Cap 9: Quarrel
Dodici chiamate perse nel giro di quattro giorni, una media di tre chiamate al giorno e, di conseguenza, di tre messaggi in segreteria:
Messaggio numero uno: Vorrei parlarti. So che non vuoi rivolgermi la parola, ma devo davvero parlarti, quindi... se puoi, rispondi alle mie chiamate, così ci organizziamo per vederci da qualche parte.
Messaggio numero due: Ehm... ciao. Ho pensato che forse non avevi ricevuto il mio primo messaggio, anche se mi sembra un po' improbabile, ma ecco... Ci provo. Avrei bisogno di parlarti, per favore rispondi alle mie chiamate. Non ti ruberò molto tempo.
Messaggio numero tre: Ti costa tanto prendere questo stramaledetto telefono e rispondermi anche un solo "fottiti, non ti voglio parlare"? Almeno saprei che sei viva e che mi ignori volutamente, invece di preoccuparmi così!
Messaggio numero quattro: Ally... Lo so che ascolti i miei messaggi e che non mi rispondi di proposito... Manda anche un solo messaggio, non devi richiamarmi per forza se non ti va di sentire la mia voce, mi accontento...
Messaggio numero cinque: Buongiorno, Nana. Spero di averti svegliato, almeno ti farei un dispetto esattamente come tu ne stai facendo uno a me evitando di rispondermi. E non mi interessa di essere ingiusta, non stavolta. Ti ho chiesto soltanto due chiacchiere e me le stai negando neanche ti avessi chiesto di passeggiare nuda al centro del CountMetral Park! Non sai nemmeno cos'ho da dirti e a prescindere mi spingi fuori dalla tua vita. Concedimi almeno di scambiare due parole e poi potrai mandarmi a fanculo per sempre, se vorrai.
Messaggio numero sei: Sei a scuola? Posso venire anche a scuola, se ti va... All'ora di pranzo sarei libera.
Messaggio numero sette: Non ti ho trovata all'ora di pranzo... Ho chiesto di Eric, il ragazzo di cui mi parlavi, e ne ho trovati quindici in tutto l'istituto, ma solo uno ha detto di conoscerti. Mi ha riferito che sei scappata via dopo la quarta ora e che ti sei fatta fare un permesso perché non ti sentivi bene. Spero che tu non stia male... tra le due, spero che ti sia fatta fare il permesso solo per evitare di incontrarmi.
Messaggio numero otto: Non... non so quanto ho bevuto stasera... Vedo una bottiglia di Vodka quasi del tutto vuota accanto a me sul letto, ma non ho idea di quanti bicchieri abbia mandato giù... E non vedo nemmeno la marca della bottiglia sull'etichetta... Mi gira la testa... Credo che vomiterò, ma non è lo stesso senza qualcuno che si prende cura di te...
Messaggio numero nove: Ti ho persa per sempre, vero...?
Messaggio numero dieci: Vengo a casa tua se vuoi, possiamo vederci dove dici tu, al mare, al bar, al parco, nella tua scuola, in discoteca, in università, a casa mia, a casa tua, dove vuoi... Ma ti prego, lascia che ti spieghi...
Messaggio numero undici: Vaffanculo, cazzo, vaffanculo! Sono soltanto un'idiota, ti sto dietro continuando a mandarti questi insulsi messaggi solo per farmi ignorare, e tu non hai nemmeno idea di tutto quello che ho passato! Non mi lasci spiegare, ti comporti come se io ti abbia fatto soffrire chissà quante volte! Lasciami spiegare invece di spingermi a calci in culo fuori dal tuo mondo!
Messaggio numero dodici: Mi manchi, cazzo...
Ogni volta che lo schermo del mio cellulare si era illuminato ero stata quasi sul punto di afferrarlo, pigiare il tasto verde sullo schermo e risponderle, ma alla fine la paura e l'orgoglio mi avevano frenata.
Per quattro giorni interi mi ero sentita così in collera, arrabbiata, triste, nervosa, agitata e sensibile alla qualsiasi cosa da avere mal di stomaco in continuazione e da non riuscire a stare attenta a nemmeno una lezione del mio orario scolastico. Come se i professori avessero un radar speciale per chi non sta bene e non ha la forza né la concentrazione necessaria per studiare, poi, tutti e quattro i giorni fui chiamata alla lavagna per eseguire diversi esercizi e il massimo voto che riuscii a conseguire fu sei e mezzo.
Il mio umore peggiorò in vista di un abbassamento della media e questa consapevolezza si unì a tutte le altre emozioni negative provate in precedenza, creando dentro di me una forma di crisi nervosa che collimò in un pianto isterico, durato una notte intera e due ore del mattino precedente.
La verità è che stavo realmente esagerando: per qualche strano motivo mi sentivo ferita, ma non ne capivo realmente la ragione e ciò mi portava a pensare che fossi una stupida sentimentalista del cavolo che non sapeva scindere un'amicizia da qualcosa di più forte, così come non sapeva classificare i propri sentimenti.
Ma nonostante tutto eccomi lì, blindata in camera mia, sdraiata sotto le coperte fino ad averle sopra la testa, il telefonino in mano e il suo ultimo messaggio che risuonava nelle mie orecchie attraverso le cuffiette: mi manchi, cazzo... mi manchi, cazzo...
Perché dovevo darle la possibilità di vederci? Cosa doveva spiegarmi di tanto importante? Era andata a letto con una ragazza, si era divertita, e quindi? Non aveva nessun obbligo verso di me, non stavamo insieme... Eppure il mio stupido cuore e la mia stupida mente si erano affezionati a lei, cominciandola a considerare una sorta di piccola proprietà privata su cui nessun altro poteva mettere le mani, e scoprire così da una come Scarlett che in realtà aveva avuto un rapporto sessuale con qualcun altro che non rientrasse nel "gioco" della nostra piccola bolla privata mi aveva ferito.
Ma forse la colpa era stata la mia. Avevo chiuso me e lei in mondo di cui eravamo le uniche protagoniste senza considerare che Mya in realtà non intratteneva nessuna relazione personale con me e che avrebbe potuto andarsene da un momento all'altro.
Ma nonostante tutto, cosa doveva dirmi di così urgente? Voleva raccontarmi i dettagli più piccanti? Non mi interessavano affatto.
Mi sentivo una stupida per aver creduto che potesse starsene buona e cara solo perché aveva a che fare con me, e mi sentivo ancora più stupida per averla considerata come di mia proprietà nonostante non fossimo nulla e tra di noi non incorresse nessun tipo di relazione, stabile o meno. In sintesi, ero stata una gran cogliona perché mi ero lasciata ferire, perché non avevo tenuto gli occhi aperti, perché avevo abbassato la guardia e perché le avevo permesso di entrarmi nel cuore... Ma allo stesso tempo, sebbene pensassi fosse colpa mia, mi sentivo tradita da lei perché l'avevo accudita, curata, coccolata, accompagnata fino alla porta di casa per assicurarmi che stesse bene e l'attimo dopo lei si era infilata tra le gambe di qualcun altro come se non fosse successo nulla durante le ultime dodici ore.
Doveva essersi sentita in gran forma, per riprendere la sua vita sessuale con così tanta fretta.
Ma poi, cosa mi importava? In fondo tutto quello che le avevo chiesto era di aiutarmi a capire me stessa, ciò non implicava che diventasse una figura importante per me, no?
Perché era sbagliato oltretutto, giusto?
Perché era una donna...
Che ipocrisia del cazzo, e che gran confusione. Stavo per rimettere in discussione tutto ciò che ero riuscita a conquistare un passo alla volta, rischiando di perderlo definitivamente.
Mi strappai le cuffie dalle orecchie ed emersi dal mio stato comatoso, sgusciando fuori dalle coperte e fissando un punto del soffitto: era giusto darle questa possibilità? Semmai avesse detto qualcosa che non volevo sentirmi dire avrei sempre potuto girare i tacchi ed andarmene, no? Cos'avevo da perdere, oltre qualche altra ora di sonno?
Afferrai il telefono ed osservai indecisa lo schermo: erano passati quattro giorni, quattro giorni in cui ero completamente scomparsa dalla sua vita, quattro giorni in cui aveva dato di matto cercando di mettersi in contatto con me senza alcun risultato... forse, dopo questa punizione, potevo concederle di vederci per parlare? Al massimo sarei andata via senza dirle nemmeno il perché e il dove.
Pigiai sulla casellina dei messaggi, ancora con titubanza, poi cominciai a battere qualche parola, sperando di trovare quelle giuste:
Nonti meriti affatto di vedermi, secondo me hai perso il senso del...
Ciao,Mya. Come hai potuto constatare ho ignorato i tuoi messaggi, perchépenso che ti meriti di soffrire un po' come hai fatto soffrire me...
Timanco?! E mentre ti scopavi Scarlett non ti mancavo?! Eh?!
Se vuoi parlare sai già dove abito. Ti consiglio di prendere quest'occasione al volo, perché non ce ne saranno altre.
Mi morsi il labbro inferiore, indugiando col pollice sul tasto "invia", ma alla fine, con lo stomaco sottosopra e gli occhi completamente strizzati, pigiai lievemente su quest'ultimo - in cuor mio sperai di non aver impresso abbastanza forza da aver azionato l'operazione - e attesi una possibile risposta col cuore a mille dentro il petto.
Contai pazientemente ogni secondo trascorso in relazione ai battiti del mio cuore: fu come se ogni altro rumore fosse appena scomparso e l'unico che riuscissi ad udire fosse quello della mia pressione sanguigna.
Tenni lo sguardo puntato sullo schermo, evitai ben tre volte che si oscurasse fino a spegnersi, mi morsi l'interno della guancia a sangue, e finalmente, quando stetti per lanciare il cellulare al di là della stanza in mancanza di sue risposte, quest'ultimo mi vibrò sul palmo della mano, facendomi agitare ancor più di prima.
Selezionai il messaggio col suo nome e lo aprii in fretta e furia, leggendo avida di parole - le stesse che mi erano mancate fino a star male:
Arrivo.
Diceva solo questo.
Arrivava.
Mya Atson stava arrivando a casa mia ed io avevo passato più di dodici ore sotto le coperte, non mi ero pettinata i capelli, non mi ero ancora tolta il pigiama ed avevo il vago sospetto di non emanare nemmeno un buon odore, visto quanto sudore freddo avevo versato.
Mentre barcollavo giù dal letto e mi accingevo a svuotare completamente i miei cassetti alla ricerca di qualcosa di comodo, decente e, allo stesso tempo, pulito e profumato, pensai al perché mi stessi preoccupando tanto di come potessi apparire, di quanto carina ai suoi occhi potessi risultare o di quanto profumata potessi essere... e mi risposi mentalmente che ero soltanto una stupida, perché senza che lo volessi razionalmente quella ragazza aveva assunto un enorme potere su di me e l'unica ad averglielo permesso ero stata io.
Richiusi l'armadio con violenza, sgattaiolai in bagno e m'infilai sotto la doccia, congelandomi e ustionandomi un attimo dopo per non aver regolato l'acqua in anticipo.
M'insaponai, "grattandomi" letteralmente la pelle attraverso la spugna, sciacquando e lavando i capelli un paio di volte per assicurarmi che venissero fuori puliti.
Mi allacciai un asciugamano intorno al busto e mi guardai allo specchio: wow, avevo gli occhi piccoli e un po' gonfi, e il naso arrossato tipico di chi ha pianto di rabbia per un bel po'. Non farsi beccare sarebbe stato difficile, non era facile che a Mya sfuggisse qualcosa.
«Sei finalmente emersa, tesoro?», urlò mia madre al piano di sotto, mentre io uscivo dal bagno con la nuova biancheria intima addosso e mi passavo un ulteriore asciugamano tra i capelli.
«Ero soltanto stanca, scusa mamma», finsi di dispiacermi per qualcosa di cui, in realtà, non avrei dovuto dispiacermi affatto, poi m'infilai in camera mia ed attaccai il phon alla parete, facendo scivolare l'asciugamano sul pavimento e cominciando ad asciugarmi i capelli. Iniziavo a sentirmi agitata, Mya non aveva detto a che ora sarebbe arrivata, ma quel suo "arrivo" perentorio mi era sembrato molto imminente. Controllai lo schermo del cellulare un paio di volte mentre il calore del phon svolgeva il suo dovere, idem feci col quadrante dell'orologio finché le lancette sembrarono essersi fermate del tutto.
Sospirai, azzerando l'aria calda e spettinandomi i capelli ancora umidi. Posai tutto ciò che avevo utilizzato direttamente in camera mia, m'infilai un paio di jeans chiari di cotone e una camicetta rosa, ed accesi la tv, sdraiandomi a pancia sotto sul letto.
Inspira, espira.
Sta per arrivare me lo sento.
Inspirare, espirare.
E' tutto okay.
Se non respiri non ti va più l'ossigeno al cervello e muori.
Quindi respira.
Inspirare, espirare.
Va bene così, brava Ally.
Sei arrabbiata, okay, ma cerca di non sbottare.
E soprattutto, cerca di trattenere le lacrime se vedendola ti sentissi di nuovo ferita.
Potevo farcela. La mia coscienza interiore era meglio di un personal trainer per obesi.
Non era proprio la metafora più adatta, ma rendeva bene il concetto.
Il silenzio al piano di sotto fu rotto da una piccola risata e da un chiacchiericcio leggero che non riuscii a riconoscere; il mio battito cardiaco aumentò, afferrai il telecomando con l'intenzione di azzerare il volume per riuscire a sentire meglio le voci, ma alla fine, per codardia, lasciai perdere: avevo troppa paura di scoprire che si trattava davvero di ciò che stavo pensando.
Continuai a guardare la tv come se me ne potesse fregare qualcosa, senza ascoltare nemmeno una parola del telefilm demenziale che trasmettevano.
Passi su per le scale, leggeri e fluidi come solo i suoi sapevano essere.
Adesso ne ero sicura, era Mya.
Inconsciamente riuscii ad eliminare ogni altro suono presente nello spazio circostante e a concentrarmi solo sul rumore delle sue scarpe sulla moquette delle scale e sul battito sordo del mio cuore dentro le orecchie.
Abbassai lo sguardo sul pavimento non appena il rettangolo di luce riflesso sotto la porta non fu macchiato dall'ombra dei suoi piedi, ed attesi che bussasse.
La sentii sospirare, poi prendere un grosso respiro... e bussò, finalmente.
Deglutii, agitatissima: dovevo mantenere la voce salda se volevo darle a vedere la mia indifferenza, farle capire che stavo bene e che non mi faceva affatto male aver tagliato i ponti con lei, altrimenti avrebbe preso la mia titubanza e la mia insicurezza come un punto di forza su cui poter far leva per convincermi a tornare amiche - amiche, no? -.
E non potevo permetterlo.
«Avanti», risposi, il tono di voce un po' basso.
Mi voltai verso la tv e finsi indifferenza, ondeggiando le gambe avanti e indietro.
La maniglia si abbassò e la porta si aprì leggermente.
«Posso?».
Il cuore mi balzò in gola.
Non sentivo quella voce dal vivo da quattro giorni e solo in quel momento mi rendevo conto di quanto mi fosse mancata...
Le feci un gesto eloquente con la mano, invitandola ad avanzare, senza però staccare gli occhi dallo schermo.
«Ti disturbo?», chiese a bassa voce, chiudendosi la porta alle spalle e poggiandocisi contro, le mani nelle tasche e un piede contro il legno.
Se avessi risposto di sì le avrei mostrato la mia rabbia, e sebbene mi sarebbe piaciuto ferirla tanto quanto lei aveva ferito me, io non ero il tipo da chiodo schiaccia chiodo... e poi, così, l'obiettivo di mostrarle solo indifferenza non sarebbe stato raggiunto.
«No», risposi semplicemente, cambiando canale due volte.
«Volevo parlarti», sussurrò.
Perché non era la stronza arrogante di sempre? Mi avrebbe reso tutto più facile, se non avesse avuto quell'aria da cucciolo bastonato bisognoso di coccole.
«E sei qui, quindi parla pure».
«Posso sedermi accanto a te?».
«No, devi starmi lontana», sputai di getto, senza filtrare i pensieri prima di trasformarli in parole, mandando a puttane il mio piano.
Calò improvvisamente il silenzio, io smisi di respirare e lei sembrò fare altrettanto. Mi voltai leggermente verso la sua direzione, puntai il telecomando verso la tv e la spensi.
Mi acciambellai al centro del letto, spettinandomi i capelli con le dita.
«Scusami, sono solo un po' nervosa, non volevo parlarti in quel modo», fece spallucce e guardò verso il mio armadio.
«Anche le verginelle candide quando s'incazzano tirano fuori le unghie», sorrise e per un attimo tornò ad essere la ragazza sfacciata del nostro primo incontro in discoteca.
Incrociai le braccia al petto e misi il broncio: mi ero già pentita di quella gentilezza.
Avanzò di qualche passo ed io non riuscii a decidere cosa fare, se permetterle di avvicinarsi ancora o meno, ma alla fine lasciai perdere e decisi di comportarmi in maniera molto più matura, concedendole di agire come meglio credeva: qualsiasi cosa avrebbe fatto, non avrebbe influito poi sulla mia decisione finale, qualunque essa sarebbe stata.
Mi guardò dritta negli occhi, cercando il permesso nei miei, sedendosi subito dopo sul bordo del mio letto. La squadrai, affascinata dai jeans scuri e stretti che portava, da quella camicia con le bretelle nere e dal modo in cui ogni pezzo di stoffa le aderisse perfettamente addosso. In un attimo mi attraversò la mente l'immagine del suo corpo nudo, completamente bagnato dal getto della doccia, le curve della pelle tesa sui fianchi sporgenti, il seno rotondo e morbido e quella spruzzata adorabile di lentiggini sulle spalle...
Cazzo, dovevo smetterla.
Che stupida che ero, stupida e basta!
Abbassai lo sguardo, arrossendo vistosamente.
Sapevo che non l'era sfuggito, ma ringraziai il cielo per il fatto che avesse deciso di ignorarlo.
Così come aveva deciso di ignorare il pessimo stato del mio viso.
«Mi dispiace per il messaggio che hai ricevuto. Ecco... non sono mai stata brava con questi discorsi, non sono mai stata brava a scusarmi o a parlare di sentimenti, perché non è il mio forte. Fare la stronza è il mio forte, fare dell'umorismo è il mio forte, ma non parlare di sentimenti o di cose serie. Dovrei essere ubriaca, per questo...», indirizzò lo sguardo su un punto al di là della mia testa, persa nei suoi pensieri. «Ma il punto è che voglio chiederti scusa, perché non meritavi di essere ferita con...».
«Ma tu non mi hai ferita», l'incalzai, inclinando il viso a destra, battendo due volte le palpebre.
Se non fosse stato per l'evidente nervosismo che il mio sguardo tradiva, quella sarebbe stata la prima vera volta in cui una mia bugia poteva dirsi credibile.
«Ah, no?», assottigliò lo sguardo e tornò ai miei occhi.
Erano disarmanti, di un azzurro così chiaro da sembrare color ghiaccio, ben differenti dall'ultima volta in cui li avevo visti.
Scossi semplicemente la testa, deglutendo.
«Allora non mi spiego il tuo messaggio in risposta a quello di Scarlett, la sera stessa. Non mi spiego il perché hai ignorato le mie chiamate per quattro giorni, perché sei scappata da scuola a quarta ora solo per evitare di incontrarmi a pranzo e perché sei stata così perentoria in quel messaggio di testo meno di un'ora fa, quando sembrava che volessi darmi un'ultima occasione per vedermi per poi sparire per sempre dalla mia vita!», gesticolò frenetica, facendo trapelare la sua collera.
Alcune vene spesse del collo risaltarono, mentre il suo colorito cambiava all'altezza del petto - tante piccole chiazze rosse - e all'altezza delle guance.
Il mio respiro divenne irregolare e l'agitazione mi assalì:
«Ero solo delusa e arrabbiata, ma questo non fa di me una persona ferita».
Balzò in piedi, camminando avanti e indietro per la stanza.
«Cristo santo, Ally, non ti conosco ancora benissimo, ma se c'è una cosa che ho capito di te è che ci sono cose che ti feriscono facilmente, soprattutto se a quelle cose tieni davvero! E non venirmi a raccontare balle del tipo che non tieni per niente a me, perché sarebbe la cazzata più grande che tu possa dire!», aumentò il tono della voce e, in relazione a quest'ultimo, fu come se il battito del mio cuore aumentasse insieme a lui.
Scivolai giù dal letto, mettendomi in piedi di fronte a lei, le braccia dritte e tese lungo i fianchi, le mani strette a pugno.
«Hai detto bene Mya, tu non mi conosci affatto e non puoi permetterti di giudicare! Tutto quello che pensavo di te, di me, e del nostro strano "rapporto" te l'ho chiarito in quel messaggio quattro notti fa. Non c'era niente tra di noi, e questo lo sapevo bene, ma qualcosa nel tuo comportamento mi ha...», deglutii, cercando di non farle capire che mi si stava spezzando la voce. «... convinta che potessi chiuderti nella mia bolla privata, nel mio piccolo mondo pieno di drammi e gioie infantili, e fare di te l'assoluta protagonista. Una sorta di proprietà personale. Mi rendo conto benissimo di essere stata una stupida ad aver pensato ciò, ma il tuo modo di fare mi ha illuso a tal punto da farmi pensare di poter essere importante per te. Davvero importante. Importante in un senso che per me, finora, è sconosciuto... e quel messaggio, la notizia che ti eri scopata Scarlett, una che hai criticato con me tanto a lungo per poi fartela, ha smontato e frantumato tutte le mie illusioni, tutto quello che la mia stupida mente aveva creato, la mia opinione positiva di te, che si stava realizzando e maturando, deludendomi a tal punto da voler tagliare i ponti con tutto ciò che ti riguarda. Perché non voglio fare la fine di Scarlett, non voglio... che ti trovi un'altra ragazza brutta e sfigata che non ha mai baciato nessuno in vita sua, che sta sempre col naso ficcato sui libri perché sono l'unica cosa capace di tenerle compagnia, solo per criticarmi e parlarmi male alle spalle e cercarmi quando hai bisogno di una scopata, frantumando le aspettative di quella ragazza... e frantumando me, in tutto e per tutto!».
Stavo quasi urlando e piangendo.
Stavo piangendo e non me n'ero resa nemmeno conto.
Tutto ciò che avevo accumulato in quei giorni, cercando di restare indifferente ad ogni cosa, alle occhiate di Scarlett a scuola, alle chiamate di Mya a tutte le ore del giorno, ai suoi messaggi in segreteria, alla mia coscienza che continuava a ripetermi quanto fossi idiota e imbecille per essermi fatta tutti quei viaggi mentali su di lei e su quanto fosse bella, attraente e, allo stesso tempo, maledettamente irraggiungibile, mi stava scoppiando nel petto come un'enorme tsunami catastrofico, e non riuscivo a fermare le sue onde.
Si passò le mani tra i capelli, stringendoli forte, guardandomi dritta negli occhi con le labbra strette e i muscoli della mascella contratti.
Sembrava che volesse trattenersi per non scoppiare anche lei.
«Io non...», mormorò.
«No, ascoltami», l'incalzai, tirando su col naso. «Ho sbagliato io. Stavo prendendo una strada sbagliata e il destino mi ha reindirizzato su quella giusta. Evidentemente le donne non fanno per me, evidentemente appartengo a quella categoria di ragazze che vogliono provare solo perché è eccitante fare qualcosa che tutti ritengono sbagliato. Le nostre strade si separano qui».
Indietreggiai di due passi, incrociando le braccia al petto.
Fu come se qualcosa l'avesse spinta verso di me, poiché nel momento stesso in cui io indietreggiai lei fece due passi in avanti, colmando la distanza che avevo posto tra di noi.
«No... No, non è così. Ti ricordi l'incontro alle università?», chiese, la voce rotta.
«Non c'entra nulla, adesso», mi passai due dita sotto gli zigomi, raccogliendo le lacrime che continuavano a fuoriuscire.
«Sì, che c'entra! Ci sono altre tre aule prima della mia, eppure tu non ti sei fermata alla prima e nemmeno alla seconda! Avresti potuto tornare indietro sui tuoi passi, aprire la porta dell'aula che avevi sorpassato e seguire la lezione, invece hai camminato in avanti, hai barcollato nel buio, ti sei lanciata in una sfida, hai provato a fidarti dell'istinto, e mi hai incontrata. Non sei uscita con Eric, la sera in cui ero ubriaca e non sapevo nemmeno come reggermi in piedi, perché era me che volevi! E nonostante conoscessi lui e sapessi che voltarti e tornare sui tuoi passi sarebbe stato molto più facile, hai deciso di andare alla cieca e hai camminato al mio fianco per l'ennesima volta, sulla stessa linea del destino, aiutandomi. Non è un caso Ally, non lo è. Se noi ci siamo incontrate non è un caso. Se abbiamo continuato ad incontrarci nonostante non sapessimo praticamente nulla dell'una e dell'altra non è un caso nemmeno. C'è qualcosa che ci lega, che ha fatto incrociare le nostre strade, e se tu hai scelto me per tutto questo tempo è perché qualcosa in te sa benissimo di non essere una semplice ragazzina curiosa, bisognosa di trasgressione», gesticolò, cercando continuamente il mio sguardo che, basso, rifletteva sconvolto sulle sue constatazioni e si ritrovava a battere le palpebre a raffica, inconsciamente d'accordo con lei.
«Io non capisco...», bofonchiai.
«L'unica cosa che io capisco è che non voglio perderti, Ally», ammise, allargando le braccia ed indietreggiando, posandosi poi le mani dietro la testa e guardando in alto, sul tetto della stanza. «Non me lo posso permettere», ammise.
Ansimai, sentendo la rabbia montarmi dentro; aveva appena pronunciato un discorso spaventosamente vero che mi aveva sconquassato le budella, e adesso veniva a dirmi che non poteva permettersi di perdermi?!
«Allora perché ti sei scopata Scarlett?!», gracchiai, cercando di fare il più piano possibile, di non urlare per non allarmare i miei, e in compenso scaricai la mia rabbia sui pupazzi appesi alle mensole della mia camera, cominciando a lanciarglieli contro.
Si parò con le mani, mentre io tentavo di individuare quelli più duri e resistenti nella speranza di farle del male.
«Se fai tutti questi discorsi del cazzo, se dici di non volermi perdere, perché ti sei scopata lei sapendo che avrebbe potuto ferirmi?!».
Afferrò un pupazzo tra le mani e mi puntò il dito contro: «Allora ammetti di essere ferita!».
Diventai paonazza, agguantai un libro e glielo scagliai contro: «Certo che mi ha ferita, stupida, idiota, imbecille che non sei altro!».
La colpii sul braccio, ma non riuscii a causarle il dolore che speravo.
Ansimai con le lacrime agli occhi, arrabbiata e delusa perfino da me stessa per non essere riuscita a portare a termine il piano iniziale e per essermi rimangiata il fatto di non essermi sentita ferita dal suo comportamento.
Mi guardò dall'altra parte della stanza, ferma immobile, l'unico rumore era provocato dai nostri respiri irregolari, poi colmò il vuoto tra di noi con due passi, mi afferro la testa con una mano e la schiena con l'altra e mi spinse contro il suo corpo, in un abbraccio dolce che valeva più di mille parole e di mille spiegazioni.
Un altro tsunami mi s'infranse lungo il petto e mi scosse l'anima. Le piantai due pugni sulle spalle, arrabbiata e piena di collera.
«Io ti ho dato il mio affetto e tu in cambio hai giocato con i miei sentimenti!».
«Non è come pensi, devi lasciarmi spiegare!».
«Cosa c'è da dire?!», sollevai lo sguardo e lo puntai sul suo, trovandolo scosso, perso.
Cosa c'era di così spaventoso sotto quello strato di nebbia plumbea che aleggiava sul suo sguardo? Cosa non poteva dirmi? Cosa mi aveva tenuto nascosto fino al punto di dover tirare fuori il sacco?
«Scarlett è la mia ex ragazza. La stessa da cui sono scappata e di cui ti ho tanto parlato. Pensavo di essermene liberata per sempre, quando sono scappata via... ma è tornata a cercarmi perché non sopportava l'idea che io l'avessi lasciata e si è vendicata nel suo stile, facendomi capire che nonostante tutto ha ancora lei le redini del gioco e che può farmi fare ciò che vuole, se è lei a comandarlo».
«Scarlett? Scarlett Manson? Quella Scarlett? Era la tua ragazza?!», gracchiai, gli occhi fuori dalle orbite. Non riuscivo a crederci, non potevo credere che tra tutte le ragazze al mondo proprio Scarlett Manson fosse la famosa ex di Mya, cambiata nel tempo e capace di spezzarle il cuore.
Questo però spiegava tante cose. Spiegava il suo "con te facciamo i conti presto" durante l'occupazione, frase che lasciava intendere che si conoscessero già; spiegava il perché mi facesse così tante domande su di lei, il perché non pronunciasse il suo nome e il perché, molte volte, aveva voluto omettere i dettagli nei suoi racconti.
Mya era terrorizzata da quella ragazza, e Scarlett era la sua ferita più grande, l'incubo incessante di una vita a macchie nere.
Annuì semplicemente, stringendo le labbra e deglutendo.
Mi sentii un po' stupida per non averlo capito prima. Col senno di poi, comprenderlo, se solo mi fossi impegnata un po' di più su tutto ciò che la circondava, e non solo su di lei come persona fisica, non sarebbe stato poi così difficile.
Mi guardai attorno, alla ricerca di una spiegazione plausibile.
«Quindi non è vero che te la sei scopata», ragionai, pensando che forse era stato soltanto un dispetto da parte di Scarlett, invidiosa del fatto che adesso Mya si vedesse con qualcun altro.
Abbassò lo sguardo, e ciò smontò le mie teorie.
«Io non so come spiegartelo, Ally... Non me la sono scopata. E' stata lei a fare tutto».
«Eh?», aggrottai le sopracciglia.
«Ha fatto quello che voleva col mio corpo...».
Feci un passo indietro, cercando di vederci chiaro; non se l'era portata a letto, diceva, ma era stata Scarlett a fare di lei ciò che desiderava. Mmm. Bene.
Non mi convinceva per niente.
«Oh, capisco... E tu nel frattempo, invece di allontanarla, hai aperto braccia e gambe e le hai detto: "ma sì, fai pure tutto ciò che vuoi"?», sollevai un sopracciglio, sentendomi quasi stringere lo stomaco per quell'eccesso di cinismo alieno alla mia personalità.
Ma soprattutto stavo esagerando con la gelosia, con quella scenata... era durata fin troppo a lungo. Dovevo assolutamente calmarmi.
Dovevo tenere sempre a mente che, per quanto mi intristisse - sebbene non ne conoscessi ancora la ragione -, tra me e lei non c'era niente, e che in fin dei conti poteva davvero fare ciò che voleva. Non importava che le avesse permesso o meno di utilizzare il suo corpo come meglio credeva, perché Mya non era la mia ragazza - Dio, come era strano solo pensarlo.
Mi schiarii la gola e mi allontanai ancora di più da lei, andando ad aprire leggermente la finestra e sedendomi sul cassone, cercando di respirare aria fresca e pulita: avevo assoluto bisogno di schiarirmi le idee e di calmarmi, perché altrimenti non sarei andata da nessuna parte.
«Mi ha quasi violentata, Ally. Ma non me ne starò qui a farmi prendere in giro né a farmi deridere perché secondo te stavolta l'ho sparata bella grossa. Questa è la verità, mi dispiace soltanto di non aver riportato alcun segno sulla pelle che possa provarti ciò che dico. Che tu mi creda o meno a questo punto mi importa poco, evidentemente era così che doveva andare a finire davvero».
Quasi violentata.
Quasi violentata.
Quasi violentata.
Violentata.
Violentata.
Violenza.
Violenza.
Abuso.
Quelle parole mi vorticarono attorno al cranio una decina di volte prima che il sangue smettesse di formicolarmi lungo tutte le spalle, impedendomi ogni movimento, e riuscissi di nuovo ad interagire col mondo circostante.
Mi sentivo interdetta, aprivo bocca ma non ne usciva alcun suono: era davvero la più grande balla che avesse mai sparato o era la verità? Come facevo a sapere che dicesse sul serio?
La guardai, scuotendo impercettibilmente la testa.
«Come faccio a crederti? Ti ho lasciata a casa, ti ho vista coi miei occhi, stavi male...».
«Appunto. Sai che non riuscivo nemmeno a reggermi in piedi, come diavolo avrei potuto scoparmi qualcuno in quelle condizioni? Men che meno Scarlett, poi! E allo stesso modo, con che razza di forza avrei potuto difendermi?!», si avvicinò di qualche passo a me.
Quegli occhi... quei maledettissimi occhi avevano un mondo inesplorato dentro a cui non avevo potuto ancora accedere, e una forza logorante all'altezza dello stomaco mi squarciava la carne per l'intensità con cui avrebbe voluto conoscerne tutti i segreti.
Mi poggiò una mano sotto il mento, sollevandomi il viso; si piegò sulle gambe, perforandomi le pupille con le sue, senza lasciarmi via di scampo.
Con un movimento leggero e veloce come un battito di ciglia, si sfilò le bretelle nere e tirò via la camicia, restando in reggiseno di fronte a me.
Decisi che era giusto restare lì con lo sguardo fisso ovunque lei volesse che io guardassi, e che non era il momento di farsi prendere dal disagio o dall'imbarazzo, ragion per cui non mi allontanai e restai semplicemente seria.
«La vedi?», s'indicò la cicatrice spessa che portava sulla spalla destra, la stessa che non aveva voluto che io toccassi il giorno della sbronza. Mi afferrò delicatamente due dita, scatenando un impulso elettrico alla base del mio avambraccio che si diramò lungo tutto il resto del mio organismo, e se le posò all'altezza di quel lembo di pelle.
Chiuse gli occhi, come se ciò le provocasse del dolore fisico. «Questa non è la prima volta che mi fa del male. Quando sono scappata era mezza fatta, non aveva idea di ciò che stava realmente accadendo e vedermi con la valigia alla mano l'ha allarmata a tal punto da minacciarmi di farmi del male. Non le ho creduto, perché pensavo volesse farmi soltanto paura... Ho capito che faceva sul serio quando un pezzo del bicchiere che mi ha spaccato sulla spalla mi si è conficcato nella carne, regalandomi sei punti di sutura».
Ognuna di quelle parole mi ronzò nelle orecchie come un vespaio impazzito.
Sapevo quanto le stava costando aprirsi così e raccontarmi tutte quelle cose su di lei, ci aveva messo settimane intere a dirmi pian piano quelle poche parole riguardanti il suo passato... sicuramente vuotare il sacco così, tutto in una volta, solo per assicurarsi che non andassi via non doveva essere facile.
Dovevo apprezzarlo.
O no?
O era ancora tutta una balla?
«Se avessi voluto fare la stronza con te, se avessi voluto ferirti o mentirti, o semplicemente giocare con i tuoi sentimenti, l'avrei fatto molto tempo fa, e non avrei aspettato che passasse un mese prima di infliggerti il colpo di grazia. Se tutto ciò che ho fatto per te fosse stato solo una sfida con me stessa non avrei scelto un soggetto come te per giocare a fare la scienziata!».
«Perché non io? Cosa mi garantisce che invece non è così?», la guardai dritta negli occhi, cercando un fondo di bugia, di meschinità, di codardia.
Ma non trovai nulla se non sincerità... ed era davvero difficile trovare quella peculiarità negli occhi di Mya.
«Perché sei troppo bella, dolce, sensibile, piccola e fragile per meritarti una cosa così brutta», abbassò lo sguardo sul pavimento ed io ebbi l'impressione che il cuore mi si stesse espandendo lungo tutta la gabbia toracica.
Un nodo mi strinse la gola, artigliandomela.
«Lei ti ha fatto del male?».
«Non importa...», sussurrò, rimettendosi in piedi.
«A me importa», la raggiunsi, di scatto.
«No, non mi ha fatto del male», si voltò, dandomi le spalle.
«Guardami negli occhi... che ti ha fatto?!».
«Semplicemente, si è presa la sua vendetta. Ma non m'importa di me, m'importa di te. Tu devi credermi», mi posò le mani sulle spalle, seria.
«Ci sto provando, ma non è una cosa facile da credere».
«Lo so, lo capisco, ma pensa a tutto ciò che ti ho detto».
Pensandoci bene, la sera della sbronza stava davvero troppo male per fare una cosa simile, ma era stata sicuramente abbastanza debole per subirla... C'era anche da dire che nonostante il suo carattere spigoloso e spesso pungente, Mya aveva sempre cercato di non ferirmi, e tutte le volte in cui c'era andata vicina aveva saputo leggere il mio sguardo talmente in dettaglio da riuscire a fermarsi in tempo.
Quindi, perché avrebbe dovuto farmi del male proprio adesso che eravamo così... "intime" e vicine?
«L'hai denunciata, almeno?!».
«No...», scosse la testa tenendo gli occhi bassi: Mya non aveva la forza di fare una cosa simile.
«Ha rubato il mio nuovo numero telefonico da quel biglietto che ho scritto a te per gioco il giorno dell'occupazione e ti ha pedinata quando sei stata qui, per scoprire dove abitavo... Ha giocato bene le sue carte, il suo unico scopo era farmi stare male esattamente come, a sua detta, io ho fatto star male lei, tentando di allontanare anche l'unica cosa che mi abbia fatto sorridere sinceramente da quando sono arrivata in questa città».
Mi perforò lo sguardo e tutto il mio corpo urlò: sta parlando proprio di me.
Adesso era il mio turno di parlare, ma la confusione che mi si era creata dentro era tale da non permettermi di pronunciare nemmeno una sillaba.
Stavo troppo male per perdonarla lì, su due piedi. La rabbia e la collera dei quattro giorni precedenti non poteva sparire così, da un momento all'altro, il cinismo e l'indifferenza che avevo accumulato nei suoi riguardi non me lo permetteva.
Stavo cominciando a tenere a quella ragazza... ma mi sentivo decisamente ferita da qualsiasi cosa fosse accaduta quattro notti fa, indipendentemente da ciò che lei raccontava.
«Ho bisogno di un po' di tempo per pensarci», decretai.
«E' giusto», annuì con veemenza, palesemente sollevata alla vista di una possibilità.
«Credo che uscirò di più con gli amici e vedrò altra gente nel frattempo. Non voglio concentrarmi soltanto su di te e sulla nostra amicizia stramba, ho bisogno di vivermi anche la mia vita», quali amici?, quale altra gente?, quale vita?, domandò la mia coscienza.
Il campanello al piano inferiore suonò ed io sobbalzai, sapendo già di chi si trattava: per un attimo mi sentii in colpa perché ero a conoscenza del fatto che, non appena avrebbe scoperto chi era, questo l'avrebbe colpita e intristita, ma d'altronde era giusto così. Per evitare di farmi ferire ancora da lei e dal suo mondo era meglio prendere le dovute distanze ed equilibrare la mia vita su una bilancia lungo cui stabilire quanto tempo dedicare a lei e quale parte della mia vita offrirle, e quanto tempo dedicare al resto delle cose.
Mia madre urlò dal piano di sotto: «Ally, sei pronta? C'è Eric qui sotto, ti aspetta!».
Io e Mya ci guardammo negli occhi ascoltando attentamente le sue parole, l'una spaventata dalla possibile reazione dell'altra, poi lei guardò altrove e sembrò sorpresa, ma anche improvvisamente consapevole.
«Ah, adesso capisco cosa intendevi...», si strinse nelle spalle, mettendosi le mani nelle tasche.
Diamine, adesso ero io a sentirmi uno schifo, nonostante sapessi che fosse la scelta migliore.
«Credo che...».
«Che faccia parte del piano per capire chi sei davvero? Sì, lo penso anche io», m'incalzò, poi sorrise amaramente, una maschera di perfetta finzione. Mi scompigliò i capelli, cercando di farmi credere che andasse tutto bene. «Esci e divertiti pure, dai... Quando ti andrà di chiacchierare ancora o di bere una cioccolata calda insieme mi farai sapere», fece spallucce, si rimise la camicia in fretta e in furia, quasi in imbarazzo, riallacciò le sue bretelle e mi superò, attraversando la stanza a grandi falcate.
Perché avevo l'impressione che stesse scappando?
Come se non riuscisse a resistere un attimo di più dentro quella camera con me.
«Se vuoi ti chiamo!», le urlai, cercando di raggiungerla nonostante stesse andando via.
In fondo in fondo, ferita o meno, nemmeno io volevo perderla, e lo realizzai nel momento stesso in cui si richiuse la porta alle spalle, lasciandomi sola.
Ascoltai il rumore dei suoi passi frenetici che attraversavano le scale, ferma immobile al centro della stanza senza la forza di muovere un solo muscolo.
Negli ultimi dieci secondi di quella conversazione Mya Atson mi era sembrata un'estranea, una ragazza appena conosciuta al centro di casa mia, di cui non sapevo nulla e con cui non avevo mai scambiato nemmeno un "ciao". Negli ultimi dieci secondi di conversazione capii che, uscendo da quella camera, Mya aveva voluto lasciarmi un messaggio ben chiaro e preciso: se vorrai rivedermi, toccherà a te richiamarmi per farmi sapere che mi credi e che ti fidi ancora di me, altrimenti rispetterò la tua volontà e farò in modo che i ponti che hai tagliato col mio mondo rimangano tranciati.
Mya Atson era appena tornata la ragazza stronza e fintamente felice che era sempre stata, aveva appena indossato di nuovo la sua maschera di perfetta finzione.
Ed io ero di nuovo fuori dal suo mondo.
~∞~
«Questa pizza è straordinaria!», esclamò Eric di fronte a me, tagliando l'ennesimo quadratino dal suo trancio enorme.
Gli sorrisi, cordiale.
«E io non ho mai visto un ragazzo più affamato», ridacchiai, scrutando tutti i condimenti che aveva scelto: prosciutto crudo, uova, funghi, salame piccante, mozzarella...
«Questo locale fa le pizze più buone della città e tu ti aspetti che io venga qui senza appetito?», chiese, quasi sconvolto.
«Scommetto che non hai nemmeno pranzato per assicurarti di riuscire a mangiare tutta questa roba!», risi.
«Ma nemmeno fatto colazione!», si unì a me, facendomi per un attimo dimenticare tutto ciò che era successo tra me e Mya qualche ora prima.
Nonostante fosse simpatico e super gentile, però, l'immagine del viso di quella ragazza continuava a balzarmi in mente, così come quella del suo corpo, delle sue mani, del suo modo di gesticolare, di parlare, di arrabbiarsi, di abbassare lo sguardo...
Pensare che fosse giusto frequentare tanta altra gente al fine di trovare la strada giusta era facile, metterlo in pratica era più difficile.
E poi mi sentivo tremendamente in colpa per essere uscita con Eric nonostante la discussione accesa avuta con Mya poco tempo prima: avevo sicuramente peggiorato il suo stato d'animo, ma ciò che mi faceva stare più male era il ricordo del suo viso mentre attraversava la porta, sorpreso ma allo stesso tempo deluso... avevo l'impressione di averla colpita, sebbene non tanto profondamente da ferirla, e ciò mi doleva perché io non ero il tipo da fare del male a nessuno.
«Tutto bene?», m'interrogò improvvisamente Eric.
Gli rivolsi uno sguardo interrogativo che mi affrettai a tramutare in uno tranquillo e spensierato, e sorrisi.
«Sì, certo!».
«Ti stavi guardando le mani sotto il tavolo e sembravi triste... C'è qualcosa che non va? Ho fatto qualcosa che ti ha dato fastidio?».
Scossi la testa e una mano, in segno di diniego.
«No, affatto! Mi sono soltanto persa tra i miei pensieri, ma nulla di cui preoccuparsi!», lo rassicurai. Forse come bugiarda stavo migliorando, ci credevo perfino io alle cazzate che blateravo.
Il resto della serata andò piuttosto bene: Eric ordinò un dolce a scelta dal menù della serata, mi fece ridere, distrarre, mi raccontò aneddoti divertenti riguardanti la sua infanzia, alcuni molto imbarazzanti che lo misero perfino a disagio, ma non gli importava perché vedermi ridere era più importante per lui.
Non mi permise di pagare la mia cena, nonostante la mia decina di tentativi di dividere.
Passare quella serata con Eric non mi aiutò di certo a capire chi fossi, ma sicuramente mi fece capire una cosa: non mi sentivo attratta da Eric nel senso in cui potrebbe sentirsi attratta una ragazza che ha voglia di cominciare una storia d'amore con qualcuno, ma provavo per lui una sorta di sentimento fraterno e amichevole che mi portava a trovarlo carino, intelligente, assolutamente insostituibile, ma non appetibile come fidanzato.
Eppure mi era sempre sembrato un buon partito, un ragazzo d'oro per cui fare la fila, ma in quel momento, seduti sui sedili dell'auto che avrebbe dovuto utilizzare solo per andare a scuola, giocando ad indovinare i titoli delle canzoni che passavano alla radio e guardandolo imbarazzarsi per ogni risposta sbagliata, mi rendevo conto che ciò che Eric aveva da offrirmi non era ciò che io cercavo.
Eric era troppo simile a me per essere la mia metà: era la mia fotocopia, tranne che per alcuni tratti, e ciò non mi portava a voler scoprire cosa nascondesse sotto le spoglie, poiché sapevo che era genuino, sincero e autentico in tutto ciò che era e che faceva esattamente come lo ero io.
In sintesi, non c'era nulla da sapere in lui che io non sapessi già, visto il tempo che avevamo trascorso insieme dopo la scuola, durante le lezioni, a pranzo e in palestra da quando c'eravamo presentati la prima volta ed avevamo cominciato ad uscire insieme.
Quel ragionamento probabilmente un mese fa mi sarebbe sembrato assurdo, anche perché tempo prima pensavo che Eric sarebbe potuto essere il ragazzo adatto a me proprio perché eravamo simili e ci saremmo potuti comprendere al volo, senza troppi sforzi, e colmare i vuoti dell'uno con gli eccessi del carattere dell'altro.
Ma ora, con il senno di poi, mi rendevo conto che oltre ad un profondo legame d'amicizia e d'amore fraterno reciproco, in me non poteva nascere nulla. E non perché Eric mancasse di qualcosa, perché era veramente eccezionale, sia fisicamente che intellettualmente, ma perché non mi metteva alla prova, non faceva della mia vita una sfida continua, non mi stimolava, non mi faceva vivere col fiato sospeso, con la continua voglia di crescere, di capire, di scavare dentro me stessa e dentro di lui...
Perché Eric non è Mya, ecco perché in te non può nascere nulla, Ally.
Deglutii a fatica, mentre lui azzeccava il titolo della canzone che stavano trasmettendo alla radio ed esultava del mio fallimento.
Le orecchie mi ronzavano ed udivo appena ciò che lui stava farneticando; per fortuna casa mia era ormai vicina, non mi restava che aspettare per poi godermi la solitudine.
«Ti tocca fare una penitenza!», dichiarò lui al mio fianco, sfregandosi le mani.
Gli lanciai uno sguardo per finta arrabbiato, cercando di allontanare i pensieri da ciò che la mia coscienza aveva appena lanciato al centro del mio cervello, una sorta di pomo della discordia scagliato lungo il tavolo degli dèi.
«E sentiamo, cosa dovrei fare?», lo sfidai, facendogli una linguaccia.
Svoltò a destra lungo una strada alberata e poi a sinistra, la via delle ville a schiera tra le quali vi era anche la mia.
«Ti obbligo a dirmi il nome del ragazzo che ti piace!».
Che razza di penitenza era?
Alzai gli occhi al cielo, capendo subito però quale fosse la sua tattica. Provai un po' di tenerezza e anche di dispiacere per lui, poiché adesso che avevo intuito che tra di noi non poteva esserci altro se non un'amicizia, lui cercava di avvicinarsi quanto più possibile a me per tentare di capire se avesse la possibilità di far breccia nel mio cuore o se quest'ultimo fosse già occupato da qualcun altro.
Mi strinsi nelle spalle e guardai oltre il finestrino, facendomi seria.
«Non c'è nessuno in particolare», risposi semplicemente, facendo poi spallucce.
Mi gettò qualche sguardo interrogativo che intravidi solo con la coda dell'occhio, poi riprese: «Niente? Neanche uno?».
Scossi la testa e lui frenò davanti al vialetto di casa mia, arrestando la marcia.
Mi voltai verso la sua direzione e lo trovai leggermente compiaciuto.
Ahia... forse avrei fatto meglio a riferirgli il primo nome che mi veniva in mente, almeno avrei evitato di illuderlo.
Il problema era che la prima ad avere un enorme confusione in testa ero io! E non potevo pretendere di dare chiarezza agli altri, se il casino partiva da me!
Prima pensavo che poteva fare per me, e adesso invece lo vedevo solo come un fratello!
Prima aveva un carattere perfetto, e adesso invece era troppo simile a me per sopportarlo in quel senso!
All'inizio odiavo Mya, la sua antipatia e la sua sfacciataggine, e adesso invece rincorrevo questi atteggiamenti perché sapevo che dietro quest'ultimi si celava la sua vera personalità, quella senza maschere o finzioni!
Prima speravo di non incontrarla mai più e di gettarmi il suo ricordo alle le spalle in fretta, e adesso invece se non riuscivo a sentire la sua voce dal vivo per più di tre giorni mi mancava e cominciavo a starci male più del lecito!
Quante cose stavano cambiando nella mia vita?
Quante, senza che me ne rendessi conto? Senza che avessi la possibilità di controllarle?
Io stavo cambiando, lentamente ed inesorabilmente, e non potevo fare niente per frenare quest'evoluzione.
«Allora... posso dirti una cosa, Ally?».
Cercai il suo sguardo, che basso osservava le venature dello sterzo; teneva il volante saldo tra le mani, le dita così strette da far impallidire le nocche.
Deglutii, preoccupata e già consapevole.
«Dimmi pure».
Sollevò lo sguardo, lo puntò al di là del parabrezza e prese un respiro profondo.
«Tu mi piaci tantissimo», sputò tutto di seguito, ad una velocità così elevata che capii ciò che aveva appena detto solo per intuito.
La gola mi stava andando a fuoco, secca come non mai. Mi aggrappai allo sportello, incredula nonostante tutto: come poteva piacergli una come me? Poteva avere il mondo, e sceglieva l'unico water di casa?
Ma nonostante tutto, ciò che mi sconvolse di più fu la mia reazione: non volevo che dicesse una cosa simile. Non in quel giorno, non dopo quelle ore, non dopo quello che avevo dovuto sopportare nei quattro giorni precedenti, non con l'umore nero che mi ritrovavo...
L'unica cosa che mi avrebbe aiutato a far pace con me stessa sarebbe stata la solitudine, di certo quella dichiarazione non fece altro che scuotermi ulteriormente, ma in senso negativo.
«Anche tu mi stai molto simpatico, Eric...».
Cristo, che vergogna... non sapevo che dire, ero come chiusa dentro un pallone che non faceva altro che rotolare senza sosta.
«Ma non sto per niente bene in questo periodo e ho bisogno di passare del tempo da sola con me stessa. Non credere che sia colpa tua, tu sei davvero... fantastico», gli posai una mano sulla spalla e gli feci una carezza tra i capelli chiari, guardandolo chiudere gli occhi. «Ma prima di gestire qualsiasi emozione o relazione, devo chiarire alcune cose con me stessa».
Non mosse un muscolo, sembrò trattenere addirittura il respiro; non avevo il coraggio di muovermi, ma dovevo fare qualcosa sebbene mi sentissi doppiamente in colpa, adesso, per la possibilità di aver ferito anche lui con la mia risposta.
Ma possibile che non me ne andasse mai bene una?!
Possibile che dovessi mettere sempre la felicità degli altri prima della mia?!
Afferrai la maniglia, la feci scattare e feci per uscire, ma prima di farlo mi allungai verso di lui e gli posai un bacio sulla guancia.
«Grazie della bella serata, sono stata davvero bene. Buonanotte, Eric».
Feci per allontanarmi, ma lui mi afferrò per il polso, trattenendomi.
Mi voltai in sua direzione, allarmata: il mio sguardo sobbalzò dalla sua mano ai suoi occhi che, indecisi, contemplavano la possibilità di lanciarsi senza preavviso o di chiedermi il permesso di ciò che stava per fare.
Alla fine optò per lanciarsi.
Mi prese il mento tra due dita e si avvicinò di scatto a me, inclinando leggermente il il viso a destra, viola in volto e con il respiro irregolare.
Balzai all'indietro, riuscendo a riacciuffare la maniglia in tempo per aprirla e scivolare giù dall'auto, cadendo a gambe all'aria sul marciapiedi.
Lo sportello tornò indietro e mi batté sulla testa con violenza, provocandomi una fitta di dolore allucinante. Con la vista appannata e gli occhi quasi del tutto strizzati notai che mi stava tendendo una mano per aiutarmi a rimettermi in posizione eretta e risalire in macchina, scusandosi ad alta voce e balbettando più e più volte, ma la possibilità di qualsiasi altro tipo di contatto con lui, quella sera, mi spaventò a tal punto da reagire d'istinto: barcollai sui miei piedi, spinsi lo sportello di nuovo sul suo asse, mi voltai, corsi via verso la porta di casa, trovai la chiave dentro il vaso in terracotta ed aprii in fretta la porta di casa.
Lanciai le chiavi sul divano, corsi al piano superiore infischiandomene altamente di fare piano, m'infilai in camera mia e mi ci chiusi dentro a chiave.
Sospirai, scivolando contro il legno, ripiegandomi su me stessa.
Quella era davvero la giornata peggiore della mia vita: avevo perso - così sembrava - Mya perché avevo deciso di farmi la mia vita e di relegarla agli angoli e avevo perso Eric perché, in un moto di consapevolezza, avevo capito che non faceva per me stare con uno come lui e l'avevo messo in imbarazzo troncando qualsiasi suo tentativo coraggioso di farsi avanti con una ragazza.
In sintesi, mi ero giocata tutto ciò che avevo - o forse pensavo solo di avere - e adesso non mi era rimasto più nulla.
Mi strappai la camicia di dosso e la lanciai contro il comodino, scalciai violentemente finché non riuscii a sfilare anche i jeans e le scarpe, poi afferrai un elastico e mi allacciai in capelli alla bell'e meglio, gettandomi sul letto in intimo e chiudendomi a riccio su di esso.
Mi sentivo uno schifo, ma la cosa positiva era che la stanza era completamente al buio e quindi nessuno specchio poteva riflettere la mia stupida e orribile immagine.
«Puzzi di dopobarba».
Spalancai la bocca per urlare, ma una mano mi coprì prontamente le labbra e bloccò qualsiasi mio tentativo di richiesta di soccorso.
La paura s'impossessò di me in un attimo, congelandomi sul posto.
Non riuscivo a vedere niente, sentivo solo un vago odore di fresco e l'unica cosa ad essermi familiare era la morbidezza della pelle di quella mano.
Avevo tutti i muscoli atrofizzati dalla paura, gli occhi quasi fuori dalle orbite e il cuore mi batteva talmente forte da sentirne l'eco sbattere sulle pareti della camera.
Ritrassi le gambe al petto, per poi scalciare nel tentativo di allontanarmi, ma con l'altra mano mi strinse a sé talmente forte da spalmarmi completamente sul suo corpo ed impedendomi qualsiasi tipo di movimento.
Gemetti spaventata, tenendo le mani chiuse a pugno sul seno.
Chiunque fosse - aveva parlato talmente piano che riconoscerne la voce mi era risultato quasi impossibile - abbandonò la presa sulla schiena e mi afferrò per le dita, avvicinandole a sé, terrorizzandomi.
Cercai di porre resistenza, ma fu tutto inutile... finché con quest'ultime non toccai qualcosa di corto e scompigliato.
Capelli corti.
Odore di fresco.
Pelle morbida.
Mya.
ANGOLO AUTRICE:
So bene che vi ho fatte soffrire finendo il capitolo così, ma era necessario! Evidentemente Ally si sbagliava pensando che stavolta sarebbe toccato a lei cercare Mya, se ci teneva ancora ad averla nella sua vita. Ma ora che succederà? Grazie a tutte le ragazze che commentano, mi fanno domande, mi spronano e votano i capitoli, siete fantastiche!! Mi fate sentire una vera scrittrice anche se sono meno di una mezza calzetta. XD Pazienza, mi accontento di far felici voi piccole anime. Fatemi sapere se anche questo capitolo vi è piaciuto e soprattutto COSA NE PENSATE. Io sono sempre qui.
PS: per qualsiasi cosa, mandate un messaggio privato in posta. Rispondo! ;)
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