Capitolo Diciotto

Maed, svegliati

«Maed, svegliati!»

«Sveglia, Maed, guarda che sta succedendo!»

Maed spostò la guancia sul legno ruvido, mentre una mano ossuta le scuoteva la spalla.

Quando aprì gli occhi, era ancora buio pesto, e l'aria del mare soffiava sulla sua faccia. Il Cavalluccio si parò davanti a lei, infilò le braccia tremanti sotto le sue ascelle, provando a sollevarla.

Maedlin cercò di capire cosa stesse succedendo, cos'era successo il giorno prima, e i giorni prima ancora, e quando all'improvviso le fu tutto chiaro, pensò di richiudere gli occhi e sprofondare nuovamente nel sonno.

«Su, alzati, qualcuno vuole parlare con te.»

Notò dietro il corpo gracile del Vecchio un lieve bagliore.

Qualcuno era venuto per lei?

D'un tratto, si ritrovò in piedi. Allungò le mani in avanti, fino a quando non toccò uno dei pali ai vertici della zattera. Lo abbracciò, abbandonandosi a esso.

«Guarda...»

Il Cavalluccio le sfiorò la mano e indicò nell'oscurità dell'oceano.

Qualcosa fluttuava verso di loro. Un'aura rossastra circondava un foglietto bianco, e una brezza calda e secca lo precedette come per annunciare il suo arrivo.

Maed, la vuoi imparare la magia?

Maed si tenne la fronte con una mano. Si sentiva ondeggiare.

Vide di sfuggita il Cavalluccio coprirsi naso e bocca con la mano. Nemmeno il tempo di ritornare a guardare verso il mare, che dovette imitarlo anche lei.

Posso insegnarti, sì. Sarò io a farlo. Diventeremo ancora più sorelle di adesso.

Il Vecchio raccolse il suo bastone e avanzò minaccioso, cercando di scacciare il foglietto misterioso.

«No, fermo!»

Maed lo scansò con una spallata e allargò le braccia per proteggere il messaggio, fino a quando non toccò quasi il suo petto. Lo afferrò. C'era scritto qualcosa.

Arrivò un'ultima, prepotente e densa ventata di odore magico, e la prospettiva di tornare a dormire fu d'un tratto la cosa più bella di tutto Tumenor.

***

Quella volta a svegliarla non fu la voce del Cavalluccio. Maed sentì quel debole ticchettio ben prima di aprire gli occhi, ma rigirarsi per cercare la frescura del cuscino vinse tutta la sua curiosità.

Lo sentiva, tra le dita, il foglietto che era arrivato fluttuando alla zattera. Lo teneva stretto, accartocciato.

Al ricordo della notte e di quello che aveva portato con sé, Maed aprì gli occhi una volta per tutte.

Il Vecchio Cavalluccio era seduto sulla sua seggiola. Maneggiava due bastoncini color avorio, puntandoli verso l'addome e tenendoli stretti con le dita. Con estrema maestria, li colpiva con un piccolo martelletto. Il ticchettio era molto simile a quello di quando sua madre le aveva ricamato un vestito.

Il Vecchio, qualche anno prima, quegli stessi ossicini dalle punte inzuppate d'inchiostro li aveva usati per disegnarle il triangolo sul braccio.

«Finalmente, hai aperto gli occhi.»

Maed allentò la presa sul foglietto. Si appoggiò su un gomito e cercò di aprirlo con dita tremanti. Si accorse che il suo cuore aveva preso ad agitarsi solo quando constatò che su quel biglietto, in realtà, non c'era scritto un bel nulla.

«Quel bigliettino lo tenevi così stretto che non sono riuscito a togliertelo dalla mano. Come ti senti?»

Maed lisciò per bene il foglietto vuoto, mostrandolo al Cavalluccio.

«Cos'è» disse lui, lasciando a terra i suoi attrezzi e cercando di mettersi in piedi, «ora sono le tue sorelle a farti gli scherzi?»

«Vecchio, c'erano delle parole stanotte. La calligrafia era quella di Adelin.»

«Allora era sua, la voce?»

«L'hai sentita pure tu?» chiese Maed, scattando in piedi.

Il Cavalluccio sospirò e si osservò l'addome. Lo spolverò con le nocche, ammirando la sua nuova opera d'arte. Ogni suo nuovo tatuaggio circondava un grosso spazio vuoto all'altezza dello sterno. Era rimasto immacolato da sempre, lasciando pulita la sua pelle scura e coriacea.

Maed fu tentata di strappare il messaggio vuoto, ma cambiò idea all'ultimo. Cercò intorno alla casa galleggiante la barchetta del Vecchio. Quella che aveva utilizzato lui per riportarla alla zattera, col sangue che le colava dallo stomaco fino alle tibie.

L'aveva trovata sulla spiaggia di sale qualche ora dopo che gli scienziati se n'erano andati. Stava dormendo, le aveva raccontato il Cavalluccio. Dopodiché, era passato qualche giorno. Non aveva fatto altro che dormire, e svegliarsi di sussulto ogni tanto, ma non c'era nient'altro da ricordare.

«Maed, dove vuoi andare?»

Maed glielo disse, ormai cosa le importava? «Vado da mia sorella. Stanotte me lo ha promesso, mi insegnerà la magia. Anch'io gliel'ho promesso, di ritornare.»

«Piccola» rispose lui, mentre si avvicinava tenendosi col bastone, «non ti è bastato tutto quello che è successo?»

«Più di così, che può succedere?»

«C'è la guerra, Maed. Tu dormivi quando è iniziata. Da qui non si scorge nulla, ma io l'ho vista bene. La città è pericolosa. Se davvero vuoi schierarti, devi scegliere con cura da che parte stare.»

«Non ho parti dove stare, non l'hai capito? Conto solo io, ormai.»

Il Cavalluccio la fulminò col suo sguardo antico, circondato da simboli affilati scolpiti nella pelle.

«Il tuo amico Temprato mi ha detto che sono una puttanella» aggiunse lei. «Mi ha spinto in mare.»

Il Vecchio cambiò espressione, pronto a ribattere, ma Maed non glielo permise.

«Farò la puttanella, allora» disse. «Fammi decidere dove andare.»

«Quel foglio è vuoto. È un'altra presa in giro.»

Maed lo fissò. Quel risveglio nel bel mezzo della notte era stato confuso, lo ammetteva, ma l'inchiostro sulla carta lo aveva visto eccome. Forse si trattava di qualche magia, qualcosa per nascondere le parole agli estranei.

«Aspetta che Andelus faccia il suo ritorno» aggiunse il Cavalluccio. «Lo conosco bene, sai? È passato un sacco di tempo da quando l'ho incontrato su quella spiaggia. Eravamo entrambi dei ragazzini. Fidati, quando sarà tornato, ci sarà lui a difenderti davanti agli altri scienziati.»

Maed scosse la testa. «Mi dispiace, ma è stata più veloce mia sorella Adelin.»

Fece per andarsene, ma un attimo prima di calarsi nella barchetta si girò per aggiungere un'ultima cosa. «Se davvero ci teneva a me, avrebbe fatto meglio a farsi vivo. Che gran capo poi, uno che scompare nel nulla quando i suoi uomini muoiono, e che li lascia da soli allo scoppiare di una guerra.»

«Non sono soli.» Il Cavalluccio avanzò di un passo e puntò il bastone sul pavimento. «Fino a quando non tornerà, sarà il Benefattore a guidare gli scienziati.»

Maed raccolse i remi e l'infilò sotto le braccia. Iniziò a remare a testa bassa.

Dove stava andando, di preciso?

Fissava il foglietto. Se una volta c'erano state tracce di un'indicazione, qualche dannata magia le aveva cancellate per sempre.

Il Vecchio Cavalluccio gridò un'ultima cosa, prima che fosse troppo tardi. «Maed, ti prego, non commettere altri errori!»

Il foglietto era rimasto bianco per tutta la traversata, e per un attimo Maed aveva pensato di tornare indietro alla zattera, quando intorno a lei non c'era stato altro che il mare infinito e senza risposte.

Il porto iniziò a delinearsi all'orizzonte. Si era aspettata di vederlo in fiamme, fiamme di ogni colore immaginabile. In realtà, era il solito porto di sempre. Forse avrebbe trovato anche la sua vecchia barchetta, rimasta ormeggiata dalla sera del furto alla Villa.

Mentre Maed continuava a remare, si accorse di loro, dei pali, e dei luccichii metallici che mandavano, fulminei e affilati. Costeggiavano tutta Asdenar dai fianchi delle colline fino alla scogliera frastagliata, a qualche passo da dove una volta aveva svettato il Faro.

Si fermò a pensare.

Dopo qualche minuto, infilò il remo destro nell'acqua e fece perno, fino a quando la prua della barchetta non puntava dritta verso l'opera degli scienziati.

La brezza trasportò il vocio basso e confuso della folla fino a lei. Mano a mano che si avvicinava, notò la quantità di gente assiepata sulla cima di quel promontorio. Una volta giunta sotto la parete rocciosa, si accorse di un cigolio metallico, accompagnato da uno scroscio d'acqua continuo, come quello di un torrente che si dimena nel suo letto. Basse nubi di vapore acqueo strisciavano da dietro una rientranza.

Maed si lanciò in acqua, tenendo il biglietto in alto per non bagnarlo, e si avvicinò cauta a nuoto.

Se davvero quella era la prima costruzione degli scienziati, aveva un che di mostruoso.

Maed si appese con una mano alla roccia per aiutarsi a galleggiare, e dopo qualche secondo passato ad ammirarla, mentre roteava indolente e letargica su se stessa, ammise nel suo piccolo che possedeva anche una certa eleganza.

Si trattava di una lunga elica metallica, che dalla cima del promontorio si allungava in basso fino a tuffarsi in acqua. Assecondando la sua rotazione, l'acqua ribolliva placida alla sua base e risaliva gorgogliante attorno al tronco centrale. In un incessante movimento ipnotico, la macchina faceva sparire l'acqua dietro alle sue linee affilate e sinuose, simili agli orli di tanti vestiti volteggianti.

Per un attimo Maed si mise in testa di approfittarne per portarsi fino in cima, dove agli schiamazzi della folla si erano aggiunti sbuffi e fischi di vapore. Fortunatamente, però, si accorse che più in là degli scalini si facevano strada nella roccia.

Quella spirale aveva un aspetto tagliente, del tipo che solo se avresti osato sfiorarla, ti avrebbe mozzato un braccio intero.

La aggirò tenendosi piatta contro la parete, e fece lo stesso anche quando si mise a scalare, trattenendo il fiato e percependo la sua pericolosità sulle scapole.

Là sopra, sembrava si fosse riversata tutta Asdenar. Per la prima volta in tutta la sua vita, Maed vide pescivendoli, artigiani e scienziati tutti insieme, accalcati e rivolti verso uno di quei pali metallici.

Un uomo vi era appeso come una scimmia. Sopra di lui, un groviglio di ruote dentate sferragliava e ticchettava. Uno spesso cavo di metallo arrivava dall'infinito, dalla città alta, avvolgeva una grande ruota e di nuovo ripartiva verso il cielo.

L'uomo appeso muoveva un braccio per far fluire la folla. «Signore, signori, c'è posto per tutti!» Inarcò il collo e si lasciò andare in una risata.

Maed aprì la mano per controllare il foglietto di carta, ma c'erano solo pieghe. Che fosse stato davvero una specie di sogno, o uno scherzo?

Avrebbe soltanto dato un'occhiata più da vicino a quella follia, poi se ne sarebbe andata verso le ville. Sperò che Adelin le fosse venuta incontro, almeno.

S'infilò in mezzo alla folla e, all'improvviso, il terrore di ritrovarsi ancora una volta davanti al Temprato l'attanagliò. Quasi sentì i palmi ampi e duri delle sue mani spingerla sul petto e lanciarla nel vuoto.

Ma quella era l'invenzione del Vaporoso, e lui di certo non poteva rappresentare un pericolo. Si erano incrociati una sola volta, in una stanza buia e nascosta nelle umide profondità del Faro.

«Arriva, abitanti di Asdenar, arriva la nuova cabina!» Quella, come una coincidenza, sembrò proprio essere la voce del Vaporoso. Lo stesso tono esaltato del suo discorso sotto al Faro.

«Abbiamo catturato la rabbia e la ferocia latenti del mare, le abbiamo fatte bollire, e ora sono a vostra disposizione. Sono vostre. Il vapore corre, sbuffa, fischia. L'altovia è meglio dei vostri carri, è meglio dei carri dei nobili. Le cabine di vetro oscillano sopra le vostre case, vincono la gravità, e tutto grazie alla forza dell'acqua, alla forza della scienza.»

Tra i fianchi accalcati degli uomini, Maed intravide una bolla di vetro, squadrata, appesa al cavo metallico che girava attorno al palo. Non appena scivolò davanti alla folla, uno scienziato aprì delle porte e vi lasciò entrare una decina di persone.

«Avanti, ne arriva una ogni minuto!»

La bolla di vetro risalì ondeggiante, carica di uomini e donne. Loro premevano i visi contro il vetro e lo appannavano con i loro fiati estasiati.

Maed cercò di sfuggire dalla folla a spintoni, ma non poté fare nulla. Gli uomini e le donne avanzavano inarrestabili, come un fiume in piena, intenzionati a salire su una di quelle bolle di vetro per vincere la gravità di Tumenor.

L'aria si riempì di umidità, di sudore. Ogni tanto giungeva il fiato caldo del vapore, e tutti si dovevano coprire la faccia, come quando i nobili scendevano in città e portavano con sé la magia. Eppure nessuno si fermava.

Non poteva restare lì in mezzo, aveva visto abbastanza.

Cercò il biglietto nella tasca del vestito, lo estrasse. Una gomitata la colpì sul fianco, ma lei continuò ad armeggiare per aprirlo.

Quando le scivolò dalle dita, e un piede lo calpestò, vide che erano comparse delle parole.

Maed si tuffò a terra e lo raccolse. Le parole sembravano ferite sulla carta, parevano incise col fuoco.

Maedlin, spero che questo messaggio ti sia arrivato, e spero tu abbia capito come fare per poterne leggere l'inchiostro.
Sì, hai sentito bene, era la mia voce.
La vuoi imparare la

Una mano afferrò Maed per lo stomaco e la tirò di nuovo in piedi. Il fiume di persone non fu gentile con lei. Barcollando, gettò di nuovo lo sguardo tra le sue mani. Riprese a leggere, mentre era costretta a camminare per non essere travolta.

hai sentito bene, era la mia voce.
La vuoi imparare la magia?
Ti prometto che sarò io la tua maestra. Tanesin e la mamma non sapranno nulla. Mi aiuterà anche papà.
Vediamoci oggi sul tetto blu, quello dove nascondi i tuoi vestiti e i tuoi tesori.
Ti svelerò il segreto della magia.

Luce, quando siamo diventate sorelle.
Ti voglio bene.

Maed rilesse tutto un'altra volta, soprattutto il congedo finale. Era davvero lei, Adelin, non c'era dubbio.

«Dieci alla volta!»

Una mano la premette sul petto, costringendola a fermarsi.

Una fila di scienziati le dava le spalle. Erano tutti con le braccia larghe, come a formare una catena per contenere l'afflusso di persone. Accanto a lei la gente fremeva.

Arrivò un'altra cabina e salirono altre dieci persone.

La prossima sarebbe stata Maed.

Si guardò attorno, ma alle sue spalle e ai suoi fianchi decine di uomini e donne le bloccavano la visuale. Era fregata. Poté solamente ammirare la bolla di vetro che se ne andava col suo bottino, e lontana, un'altra che arrivava a tutta velocità cavalcando la fune d'acciaio.

A lato del palo, infine, Maed poté ammirare in cosa consisteva la vera e propria opera, il motore di ogni cosa, ciò che probabilmente aveva dato il nome al Vaporoso. E il Vaporoso stesso era lì, sorridente, seduto con le gambe dondolanti su un altro macchinario traballante.

Poco più in là, un getto d'acqua cadeva da una canalina. Era l'acqua del mare, prelevata dalla gigantesca spirale che Maed aveva avuto modo di osservare poco prima. L'acqua si tuffava in un grosso imbuto e finiva dritta all'interno di una cupola nera di metallo. Ai fianchi di essa, due scienziati accaldati e sporchi di fuliggine vi gettavano all'interno palate di carbone. Come in una di quelle pentole che Maed aveva visto nelle cucine della Villa, un getto poderoso di vapore fischiava all'esterno, facendo sussultare tutto il forno. E infine, proprio dietro alle gambe dondolanti del Vaporoso, una mostruosità argentea e aguzza roteava su se stessa, sferzata dal vapore, così veloce che non se ne distingueva la forma.

«Ragazzina, ti vedo affascinata.» Era stato il Vaporoso a parlare, ce l'aveva proprio con Maed. Lei si accorse che, tutto intorno all'occhio, aveva un tatuaggio, una fiamma. «Ti piace?» Iniziò a mimare con la mano la cosa che roteava furiosa proprio sotto di lui. «L'ho chiamata turbina, la mia piccola. L'ho chiamata così perché è veloce come il vento.»

Il cuore di Maed si calmò un poco, quando lui le diede la certezza di non averla riconosciuta.

«Su, forza» urlò infine, distogliendo l'attenzione da lei, «arriva la prossima cabina!»

Doveva trovare un modo per andarsene, a ogni costo.

Gli scienziati ruppero la catena, e la folla fu di nuovo libera di spingere. Spinsero Maed in avanti. La cabina le scivolò di fronte, tutta per lei, e un individuo si affrettò per aprire le porte. I suoi futuri compagni di traversata la accerchiarono, affamati come non mai. Non ebbe alcuna via di scampo.

Maed si ritrovo dentro la bolla di vetro, con altri nove sconosciuti addosso.

«Fuori di lì, fuori!» L'urlo era provenuto dalla folla. «L'ho riconosciuta, quella lì davanti è una cazzo di nobile!»

Maed si vide addosso mille occhi.

Con la stessa rapidità con cui erano entrati, gli uomini e le donne fuggirono, spingendosi, calpestandosi, lanciandosi fuori dalla cabina che nel frattempo prendeva la rincorsa per risalire la città. Le porte si richiusero con un tonfo.

Ora non c'era più nessuno a farle compagnia. Tranne che per un braccio rimasto incastrato fra le due ante. Spuntava solo la mano. Le dita si contraevano come le zampe di un ragno sofferente, a qualche centimetro dalla sua faccia, e cercarono di allungarsi in avanti, per afferrarla. Lei si appiattì all'indietro, facendosi più piccola possibile.

La cabina oramai si stava sollevando, e il poveraccio che era rimasto incastrato cadde. Si portò appresso la mano, che scivolò nella fessura della porta fino a quando il polso non si incagliò sul pavimento della cabina. Mancava poco, pochissimo e sarebbe crollato.

Maed inspirò e avanzò di un passo. Aprì le porte, giusto l'istante per fare quello che doveva essere fatto, e magari vedere che faccia avesse il malaugurato.

L'uomo urlò, e la gravità di Tumenor lo chiamò a sé. La sua voce divenne sempre più insignificante mentre precipitava. Il terreno roccioso si era allontanato di parecchio, da quando la cabina aveva preso slancio sul cavo di metallo. E a Maed sembrò di intravedere la pelata del Temprato.

Chiuse immediatamente le porte e si lasciò andare all'indietro.

Si sedette su un divanetto che correva tutto intorno al pavimento. Sopra di esso non c'era altro che vetro, una grande finestra sul cielo.

Si sdraiò sulla schiena, sentendo il petto gonfiarsi e sgonfiarsi. Era calato il silenzio, e quando il suo fiato si ammutolì del tutto, l'unico rumore rimasto era quello dei meccanismi che ticchettavano quando la cabina superava l'ennesimo palo.

Maed controllò un'altra volta il foglietto di Adel, solo per scoprire che l'inchiostro era scomparso un'altra volta.

Una voce, che qualche ora prima non avrebbe esitato a ignorare, le suggerì che forse avrebbe fatto meglio a rimanere sulla zattera insieme al Cavalluccio, e aspettare, aspettare l'avvento di un miracolo in suo favore.

Si rimise seduta e si preparò a chiudersi su se stessa e a piangere. Sua sorella Adelin non le aveva creduto quando si erano scambiate i segreti, quando le aveva rivelato che quella era la prima volta che si metteva a piangere in tutta la sua vita.

La bolla di vetro continuava a salire, e Maed non poteva fare nulla. Stava seduta composta, con le mani tra le ginocchia, seduta sul comodo divanetto.

Forse è tutta una presa in giro, stanno giocando con me, si stanno divertendo. Forse gli scienziati e i nobili si sono alleati e ora mi stanno riportando alla Villa.

Qualcosa, a lato del suo campo visivo, attirò la sua attenzione. Portò la il viso contro il vetro, per osservare meglio.

No, no, no.

C'erano altre persone. Un'altra folla, come quella che l'aveva fatta prigioniera poco prima. Attendevano, dietro a un'altra catena umana di scienziati, desiderosi di salire anch'essi sulla magnifica altovia.

C'era, a lato della calca, una figura altissima. Era coperto dalla testa ai piedi da una veste color amaranto. L'unica parte scoperta del corpo erano i suoi occhi.

La cabina era ormai a portata dei nuovi passeggeri. Si avvicinò un individuo e aprì le porte, lanciando a Maed un'occhiata stranita. Stavano arrivando, si sarebbero lanciati dentro e avrebbero condiviso con lei il resto del viaggio. La catena si sciolse, e lei valutò di approfittare del momento per fuggire. Ma tutto quello che riuscì a fare fu schiacciarsi ancora di più all'indietro.

Però, successe qualcosa di strano.

L'individuo con la veste allargò le braccia, e tutti, come per magia, s'inchinarono a lui. Venne avanti, le gambe lunghe che si muovevano sotto al suo vestito decorato. La cabina se ne stava andando, ma lui allungò un ultimo passo e con un saltello fu dentro. Chiuse le porte.

Si sedette sul divanetto con le mani giunte e rimase in silenzio.

Maed si accorse che la fessura per i suoi occhi era coperta a sua volta da un retina molto fitta.

«Sono sempre piene fino all'orlo, queste cabine» esordì. Stava con la schiena eretta, fissando il nulla di fronte a sé. Per poco non sfiorava il soffitto di vetro con la testa. «E poi non si respira. In realtà, si potevano fare più spaziose, il denaro ce l'avevo eccome. Le prossime invenzioni, a dirla tutta, mi costeranno ben di più di questa. Il vero problema era il vetro. Nelle spiagge di questa dannata città c'è più sale che sabbia.»

Maed deglutì, ma in fondo, avrebbe voluto lasciarsi andare in un lungo sospiro.

«Piacere» aggiunse, voltandosi verso di lei e porgendole la mano. Aveva il braccio così lungo che riuscì a coprire l'intero spazio che li separava. Il suo guanto era di seta fresca. «Sono il Benefattore. Il mio vero nome è troppo lungo.» Lasciò andare la presa. «Bel vestito, comunque. Seta di Bajnor, anche la tua?»

Maed si toccò la gonna, annuì.

«Be', capisco perché questa cabina è così vuota. Ho l'onore di viaggiare con una giovane nobildonna. Il tuo nome?»

«Maedlin.»

Maed si accorse di quanto fosse irritante, e allo stesso tempo pauroso, non poter osservare le espressioni sul suo viso.

Fece per aprire la bocca e chiedergli, approfittando della sua gentilezza, dove fosse diretta l'altovia, ma uno scossone tremendo fece oscillare tutta la cabina.

Un altro.

La bolla in cui erano rinchiusi incominciò a ondeggiare furiosa, e Maed afferrò il bordo del divanetto.

«Mi stavo chiedendo, in effetti» disse il Benefattore, alzandosi e chinando la testa, «quando ci avrebbero attaccato.» Poi si voltò di scatto verso di lei. Rimase fermo qualche secondo, poi parlò. «Tu non sai niente, vero? Guarda come stai ansimando, sei terrorizzata...»

Il Benefattore aprì le porte della cabina mentre continuava a oscillare e a risalire il cavo d'acciaio. Afferrò il bordò superiore dell'uscio e si issò di sopra. Maed osservò tutto da sotto, attraverso il soffitto di vetro.

Si accorse che non erano soli. Tre nobili, nelle loro vesti viola, erano in piedi su un'altra cabina, metri e metri più in basso. In cielo, ce n'erano degli altri.

Il Benefattore, di sopra, si accarezzò il capo coperto dalla veste, pensieroso. Si chinò, e tenendosi aggrappato in qualche modo, si affacciò all'interno della cabina.

«Su, Maedlin, svegliati. Se ho capito veramente chi sei, ti conviene uscire di lì e aiutarmi.»

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top