Capitolo Nove

Scienza subdola

Tadon e Maed avevano aspettato ore fuori dal Faro. Tra loro aveva regnato il silenzio più assoluto.

«Ancora è presto, gli scienziati dormono fino a quando Udenas non tramonta» aveva detto lui, appena arrivati. «Dovremo aspettare.» Aveva nascosto il suo aggeggio con la vela in una cavità nella roccia. Ala dell'Oceano, l'aveva chiamato.

Maed si sedette sul ciglio della scogliera, lasciando penzolare le gambe nel vuoto. «Oltre a Gamon, Hajen e Udenas, quali sono gli altri pianeti?».

Maed sapeva che in tutto erano cinque, oltre Tumenor, due dei quali però non si affacciavano mai sulla città di Asdenar.

«Gamon non è un pianeta» disse Tadon da qualche parte alle spalle di Maed. «È una stella.»

«Cosa?» Maed si voltò, ma lui non rispose.

Il Faro era imponente sopra le loro teste. Maed sentì d'un tratto lo stomaco serrarsi e la voglia di fare altre domande morirle sulle labbra. Era impossibile prevedere cosa fosse successo nelle profondità sottostanti, quando il fuoco aveva ripreso a risplendere di blu. Forse gli scienziati erano stati avvelenati, forse stavano semplicemente dormendo. Oppure i nobili avevano usato qualche strana magia. A testimoniarlo, però, non era rimasto alcun odore.

Tadon incominciò a incidere la roccia con una pietra appuntita. Ogni tanto strillò per la frustrazione e, gettando via il sasso che aveva in mano, rischiò di colpire Maed in testa.

In circostanze normali, lei avrebbe fatto irruzione nel Faro e si sarebbe calata nelle sue profondità. Invece aspettò, logorata dall'attesa. Intravide di sfuggita gli strani simboli incisi da Tadon sulla pietra bucherellata e scura. Subito tornò a osservare Gamon, mentre si nascondeva dietro all'orizzonte curvo. Una stella?

Maed sentì il respiro affannato di Tadon, i suoi ringhi sommessi. Lui urlò un'ultima volta, ancora più disperato. E infine si sedette tremante, accanto a lei, la mano sulla sua. «È l'ora» disse.

Si alzarono. Camminarono sopra le incisioni sulla roccia: linee dritte e curve, alcuni cerchi, elenchi di numeri.

«Cos'è?» chiese Maed.

«Non ci capiresti nulla» sbuffò Tadon. Strinse la presa sulla sua mano, torcendole il polso. Maed gli lasciò le dita, confusa. Era sudato, fissava l'entrata del Faro con un cipiglio sulla fronte.

Entrarono.

All'interno del Faro una scala a chiocciola si inerpicava fino in cima, il pavimento, invece, era spoglio. Mattoni di pietra scivolosi e incrostati di licheni. Tadon chiuse la porta di legno alle loro spalle e d'un tratto calò l'oscurità.

Una fascio di luce collimato giunse dal fondo della porta, sbucando da un foro sul legno. La polvere danzava al suo interno, mentre esso finiva contro la parete curva del Faro, disegnando sulla pietra un dischetto lucente. Tadon si spostò, strusciando contro Maed.

Sfilò qualcosa dalla parete e lo lasciò cadere a terra con un tonfo. Dopo essersi spostato, il disco di luce si mosse dalla sua schiena nuovamente alla parete. Il raggio rimbalzò. Maed cercò la sua nuova destinazione, accorgendosi solo dopo qualche istante che ora puntava dritto sul suo petto.

«Spostati.» Tadon la scansò, cercando qualcosa nel punto dove aveva appoggiato le spalle, ed estrasse qualcos'altro dalla pietra.

Il fascio di luce deviò ancora una volta. Specchi incastonati nella parete, doveva trattarsi di quello.

Tadon ripeté la medesima operazione una dozzina di volte, spostandosi all'interno del Faro. Maed, seduta sul primo scalino, osservò i raggi rimbalzare da una parte all'altra. Davanti a lei, si era formata una fitta trama di luce. Nell'incrociarsi, quei fasci luminosi, si erano accesi in più punti, come piccole lucciole congelate nell'aria. Sembravano stelle.

Tadon sbuffò. Attraversò il groviglio, la luce che disegnava altre stelle sul suo volto. Osservò i puntini lucenti di fronte a sé, e si spostò, scrutandoli da un'altra prospettiva. Tirò un pugno alla parete.

«Cosa cerchi?» chiese Maed.

«Quei bastardi mi rendono la vita sempre più difficile.» Tadon si accasciò a terra.

«Allora... non è morto nessuno?»

«No, e sembrano ancora più in forma del solito.»

Distese il braccio di fronte a sé, cercando di afferrare con la mano una di quelle luci sospese. «Questa dovrebbe essere una costellazione. Qualcuno, qui sotto, si diverte a modificare l'angolazione degli specchi per porre questi indovinelli a chi deve entrare. Forse non hanno capito che c'è qualcuno lì fuori che non si farebbe scrupoli a bruciare tutto, di certo senza fermarsi qui a cercare di indovinare la costellazione del giorno.»

Una costellazione. Maed inclinò il capo. Non aveva sbagliato, allora. Erano davvero stelle.

«È un occhio» tirò a indovinare.

«Un occhio, dici?» disse Tadon, accigliandosi dietro alla ragnatela di luce.

Maed raddrizzò il capo. «Sì, quando stavo sul tetto della Villa lo vedevo sempre—»

«L'Occhio!» Tadon si appiattì a terra, urlando contro la pietra. «Stronzi, apritemi! Costellazione dell'Occhio!»

Il pavimento e le pareti vibrarono. Maed si rialzò, e sentì lo stomaco sollevarsi, un po' come quando si era lanciata dalla finestra di camera sua. Era come se l'intero atrio del Faro stesse precipitando. Tadon raccolse tutti i mattoni che aveva lasciato cadere e l'inserì di nuovo al loro posto. L'intricata rete di luce poco alla volta si ritirò.

«Brava, Maed» disse Tadon nell'oscurità, accarezzandole i capelli. «Brava.»

Ci fu un tonfo. Una striscia verticale di luce si allungò di fronte a loro. Quando congiunse il pavimento al soffitto, iniziò ad allargarsi, accompagnata dallo stridio e dalla vibrazione della pietra.

«Eccoci qua» annunciò Tadon.

La Combriccola era un luogo fumoso. Maed ebbe l'impressione di avere la vista appannata. Fasci di luce sconnessi provenivano dall'alto soffitto, da terra, dalle pareti. Sembrava la riproduzione ingrandita di ciò che era stata l'entrata del Faro. Era luce calda, quasi rossa, come quella del cielo quando sorgeva Udenas.

«Non mi lascerete mai fuori» disse Tadon, tirando una pacca sulla spalla all'uomo a lato dell'entrata.

«Sai che non decido io quella robaccia» rispose quello, mentre si affannava a tirare verso il basso una catena che sbucava dal soffitto. «Non perdere altro tempo, ragazzo. La Magnetica e l'Esplosivo ti aspettano per quella dimostrazione.»

L'espressione di Tadon si rabbuiò. Maed restò dietro di lui in silenzio. Era difficile stare ad ascoltare. Percepì la pulsione di mettersi fra loro e gestire la discussione, anche se non aveva la minima idea di cosa stessero parlando.

L'uomo diede un'ultima tirata alla catena, e la lasciò sferragliare contro la parete. «Che c'è, si è già spenta la tua euforia?» domandò, colpendo Tadon sul fianco. Lanciò un'occhiata anche a Maed, incuriosito.

«Prima devo accompagnare questa ragazza da Andelus.»

L'uomo si sporse ancora e si chinò. Aveva lunghi capelli giallastri e consunti. «Occhi verdi» sentenziò, sistemandosi delle lenti davanti agli occhi. «Chimica.»

«Ancora è una Ladra, non deviarla che fai solo casini.»

L'uomo scostò Tadon e si avvicinò ancora di più a Maed, cercando il suo braccio. «Questo è interessante» disse, mentre accarezzava con un pollice il suo tatuaggio ferito. «Spiegami quest'anomalia.»

«Sono una nobile.» Maed si rischiarò la gola. «Il tatuaggio me lo sono fatta fare io, quando i miei genitori hanno deciso di sospendere il mio addestramento per la magia.»

«Sono stati loro a graffiarti, per l'affronto?» chiese ancora l'uomo, studiando il triangolo.

Sentì Tadon prenderle la mano, impaziente.

«È stato un pescivendolo vicino al porto.»

L'uomo alzò lo sguardo verso Tadon, sorridendogli amareggiato. «Sarà difficile farli passare dalla nostra parte, ragazzo. Perfino i poveri sembrano riconoscere chi sono i veri maghi, ora. E non accettano falsità.» Si rivolse di nuovo verso Maed. «Ragazza, hai scelto la strada giusta. Qualcuno ha già distrutto l'illusione che hai al braccio, e sappi che qui non ci sarà altro spazio per quelle cose. Stai attenta.»

Tadon tirò Maed verso di sé. «Buona nottata, Gravio.»

«E buona fortuna a te, Tadon» disse, inchinandosi.

Entrambi si allontanarono, inoltrandosi nel vasto corridoio.

«Cosa mi ha detto quell'uomo?» chiese Maed.

«Gravio ti ha consigliato di non voltarci le spalle.»

«No, intendevo...» continuò lei, cercando di rimanere al passo. «Chimica.»

«Si diverte a indovinare dove risiederanno le nostre scoperte. Ma non indovina quasi mai, quindi non starlo a sentire.»

Il terreno vibrava sommesso, lo sferragliare e il cozzare del metallo giungevano dal basso.

«La chimica è quella che fa esplodere le cose?» chiese Maed.

Tadon si bloccò in mezzo a una rampa di scale e la guardò. Anche lui aveva gli occhi verdi, ora che prestava più attenzione. «È un modo di vederla, ma forse un po' troppo catastrofico.» Riprese a scendere e Maed lo seguì.

Una volta arrivati in basso, di fronte a loro si aprì quella che forse era la vera e propria Combriccola. Gli uomini si spostavano da una parte all'altra del vasto salone. Alcuni trasportavano travi sulle spalle, altri reggevano dei fogli mentre intrattenevano discussioni con altre persone. Appesi al soffitto con delle catene, enormi specchi deviavano la luce e spesse lenti di vetro la disperdevano in più direzioni.

Maed vide Tadon sorridere. Lui avanzò di qualche passo, entrando in un cono di luce proveniente dall'alto.

«Da dove viene la luce?» chiese Maed.

«Da fuori» rispose lui, voltandosi.

«Ma fuori la luce è troppo debole, qui invece sembra quasi giorno.»

«Ricordi quel piccolo ragazzino che ha rischiato di incendiare una nave con solo un paio di lenti di vetro, sfruttando la luce fiacca di Hajen?»

Maed annuì, rievocando il disastro avvenuto poco prima di salpare per la capitale, qualche giorno dopo che era diventata donna. Quando aveva tentato di bruciare sua sorella consapevolmente per l'ultima volta. Lanciò uno sguardo al soffitto, dove le lenti erano centinaia di volte più grandi di quelle che aveva usato Tadon prima di lanciarsi in mare. In qualche modo raccoglievano la luce da fuori e l'amplificavano, prima di spedirla verso il basso.

«Ancora non la conoscevi la Combriccola, vero?» chiese Maed, seguendo Tadon che si districava in mezzo alla folla. Era incredibile come le loro vite si fossero intrecciate più volte prima di rivolgersi la parola. Chissà quante volte era successo, ma entrambi non se ne erano mai accorti.

«No, ma fu proprio uno dei mozzi su quel veliero ad adocchiarmi e a invitarmi per la prima volta qui. Aveva gradito la mia follia.» Tadon si fermò in mezzo alla sala, gli scienziati che sciamavano attorno a loro. «Basta fare domande ora, per quelle avrai tutto il tempo. Goditi questo paradiso. È quasi l'ora, penso.» Tadon allargò le braccia.

La luce si stava facendo più debole. Un cigolio proveniente dall'alto annunciò che le lenti e gli specchi si stavano spostando. I coni di luce si spensero uno alla volta, fino a quando non rimase solo il buio, e il chiacchiericcio sommesso degli scienziati nella sala. Tutto durò qualche secondo, ciascun presente immobile ad aspettare.

Un brusco soffio sovrastò il vocio dei presenti, seguito da una cascata di sbuffi e sfrigolii. Fiamme rosse avvamparono da ogni parte: sulle pareti, file di fiaccole infuriate, e sul soffitto, appese alle catene. Gli scienziati esultarono e ripresero a muoversi per la stanza. Una donna, a pochi metri da Maed, trascinò una specie di focolare, una coppa enorme sorretta da gambe metalliche. Fuoco rosso oscillava al suo interno, ma non c'era nulla che lo alimentasse. Il fumo incominciò a riversarsi nell'aria, nero e denso.

Tadon ridacchiava, guardandosi attorno. Lei trattenne ogni domanda, aspettando che fosse lui a parlare, ma la prese per un braccio e la trascinò via dal centro della sala.

«Dobbiamo cercare Andelus» disse, una volta arrivati in fondo.

Non fece in tempo a proseguire, che un uomo a petto nudo lo afferrò per l'avambraccio, spuntandogli alle spalle. «Ragazzo, tu che sei stato fuori.» Si guardò attorno, la fronte madida di sudore. «Dove cazzo è finito il Vaporoso?» Lo strattonò ancora, poi deglutì. «Dimmi che l'hai visto.»

Tadon cercò di divincolarsi, nonostante la presa ferrea dell'uomo. Maed si allontanò, e l'uomo le lanciò uno sguardo furtivo.

«Oh, Temprato, saluti.» Tadon provò a fare un inchino, ma l'uomo gli sostenne il petto con una mano.

«Allora?» lo incalzò.

«Non l'ho visto, no. L'avrei riconosciuto.» Si accertò che Maed fosse ancora dietro di sé, poi parlò ancora. «Perché, da quanto non si fa vedere?»

«Oh, da stamattina. Ma non è il tempo il problema. È che adesso non dovrebbe assentarsi nemmeno per un'ora. È uscito a raccogliere la sabbia per fare tutto il vetro che ci serve e non è più tornato. Astrali dannati.»

«È per quella cosa del—»

«Sì, dannazione» disse l'uomo, staccandosi da Tadon. «Per cos'altro, sennò?» Lanciò un'altra occhiata a Maed. Afferrò Tadon per le spalle e lo spostò di fronte a sé, in modo da coprirla.

Provò a bisbigliare, ma non riuscì nemmeno a contenere il tono. «I nobili stanno uccidendo troppi di noi, per quanto mi riguarda. Ecco, non vorrei che... hai capito. Se quel cazzone si è fatto prendere tanto vale che ci diamo fuoco da soli.»

Maed si spostò, tornando a vedere l'uomo col petto nudo. Le vene gli solcavano il braccio e la testa glabra.

«Io stamattina ho assistito all'uccisione di uno scienziato» s'intromise.

Il Temprato la fulminò con lo sguardo.

«Com'era vestito, Maed?» le chiese Tadon, con la voce tremolante.

«Ero piuttosto lontana, ma non sembrava uno di quelli scienziati importanti.»

L'uomo pelato continuò a digrignare i denti, poi soffiò dalle narici e si rilassò un attimo.

«Quell'uomo non è stupido» disse Tadon, allontanandosi dallo scienziato. «E penso che i nobili avrebbero organizzato qualcosa di più spettacolare, per la morte di uno come il Vaporoso.»

«Ma che ne sanno, loro?» disse, girandosi per andarsene. Ma si fermò all'istante e si voltò un'ultima volta. «Tadon, ragazzo» aggiunse. Gli puntò il dito sul petto. «Sappi che se i nobili hanno preso il Vaporoso e lo hanno ammazzato con qualsiasi diavoleria delle loro, dovrai avere paura anche tu. Questa cosa di volare...» e staccò il dito, sghignazzando e allontanandosi di nuovo tra la folla «non ci sarà nulla per te, e per nessun altro. Non ci sarà nessun inizio per nessuno di noi scienziati, che abbiano un nome o meno.»

L'uomo che si faceva chiamare Temprato si fece strada in mezzo alla calca, scomparendo.

«Andiamo, dai.» Tadon continuò nella direzione che aveva seguito in precedenza. Scomparve dietro un angolo, sulla destra. Maed rimase ad osservare la folla di scienziati che occupava la sala. Erano rumorosi, litigavano ed esultavano. Altri correvano indaffarati, trasportando sulle spalle oggetti di metallo che Maed non riconosceva. Una fiammata ruggì verso l'alto, ergendosi dal centro della sala, accompagnata da un clamore festoso.

Maed si voltò, seguendo la strada che aveva percorso Tadon, e si ritrovò in un corridoio molto largo. Lui l'aspettava qualche metro più in là. «Strano, vero?»

«Ogni notte è così? Sembra una festa.»

«Da qualche Saluto a questa parte sì» rispose, sorridendo. «Aspettavamo soltanto un'idea, e quando è arrivata, l'euforia è esplosa. Letteralmente.» Poi riprese a camminare e Maed gli stette dietro.

Mano a mano che si allontanavano, gli schiamazzi si persero inghiottiti dalla pietra che li circondava. I muri erano scuri, come i mattoni del Faro. Appese alle pareti, delle fiaccole rischiaravano l'ambiente, ma senza disperdere del tutto la penombra. Niente a che vedere con la luce proiettata dalle lenti e dagli specchi.

Ai lati del corridoio, alcuni scienziati erano raccolti a capannelli. Maed si accorse che scribacchiavano qualcosa sulle pareti scure, con dei gessi bianchi. Senza perdere di vista Tadon, e senza smettere di camminare, si spostò leggermente alla sua destra, per cercare di vedere da più vicino le loro scritte. Altri simboli strani, altri elenchi di numeri. Passò accanto a una donna solitaria che disegnava grossi cerchi concentrici.

«Hai visto Andelus?» Maed ritornò a guardare in avanti. Tadon stava parlando con un altro uomo.

«Penso sia all'acciaieria» rispose lui, strofinandosi le mani e liberando in aria una nuvola di gesso. Tadon s'inchinò e fece cenno a Maed di avvicinarsi.

«Perché alcuni si fanno chiamare con quei nomi strani?» chiese lei non appena lo raggiunse. Aveva la testa colma di dubbi, ma decise comunque di chiedere spiegazioni con ordine. Sarebbe stata una nottata lunga, per Tadon. «Quello che ci ha fatto scendere da sopra ha parlato di una certa... Magnetica? E quell'uomo che ti ha fermato prima, lo hai chiamato Temprato.»

«Oh» rispose lui, imboccando un'altra via. L'aria si fece d'un tratto calda, densa di vapori. Maed si coprì il naso. «C'è una regola fondamentale nella Combriccola.» Tadon proseguì a passo sostenuto. «Nessuno scienziato è degno di essere chiamato tale, se prima non ha contribuito a ridestare uno dei segreti di Tumenor.»

«E che significa?»

«Nessuno scienziato può entrare a far parte della Combriccola se prima non ha scoperto o inventato qualcosa.»

Era questa la prova a cui si riferiva il Vecchio Cavalluccio? Maed non ce l'avrebbe mai fatta. Lei voleva capire, comprendere, ma... inventare?

«Quando uno scienziato scopre o inventa qualcosa,» continuò Tadon «ottiene un nome identificativo. Ecco, diciamo che diventa ciò che ha scoperto.»

«Ma allora tu non hai inventato niente?» domandò Maed. «Non potresti far parte della Combriccola. Tadon non significa nulla.»

Tadon non rispose, ma allungò d'improvviso il passo. Distese un braccio nella foschia e afferrò qualcuno. «Andelus» bisbigliò, ritirando immediatamente la mano. Si profuse in un inchino.

«Ragazzo.» Andelus era davvero alto. Si piegò un attimo, prendendo forma tra i vapori. «Ho da fare, ora. A quanto pare qui la gente scompare e non torna, se non presti abbastanza attenzione.»

«Te l'ho portata, la ragazza nobile.»

Andelus si avvicinò a lei. Si asciugò la fronte, imperlata di goccioline d'acqua e sudore. Aveva dei lunghi capelli neri striati di bianco, raccolti in una coda. Tirò fuori le mani dalle tasche della sua veste e ne porse una davanti a sé. Lei allungò la sua e lui gliela strinse con una presa vigorosa. Maed represse un gemito. Lui sorrise, mostrando denti ingialliti sotto a un naso prominente. «Andiamo a prendere una boccata d'aria? Temo che prima o poi finirò col tossire fumo nero.»

Si allontanò a lunghi passi, diretto verso il corridoio in penombra. Tadon si accostò a Maed, afferrandole un braccio. «E comunque no» ringhiò a bassa voce. «Non ho ancora inventato nulla, ma fra pochi giorni non sarà più così. Avrò un nome tutto mio e gli scienziati si inchineranno a me.»

«Ragazza» chiamò Andelus, senza nemmeno girarsi a guardare. «Vieni qui un attimo.» Svoltò un angolo. Maed si liberò dalla stretta di Tadon e corse verso l'uomo imponente.

«Maedlin, giusto?» Non le diede nemmeno il tempo di rispondere. «Dunque tu conosci il segreto della magia?» chiese, alzando il tono. Gli altri scienziati tacquero, e d'un tratto Maed si sentì al centro dell'attenzione. Continuarono a camminare, sotto gli sguardi attenti dei presenti.

«No, non lo conosco» rispose Maed, senza parlare troppo forte.

Andelus parve rallentare un attimo, ma riprese immediatamente a camminare a passo spedito. La veste gli svolazzava attorno alle gambe. «Perché hai quel tatuaggio al braccio, allora?» Continuava a parlare come se il suo interlocutore si fosse trovato a metri di distanza.

Maed fece per rispondere, ma chiuse la bocca, quando Andelus fulminò con lo sguardo un uomo a fianco del muro. Tutti tornarono al lavoro.

«Non dovrei averlo. Quando mi hanno negato l'addestramento per la terza volta, ho deciso di farmelo fare ugualmente, per sfidarli.»

«Mi piaci» disse Andelus.

Maed si voltò per cercare Tadon e sorridergli, ma lui era scomparso. Nel corridoio erano rimasti solo loro due e gli uomini e le donne indaffarate sotto alle fiaccole. Il clamore riprese a farsi sentire mentre si avvicinano di nuovo verso la sala. Svoltarono in una piccola rientranza che Maed prima non aveva notato.

Si trovarono al buio. «Vai prima tu, che sei ancora giovane» disse l'uomo, scostandosi. Lei si ritrovò di fronte una scala a pioli. «Magari avessi le gambe forti come il mio cervello» aggiunse.

Maed incominciò la scalata. Era tutto surreale per lei. Si trovava davvero sotto al Faro? Aveva sentito soltanto delle storie sulla Combriccola, e ora Andelus in persona, colui che l'aveva creata, stava parlando con lei. E aveva detto che le piaceva.

«Si vede che sei una Ladra» disse lui. Era rimasto qualche metro più sotto. Sbuffò. «Mi chiedo davvero se la tua immaginazione è fresca come i tuoi muscoli.» Immaginazione? Andelus le fece cenno di continuare.

Qualche minuto dopo la scala finiva e sbucava in un piccolo corridoio illuminato da qualche fiaccola rossa.

«Però ancora non mi hai fatto nemmeno una domanda» esordì di nuovo Andelus, incamminandosi ingobbito per non sbattere con la testa sul basso soffitto. «Questo non promette bene, cara.»

Maed sentì il cuore accelerare il battito. Ne aveva tante di domande, invece. Doveva rimediare. «La Combriccola si trova sotto le strade di Asdenar, vero?» Si accorse solo dopo che quella non era una vera e propria domanda. Ma forse lui avrebbe apprezzato la deduzione.

«Eh no, cara.» Andelus ridacchiò. «Le strade sono dei nobili, non oseremmo mai toccarle. E poi sotto di esse si snodano migliaia di cunicoli sotterranei, lo sapevi? Sì, sotto alle strade. Se avessimo osato scavare verso la città, i nobili ci avrebbero scoperto ben presto, perché sarebbe crollato tutto. No, no. Siamo sotto al mare. L'oceano è l'unica cosa che non possiedono, e non possono nemmeno controllarlo con la loro magia.» Maed lo sapeva bene. Ricordò sua sorella Tanesin, inerme di fronte al rogo sulla nave. Nemmeno le urla della comandante l'avevano convinta a fare qualcosa.

«Ma...» Maed non voleva assolutamente far cadere la discussione nel silenzio. Strinse il pugno. «Come avete fatto a scavare così tanto in profondità?» La Combriccola doveva essere immensa.

«Oh, ci ha aiutato il nostro amico fuoco. Se chiedi ai tuoi nonni, se sono ancora ad Asdenar e non in quelle isole sperdute nell'oceano, ti diranno di sicuro che circa sessant'anni fa hanno sentito la terra sotto i loro piedi tremare. E non era la loro magia. E non si trattava nemmeno degli Astrali.»

Andelus appese la fiaccola alla parete. Una goccia d'acqua finì sul fuoco, sfrigolando. Si trovavano sotto al mare. L'acqua li circondava.

Aprì una porticina. «Altre scale, ragazza. Forza. Si sale ancora.»

Quando superò l'ultimo scalino, si ritrovò proprio sulla sommità del Faro. Il fuoco blu ardeva qualche metro più in alto di lei. L'odore di magia strisciava denso verso il basso, nauseabondo. Passò qualche secondo e lei sentì la testa girare. Un braccio la sorresse. «Una nobile che soffre l'odore di magia?» Andelus la prese per mano. Lui sembrava ignorarlo completamente. «Sei una persona particolare, sai? Quel ragazzo, Tadon, sta proprio alla larga da tutto ciò che è ordinario.» Inspirò a fondo, come se al posto di quel puzzo vomitevole l'aria fosse stata pregna del profumo di rose. «Saliamo ancora. Ti abituerai presto.»

Una piccola rampa di scale girava attorno al cilindro che conteneva le fiamme blu. Sulla cima uno strettissimo camminamento si affacciava su un fosso poco profondo. Al suo interno, colonne di fuoco si elevavano ben più in alto delle loro teste. Il calore premette sulla pelle di Maed.

Si fece coraggio e tolse la mano da davanti al naso. Non voleva fare domande stupide, quindi pensò con più attenzione. «Perché avete scelto come base un simbolo della loro magia?»

«Be', immagina di trasformarlo in un nostro simbolo. Immagina un perenne fuoco rosso che illumina Asdenar, immobile, sotto allo sguardo di tutti i pianeti.»

«Ieri l'ho visto. Era diventato rosso. Eppure ora è blu.»

«La scienza è potente, Maed.»

Il suo sguardo era inghiottito dalla luce calda e sinuosa. «Ma è così potente da trasformarlo in un fuoco nobile?»

«La magia è anche subdola.»

Maed si voltò a guardare Andelus, confusa. Notò il fuoco danzare nei suoi occhi.

«Il fuoco la notte scorsa non è mai cambiato, in realtà» continuò. «Era sempre lo stesso fuoco, il solito fuoco che hanno installato i nobili qui, anni fa quando hanno costruito il Faro. È inesauribile, infinito, ma comunque vulnerabile agli attacchi della nostra scienza.» Frugò nella sua tasca e tirò fuori la mano chiusa a pugno. La aprì. «Questa la otteniamo dalle pietre calcaree del Cratere.» Sul suo palmo stava una polvere biancastra, come lo zucchero, ma molto più fine. «Sì, proprio dove sono crollati gli Astrali, migliaia di anni fa. Quante cose ci sono lì. Ecco, guarda cosa ci regala Tumenor stesso.» Andelus lanciò la polvere nelle fiamme.

Una sottile striscia di fuoco sfrigolò, colorandosi di rosso dove aveva inghiottito la polvere. Ma solo per un attimo.

«Perché, come può essere?»

«Si chiama chimica, ma ancora è presto per te.»

Chimica, occhi verdi.

«E perché avete colorato questo fuoco di rosso, solo per una notte?»

«Maedlin, sei una giovane ragazza, e dovresti conoscere i meccanismi del corteggiamento.» Maed molto probabilmente era arrossita, ma nella spettrale luce di quelle fiamme nessuno avrebbe potuto notarlo. «Cosa fai quando un ragazzo interessante non ti presta le attenzioni che in realtà meriteresti?»

Maed cercò di cogliere il nesso con la necessità degli scienziati di mostrare il fuoco rosso. «Lo guardo. Se siamo vicini lo sfioro, di sfuggita.»

«I nobili sono gli uomini e noi siamo le donne» riprese lui, annuendo. «Quando i maschi non muovono il primo passo, è necessario aiutarli con una piccola spinta. Non cerchiamo amore, cerchiamo sfida. L'arte del corteggiamento è un'arte trasversale.»

«Vi osservano» disse lei di rimando. «Mia madre dice che sono dappertutto.» Maed percepì un brivido scacciare per un attimo il calore sulla pelle. «Forse non era proprio necessaria la mossa di ieri.»

Andelus ridacchiò. «Concordi sul fatto che provocare è anche molto divertente?»

Maed cercò con lo sguardo le ville in cima alla città. Ma il fuoco era troppo luminoso, inghiottiva ogni cosa. Di sicuro, la notte precedente, qualche nobile lo aveva visto diventare rosso. Sarebbero arrivati in fretta, lo sentiva.

«Come faccio a diventare una dei vostri?» chiese Maed, girandosi a osservare Andelus. Lui aveva il capo chino, gli occhi chiusi. Sembrava inebriato da quell'odore. L'odore di magia. Uno scienziato, il capo degli scienziati? Maed si sentì quasi mancare. Quel tanfo era penetrato nel suo cervello, e lei si sentiva quasi ubriaca. Come faceva lui a essere così resistente? La gente comune, in città, talvolta rischiava di svenire, se inalava troppo a lungo l'aria viziata da quell'odore. A volte senza risvegliarsi più.

«Come faccio?» chiese ancora, per distrarsi. «C'è una prova che devo superare?»

Andelus parlò ancora chinato, con gli occhi serrati. «La prova è già incominciata, cara. Ti conviene prestare più attenzione.»

Maed spalancò la bocca. Ma non disse nulla. Già incominciata?

«Dobbiamo andare» disse Andelus, ridestandosi. «Sono stato troppo tempo qui fuori. Forse qualcuno ha ritrovato il Vaporoso.» Si voltò e si diresse verso la scaletta. La ridiscese, poi si fermò sopra la cavità che riportava in profondità. «Prima tu.»

«No, resto qui.» Maed si voltò un attimo. «Voglio osservare il cielo e pensare qualche minuto da sola. Scenderò anche io, fra non molto.»

«Va bene, cara» sorrise Andelus. «Il cielo è un ottimo compagno. Ma sta attenta al fuoco.» S'infilò nello stretto pozzo.

«Dannata veste» disse d'un tratto, ancora di spalle, con entrambi i piedi infilati nella buca. «S'impiglia dappertutto. Mi aiuteresti?» Agitò le mani sopra di sé, senza voltarsi.

«Certamente.» Maed si chinò e sollevò un lembo del vestito, cercando la tasca che conteneva la polvere.

«Ci sei?»

«Quasi...»

La trovò e la vuotò tutta per terra. Aveva formato un bel mucchietto. Tolse il piede con cui aveva bloccato il mantello di Andelus e lui fu di nuovo libero. «Puoi andare.» Lui sventolò una mano a saluto, poi scomparve nell'oscurità.

Maed lo aveva promesso. Raccolse tutta la polvere bianca, sollevò il suo vestito e la nascose lì dentro. Stando attenta a non versarne nemmeno un granello, salì le scale e si ritrovò di nuovo davanti al fuoco.

Diede un colpetto dal basso verso l'alto alla stoffa e il mucchio di polvere si librò nell'aria.

Il fuoco lo inghiottì tutto, ruggendo e colorandosi di arancione e rosso. Sembrò colto da un moto rabbioso, ma ancora, tutto durò troppo poco. La notte precedente il fuoco era rimasto di quel colore per diversi minuti. S'immaginò scienziati sudati e accaldati versare secchi colmi di polvere sulle fiamme, senza sosta, in un flusso continuo.

Ma il Vecchio Cavalluccio aveva chiesto a Maed un solo misero secondo. Un solo sfuggevole lampo rosso dal Faro. Sarebbe bastato quello a impedirgli di colare a picco insieme alla sua casa. E lei lo aveva accontentato. 

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