalzando, amplificando ancora di più la sua risata.
Un tremolio vero, uno del presente, la riportò al furto nella Villa.
Voleva tutto quello, gli scherzi, i suoi tesori scientifici, la magia.
Ma, ripensandoci, forse sarebbe rimasto tutto un sogno, perché la guerra avrebbe lasciato un vincitore solo.
«Ehi, voi tre!» Shara si era protesa fuori dalla chioma del lampadario. Indicò il tavolo, quello della cena. Ombre di bruciature serpeggiavano sotto di esso. Era stato rimpiazzato. Fiamme nere come la notte avevano distrutto quello che c'era prima. «Spezzategli le gambe e mettetevi al lavoro.»
I tre ragazzi si scambiarono delle occhiate, poi si chinarono a terra e appoggiarono in tutta fretta corde, chiodi, martelli e ruote di legno.
«Maed, vieni qui.»
Maed vide Haon avvicinarsi al tavolo e con rabbia tirare un calcio a una delle gambe.
«La vedi?» Shara staccò una delle gocce dal lampadario. A migliaia, pendevano come orecchini. Dopo qualche secondo, la luce rosacea di cui stava brillando si affievolì fino a scomparire. «Scommetto che nemmeno tu sai come funzionano.» Teneva la goccia tra il pollice e l'indice, come per studiarla.
«Vediamo se è come la scienza, questa bastarda della magia» aggiunse. «La apriamo e vediamo cosa c'è dentro.»
Estrasse da una tasca della gonna un coltello e incominciò a segare la parte superiore della goccia. La lingua, nel frattempo, le accarezzava il labbro superiore, scivolando da un'estremità all'altra.
Maed si affiancò a lei, e approfittò per guardare in basso un'altra volta. Haon era in piedi di fronte al ripiano di legno del tavolo. Pems appoggiò l'ultima delle quattro ruote ai suoi vertici, mentre Cran usava il Fiammerino per bruciare una corda e staccarla in più pezzi. Persino da lì sopra, s'intravedevano i suoi occhi emozionati ogni volta che la fiammella sbucava dalla sommità.
«Niente, vedi?» Shara le sfiorò il collo. Le mostrò l'interno cavo della goccia di vetro. Era veramente vuota. Un'impercettibile punta di odore magico pizzicò le narici di Maed.
«Ora, tutto questo interesse da parte degli scienziati è un po' strano, no? Non ci credo che vogliono il lampadario solo per fondere il vetro.» Shara afferrò uno dei tanti grappoli che pendevano dai rami, e staccò un'altra goccia. La luce verde di cui risplendeva scivolò via. «Forse stanno davvero cercando di comprendere la vostra magia. Sono fatti così, no? Sempre a chiedersi perché.
«E chissà quanto rode a mia madre, che si è sbattuta così tanto per trovare una spiegazione alla sua luce, alla sua elettricità.» Rise, lanciando alle spalle la goccia di vetro. «Sono sicura che è stata lei ad avanzare questa strana richiesta. Be', allora sarà sua figlia a portarle a casa il bottino.»
Si sporse per impartire un altro ordine, poi la invitò a seguirla.
Mentre saliva, Maed vide la gonna del suo vestito aprirsi, mettendo in mostra la biancheria, i muscoli asciutti delle cosce che si contraevano, e lame lucenti di coltelli nascoste in tasche di stoffa.
Quella sola vista bastò a riportarla in uno stato di allerta. Si affacciò oltre la chioma di perline luccicanti, per ispezionare la stanza.
L'arco dai cui erano entrati era deserto, così come lo stralcio di corridoio che s'intravedeva di dietro. Chiuse gli occhi.
La sala era animata unicamente dal rintocco costante di un martello sul legno, dall'occasionale tintinnio di qualche goccia di vetro, e dallo sfregare sibilante del Fiammerino. Inspirò col naso.
Non c'era altro suono. Il corridoio di ambra, il viscere solido e luminoso che circondava la sala, doveva essere deserto, altrimenti avrebbe rintoccato la sua melodia sotto i passi di qualcuno.
Riaprì gli occhi.
Tadon era in piedi sotto l'arco, un sacco rigonfio sulle spalle.
Una bolla di fiato si arrampicò su per la gola di Maed, ma lei riuscì a strozzarla prima ancora che si trasformasse in suono. Si tappò la bocca, espirando lentamente dal naso. Una volta svuotati i polmoni riprese fiato e guardò in alto.
«Dai, muoviti» la incitò Shara. «Cos'è, ti è ritornata la paura?»
«No.» Maed si issò verso l'alto e si posizionò accanto a lei, accucciata. Appena ebbe riacquistato l'equilibrio, si voltò nuovamente verso l'arco.
Era ancora lì. Guardava ammirato quello che succedeva nella sala, vagando con lo sguardo dai ragazzi al lampadario. Maed fece per voltarsi, per evitare che i loro occhi s'incontrassero di nuovo, ma si era mossa troppo tardi.
Tadon le annuì compiaciuto e sorridente, poi proseguì da dov'era venuto, silenzioso com'era comparso.
«Vedi, questo coso è dannatamente spesso.» Shara stava parlando da sola.
Maed restò con gli occhi puntati sull'arco. Lanciò anche una rapida occhiata in basso. I ragazzi sembravano non essersi accorti di nulla, completamente assorti nel loro lavoro.
«Mi ascolti, cazzo?» Shara la scosse alle spalle. «Abbiamo già perso troppo tempo.» E si girò ancora.
Maed le afferrò di scatto i fianchi e la fece spaventare. Non sapeva perché lo aveva fatto. Il cuore continuava a scalciare nel suo petto.
«Che fai, scherzi?» rise nervosamente. «Ci divertiremo dopo, se vuoi. Ora abbiamo altro da fare.»
Un pensiero strano le ricordò che se avesse voluto, avrebbe potuto semplicemente allungare una mano e farla cadere in basso. Lo stesso valeva per Shara.
Maed si strinse a uno dei bracci.
«Dicevo, per tagliare questo tubo, ci vorranno ore.» Accarezzò la superficie del cilindro di vetro che scendeva dal soffitto e si collegava al cuore della chioma di cristallo. Infilò una mano sotto la gonna ed estrasse un altro coltello, il filo della lama interrotto da centinaia di denti affilati. Glielo porse. «Iniziamo a segarlo.»
«Se cade, finiremo in mezzo a una foresta di schegge di vetro.»
«Oh, tranquilla. Mentre noi due saremo impegnate a tagliare il vetro, i ragazzi avranno legato delle corde al lampadario e al soffitto. Anche al pavimento. Quando avremo finito, resteremo sospesi insieme a tutto il gigante, puoi giurarci.»
Annuì soddisfatta. «Poi, lo caliamo sul carretto che stanno costruendo, tirando le funi, proprio al contrario di come fa Gravio con l'ascensore. Siamo scienziati. Approfittiamo, no?» Il suo sorriso si distorse un po' troppo, dietro lo spesso spesso tronco di vetro. «A che punto siete, là sotto?»
«Abbiamo... quasi finito» disse tossendo Haon. «Questo cazzo di odore» imprecò più piano.
«Dai, iniziamo» disse infine lei. E piantò la lama del coltello sul vetro.
Maed afferrò il tubo centrale per avere una presa più salda. Le perline incominciarono a tintinnare, sotto il ritmo feroce con cui Shara aggrediva il vetro.
«L'odore sta diventando troppo forte.» Maed si fermò e accarezzò il filo pericoloso del coltello. «Haon ha ragione. Di solito non è così forte in questa stanza.»
«Potresti... avere ragione» disse Shara. «Ma continua a tagliare.» Si fermò un attimo e tossì. Si sfregò il naso, poi continuò il lavoro.
La testa di Maed incominciò a girare, come in preda a un debole dondolio. L'aria stava diventando pesante e acida. Deglutì, e sentì il sapore della magia.
Si accorse di aver smesso di tagliare. Riprese, spalancando a più non posso gli occhi, che volevano chiudersi a tutti i costi.
Un grido spaventato giunse dal basso e la destò dalla sonnolenza. Il coltello le sfuggì dalle dita e rovinò in basso, rimbalzando sul vetro.
«Pems!»
Shara ci mise qualche secondo a reagire. «Che succede?» gridò, spaesata. Si sporse fuori dal lampadario.
Maed la seguì. Haon e Cran erano chini sul corpo di Pems. Haon gli tirò un ceffone sulla guancia, ma il suo capo si limitò a voltarsi dall'altra parte, in un movimento letargico.
«È svenuto» sussurrò Maed.
«Cosa?»
«È successo anche a me una volta. La testa mi girava e non riuscivo a tenere gli occhi aperti, continuavo a cadere.»
Shara era rannicchiata, gli occhi spalancati, le dita ancora strette attorno all'impugnatura della lama.
Questo non lo sai, eh?
«Quando è tanta, la magia fa questo effetto.» Maed arricciò il naso e deglutì un altro grumo acido di saliva.
Shara si sporse di più. «Sembrerebbe un meccanismo di difesa» disse. «Stanno facendo qualche magia perché vogliono farci scappare, o ucciderci direttamente. Non so cos'è, se veleno o qualcosa che non capiscono nemmeno loro. Ma noi restiamo qui fino a quando non abbiamo finito.»
«No, Shara» urlò Cran rivolto verso l'alto, il viso rosso, la voce un po' troppo debole. Ripose il Fiammerino nella tasca. «Pems sta morendo, e io mi sento troppo debole.»
«Lascia lavorare Haon, allora. Tu stai vicino a Pems e controlla che il suo cuore non si fermi.»
Cran abbassò il capo. Sarebbe svenuto a breve anche lui. Maed lo vide barcollare, ubriaco dell'odore di magia, tremolante dietro una coltre pesante di aria.
«Maedlin.» Shara ritornò al centro del lampadario. Aveva un altro coltello in mano, il braccio proteso in avanti. «Dobbiamo muoverci, o qui rischiamo di addormentarci e cadere come frutti da un albero.»
Pure la faccia di Shara stava tremolando, come scossa da una ventata incandescente. Ma non c'era nessuno fuoco sotto di loro.
«Shara!»
Shara ringhiò e si sporse ancora. «Cosa vuoi, ancora?»
«Qui sta tremando tutto» rispose Haon. «L'aria, intendo, l'aria sta tremando.»
Maed si affiancò a Shara, impegnata a contrastare un accesso di tosse. «Vado a controllare cosa succede» le disse. «Viene da un'altra parte.»
Shara scosse la testa, la fronte corrucciata e gli occhi socchiusi in un'espressione di disgusto. «Tu non vai da nessuna parte, prima dobbiamo finire qua. Pems è svenuto perché è debole.»
Maed le afferrò il braccio, e di nuovo seppe che avrebbe potuto gettarla in basso con una semplice spinta. «Questa volta ti sbagli.» Affondò le unghie nella sua pelle e i suoi occhi si spalancarono. «L'odore viene da un'altra stanza, e qualcuno sta preparando qualcosa di pericoloso. Non lo può sapere una semplice ladra come te.»
Adel. Era già in grado di generare qualcosa di così abnorme? Doveva andare a vedere.
Haon sbucò da sotto il lampadario. Gettò il capo all'insù e spalancò le braccia. «Che magia è mai questa?» Era quasi distorto, lontano, come nascosto dietro a tonnellate d'aria. Lo spaziò alle sue spalle parve perfino colorarsi di verde.
Da qualche parte sorse un lieve ronzio. Il lampadario tremò, e tutte le lucine lampeggiarono per una frazione di secondo.
«C'è qualcosa che fa venire le allucinazioni, in questo dannato odore!» Shara si afferrò i capelli e lanciò un urlo di disperazione.
Maed cercò la corda per calarsi, ma quella volta fu Shara ad afferrarla, chiudendo una mano attorno a una sua ciocca di capelli. E all'improvviso, i suoi occhi da furiosi si trasformarono in sconvolti. Una palpebra le tremò con uno spasmo. Ritirò le dita.
Maed si voltò e vide gli Spiriti.
Quella volta accarezzavano il pavimento, come vapori pesanti. Si protesero sinuosi verso il centro della sala, fino a sotto il lampadario, come tante dita colorate. Si attorcigliarono attorno ad Haon, mentre lui indietreggiava inutilmente strisciando sul sedere.
La luce delle perline tremolò e lampeggiò un paio di volte, fino a scomparire del tutto. Rimasero soltanto gli Spiriti, a tenere l'oscurità lontana con la loro luminescenza spettrale.
Erano sempre stati nel cielo. Sempre. Maed li aveva sempre visti scandire il susseguirsi dei giorni, ogni quattro giorni, tra Congedo e Saluto.
Perché ora dentro alla Villa, eh?
Avanzavano, e quasi si staccavano da terra, per venirla a prendere. Per portarla via da quella stanza, avvolgerla nella loro luce morbida, tra le loro sete impalpabili.
Maed li cercò, tremante, muovendosi cauta sui bracci di vetro del lampadario, mentre perline di vetro le accarezzavano i capelli.
Shara si parò di fronte a lei, con un coltello stretto fra le dita. Era nascosta nella penombra, solo qualche lieve bagliore le accarezzava le guance e la fronte. Abbastanza per mostrare la sua espressione incredula.
Si ritrasse immediatamente. Sussurrò. «Stai fluttuando.»
Allungò un braccio per afferrarla, ma il lampadario tremò ancora, e lei dovette appendersi per non cadere.
Maed approfittò del momento per continuare a cercare un punto per scendere.
L'aurora, come l'aveva chiamata Tadon, si era addensata di sotto. Era lei a far tremare tutto, se lo sentiva. Era stata lei a suscitare quell'allucinazione negli occhi di Shara. Lei non sapeva volare.
D'un tratto, gli Spiriti iniziarono a ritirarsi. Pulsando, come fiati, come la veste di una nobile che striscia sul pavimento assecondando l'incedere dei suoi passi. Girarono l'angolo e scomparvero oltre l'arco.
«Dove vanno?» strillò Shara, mentre la sala calava nell'oscurità più totale.
Maed raggiunse il punto dove l'arpione si era agganciato al lampadario. Afferrò ai lati la gonna del vestito e si arrotolò il tessuto attorno alle mani. Si lanciò in basso, e ghermì la corda con dita protette dalla seta.
Toccò il pavimento rannicchiata. Arrancò nel buio, gli occhi puntati su quel bagliore debole come l'alba di Hajen.
«Gli Spiriti sono scesi in terra» gemette Haon poco più in là. «Ci vogliono uccidere...»
Due o tre colpi di tosse sofferta ruppero un'ultima volta il silenzio. «Eh... cosa... perché è tutto buio?» Era la voce di Cran. Quella di Shara mancò ad arrivare. Maed lasciò la sala.
Pure il corridoio giaceva quasi del tutto nell'oscurità. La schiera di lampade magiche appese alle pareti erano come scomparse. In fondo, si agitava vorticosa una nube di Spiriti. Virava dal blu al verde, e dal verde al viola. La stava aspettando, la stava chiamando.
Maed avanzò, accarezzando la parete di ambra con le dita. Immancabili, le note emersero dalle profondità sotto di lei. Tra un passo e l'altro, tra lo sfumare di un colpo e il nascere di quello successivo, poteva percepire un lieve ronzio di fondo, quello di centinaia di insetti piccoli e lontani. Maed tenne d'occhio la luce densa e suadente, convincendosi che quel suono fosse il loro bisbigliare concitato, miriadi di vocine che sussurrano eccitate per il suo arrivo.
Le lampade ripresero vita una dopo l'altra, e il fuoco esplose di nuovo al loro interno, nelle diverse tonalità di colore. Maed si bloccò un attimo. Si guardò alle spalle, e si accorse che gli Spiriti ora erano anche dietro di lei.
C'era... una persona, in fondo. Un'ombra alta e indistinta tra la nebbia lucente, con un vestito che toccava terra. Parve avvicinarsi di un passo. «Vai» disse, sollevando un braccio. «Vai, avanti cara, ce l'hai quasi fatta.»
Maed ubbidì. Gli Spiriti erano ancora lì, e ora fu certa che erano lì per lei. Non importava se quella sagoma fosse frutto della sua fantasia, un'allucinazione dovuta a tutto quell'odore. La luce ora esplodeva in archi, in lingue vivide come il fuoco, e toccava il soffitto, gettandosi nuovamente sul pavimento.
Lo spettacolo cessò, e così il ronzio. Non c'era più nulla. Tutto era scomparso di colpo, senza alcuna dissolvenza.
Dove gli Spiriti avevano danzato, ora stava in piedi Adelin.
Maed vide per prime le sue mani, le sue dita sottili. Tremarono e s'irrigidirono. Poi toccò alla faccia. Quella volta non ebbe niente con cui nasconderla. Tenne gli occhi fissi su di lei. Si contemplarono per qualche istante.
Le corse incontro, e la fermò prima che potesse scappare. Adelin si dimenò, gemette, ma Maed l'abbracciò. La strinse, e basta.
Adel rimase rigida per qualche secondo, ancora voltata di spalle, infine rilassò i muscoli e fece per girarsi. Non smetteva di tremare.
«Il tuo...» balbettò, «quel tuo tesoro? Quello che fa il fuoco rosso, dov'è?»
«Non ce l'ho più, Adel.»
La sentì espirare, lentamente.
«Perché sei qui, Maed, perché?» Ora erano di nuovo una di fronte all'altra.
Maed affondò la faccia nei suoi capelli. Sapevano di glicine. Il profumo scacciò l'odore di magia. «Stavamo rubando il lampadario, Adel, per gli scienziati.» Inspirò di nuovo. «Perdonami.»
«No, lo sapevo che saresti tornata alla Villa.» Si staccò e le prese il volto fra le mani. «Intendevo, perché sei qui, in questo corridoio?» I suoi occhi limpidi erano terrorizzati.
«Gli Spiriti, erano... mi hanno chiamato.» Sfuggì dalle mani della sorella e si voltò per cercarli. Ma ovviamente non c'erano più. E nemmeno l'ombra dietro di essi.
Adelin fece per chiedere una cosa, ma scosse la testa. «Non importa. Ora sei di nuovo qui. Era colpa mia, tutto quell'odore. Ho spostato tutta la magia della Villa nelle cucine, l'ho concentrata tutta lì, tutta, per attirarti. Lo sapevo che saresti tornata alla Villa. Dovevo solo farti tornare da me.»
Maed fece per parlare.
«Vieni, andiamo» disse Adel. Cercò le sue dita e la tirò a sé. Ma Maed stette dov'era.
Adelin deglutì. «Quella stanza ormai è troppo satura di magia. È pericoloso entrarci.»
«Questa sera tocca alla scienza.»
Lo pensava davvero? Ora, doveva trovare di nuovo gli Spiriti.
Gli occhi di Adel si erano stretti. «Queste stanze non sono fatte per la scienza, Maed.» Le prese il polso e lo strinse.
«La guerra sta per iniziare, non c'è più un posto per questo o per quello.»
Si osservarono in silenzio.
«Scappa» sussurrò Maed, avvicinando la bocca alla sua guancia. «Lascia questo posto. Vai sulle isole dove stanno i nonni, quando-»
L'aria esplose dietro di loro e le scaraventò lungo il corridoio per qualche metro.
Tutto sfrecciò attorno a loro. Il pavimento, il soffitto, i loro capelli, i loro vestiti di seta. Il boato tuonò dentro di loro fino alle ossa, ed entrambe si ritrovarono aggrovigliate una nell'altra, schiacciate contro la pietra fredda.
Quando tutto passò, c'erano solo fiamme nel corridoio. Blu, rosse, arancioni. Si baciavano e si mischiavano.
L'odore di magia colpì Maed all'improvviso, e subito dopo giunse un forte tanfo di resina bruciata. Adel si districò, si alzò in piedi tremante, barcollò verso la sala. Maed la seguì, aggirando lingue di fuoco e pozze di ambra liquida. Lì, dove una volta c'era stata la storia degli Astrali.
La sala era illuminata a giorno dalle fiamme. Il lampadario era crollato, ora ridotto a un ammasso informe di vetro sul pavimento. Haon sbucò da dietro, zoppicando, Shara distesa sulle sue braccia. Pems era seduto contro una parete. Cran non si vedeva.
Adelin si artigliò la faccia. Lacrime correvano sulle sue guance e sulle sue dita. Dal lampadario distrutto eruttò una fiammata azzurra, e lei afferrò la mano di Maed, la sua pelle umida per il pianto.
«Tan e la mamma non ti devono vedere.» E la tirò di nuovo nel corridoio.
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