Move over
Ore 9.30 del mattino. Lezione di storia. Già Jane non era mai riuscita ad apprezzare appieno la materia; lei era viva in quel momento e voleva vivere, non le interessava un granché sapere quello che delle persone ormai morte avevano fatto centinaia di anni prima, se non di più. Figurarsi ora che aveva la testa che le scoppiava e talmente tanto sonno che si sarebbe messa a dormire sul banco. La sera prima era stato un delirio, e più ripensava al modo in cui si era conclusa la sua uscita, più avrebbe voluto sparire dalla faccia della terra.
Era andato tutto benissimo fino a quando, proprio nel mezzo di Just like a woman, del famoso, a quanto pareva, Bob Dylan (il titolo della canzone e il suo autore le erano stati sussurrati da John, mentre ballavano paurosamente vicini), un altro Bob, molto meno gradito, aveva fatto irruzione nel locale.
"Jane Davis! Vieni subito fuori!" Aveva tuonato suo padre, contrastando con la sua voce il suono della musica.
La ragazza si era sentita gelare: come l'aveva trovata? Che ore erano? Non aveva risposte per queste domande, ma la cosa che più la preoccupava era cosa avrebbe potuto vedere e pensare l'uomo: Alex e Lucy stavano facendo quello che la ragazza aveva cercato di fare per tutta la serata; Eleanor era seduta su un tavolo, avvinghiata a Dave, e i due erano intenti a baciarsi con molto trasporto; Penny stava ballando sfrenatamente con Francis e Freddy, anche se la canzone era tutt'altro che sfrenata; Simon, Fred e George stavano fumando, passandosi quella che non era decisamente una sigaretta; Philip e Thomas erano seduti in un angolo con gli sguardi allucinati, dopo quello che Dave aveva definito un giro di zucchero; Richie e David si stavano sfidando ad una gara di chitarra, con Richard che faceva da giudice; e, dulcis in fundo, lei e John, in mezzo alla pista da ballo, stavano ondeggiando abbracciati mentre lui fumava una pipa. Questo vizio di John Johnson la attraeva particolarmente, anche se non riusciva a spiegarsi il motivo.
Jane aveva avuto l'impressione che all'ingresso di suo padre il tempo si fosse fermato, anche se, pensandoci in quel momento, era avvenuto tutto nel giro di pochi minuti. Lei si era staccata immediatamente da John, come se si fosse scottata, e aveva domandato, cercando di tenere un tono di voce il più calmo possibile:
"Papà, cosa ci fai qui? "
"Sono venuto a prenderti, figlia degenere." Aveva risposto lui, avanzando nel locale, mentre tutti li guardavano.
Più lui si era avvicinato, più Jane aveva cercato di arretrare, finché non si era ritrovata con la schiena contro la parete di fondo. A quel punto si era resa conto di non avere scampo e di dover affrontare l'ira funesta di Bob Davis.
"Sono molto in ritardo?" Aveva chiesto, fingendosi innocentemente sorpresa. O meglio, sorpresa lo era stata davvero: mai avrebbe pensato che i suoi genitori, sì, c'era anche sua madre, sarebbero venuti a cercarla per un pochino di ritardo; ma innocente no di sicuro: aveva palesemente mentito a suo padre, e il quadretto che l'uomo si era ritrovato di fronte ne era l'evidente conferma. In più quella sera non si era esattamente comportata come la figlia modello che a sua madre faceva piacere pensare di avere, tutt'altro, e la compagnia con cui si trovava in quel momento non era delle più raccomandabili in senso stretto: i suoi amici erano tutti bravissime persone, ma a vederli non si sarebbe detto.
"Molto è un eufemismo. Avevi detto che saresti tornata per le dieci e lo sai che ore sono? No? Sono quasi le due del mattino!" La voce di suo padre le era sembrata una condanna a morte certa.
"Ah." Aveva risposto lei. "Non mi ero accorta fosse così tardi. Il tempo vola quando ci si diverte, no?" La risatina sforzata della ragazza si era rivelata un vano tentativo di stemperare la tensione. Anzi, aveva probabilmente accresciuto l'ira del padre.
"No. Spero tu ti sia divertita abbastanza stasera, perché non troverai così divertente quello che sta per succederti." Così dicendo, Bob l'aveva presa per un braccio e letteralmente trascinata fuori dal locale, borbottando cose inquietanti come "Ti faccio murare viva in cantina" e "Ti rispedisco in Australia a spiegare ad Ethan perché ogni volta che chiama gli riattacco in faccia". Jane era stata sul punto di mettersi a piangere, più per la figuraccia terribilmente imbarazzante che aveva fatto con i suoi nuovi amici, che per la sgridata con successiva punizione che era sul punto di subire.
Quello che era successo in strada era ancora piuttosto confuso nei pensieri di Jane. Ricordava distintamente l'aria fredda che l'aveva fatta rabbrividire, coperta com'era solo da un vestitino leggero e le lacrime calde che le avevano rigato le guance. Suo padre aveva urlato che era una disgraziata e che non ci si poteva fidare di lei. Ricordava di aver urlato anche lei, dicendo a Bob che era un tiranno che voleva rovinarle la vita, mentre sua madre cercava di mediare la situazione: "Dai, ne parliamo a casa con più calma, davanti a una bella tazza di cioccolata." Così aveva detto la donna, cercando di spingere la figlia nell'automobile. A quel punto la situazione si era fatta ancora più drammatica per quella che Jane considerava la sua reputazione nella nuova scuola: molti dei ragazzi di quella che aveva sperato potesse diventare la sua compagnia di amici li avevano seguiti fuori dal locale.
"Jane, cara, tutto a posto?" Eleonor l'aveva raggiunta ad una velocità impressionante, considerando i tacchi che indossava.
"No! Non è tutto a posto!" Aveva risposto lei, ma poi suo padre le aveva impedito di continuare.
"Lo dico io che non è tutto a posto! Siamo in questa città da neanche tre giorni e vai già ad ubriacarti fino a tarda notte con un gruppo di persone di cui non sai assolutamente nulla perché li hai conosciuti da neanche un giorno! Sarebbero potuti essere dei criminali! Degli stupratori! Dei comunisti! E come se non bastasse hai abusato della mia buona fede, raccontandomi un sacco di palle e facendo preoccupare tua madre!"
"Veramente io non ero così preoccupata..." Lou era stata zittita dallo sguardo del marito ed era salita in macchina senza dire un'altra parola.
"Quindi domani Jane non verrà alla serata tacos e quesadillas a casa mia? E' aperta anche ai genitori, sa?" Eleonor non sembrava per nulla turbata dalla situazione.
"Potrebbe esserci anche il presidente degli Stati Uniti in persona per quello che me ne frega! Mia figlia non uscirà né domani né mai!" La dura risposta di Bob aveva fatto indietreggiare Eleonor, che non era abituata ad adulti scorbutici ed intransigenti.
"Hey, hey, hey, cerchiamo di mantenere una conversazione dai toni civili e moderati. Non abbiamo fatto assolutamente niente: siamo tutti minorenni." Per fortuna Dave si era inserito nella conversazione. La sua voce calda e profonda avrebbe incantato e sedotto qualunque essere umano, ma non Bob. Il padre di Jane non era umano.
"Civili e moderati?" Aveva sbraitato il signor Davis. "Un uomo non ha neanche più il diritto di arrabbiarsi giustamente con la sua irrispettosa figlia? E poi tu chi diavolo sei?"
"Io sono Dave, il Profeta." La risposta incredibilmente calma e pacata di Dave aveva spiazzato Bob.
"Mi dispiace, signor Profeta, ma veramente noi siamo protestanti."
"Io sono animista, la mia massima aspirazione è di reincarnarmi in un filo d'erba che ondeggia accarezzato dalla brezza mattutina." Dopo aver sentito il commento nell'inglese dal fortissimo accento di Freddy, Bob Davis era dovuto essersi definitivamente convinto che sua figlia fosse uscita con un gruppo di pazzi, e, visto che la sua educazione gli aveva insegnato che con i pazzi non si discute, aveva messo di peso Jane sul sedile posteriore dell'auto, si era seduto alla guida ed era partito.
Mentre la loro piccola automobile azzurra sfrecciava verso casa, Jane aveva lanciato un ultimo sguardo malinconico verso quelli che erano quasi diventati i suoi amici. E che probabilmente dopo quella serata non l'avrebbero nemmeno più degnata di uno sguardo. Eleonor la salutava con la mano, Penny, abbracciata a Francis, le sorrideva (anche se Jane non trovava niente di divertente in quel momento). Freddy aveva preso sulle spalle Richie, che le urlava qualcosa di misterioso mentre si agitava convulsamente, mentre Marc, il ragazzo più timido, era improvvisamente riapparso e sembrava sul punto di scoppiare a piangere. Quel ragazzo le appariva sempre più strano, ma forse era l'unico ad aver capito ciò che Jane stava provando in quel momento. Altri membri del gruppo, tra cui il misterioso Philipe, con i suoi occhiali da sole alle due di notte, e Thomas, dallo sguardo assassino, erano fermi immobili vicino alla porta del locale. La fissavano, e i loro sguardi la facevano sentire ancora più in imbarazzo. Alcuni ragazzi erano rimasti all'interno dello Spot of Time, e tra questi anche Simon. Jane non sapeva cosa pensare. Se da una parte era felice del fatto che lui non stesse assistendo a quella scena penosa, dall'altro non si era probabilmente nemmeno accorto della sua presenza. Se mentre erano soli in macchina, Simon le era sembrato interessato a conoscerla, durante la serata non si era neppure degnato di rivolgerle una singola parola. Jane si sentiva una semplice illusa, una stupida, un'ingenua. Ma quello che l'aveva più colpita era stato John, la vera sorpresa della notte. Inizialmente Jane l'aveva perso di vista, ma mentre la macchina si allontanava e la disperazione della ragazza aumentava ogni istante di più, John era sbucato all'improvviso, correndo, fuori dal locale. Si era fermato poco più avanti degli altri, e, dopo essersi portato la mano a cornetta all'orecchio, aveva mimato con le labbra le parole Ti chiamo: Jane non ricordava di avergli dato il suo numero. A dire la verità, non l'aveva ancora imparato nemmeno lei.
Il suono della campanella che annunciava la fine dell'ora la riportò al presente. Jane sbuffò con rassegnazione: l'esito della serata era stata una punizione a vita, ovvero finché non fosse riuscita a convincere sua madre a intercedere per lei (un paio di giorni, al massimo). Senza contare la figura più merdosa del mondo. Davanti a tutti quei ragazzi, che sembravano tutti così liberi, così indipendenti, aveva fatto la figura della bambina. Anzi, la figura della sfigata epocale. Ci sarebbe mancato solo che suo padre si fosse messo ad indagare sullo stato della sua verginità! Era talmente arrabbiato il ritardo che si era dimenticato di averla vista ballare avvinghiata a John Johnson.
Era indubbio che con la Band e gli altri ragazzi popolari avesse chiuso. Un po' perché sicuramente loro, liberi di stare fuori fino all'alba, senza nessuno a decidere del loro destino, non avrebbero più voluto avere nulla a che fare con una che invece viene sequestrata dai genitori se solamente sfora di "un pochino" sul coprifuoco; un po' perché suo padre non l'avrebbe più lasciata uscire con loro senza prima fare accertamenti sul conto di ciascuno. Si drogavano? Avevano mai rischiato la galera? Avevano una famiglia? Ma soprattutto perché lei, Jane Davis, si vergognava terribilmente.
Controllò l'orario. "Oh no!" Gemette tra sé e sé, notando la parola ARTE scritta sulla terza ora del martedì. Era piuttosto certa che lì avrebbe incontrato Eleonor, Penny e quasi tutti gli altri, oltre che lo stravagante Prof Pinkman, con i suoi "cucciola" e "figa pelosa". Ed era altrettanto certa che non ce l'avrebbe mai fatta ad affrontarli. Meglio fugare la lezione e rintanarsi in bagno a meditare su quanto facesse schifo la sua vita. Ogni volta che suo padre interveniva "per il suo bene" finiva così. Ma come poteva sapere lui di cosa era bene per lei? Perché non aveva mai provato a mettersi nei suoi panni?
La Lincoln High School era veramente enorme: c'erano pochissime probabilità che, camminando per uno dei tanti corridoi, diretta ad uno dei tanti servizi igenici femminili, Jane si potesse imbattere in qualcuno che conosceva. Infatti, appena svoltato l'angolo, si trovò faccia a faccia con Kristopher Brown.
"Jane! Ti stavo proprio cercando! Che coincidenza fortunata, non trovi?"
"Come no. Devi dirmi qualcosa?" Rispose secca lei. Il suo unico pensiero era quello di raggiungere i bagni il prima possibile, non mettersi a parlare con quel "capitalista", o come l'aveva definito, in modo chiaramente dispregiativo, Thomas, il rosso.
"Beh, nulla di particolare, mi fa solo piacere vederti! Ah, già, ieri sono passato a trovarti, per chiederti se ti andava di venire a fare una passeggiata con me, ma Mr. Davis mi ha detto che eri uscita con delle tue amiche."
"Ah. È vero. Mi dispiace." Disse lei, anche se non le dispiaceva affatto. Kristopher non era propriamente brutto, ma era terribilmente noioso e perbenista, totalmente fuori concorso con gli altri ragazzi che aveva conosciuto. E poi non era Simon. E nemmeno John. E non era divertente come Freddy.
"Con chi sei uscita di bello?" Insistette lui.
"Guarda, non ha importanza, perchè credo che il vecchio tiranno non mi lascerà più uscire di casa. Ora scusami, ma ho fretta."
"Oh, mi dispiace." Iniziò a dire Kristopher, mentre lei lo superava, avanzando nel corridoio. "Beh, magari qualche volta possiamo venire a scuola assieme, o pranzare assieme, o..."
Jane si chiuse la porta del bagno delle ragazze alle spalle, senza prestare attenzione alle parole del suo vicino di casa. Sapeva di essere stata scortese, ma si sarebbe scusata in un altro momento. Stava per chiudersi in uno dei gabinetti per piangere un po' in pace, quando udì chiaramente un singhiozzo: c'era qualche altra anima in pena in quel bagno.
"Magari le sue sofferenze potrebbero aiutarmi a dimenticare le mie ed il mio triste destino di donna di Kristopher." Pensò Jane, trattenendo un conato di vomito, prima di chiedere, con il tono più gentile che le uscì: "Va tutto bene?"
La porta della terza toilette alla sua sinistra si aprì di scatto. Ne uscì una ragazza altissima, snella, dal fisico perfetto. I lunghi capelli castani le ricadevano sulle spalle, lasciate scoperte. Indossava infatti un top bianco con una "E" rossa stampata nel mezzo, e una gonna corta, a righe bianche e rosse. Era probabilmente una cheerleader, e questo riempì Jane di ammirazione. In Australia, o almeno da dove veniva lei, non esistevano le cheerleader, e quanto le sarebbe piaciuto essere una di loro!
"No." Gemette lei tra le lacrime. "La mia vita fa schifo. Un attimo prima sembra tutto perfetto e l'attimo dopo sta andando tutto a rotoli." La ragazza alzò lo sguardo verso Jane. Nonostante le lacrime che le rigavano il volto, le apparve bellissima e perfetta, probabilmente grazie ai grandi occhi nocciola, i lineamenti delicati e le labbra carnose.
"Questa l'ho già sentita." Pensò lei, ripensando a quanto fosse sembrato tutto bellissimo prima dell'intervento di suo padre.
"Su su, non sarà poi così terribile." Le disse, tenendo un tono comprensivo. "Vieni, sciacquati la faccia, vedrai che andrà meglio." Aprì uno dei rubinetti e lasciò scorrere l'acqua fredda. L'altra si lavò il viso, cercando di ritrovare un certo contegno.
"Se ne vuoi parlare, io sto fugando. Ho almeno un'ora per ascoltarti." Le disse con un sorriso forzato. "A proposito, io sono Jane Davis, mi sono trasferita da poco."
"Ah, sì, ho sentito." Rispose la ragazza tirando su col naso. "Io sono Eliza Parker, fino ad un'ora fa regina indiscussa della scuola. Ora sto piangendo umiliata in un bagno. Sicura di voler sapere come sono finita dalle stelle alle stalle?"
"Sì, così posso aiutarti." Rispose Jane. Magari se avesse compiuto qualche buona azione, Dio si sarebbe ricordato di lei e l'avrebbe aiutata, magari spedendo suo padre a studiare i fenicotteri rosa in Africa. O forse in Europa?
"Beh, sì, insomma... come già saprai la settimana prossima sarà quella del Prom. E ovviamente io sono stata candidata come Prom Queen. Ci sono anche altre tizie nominate, ma nessuna è al mio livello, e non lo dico per tirarmela. È un fatto oggettivo. Quindi io sarò sicuramente la regina anche quest'anno. Per il secondo anno di seguito. Il problema è il King. O meglio, CHI sarà il king. Devi sapere che ero stata bravissima, avevo organizzato tutto alla perfezione: il vestito, le scarpe, l'acconciatura adatta a portare la corona, i fiori. Avresti dovuto vedere che belli! Ma torniamo a noi. Stamattina Kristopher, il mio accompagnatore e futuro re della Lincoln, accuratamente selezionato tra la popolazione maschile della scuola, mi è venuto a dire che non poteva più venire al ballo con me, adducendo la scusa più idiota che io avessi mai sentito! Mi ha scaricata, capisci?"
"Kristopher Brown?" Chiese stupita Jane, che proprio non riusciva a immaginarsi il suo goffo vicino come Prom king.
"No, bleah! Che schifo!" Esclamò stizzita Eliza. "Io intendevo Kristopher Hale. Era l'accompagnatore perfetto: carino, simpatico, abbastanza popolare da essere scelto come re, uno dei migliori ballerini della scuola. Saremmo stati la coppia più invidiata della festa. E invece adesso, appena si spargerà la voce che sono stata scaricata e che non ho un cavaliere sostituto per il ballo, la mia reputazione sarà rovinata. E la mia vita? Finita!"
"Su, non essere così tragica, possiamo trovare una soluzione." La incoraggiò Jane. Eliza si era rimessa a piangere: "E quale?"
"Facile: troverai un altro accompagnatore per il Prom. Una ragazza bella come te potrebbe chiedere a chiunque e ricevere una risposta affermativa. Avanti, oltre a questo Kristopher Hale ci dovrà pur essere qualcun altro con cui ti piacerebbe fare coppia."
Eliza si asciugò le lacrime col dorso della mano: "Veramente io e Kristopher non facevamo proprio coppia, eravamo solo amici. Dico al passato perché dubito che dopo oggi gli rivolgerò più la parola. Comunque sì, ci sarebbe questo ragazzo, che mi piace da parecchio, ma che non mi ha mai neppure rivolto la parola."
Jane stentava a crederlo possibile, ma decise di non dirlo ad Eliza:
"Sai dove possiamo trovare questo ragazzo?" Chiese. L'altra scosse la testa, con fare rassegnato, ma Jane non perse l'iniziativa: "C'è qualcosa che possiamo fare, mentre aspettiamo di incontrarlo per caso nei corridoi? Qualcosa per tirarti su di morale?"
Eliza annuì, sorridendo: "Possiamo andare a controllare come prosegue la mia campagna elettorale come Prom Queen, per non far capire agli altri studenti quanto sia tragica la mia situazione."
"Ottima idea."
Le due ragazze stavano camminando per i lunghi corridoi della Lincoln, quando videro un ragazzo alto, che portava un paio di occhiali da sole a specchio anche dentro la scuola, uscire da un'aula e dirigersi nella direzione opposta alla loro. Jane lo riconobbe come uno dei membri dell'altra compagnia della sera prima e si sentì mancare, ma riuscì a mantenere un'espressione neutra. Eliza, dal canto suo si immobilizzò sul posto, stringendo il braccio di Jane per non cadere e, quando lui passò loro accanto, disse, con una vocina maliziosa: "Ciao Philip!"
Lui non la degnò di uno sguardo. Jane era sempre più convinta del fatto che fosse davvero una persona antipatica ed odiosa, e per questo era certa che avrebbe ignorato anche lei. Ma Philip le rivolse un cenno con la testa, dicendo: "Ciao Jane, ci si vede." A quell'inaspettato saluto la ragazza riuscì a rispondere solo con un sorriso tirato e un lieve cenno della mano. Dopo quello che era accaduto poche ore prima, Jane aveva immaginato l'eventuale incontro con i suoi "ex-nuovi amici" diverso: risatine, insulti, parole sussurrate di nascosto. Invece Philip sembrava essersi completamente dimenticato dell'enorme figuraccia della ragazza.
"Lo conosci?" Esclamò Eliza con un tono di voce tra lo stupito, l'ammirato e l'irritato, ritornata immediatamente padrona di sé, appena Philip aveva girato l'angolo.
"Mah, sì, più o meno. Siamo usciti una volta, con un po' di altri amici. Perché?"
"COSA? Non ci credo! E' lui!"
"Ohhh, ora capisco!" esclamò Jane, sorpresa. Philip sarà anche stato un bellissimo ragazzo, ma a lei continuava a non piacere. In quel momento, però, non le importava."Bene, Eliza, dì pure addio a Kristopher Brown, perché farò in modo che tu vada al Prom con Philip, fosse l'ultima cosa che faccio!" Disse Jane, risoluta: avrebbe riscattato Eliza Parker e poi anche se stessa, che a suo padre piacesse oppure no.
"Hale, non Brown!" Sbottò l'altra disgustata.
"E' uguale."
~•~•~•~•SPAZIOAUTRICI~•~•~•~•
Ecco il nuovissimo capitolo di questa delirante storia. Abbiamo finalmente scoperto cosa Jane ha combinato durante la sua folle uscita. O meglio, cosa Bob ha combinato.
La nostra protagonista sembra ormai aver perso tutte le speranze: se prima la vita le sembrava magnifica, ora tutto le fa schifo. Che fare: riscattarsi o arrendersi?
Ovviamente, Jane deciderà di andare avanti, e questo grazie anche alla nuova amicizia con Eliza. Ma sarà la persona giusta per lei? Cosa ne penserà la banda? E soprattutto, che fine farà il povero Kristopher?????
Tutto questo e molto altro nel prossimo capitolo! Il trash è in aumento!!!
Kisses and hugs, le autrici🌻💖
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