Capitolo Diciassette

Il ragazzo risorto dal sale

Sessantuno anni prima

Andelus si risvegliò dal suo sonno non appena sentì il dolore alla guancia.

C'era stato un sogno, forse: libri in fiamme, fiamme azzurre e violette. Ma sfuggivano sempre di più, ora che il dolore entrava nella sua guancia, strisciando rovente.

Andelus, come per scacciarlo, lanciò un grido e spalancò gli occhi, lasciando che la luce accecante spazzasse ogni residuo onirico dalla sua mente.

L'acqua lo abbracciò, gli entrò nella veste, in bocca. Tossì, mentre vedeva l'onda ritrarsi, scoprendo sotto di sé una distesa luccicante di sale. Davanti a lui, non c'era altro che sale, e il mare spumeggiante che fuggiva, per riprendere la rincorsa e frustarlo per l'ennesima volta.

Si girò sull'altro fianco, e vide altro sale. Sullo sfondo sfumato, si stagliava una parete a strapiombo di pietra nera.

Nera come i mattoni della sua villa. Si erano sgretolati come sabbia, avvolti da fiamme color ciano.

Ringhiando, appoggiò i palmi davanti a sé, mentre un altro dolore si risvegliava sullo stomaco, sottile e profondo. Riuscì a mettersi in piedi, e il mondo si oscurò per un attimo. Il sangue sfrigolò sulla sua pelle, come braci baciate dall'acqua.

Ne gocciolò un po' a terra, macchiando il sale di blu. Sembrava l'inizio di una strana reazione chimica.

Il paesaggio riacquistò nitidezza. Andelus era in piedi, su una spiaggia senza fine, tutta bianca e accecante. Si lasciò sfuggire qualche respiro roco, mentre l'acqua gli correva giù dai lunghi capelli e gli picchiettava sulla spalla arsa dalla luce.

Si chiese quanto tempo avesse dormito senza un riparo, dato che il cielo era già limpido e sgombro da tutto il fumo.

Incominciò a camminare. Aveva la mente un po' appannata, ma a ogni passo la situazione pareva migliorare. Ciò che non migliorava, invece, era il dolore sullo stomaco. La parete nera era lì, e lui sapeva che avrebbe potuto servirsene per sostenersi. Ma un guizzo di lucidità gli consigliò di continuare ad avanzare sulla battigia. Suo padre - che gli aveva insegnato tutto ciò che era proibito - gli aveva ricordato più volte che il nero era un colore avido. Inghiottiva tutta la luce, e diventava incandescente.

Forse era per quello che la sua villa, prima di saltare in aria, aveva avuto le mura nere, perché aveva voluto catturare ogni cosa?

Non ricordava nient'altro. Per ora, si accontentò di quel monito, e si sforzò di mantenere l'equilibrio sul confine dell'oceano.

Ironica, come situazione. Andelus, in quel momento, si sentiva davvero in equilibrio tra l'ignoto e il conosciuto.

In lontananza, la distesa di sale si elevava in un una piccola montagnetta.

Ci volle qualche minuto prima di scorgere il ragazzo che stava in piedi su quella protuberanza. In principio non si accorse di nulla, continuando a raccogliere il sale dentro cui sprofondavano i suoi stessi piedi. Ogni tanto arrivava una donna, raccoglieva un secchio pieno e se ne andava via.

Il ragazzino si accorse di Andelus solo dopo essersi fermato un attimo per asciugarsi la fronte. Lasciò cadere la pala, e rimase a scrutarlo per un bel minuto, mentre lui continuava ad arrancare a passo di tartaruga. Solo quando fu a qualche metro di distanza, si voltò e iniziò a urlare a squarciagola.

Mamma, chiamava. Mamma!

Approfittando della lentezza del proprio passo, Andelus iniziò a pensare.

È vero, non ricordava nulla di quello che era successo alla sua villa, e di come avesse fatto a sopravvivere e ad arrivare fino a lì senza morire. Ma quello, quello non poteva scordarselo. La sua famiglia era stata rosolata sul fuoco nobile per tutta una notte, e tutti gli abitanti di Asdenar avevano visto il fumo e le fiamme danzare sui picchi delle colline. Tutti si erano tappati il naso e la bocca per il puzzo della magia.d

Debole com'era, persino un ragazzetto rachitico come quello avrebbe potuto ammazzarlo con una badilata, dopo averlo visto indossare quei vestiti bruciati.

La donna arrivò di corsa, trafelata. Scalò la montagnetta di sale e strinse il figlio in un abbraccio morboso. Gli carezzò più volte la fronte. Stettero entrambi in silenzio, fino a quando Andelus non arrivò ai loro piedi e si lasciò cadere sul pendio della collinetta. Sospirando, constatò che le ferite ora bruciavano molto di meno. Entro la sera, probabilmente, si sarebbero richiuse tutte. E senza l'aiuto delle fiamme viola dei nobili.

Dato che i due non ebbero il coraggio di prendere parola, fu Andelus a farsi avanti.

«Che strano il sale, vero?» disse, distendendo le braccia dietro la nuca e scrutando la distesa luccicante davanti a sé. Strinse i denti, cercando di mettere a tacere il dolore della pelle scottata.

Silenzio.

«Tutto quel fuoco sulle colline deve avervi davvero tolto le parole di bocca.»

Rimase sdraiato a fissare il cielo sgombro.

Sapessero che la scienza può fare di meglio... ma se lo tenne per sé.

«Scherzo» aggiunse. «Dicevo, sembra malvagio, il sale intendo, ma alla fine ti aiuta.

«Mi sono risvegliato tutto solo su questo deserto di sale. Non potete immaginare che bruciore sulle ferite. Paradossalmente, ero sfuggito alla morte, ma stavo già morendo un'altra volta, di dolore.» Sforzarsi di fare il simpatico lo stava aiutando parecchio, a schiarirsi la mente. «Però,» aggiunse, cambiando tono della voce, «ora scopro che le ferite si stanno richiudendo meglio che con ferro e filo. E tutto grazie al sale.»

«Chi sei, eh?» Era stata la donna. La sua voce era mascolina, ma decisamente quella di una femmina.

«In realtà non saprei dirti» rispose Andelus, ancora sdraiato. «So solo che tutta questa faccenda del risveglio in mezzo al sale potrebbe avere qualche significato. Qualcuno che ci odiava a morte ci ha distrutto, ma io sono ancora qua.»

«Smettila di parlare a quel modo, traditore.» Il sale scricchiolò pericolosamente sotto i piedi della donna.

Oh, ora penso di aver ricordato qualcosa di quello che sono.

Andelus si voltò di scatto sul fianco e notò che la madre del ragazzo stringeva il manico della pala.

«Ti do una badilata sul collo e ti stacco la testa» concluse.

«Mi chiedevo se prima ci avessi veramente preso, con quell'ipotesi sul mio risveglio. Il sale purifica e asciuga tutto quello che tocca. Secca, indurisce, cicatrizza. Guardati le dita, donna, come si sono ridotte. Si chiama osmosi.»

La madre si fiondò verso il basso e lo colpì sulla faccia.

Andelus rotolò a terra.

Mentre la tempia tornava a prendergli fuoco, sentì le altre parole della donna. «... Sì, ti stacco la testa e la portiamo su alle ville, e i nobili, quelli veri, ci premieranno...» Continuava a urlare, eppure c'era un altro suono, a coprire la sua voce. Era ancora quello sfrigolio sulla pelle.

Come l'acqua che aveva cercato di spegnere le fiamme durante l'incendio. E poi c'erano state le urla, sua madre, sua sorella, avevano strillato così forte...

Qualcosa ancora gli sfuggiva, qualcosa di enorme.

Andelus raccolse un pugno di sale e se lo strofinò sulla tempia insanguinata. Urlò, mentre un'altra visione si fiondava addosso a lui.

Briciole di cenere, il caldo asfissiante, i respiri, i respiri soffocati...

La donna si parò sopra di lui e lo afferrò per la collottola, sollevandolo da terra. Aria calda e umida sibilava dalle sue labbra. «Rael, raccogli la pala. Lo ammazzo, questo nobile traditore, lo ammazzo per davvero.»

«No, mamma, ferma.»

«Prendi la pala!»

«Aspetta un attimo, donna» scandì Andelus, sollevando le braccia. «Aspetta un attimo. Ho avuto un'idea grandiosa.»

La donna sputò di lato e si pulì la bocca.

«Statemi un po' a sentire, e poi deciderete se portarmi dai nobili. I loro premi non scappano mica.»

Il ragazzo affiancò la donna. «Sì, mamma, io voglio ascoltarlo.»

Andelus lo fissò per un attimo, lo ringraziò.

Il ragazzino annuì.

Andelus si mise di nuovo in piedi, aggrappandosi alla donna.

«Ora,» annunciò, «dovete soffocarmi.»

La madre lo afferrò per quello che rimaneva della veste, ma essa si sbriciolò fra le sue dita. «Ci stai prendendo ancora in giro, eh?»

«No, non scherzo» ridacchiò Andelus. «Voglio che mi facciate morire di asfissia.»

«Come vuoi, traditore, lo faccio subito con queste mani.» E si avvicinò di nuovo minacciosa.

«Aspetta lì, ferma. Voglio che sia tuo figlio a farlo. Rael, tappami naso e bocca.»

Il ragazzino sussultò un attimo. Andelus lo afferrò per le braccia. «Vai, cosa aspetti? Ammazzami.»

«Vai Rael, fidati di lui. Ammazzalo. Forse crede di essere immortale come i veri nobili.»

Andelus sbuffò. «No, non mi interessa l'immortalità. Rael su, da bravo, non fartelo rip-»

Il ragazzetto gli piantò le mani sul naso e sulla bocca, avvolgendolo da dietro. La donna, invece, gli ghermì le braccia, e lo tenne immobile.

Il primo minuto passò tranquillo. La madre stringeva forte, credendo forse di farlo soffocare più velocemente. Le dita del ragazzino tremavano, e Andelus sperò che non le staccasse così presto.

Poi, tutto si annebbiò, e l'aria incominciò a premergli sulla gola, sulle guance, minacciando di esplodere come dinamite. Il suo petto si contrasse per un conato di vomito, e lui seppe che mancava davvero pochissimo. Ma non era ancora abbastanza.

Rael staccò un dito dalla bocca.

La donna urlò. «No Rael, fai quello che ti ha detto!»

«Non ce la faccio... lo sento tremare...»

Le gambe di Andelus cedettero. C'era...

C'era quasi, stava arrivando.

Ma cosa stava arrivando? Perché aveva deciso di farsi soffocare? Non lo ricordava più.

Tutto era nero, ormai.

Penso di essere morto.

Si accese qualcosa, in lontananza. Si avvicinava veloce, era una fiamma.

E alla fine si ricordò perché aveva voluto soffocare fino a morire.

La fiamma gli esplose in faccia e lo avvolse fino ai piedi, e lui capì che aveva osato troppo e forse era finita per davvero. Ma poi, in un violento risucchio, inspirò l'aria di tutto il mondo e la luce tornò accecante, e si ritrovò di nuovo sdraiato a terra, sulla spiaggia di sale.

Sopra di lui svettavano le facce della donna e del ragazzo. Lo stavano osservando. Andelus infilò le mani fra i loro volti e si fece spazio.

«Andiamo» disse, rimettendosi in piedi «vi racconto chi sono e cos'è successo tre notti fa.»

Se li lasciò alle spalle, incamminandosi per la spiaggia.

«Aspetta!» Il ragazzo lo raggiunse affannato. Poco dopo arrivò anche la donna, stringendo il badile tra le mani. «Scusami, non ce l'ho fatta» disse lui, tenendo il passo. «Ma perché volevi soffocare?»

Andelus continuò silenzioso per qualche secondo, poi disse: «Ve lo dirò alla fine. E alla fine deciderete se uccidermi o meno, dopo che avremo fatto una scommessa.»

Il sale si sbriciolava sotto i loro piedi come foglie secche.

«Io non voglio ucciderti, scienziato» disse ancora Rael.

Sua madre gli tirò uno schiaffo.

Era l'ora di raccontare.

«Tre notti fa,» incominciò, «se avete visto tutto quel fumo, e se ha nevicato cenere per due giorni interi, è perché nella mia villa il fuoco si è cibato di migliaia di libri. Nessuno, tra tutte le famiglie nobili, aveva una biblioteca così vasta.

«Ora ricordo tutto, Rael, grazie a te.» Si voltò verso di lui. Il ragazzo aveva gli occhi lucidi e gonfi. Andelus tornò a guardare la spiaggia. «Stavamo festeggiando il matrimonio tra mio padre e mia sorella. Esatto, nella famiglia Bangdelor, la mia famiglia, succedeva così da anni. Tutte le altre famiglie ci odiavano a morte, e questo lo sapete, ma non immaginate nemmeno cosa siamo stati costretti a fare per non scomparire nel nulla.

«In ogni caso, era tutto pronto. Era un tripudio di nero e di colori. C'era chi era vestito per il matrimonio, chi per la morte di una delle mie sorelle. Un giorno è impazzita e si è messa a urlare alla folla che in verità gli Astrali hanno sempre abitato Tumenor, e che gli alieni eravamo noi. Così, ha detto, alieni. Cioè, non era pazza per quello che ha detto. Siamo stati veramente noi umani a cadere dalle stelle. Ho detto pazza perché ha voluto urlarlo a tutta la gente di Asdenar. Così gli altri nobili l'hanno sfidata allo sguardo della morte. L'hanno fissata e dopo un boato lei si è accasciata, per sempre. Avrete visto pure quello, immagino...»

«Mia madre le guarda tutte, le esecuzioni. Ma io non ci vado, non mi piacciono. C'è pure chi resta a bocca aperta per lo spettacolo. Tu non resti a bocca aperta, vero mamma?»

La donna afferrò Rael per la maglietta e lo tirò in disparte. Gli sibilò qualcosa all'orecchio, ma il ragazzo sostenne il suo sguardo. Gli occhi della madre tremolarono per un attimo.

Andelus li lasciò fare e approfittò per guardarsi intorno. La spiaggia di sale era davvero infinita, fiancheggiata fino a perdita d'occhio da quella parete di pietra nera. Si accorse che in fondo, oltre la cima della scogliera, sbucava una bizzarra costruzione dal tetto appuntito. Aveva i mattoni bianchi.

«Continua, scienziato» disse la madre di Rael, battendo la mano sul manico del badile. «Ho detto a mio figlio che se t'interromperà ancora, ti farò fuori adesso. Anzi, credo di aver già deciso, per dopo. Ti farò fuori lo stesso, perché mio figlio sta pensando troppe cose sbagliate. Non era mai successo.»

«Questo lo vedremo» disse Andelus, riprendendo a camminare. «In ogni caso, ricordo che ero eccitato all'idea dei nuovi fratelli che sarebbero nati a breve. In realtà non lo so, se sarebbero stati veramente fratelli, o nipoti, o altri padri. O madri. Me lo sono sempre chiesto, ma non l'ho mai saputo. Be', l'importante, diceva sempre mio padre, è che facessero Bangdelor di cognome. Altrimenti la famiglia sarebbe scomparsa presto nel nulla, portandosi con sé tutta la scienza. Per sempre.» Si fermò e li guardò dritti negli occhi. «Ma vi pare, la scienza scomparsa nel nulla?» Lanciò un'occhiata al cielo. «Certo, non è che da un giorno all'altro tutti ci saremmo staccati da terra senza peso, non in quel senso. Ma intendo, che noia solo con la magia.»

«Allora è per la noia che lo fate, eh?» La donna gli scrollò un braccio.

Andelus tornò a guardare in basso. Fece spallucce.

«Ma stiamo divagando» disse, rimettendosi in marcia. «Non usavamo la sala da giorni, forse da cinque o sei Saluti. L'abbiamo usata sempre raramente, solo per le occasioni. Noi vivevamo nei corridoi, per la maggior parte. I nostri corridoi, immaginateli così, erano una vera e propria biblioteca. C'erano libri sparsi dappertutto. Li usavamo come tavoli, come sedie, come scale. Ah, dovevate vedere com'erano ridotte le pareti. Tutte piene di scritte e disegni.

«Ma... be', per il matrimonio non potevamo mica fare come sempre. Così, dopo giorni, abbiamo riaperto le porte della sala. Sopra il tavolo c'era una montagna enorme di libri. E c'era qualcuno in cima a quella montagna. Non ricordo di che famiglia fosse, ma era un altro nobile. Si è messo a urlare come un pazzo. Era per quella storia lì, quella che siamo stati noi a crollare dal cielo. È una menzogna pericolosa, diceva, noi tutti eravamo pericolosi. Non abbiamo avuto nemmeno il tempo di controbattere che si è dato fuoco. E poi, si è incendiato tutto. E anche tutti noi ci siamo incendiati.»

«Questo perché siete dei nobili traditori» disse la donna, avanzando fieramente. «Lo sanno tutti che il fuoco, ai nobili veri, non fa un bel niente.»

«Ma anche noi sappiamo, oh... sapevamo come abbracciare il fuoco. La magia... sì, la sapevamo usare pure noi, eh? Però preferivamo la scienza. Comunque, non è stato il fuoco a ucciderci. Il fuoco, oltre ai libri, si è mangiato anche ogni briciolo d'aria attorno a noi. Siamo tutti morti di asfissia.

«Ecco perché volevo che mi soffocaste. Ero certo che risvegliare in me quella sensazione orribile mi avrebbe aiutato a ricordare ogni cosa. Un po' come quando senti l'odore della magia, e d'un tratto ti assale quella paura, la paura che i nobili si stanno avvicinando e vogliono fare fuori qualcuno. Vero, non è forse questo che provate ogni volta?» Andelus si mise a ridere da solo.

La donna e il ragazzo non erano più accanto a lui. Lei si era fermata qualche metro più indietro, e Rael stava a metà tra loro due. Di fianco alla madre, sulla parete nera, si apriva uno squarcio stretto e lungo.

Andelus tornò indietro di qualche passo e sbirciò nella fessura. Incorniciato dalle pareti scure, si stagliava in tutta la sua maestosità la costruzione appuntita che aveva intravisto qualche minuto prima oltre la scogliera.

«Che bello questo faro» disse, avviandosi verso una scalinata intagliata direttamente nella pietra.

«Ora posso ucciderti?» disse la donna, non appena Andelus aveva messo il piede sul terzo scalino. Si era appoggiata contro il muro, poco sotto di lui. «Non ho creduto a nulla di quello che hai detto.»

«Aspetta, manca ancora la scommessa,» rispose, «hai già dimenticato?» E continuò a salire. Il vento s'incanalava all'interno della fessura ululando, ma lo faceva con delicatezza. L'acqua aveva crivellato la roccia per anni, e continuava a gocciolare e ticchettare sulla pietra anche in quel momento. Gli parve quasi di trovarsi all'ingresso di una grotta antica e inesplorata.

Il faro, sulla cima, riluceva di blu. Il fuoco magico l'avevano installato i nobili, anche se Andelus ricordava che avevano affidato l'intera costruzione a chi fosse disposto a sporcarsi le mani, tra i poveri.

«Questa è casa nostra, scienziato» disse la donna, appoggiando il badile contro la parete del faro. «Su, fai questa scommessa, così finalmente potrò ucciderti.»

«E va bene, la scommessa è questa. Se riuscirò a portarti cento braccia mozzate, di cento nobili, allora questo faro diventerà di mia proprietà. Dopodiché, sostituirò questi mattoni con altri di colore nero.»

Rael si mise in mezzo a loro due. «E come farà mia madre a capire se sono veramente le braccia di un nobile?» Sua madre lo strinse, e con una mano gli carezzò la spalla, continuando a fissare Andelus con un sorrisino.

«Le porterò sempre e solo l'avambraccio, quello col tatuaggio del triangolo. Secco di sangue blu.»

«Non ce la farai mai, idiota.»

«Sarò contento per te, se dovessi avere ragione. Così finalmente potrai ammazzarmi e portarmi come premio alle ville, in cambio di una bella stufa a magia.»

«Che te ne fai di questo faro, eh? Presto scopriranno che sei ancora vivo e verranno a cercarti. Sinceramente, preferisco farti fuori io.»

«Chissà» sospirò, aggirando la base del faro e accarezzandone la parete con un dito. «Magari un giorno, qua dentro, ci dormiranno i miei amici scienziati.» Si fermò davanti all'entrata. Si sedette per terra a gambe incrociate e fissò l'interno. «Non è un po' buio dentro?»

La donna si avvicinò a lui sogghignando. «Non ho idea di dove ti farai tutti questi amichetti, visto che sei rimasto l'unico, ma ti converrà farteli per davvero, perché altrimenti ti ritroverai da solo contro tutti i nobili. Solo, completamente solo.»

Hai ragione donna, hai proprio ragione.

Andelus sospirò e si guardò i piedi nudi e laceri. Si chiese se il suo sangue avrebbe mai cambiato colore. Lo voleva rosso, rosso come il vero fuoco. Raccolse un pezzo di vetro da terra e incominciò a girarselo fra le dita.

«Io sarò con lui» disse Rael. «Voglio aiutarlo.»

«Rael, cos'hai detto?» La donna raccolse il badile e si avvicinò a suo figlio.

«Io posso fare quello che voglio. È giunto il momento di rivendicare la mia libertà.»

«Cosa diamine stai dicendo, Rael?» Si avvicinò a lui e lo strinse forte. Si rivolse ad Andelus, mentre gli carezzava morbosamente la fronte. «Lo sapevo che eri pericoloso, scienziato. Rael è mio, e senza di lui non mi rimane nient'altro nella vita.» Sussurrò al ragazzo. «Ora tua mamma lancerà giù dalla scogliera questo scienziato rachitico e porterà la sua testa ai nobili.»

«Tu non sei mia mamma, in realtà, te lo sei già dimenticata?»

Rael gonfiò il petto. Riprese a parlare prima che sua madre potesse ribattere, che fosse con le parole o col badile. «Dove mi hai trovato, eh?»

«Sulla spiaggia.» La donna abbassò lo sguardo.

«E cosa c'era scritto sulla mia fronte di neonato?»

Sua madre balbettò qualcosa d'incomprensibile, staccandosi da Rael e tormentandosi le dita. Poi, decise di urlare. «Vi ammazzo tutti e due!» strillò.

Ma rimase lì, a riprendere fiato. Una vena le era spuntata sulla tempia.

«Questa donna non vuole ammetterlo, scienziato, ma io sono venuto dal cielo. Questo diceva una volta un tatuaggio sulla mia fronte. Lei mi ha scorticato la pelle per nascondere quella verità, ma io conosco questo segreto da quando ricordo di avere memoria.»

Andelus sollevò lo sguardo, decisamente confuso, ma divertito. «Adesso non è importante qual è la tua storia. L'importante è che non sono più solo.» La scienza spesso non dava in fretta le sue risposte. Anzi, spesso non te la raccontava proprio giusta. La sua famiglia gli aveva insegnato a essere paziente.

Si alzò in piedi, carezzandosi le ferite, ormai secche e dure. La spiaggia di sale splendeva come una stella, da sotto la scogliera.

Sorrise, alla sua terza rinascita.

«Rael, mio primo amico, mi hai salvato per la seconda volta. Ti sono grato.» Andelus si avvicinò alla donna. Allungò la mano tesa, e lei gliela artigliò, senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi. «Fra due Saluti ti avrò portato tutte le braccia.»

«Non ce la farai mai. Non ce la farete mai.»

«Quando ci saranno gli Spiriti in cielo, e tutti saranno col naso all'insù, vedrai che sarà molto semplice.»

Fece per andarsene, ma si girò all'ultimo per aggiungere una cosa fondamentale: «Se io dovessi vincere la scommessa, fossi in te penserei seriamente di unirti ai miei amichetti, per non rimanere con le mani in mano fino alla tua fine. Io sarò l'alternativa alla noia mortale dei nobili.»

«Rael, ci vediamo qui fra qualche giorno» aggiunse, e se ne andò per davvero.

Passò accanto all'entrata del faro, giocherellando col pezzo di vetro fra le dita.

Un baluginìo improvvisò attirò la sua attenzione.

In quel momento, non c'erano i pianeti nel cielo. C'era solo il sole, che, rabbioso, scagliava verso il basso tutta la sua luce. Rimbalzando in qualche strano modo sul pezzo di vetro, andava a finire dritta dritta dentro al faro, illuminandone debolmente l'entrata.

Andelus sorrise.

Per uccidere tutti quei nobili, tutti insieme e senza farsi scoprire, forse si sarebbe servito della magia per l'ultima volta nella sua vita, prima di abbracciare per sempre la sua amata scienza, e fare l'amore con lei, e stupire tutto Tumenor con i suoi figli.

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