Capitolo Diciannove
Sorelle
Il Benefattore aveva un gran senso dell'equilibrio. Se ne stava tranquillo sulla sommità della cabina, mentre oscillava furiosa.
Da quando lui l'aveva aiutata a salire, Maed era rimasta rannicchiata. Aveva sempre creduto di non soffrire di vertigini, ma quelli erano stati altri tempi. I tetti della Villa e del Faro erano sempre stati rassicuranti sotto i suoi piedi. E il cielo non aveva fatto così paura.
«Non finiscono più» disse il Benefattore, massaggiandosi la testa. I nobili continuavano ad arrivare planando, alcuni atterrando sulle cabine, altri immobilizzandosi per aria. Il cavo d'acciaio dell'altovia ondeggiava, come scosso dal vento, e si snodava verso l'orizzonte. Sembrava una collana gigante, con le cabine a fare da immense perline di vetro.
Il cielo era coperto, ma non abbastanza da oscurare la luce di Gamon. Anzi, sembrava quasi di trovarsi sotto una sconfinata lente d'ingrandimento. Maed si schermò gli occhi con una mano.
«Capisco la...» provò a dire, ma fu interrotta da un lamento metallico. L'altovia non aveva smesso di funzionare, e loro stavano lentamente risalendo la città. Si aggrappò più forte. «Capisco l'utilità dell'altovia,» riprese, aumentando il tono, «ma non credo sia un buon modo per far fuori i nobili. E gli basta tagliare il cavo, per lasciarvi senza un bel nulla.»
«Ottima osservazione, Maedlin» urlò il Benefattore, per sovrastare il rumore dei meccanismi che avevano appena superato. Abbassò lo sguardo per lanciarle una breve occhiata. «Ma chi sarà il cattivo, una volta che gli abitanti avranno perso l'unico mezzo gratuito ed efficiente per risalire la città di Asdenar?»
Maed si ritrovò senza una risposta. Senza domande. I nobili, simili a gabbiani, continuavano a scendere dal cielo e si appollaiavano sulle cabine.
«Arriverà il giorno in cui ci toccherà far saltare in aria qualche villa» aggiunse il Benefattore. «Sì, e quando sarà il momento, la gente saprà con certezza che abbiamo fatto la cosa migliore.»
«Immagino saranno anche affascinati» riuscì a dire Maed. «È quello che vuole Andelus, vero?»
«Oh, sì, può anche darsi.»
«Che fine ha fatto?»
Il Benefattore si grattò la testa. Maed cercò d'immaginarsi la sua espressione. La seta gli copriva interamente il volto, e le volute rosse disegnate sul tessuto la distraevano. Donavano all'uomo un perenne ghigno compiaciuto.
Maed, mentre attendeva una risposta, si accorse che i tetti continuavano a scivolare sotto di loro, metri più in basso. Ondeggiavano anch'essi, ma ovviamente era solo un'illusione. D'un tratto, le venne da vomitare.
Ma si stavano anche avvicinando. Ricordarsi di quel dettaglio fu come respirare una ventata d'aria fresca. Stavano inesorabilmente andando incontro a sua sorella, Maed, il Benefattore, e tutti quei nobili.
Anche se le parole sul foglietto si erano volatilizzate ancora una volta, per un attimo fuggevole lo avevano gridato. Adel aveva promesso d'insegnarle la magia, e l'avrebbe aspettata sul tetto dalle tegole blu. Ma non si sarebbe mai immaginata di avere così tanti ospiti.
Maed mandò giù un respiro sofferto. Avrebbe dovuto resistere un altro po', solo qualche altro minuto.
«Io levo le tende» sentenziò il Benefattore, appoggiando i pugni sui fianchi. «Troppi nobili, troppi. Non posso rischiare di morire dopo così poco tempo.» Lanciò un'altra occhiata a Maed, con quel finto ghigno che sapeva d'infame. «Altrimenti chi le paga, le prossime invenzioni degli scienziati? Solo io so dove ho nascosto tutti i soldi.»
Si guardò attorno, studiando l'ambiente attraverso la fitta retina che gli copriva gli occhi. «Sono sicuro che saprai cavartela da sola» disse. «Sempre se riuscirai a riprenderti. Andelus non ti aveva descritto così molle.» Per finire, si lanciò all'indietro con una capriola.
Maed si sporse per guardare. L'uomo aveva aperto qualcosa da sotto la veste, un enorme telo a forma di cerchio. Sembrava una grossa gonna.
Il Benefattore planò via, e presto scomparve tra i muri di due abitazioni.
La nausea di Maed era aumentata a tal punto che lei non riuscì a formulare nemmeno un'imprecazione.
Si spostò cauta, saggiando il vetro liscio sotto di sé. Non era affidabile come un tetto di tegole. Il fatto che la luce potesse attraversarlo, la fece sentire sospesa nel nulla.
Si calò di nuovo di sotto, strisciando appiattita sul fianco della cabina. Si aiutò col piede per spalancare le due ante, e infine, con un colpo di reni, si lanciò all'interno. Si accasciò per terra, e respirò più forte che poté per liberarsi della tensione accumulata. Ascoltare il proprio fiato la fece sentire meno sola.
Ora, doveva solo aspettare.
Si mise seduta sul divanetto, la schiena rigida. Tremava, come sopraffatta dal gelo.
Studiò i nobili, mentre si alzavano in volo un'ultima volta e si ammucchiavano tutti attorno a una sola cabina. Forse non era stata una mossa saggia rinchiudersi di nuovo dentro quella bolla di vetro. Maed si sedette dalla parte opposta, per dare loro le spalle. Così, quando il tetto blu sarebbe stato vicino, l'avrebbe visto subito. Avrebbe visto subito sua sorella.
E in quel momento, tra i suoi piedi, vide qualcos'altro. Si stava riunendo una folla, tra le stradine di Asdenar. Distorta dal vetro della cabina, assomigliava a una macchia informe e grumosa. La gente la seguiva, come in una processione.
Maed si voltò di scatto e si appiattì contro il vetro. Tra la condensa che si era formata per via del suo fiato, vide i nobili avvicinarsi. Ora anche loro si erano trasformati in macchie sbiadite, fantasmi sospesi nel vuoto. Si divisero in più gruppi, e infine formarono tre cerchi perfetti attorno al cavo d'acciaio.
Maed passò la mano sulla condensa, solo per accorgersi che la stavano fissando tutti.
Guardò di nuovo ai suoi piedi. Anche là sotto, tra le strade, tutti avevano il naso puntato all'insù.
Le sembrò tanto una di quelle spettacolari esecuzioni magiche dei nobili. Ora era Maed, la vittima. A tenerla sospesa, affinché tutti potessero ammirarla, c'era un'invenzione degli scienziati.
Per ultimo, guardò davanti a sé, dove poteva risiedere la sua unica speranza.
In piedi, su un tetto dalle tegole blu più alto degli altri, intravide finalmente sua sorella Adelin. Cercò d'immaginarsi la sua faccia confusa. Forse era un'altra invenzione della sua mente, ma la vide sollevarsi in volo.
Doveva avvisarla, doveva farle capire che là dentro c'era proprio lei.
Si alzò di scatto e si lanciò verso le ante, per affacciarsi e chiamare aiuto.
Ma non poté ignorare l'urlo alla sua destra. I nobili si erano ristretti attorno al cavo, ammucchiandosi. Erano rimasti così qualche istante, confabulanti. E poi, tre fiammate rosse - ma non rosse come il fuoco degli scienziati, più intense e più profonde - eruttarono all'esterno, espandendosi in una serie di anelli. Seguirono alcune brevi esplosioni.
La prima a provare dolore, probabilmente, fu la stessa altovia.
Il suo lamento era come un ululato, triste e sofferto, come metallo che sprofonda.
Mentre Maed si accorgeva di cosa stava succedendo, e cercava qualcosa a cui aggrapparsi, la gravità scomparve attorno a lei. Anzi, subito dopo, si capovolse. Lei si ritrovò a fluttuare al centro della cabina, fino a quando il soffitto non si abbatté sul suo cranio.
Vide schegge di vetro, saliva e filamenti di sangue saettare di fronte ai suoi occhi. Udì un fischio sommesso, quello dell'aria, e lontano, il giubilo della folla.
La gravità ritornò per un attimo come prima, e lei si ritrovò appallottolata su se stessa. Tutto era immobile, insieme al tempo. Sembrava essere finita ogni cosa.
Ma riprese di nuovo.
Ancora, il vetro si fiondò su di lei, ma stavolta non fece neanche male. Una delle due ante si scardinò, e l'esterno la risucchiò. Comparve un'ombra, sull'uscio. Si aggrappò ai cardini della porta, mentre la realtà continuava a sfrecciare alle sue spalle. Azzardò un passo in avanti, verso Maed. Allungò una mano, le afferrò le dita. Non ci fu bisogno di usare la forza, tutto avvenne quasi con delicatezza.
Si ritrovarono fuori, lanciati nel cielo. Ora il vento premeva sotto di loro.
«Aggrapati, come se mi stessi abbracciando...»
Maed obbedì. Si accorse di essere sdraiata sopra una persona, e quella persona stava planando. L'aria fresca sulla faccia, piano piano, l'aiutò a riprendere conoscenza. Attorno a lei volteggiavano i suoi capelli color rame, e insieme a essi, altri lunghi e biondi.
Appoggiò la guancia nell'incavo del collo, convincendosi si trattasse di un cuscino. Chiuse gli occhi.
Dopo qualche minuto li riaprì. Stavano ancora planando, ma erano più bassi. I tetti scorrevano sotto di loro come un placido fiume. Si voltò per guardare da dove erano venuti.
Poté ammirare l'altovia nella sua interezza. Anche se, ormai, era stata sconfitta.
La collana, lo spesso cavo d'acciaio, si era spezzata, riversando le sue perline per aria. Una delle cabine era rimasta agganciata alla fune. Continuava a fare su e giù come un pendolo, roteando attorno a un palo sbilenco, ma assomigliava di più a un coccio di bottiglia dopo che si è schiantato sul fianco di una nave.
«Io ero là dentro...» biascicò Maed.
«Sì, ma sei stata forte, ora sei in salvo.»
Era Adelin, sì.
Atterrarono tra due abitazioni così vicine da toccarsi. Adelin l'aiutò ad appoggiare la schiena contro la parete, poi si sedette accanto a lei.
«Riposati, tranquilla» le disse, lasciandosi scivolare sulla schiena e distendendo le gambe in avanti. «Abbiamo tutto il pomeriggio per noi.»
Maed non riusciva a parlare. Il suo cuore aveva ripreso a battere al giusto ritmo, ma si sentiva ancora qualcosa sul petto, come un grosso pugno. Si sdraiò sulle gambe di Adelin e appoggiò la testa contro il suo grembo. Lo sentiva muoversi, dolcemente, al ritmo rassicurante del suo respiro.
«Da quant'è che non dormi su un letto vero?»
Sentire la sua voce era come una dolce medicina, ma quello che le faceva provare quasi goduria era la vibrazione calda e avvolgente del suo addome quando parlava.
Era quello che provavano i bambini quando erano ancora nel grembo delle loro madri?
Maed, come in risposta, sfregò la sua guancia contro di lei. Da tanto tempo non riposava senza alcun pensiero per la testa. Ora, in quel preciso istante, sembrò tutto perfetto. Chi avrebbe potuto disturbarle in quel vicolo dimenticato? I nobili e gli scienziati potevano continuare a farsi la guerra per tutto il pomeriggio, lei e Adelin sarebbero state per qualche ora fuori dal mondo.
Si risvegliò ancora, dopo qualche minuto. Si sentiva la testa piena, le braccia pesanti. Attorno a lei, erano schierate alcune lanterne dalle fiamme viola. Percepiva la magia aleggiare intorno, entrarle nelle narici e inebriarla.
Non seppe quanto passò, ma, piano piano, la realtà ritornò a essere più dura, affilata come una volta. Regnava un odore di muschio e umidità. Maed rimase qualche momento con gli occhi fissi sui mattoni di fronte a lei.
«Ti va di raccontarmi cos'è successo in questi ultimi giorni?» chiese Adel. «Da quando sei scappata dalla Villa per la prima volta.»
Maed serrò gli occhi.
«So che...» sospirò. «Fidati, vedrai che raccontarlo ti farà capire che è tutto passato per sempre.»
Poteva provarci, almeno.
Iniziò con la prima visita alla Combriccola, e di quando aveva fatto brillare il fuoco di rosso per qualche secondo. Lasciava scivolare fuori dalle labbra poche parole alla volta.
Piano piano, ci provò gusto, e scoprì che Adel aveva ragione. Ricordare aveva l'effetto opposto del dolore. Le parole sembravano sminuire ogni cosa. Avevano il potere di diluire.
Quando infine arrivò al momento in cui il Temprato l'aveva spinta giù dalla scogliera, era ancora rannicchiata addosso a sua sorella. Ma, quando ricordò cos'era successo pochi minuti prima, non riuscì a rimanere ferma in quella posizione. Si alzò, aprì gli occhi, e forse riuscì ad accennare un sorriso.
«Poi ho spalancato le porte,» disse «e l'ho visto crollare giù. Era lui, era proprio il Temprato.»
Adelin rise di gusto.
Maed si appoggiò al muro con la schiena, si stropicciò gli occhi. Basta così, la storia poteva finire in quel modo. C'era ancora qualcos'altro, in realtà, ma quello sembrava un ottimo finale.
«Se non fossimo nella tua stanza, sembrerebbe proprio quel giorno» disse Adel, con un sorriso amaro.
«Solo che ora siamo già sorelle, no?»
Adelin annuì.
Ricordò quella volta, quando lei l'aveva colta in flagrante sul davanzale della finestra di camera sua. Era stata sul punto di lanciarsi giù e scappare verso il Faro.
«E cosa si diventa dopo essere sorelle?» chiese Maed. «Cosa diventiamo oggi?»
Adel fece spallucce. «Amiche?»
Maed ci pensò su. Sì, non era male.
«Be', ora tocca a te raccontare» disse, accarezzando il muro di fronte con la punta del piede.
Sua sorella fece ancora spallucce, ma stavolta non disse nulla.
«Dai, da quant'è che non parliamo?»
«Ma l'altra volta era diverso» disse Adel, tormentandosi l'orlo della gonna. «Cioè, non ci eravamo mai parlate.»
Non aveva tutti i torti. Ricordò quanto era stato noioso fare scherzi ad Adelin, da piccola. Mentre Tanesin e sua mamma si erano sempre infuriate, e le avevano regalato tante di quelle magnifiche fughe per i corridoi, lei aveva pianto sempre, e basta. Semplicemente, dopo un po', Maed si era stancata. Ogni volta che l'aveva guardata in faccia, aveva quasi sempre intravisto le lacrime sul punto di bagnarle le guance. Non c'era mai stato gusto con lei. Anche lo scherzo più innocuo era sembrato sbagliato. Qualcosa di freddo le aveva sempre tenute lontane per anni, anche se erano nate dallo stesso grembo.
«Ci sarà qualcosa, dai» aggiunse. «È quel ragazzo?» Maed desiderava sentirla parlare. Voleva replicare quel giorno in cui avevano sciolto quel dannato gelo, due anni prima.
Doveva riaccadere. A breve le avrebbe finalmente insegnato la magia.
«Davvero, non penso di aver qualcosa di così interessante come l'ultima volta.»
Ma Maed lo sapeva che qualcosa doveva esserci.
Come ci era riuscita, quel giorno, a farla parlare così tanto, quella volta che si erano proclamate vere sorelle?
Maed era scesa dal davanzale della finestra, tremante, nascondendo dietro la schiena la refurtiva per gli scienziati.
Il volto di Adelin, quella volta, non aveva urlato al mondo che stava per mettersi a piangere. Piuttosto, aveva fatto paura.
"Cosa nascondi, Maedlin?"
Non si sarebbe mai dimenticata quella domanda così gelida.
Quando Adelin aveva ripetuto la domanda, era stata Maed a scoppiare in lacrime. Si era seduta sul bordo del letto, pregandola di non dire niente a nessuno. Di stare zitta, per favore, di non dire niente alla mamma, a Tanesin, a nessuno.
Adel era rimasta in piedi. "Racconta" aveva detto. Aveva chiuso gli occhi, e si era passata l'indice sulle labbra.
Maed si era asciugata le lacrime e aveva ubbidito. Tentennando, all'inizio, le aveva raccontato ogni cosa. Poi, sempre più veloce. Quando aveva finito, si era sentita sfinita. Quel segreto, quello di aver conosciuto Tadon, uno scienziato, e di aver iniziato a rubare per la Combriccola, il solo fatto di averle svelato quel segreto, l'aveva sfiancata del tutto.
Lo sguardo di Adel, in risposta, era stato eloquente. Pietà.
E il gelo si era sciolto. Si era sciolto quando lei le aveva preso la mano e l'aveva fatta sdraiare sul letto. Si era distesa accanto a lei. Maed sentiva che anche sua sorella aveva avuto paura. Il suo petto aveva fatto su e giù velocemente, fino a quando non si era decisa a parlare anche lei. Ma quella paura era stata una paura sana.
Forse allora, lì, in quel vicolo umido e abbandonato, ci voleva un altro segreto sfiancante come quello di due anni prima.
Maed osservò qualche secondo sua sorella. «Be', allora te la dico io una cosa interessante» iniziò. Adelin smise di stropicciarsi il vestito e ricambiò lo sguardo. Sembrava grata di essere sfuggita alle domande pressanti di prima, ma subito dopo la sua espressione si fece confusa. «Adel, ti ricordi quando abbiamo fatto visita alla capitale, cinque anni fa?» Provò ancora paura per quello che aveva intenzione di dire.
Sua sorella annuì.
«Scomparivo spesso, vero?».
«Me lo ricordo bene.» Adel strinse gli occhi. «Cosa vuoi dirmi, che già allora conoscevi degli scienziati? Maed, ormai lo sanno tutti.»
«Non c'entrano gli scienziati.»
«Maed, che hai...» Adel si avvicinò. «Perché ora stai tremando?»
Una volta che si erano sdraiate una accanto all'altra, Adel aveva fatto un ultimo sospiro e poi era salita sopra Maed, immobilizzandole le braccia.
La sua voce era stata sommessa. "Ho conosciuto questo ragazzo..."
«Adel, ho conosciuto un Astrale, quella volta. Non... non è vero che sono scomparsi, lo sai?»
Quel pomeriggio, le cosce e le ginocchia di sua sorella avevano tremato sui fianchi di Maed. "Forse non te ne frega niente, ma... Non sapevo a chi dirlo, in realtà. Be', ormai l'ho detto, no? Penso che ormai stiamo insieme... credo?"
Maed, ancora immobile sotto di lei, forse aveva accennato a un sorriso, si era asciugata le lacrime. E allora sua sorella aveva continuato a parlare, e a parlare. Non si era fermata più.
"Questa notte, sono uscita dalla finestra. Proprio come stavi facendo tu, prima. Ecco, io non mai avrei pensato di poterlo fare." Si era messa a ridere. "Tranquilla, Maed, io non dirò niente alla mamma, nemmeno a Tan."
Si era fermata e aveva guardato a lungo oltre le tende della finestra, umettandosi le labbra.
"Per tutto il tragitto fino alla sua villa mi ha stretto la mano. Poi, eravamo sul letto, proprio come ora, noi. Oh, è stato... bello."
"Davvero?"
E subito dopo quell'innocua domanda, c'era stato il momento più terrificante di tutti. Adelin, che fino a qualche ora prima era stata per lei una completa sconosciuta, si era passata una mano sul retro del vestito e aveva sfilato un bottone. Le aveva raccontato tutto.
Dopo quell'istante erano diventate sorelle, e niente aveva fatto più paura tra di loro.
Maed, come allora, sentì il cuore battere, si sentì stanca e stupida di quello che aveva detto.
«Astrale? Maed, ma che dici?» disse Adel, inclinando il capo. «Perché devi avere sempre fretta...»
Qualcosa non aveva funzionato. C'era qualcosa di sbagliato, stavolta. Maed si limitò ad abbassare lo sguardo, incapace di rispondere in modo sensato.
«Non dobbiamo forzare le cose. Vedrai che avremo tanto di cui parlare, da oggi in poi.» Adel allungò una mano verso la tasca del vestito di Maed, raccogliendo il foglietto bianco. «Mi aiuterà anche papà, con la magia. Ho già in mente un posto in cui staremo al sicuro. Non ci verrà a spiare nessuno, non lo saprà nessuno. Finalmente il tuo tatuaggio acquisterà un senso.»
Maed annuì e si asciugò la guancia, anche se non aveva pianto.
«Dobbiamo pazientare, però. Non posso insegnarti la magia così, abbiamo bisogno di un posto adeguato, e soprattutto, dobbiamo procedere con calma.»
«Che tipo di posto?»
«Una villa.»
«Non...»
«Maed, tranquilla, là dentro non ci tornerai più. Te lo prometto.»
Maed guardò Adelin negli occhi. Il suo lento battito di palpebre disse tutto. Poteva fidarsi.
«Quella cosa che dovevi farmi vedere, allora» disse, lisciandosi una ciocca di capelli, «nei cunicoli, c'entra in qualche modo con la magia?» Ricordò i brividi, e i capelli che si erano rizzati sulla testa.
«Sì, hai indovinato. È come se le ville fossero... vive, in un certo senso? Non potremmo fare un bel nulla, altrimenti. Per questo, prima di tutto, devo trovare una villa in cui nessuno potrà disturbarci, io, te e papà.»
Fuochi colorati, ville, cunicoli.
Maed fece per aprire la bocca, ma si rispose da sola ancor prima di formulare la domanda.
Andelus lo aveva detto, la prima volta che si erano parlati. Asdenar nascondeva sotto di sé miriadi di cunicoli, e ogni sua strada era illuminata da lanterne colorate. Allora era così che i nobili potevano usare la magia più o meno dappertutto.
«Anche Asdenar è viva?»
Adel si limitò a sorridere.
«C'è qualcosa di vivo anche sotto le sue strade, sotto ogni abitazione, vero?» chiese ancora Maed.
Sua sorella si spolverò il vestito e si alzò in piedi. «Sarà molto divertente insegnare la magia a te. Per me è davvero un onore.» Fece un un inchino e scoppiò a ridere.
Porse la mano a Maed e l'aiutò ad alzarsi.
«Ora, devo chiederti un'ultima cosa, la più importante.» Lo sguardo di Adel si fece serio. «Sei davvero sicura di volerla imparare?»
«Stai dicendo sul serio?»
Siccome Adel sembrava non aver intenzione di staccarle quelle pupille così strette dagli occhi, Maed cercò un'altra risposta. «Cosa mi rimane, ormai? Nessuno, ora come ora, mi accoglierebbe tra gli scienziati. Tutti quelli che conoscevo sembrano scomparsi.»
Sua sorella strinse le labbra. «Devo esserne sicura, Maed. Devo potermi fidare ciecamente. So che...» Adel scosse la testa. «Ti chiedo un'ultimo sforzo, va bene?» C'era paura nei suoi occhi. «Uno solo, e basta. Devi mostrarmi che puoi ostacolare gli scienziati.»
«E come?»
«Qualsiasi cosa. Ora che sono usciti allo scoperto, sono molto più vulnerabili. Dopo, stanne certa, sarò tutta tua.»
E va bene.
Maed sospirò. Forse, aveva già un'idea.
Adel le afferrò le spalle. «Da oggi in poi ci sarà una terza fazione, ad Asdenar. I nobili, gli scienziati, e noi due.» Le stampò un bacio a lato della bocca.
«Io sarò sempre sul tetto blu, al tramonto di Udenas» aggiunse. «Ogni giorno, va bene?» disse. «Quando avrai fatto, sai dove trovarmi.»
L'abbracciò forte, per un minuto intero. Quando si staccarono, Adel distese le labbra in un rapido sorriso, e corse via per lo stretto vicolo tenendosi il vestito.
«Aspetta, Adel!» Maed allungò la mano. Quando lei si girò, fece quella domanda. Era rimasta sul fondo, ma ora risalì a galla come una bolla. «Quella sera del lampadario, quando ero nascosta dietro la siepe. Il ragazzo che era con te ha detto che la mamma vuole adottare una nuova figlia. È vero?»
Adel abbassò lo sguardo. «Sì, è vero.»
«Perché?»
«Be', sapeva che te ne saresti andata e... È una questione tra famiglie. Non vuole perdere un matrimonio, ecco.»
«E com'è... com'è lei?»
«Oh» rispose Adel. «Ti assomiglia, in un certo senso. Di carattere, intendo. Ma non ha i capelli belli come i tuoi» aggiunse, ridendo. «Ma, più di tutte, assomiglia alla mamma. Ovviamente, se l'è scelta accuratamente.»
Si scambiarono un saluto silenzioso, con gli occhi, e dopodiché ognuna prese la sua strada.
Maed si preparò mentalmente a tornare dal Cavalluccio. Si preparò alle sue domande insistenti, da genitore apprensivo. Cercò qualche bugia da raccontare.
Nel frattempo, si tastò con le dita la lunga ferita sull'addome. Ne accarezzò i bordi ormai secchi.
Prima, però, avrebbe escogitato un modo per ostacolare gli scienziati. Sembravano essere molto affezionati a quel cilindro metallico che avevano pescato dal mare. L'Astro, l'avevano chiamato. Era stato quel coso a incornarla sullo stomaco, quasi facendola svenire sott'acqua.
Sarebbe stato difficile, certo. Ma forse avrebbe potuto farcela, a mettergli i bastoni tra le ruote quanto bastava, e convincere sua sorella a formare una squadra con lei.
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