Cap 14: Make love

  «Gira voce che stai con una ragazza, Ally».
«Già, la barista che è venuta ad organizzarci il rave qui a scuola, ricordi?».
«Qualcuno ti ha vista ballare con lei in maniera molto sensuale durante la serata liceale...»
«... altri dicono di avervi visto andare via insieme...»
«... e no, non è la prima volta che vi vedono allontanarvi. Non pensavamo che dietro quella faccetta d'angelo potesse nascondersi una lesbica», terminò Sam, dopo che Meg e Linda ebbero allestito quella bella scenetta squallida in mezzo al corridoio del primo piano del liceo.
Appiattita contro il mio armadietto, il cuore mi martellava frenetico nel petto e mi sentivo come un ladro colto in castagna che non sapeva che strada prendere per riuscire nell'intento della fuga e non farsi acciuffare dai poliziotti.
Sentivo la lingua bloccata, e di tutti i pensieri urlati o sussurrati che mi attraversavano la mente nemmeno uno si arrischiava a prender voce.
Avevo temuto quel momento fin dall'inizio, fin da quando avevo cominciato a sentirmi attratta da Mya. Uscire insieme ma prestare attenzione non era servito a granché, perché evidentemente qualche dettaglio c'era sfuggito comunque. Forse c'eravamo preoccupate tanto dei minimi particolari e poco dei dettagli più evidenti, assoggettandoci automaticamente agli occhi indiscreti pur non volendolo.
La domanda che però mi martellava nel cervello era: come avevano fatto ad arrivare a quelle conclusioni pur avendo così poche prove?
Due ragazze non potevano andare da qualche parte insieme abbracciandosi, che automaticamente venivano etichettate come lesbiche? Oppure se due ragazze ballavano insieme erano per forza fidanzate?
Scavai dentro di me alla ricerca di un briciolo di coraggio e questo venne fuori attraverso una risata nervosa.
«Ma che cosa state blaterando?», continuai a ridacchiare, passandomi le mani tra i capelli per il nervosismo. «Quale ragazza, ai giorni d'oggi, non balla in modo sensuale con un'amica in discoteca per non farsi notare dai ragazzi? Voi ballate addirittura tutte e tre insieme, in questo modo! Perché dovrebbe fare differenza per me?», snocciolai di fretta, mordendomi poi il labbro inferiore per frenare le parole.
La paura poteva giocare davvero brutti scherzi, poteva bloccarti il fiato un minuto prima e un minuto dopo concedertene talmente tanto da doverti mordere la lingua a sangue per smettere di parlare.
Meg guardò Sam aggrottando le sopracciglia, perplessa ma anche pensierosa. Sam continuava a guardarmi negli occhi e scuoteva la testa, invece, una chewing-gum alla fragola in bocca, l'alito fruttato, l'eye-liner spesso sulle palpebre, i capelli mossi e sciolti, le gambe strizzate in leggins neri come carne dentro nodi di salsiccia.
Deglutii mentre lei mi sorrideva, furba e consapevole.
Se solo non fossi stata per anni ed anni così timida e diversa dal resto delle altre ragazze, forse quel mio discorso sarebbe pure potuto suonare convincente.
«Non devi fingere con noi, stai tranquilla. Non ci interessa con chi te la fai, volevamo solo farti i complimenti per esserti finalmente svegliata. Ora anche tu hai qualcosa di speciale come il resto della nostra "squadra", puoi finalmente fare parte di quelli che valgono».
Aggrottai le sopracciglia, confusa. Il mio sguardo vagò da Linda a Meg, che però sembravano già a conoscenza delle parole di Sam, e soprattutto d'accordo con esse.
«Come, scusa?».
Risero.
«Oh, piccola, ingenua Ally... Non ci arrivi proprio, eh? Tutti i ragazzi che valgono in questa scuola hanno qualcosa di speciale. Noi tre siamo belle, conosciute, ricche e ribelli. I tre ragazzi che siedono solitamente al nostro tavolo fanno parte della squadra di football, hanno una villa in campagna e due di loro spacciano erba. Le due ragazzine coi capelli corti che di solito assistono agli allenamenti dei ragazzi danno delle feste fantastiche il sabato sera e ci fanno entrare gratis alle serate, e tu, con quel visino innocente, hai nascosto la tua sessualità in modo impeccabile finora, sei lesbica e si sa che le lesbiche eccitano da impazzire, soprattutto i ragazzi. Sei la ciliegina sulla torta, il top della diversità, la mascotte. E poi potresti rivelarti una grandissima bugiarda in caso di bisogno. Sei la novità, tutti ti vogliono...».
«Tutti?!», gracchiai, la gola secca.
Linda annuì e prese la parola.
«Non siamo le uniche ad aver scoperto la verità».
«Ma si può sapere chi vi ha detto una stronzata simile?!», sbottai, stringendo i pugni lungo i fianchi. Meg mi guardò come se non si sarebbe mai aspettata di sentirmi imprecare ad alta voce, Sam fece spallucce, Linda indicò l'aula numero trentadue.
«Scarlett Manson, la trovi in aula di storia. E' da ieri che chiede in giro se qualcuno conosce una ragazza lesbica di nome Ally Telesco, e quando i ragazzi rispondono di conoscerne una con questo nome ma di essere assolutamente certi che non sia lesbica lei chiarisce che si sbagliano, e comincia a parlare di te. Le hai pestato la coda, per caso?».
Mi sentii ardere, un calore improvviso mi si spanse lungo tutto il corpo e per poco una nuvola di fumo non fuoriuscì di getto fuori dalle mie orecchie.
Come si permetteva quella stronza di metter bocca sulle mie faccende private? Con quale scopo stava speculando su di me e sulla mia vita sentimentale?
Non riuscivo più a mettere a fuoco quello che le ragazze avevano detto fino a quel momento, non riuscivo nemmeno a riflettere su una possibile replica. Tutto quello che volevo fare era spaccare la faccia a quella stupida, insensibile, insopportabile e crudele.
D'istinto posi una mano sulla spalla di Sam e la scansai, puntando i miei occhi sulla porta dell'aula di storia; i loro visi, i loro corpi erano completamente invisibili, inoltre avrebbero potuto continuare a blaterare per ore, ma io avevo già smesso di ascoltarle da una manciata di secondi.
Si fecero da parte, pregustando una lotta all'ultimo sangue che erano quasi felici di aver innescato.
«Ti aspettiamo al nostro tavolo, allora!», fecero sarcastiche, allontanandosi verso l'entrata.
Il mio sguardo però non si mosse dall'obiettivo. Dentro di me cresceva l'istinto di prenderla a ceffoni; quella ragazza stava letteralmente tentando di mandare la mia vita all'aria ed io ero stanca di osservarla mentre prendeva in mano le redini della mia esistenza e cambiava le traiettorie da me stabilite.
Afferrai la maniglia di legno nero, aprendo di scatto la porta, ma con mia grande delusione l'aula era completamente vuota.
Sospirai, assestando un calcio ben piazzato alla porta che si mosse ed oscillò sui cardini.
Stavo perdendo le staffe e anche il controllo di me stessa... Un gruppo di ragazze passò per il corridoio, mi osservò, due di loro borbottarono qualcosa e poi risero, continuando a lanciarmi sguardi divertiti.
Dio mio...
Mi sentivo impazzire... Fin dall'inizio la mia preoccupazione più grande era stata quella di non far scoprire a nessuno che io e Mya ci stessimo frequentando e adesso che stavamo insieme ufficialmente per me era di vitale importanza che nessuno venisse a scoprire di me e di lei.
Il motivo non era la vergogna, perché non c'era assolutamente nulla di cui vergognarsi. Non era nemmeno perché mi sentivo ancora in parte confusa, il vero motivo era l'ignoranza! I miei compagni di scuola, i ragazzi degli altri corsi, chiunque avrebbe cominciato ad additarmi, a giudicarmi, guardarmi male, la voce si sarebbe estesa anche al corpo docenti ed io avrei rischiato di essere vittima di soprusi e ancor peggio di essere valutata dagli insegnanti non più per ciò che facevo, ma per ciò che ero o per ciò che si diceva di me, e non potevo assolutamente permettermelo!
Misi la borsa in spalla e richiusi la porta dell'aula di storia, uscendo lentamente come se fino a pochi attimi prima non mi fossi comportata come una pazza.
Sorpassai un'insegnante minuta e sconosciuta, due ragazze del primo anno ed Eric - il quale mi rivolgeva ormai a stento un saluto da quando gli avevo chiaramente fatto capire che tra di noi non poteva nascere altro se non una tenera amicizia -, poi spalancai il portone principale dell'istituto con l'intento di scappare via, imprimendo su quell'enorme maniglia tutta la forza che possedevo, ma prima di poter fare anche solo dieci metri Scarlett mi si parò di fronte con le braccia incrociate al petto, un sorriso sornione in volto, i capelli lunghissimi e scompigliati, il trucco sfatto sotto gli occhi color ghiaccio.
I miei pensieri su Eric e sul mio dispiacere nei suoi confronti furono letteralmente spazzati via e presi a calci dalla sua presenza; la sua posa esprimeva sicurezza, forza, astuzia, un animale pericoloso braccato per troppo tempo, pronto ad attaccare finalmente la sua agognata preda.
Allargai le braccia e roteai gli occhi, guardandola come senza parole.
«Mi spieghi che diavolo ti passa per quel cervello marcio?», sputai velenosa, sorprendendomi di come riuscissi ad essere forte quando mi sentivo minacciata.
Non avevo mai eccelso in coraggio, piuttosto ero sempre stata quella pronta ad infonderlo, ma se volevo preservare me stessa e tirarmi fuori dalla voragine dentro cui Scarlett stava cercando di lasciarmi precipitare dovevo essere capace di tirare fuori gli artigli da sola.
Scarlett rise, mordicchiandosi le dita corte e pestate di rosso.
«Deduco che tu mi stessi cercando».
«Beh, deduci bene! Meg, Sam e Linda sono venute a darmi il benvenuto nella loro "squadra" perché adesso anch'io ho qualcosa di speciale per cui vale la pena ammettermi tra di loro! E indovina cos'è? Il mio orientamento sessuale! E vuoi sapere chi lo sta spifferando in giro senza il mio consenso? Tu!», gesticolai frenetica, le orecchie fischiavano come un allarme acustico venuto ad avvisarmi della mia eccessiva temperatura corporea.
Fece spallucce come se in verità non c'entrasse niente in tutto quel discorso.
«Avrò pure rovinato la mia vita con le mie mani, Ally... Ma anche se avessi voluto tentare di rimediare, di farmi perdonare, di riprendermi ciò che era mio e che con troppa indulgenza avevo lasciato andare, tu hai rovinato tutto mettendoti in mezzo. Avresti fatto bene a startene al tuo posto. Io non mi fermerò finché anche tu non ti sentirai come mi sento io adesso: senza speranze», sentenziò.
La immaginai incastrata in un blocco di ghiaccio; ogni sua parola era un fiocco di neve, un chicco di grandine, una valanga che la seppelliva dalla testa ai piedi e non le lasciava spazio per respirare. Scarlett Manson aveva la morte nel cuore, era fatta di ghiaccio, non aveva più sentimenti e non nutriva più alcun genere di amore per nessuno se non per la vendetta che voleva infliggermi. Qualsiasi sua azione o parola non faceva altro che innalzare quel muro di ghiaccio che si stava costruendo intorno con un ulteriore mattone trasparente.
Esasperata, mi misi le mani tra i capelli e tirai verso il basso alcune ciocche.
«Io non c'entro niente, lo vuoi capire?! Sei tu che non hai apprezzato ciò che avevi quando era ancora tuo, lasciandolo scappare via! Mi fa piacere che tu abbia appreso il valore di ciò che hai perso, Scarlett, questo ti innalza certamente ad un livello superiore e sicuramente ti fornisce una lezione su cui riflettere, ma non puoi punire gli altri per qualcosa di cui tu e solo tu hai la colpa!», cercai di essere diplomatica, ma allo stesso tempo tentai di essere quanto più chiara e schietta possibile, sperando di non ritrovarmi mai più in una situazione come quella.
Si guardò intorno mordendosi il labbro inferiore, poi sollevò gli occhi al cielo e, dopo una lunga pausa di silenzio assordante, piantò un calciò contro la ruota anteriore di un auto rossa, un pugno contro il parabrezza.
Indietreggiai, spaventata dall'idea che da un momento all'altro sarebbe potuto scattare l'allarme e che qualche insegnante sarebbe accorso immediatamente a difendere la sua proprietà, incolpando me dell'accaduto nel momento stesso in cui, voltandoci entrambi, ci saremmo resi conto di essere soli e che di Scarlett Manson non si scorgeva nemmeno l'ombra.
«Smettila!».
«Sai che c'è? Hai ragione, la colpa è mia».
Annuì decisa, ma quella sua convinzione non servì a far convinta me. Rimasi ad osservarla per cogliere qualsiasi suo gesto, ma alla fine un unico sorriso amareggiato comparve sulle sue labbra e da quest'ultime fuoriuscì soltanto: «Ma, esattamente come mi sono tirata fuori dalla vita di Mya in grande stile, adesso riserverò a te lo stesso trattamento. Preparati, Ally, quando meno te l'aspetti la tua vita diventerà un inferno».

La tua vita diventerà un inferno...
La tua vita diventerà un inferno...
La tua vita diventerà un inferno...
Scarlett scomparve dalla mia vista, ma i miei occhi, completamente sbarrati, continuavano a vederla lì davanti a me, la sua frase mi riecheggiò per una manciata buona di secondi nella mente senza che riuscissi a pensare a nient'altro se non a quella minaccia, le gambe non rispondevano ai miei comandi e sentivo le braccia pesanti, sul punto di staccarsi dal busto e rotolare sull'asfalto.
Avevo paura. Ero terrorizzata da quella ragazza e da quello che avrebbe potuto fare. Basandomi sulle mie precedenti esperienze potevo asserire con certezza che Scarlett non era una persona che si fermava di fronte agli ostacoli, anzi s'intestardiva ancora di più finché non riusciva ad ottenere ciò che voleva, con le buone o con le cattive.
Cosa aveva intenzione di fare, ora? Cosa avrebbe fatto per rovinarmi?  


  ~∞~  

Da quando ero tornata a casa, quel pomeriggio, diversi pensieri mi avevano occupato la mente e non mi avevano dato modo nemmeno di riposare.
Primo fra tutti, ovviamente, il fardello dell'interrogativo che Scarlett mi aveva legato al piede come un enorme palla di piombo.
Pensavo inoltre a Sam e alle sue compari, le quali mi avevano sempre e solo considerata come un oggetto da utilizzare nel momento del bisogno e ai cui occhi, improvvisamente, ero più interessante e appetibile. Avevo spesso desiderato di essere una ragazza comune, di essere come loro, di non essere additata come diversa, di essere accettata... Ma adesso entrambe le cose non mi stavano bene: fare parte di loro significava eguagliarmi e abbassarmi ad un livello intellettuale che, adesso lo vedevo chiaramente, era nettamente inferiore al mio, poiché loro ragionavano in maniera materiale e superficiale, e questo modo di riflettere non aveva mai fatto parte di me; essere diversa, invece, significava essere ancora una volta additata e vista come quella "strana", e adesso che si vociferava che il mio orientamento sessuale era diverso da quello che tutti avevano sempre creduto, la mia stranezza stava letteralmente prendendo dimensioni cosmiche e non escludevo l'idea di essere evitata da tutti quelli a cui era già giunta la notizia da quel momento in poi.
I pregiudizi sapevano allontanare le persone meglio di quanto un'insetticida sapesse fare con gli insetti. La società va avanti perché gruppi sociali si creano e si ritrovano, formano delle coalizioni più o meno forti alla base delle quali vi sono ferme convinzioni, ma soprattutto ognuno di questi gruppi è capitanato da un leader i cui ideali rispecchiano poi nel novanta percento dei casi gli ideali di tutti gli altri membri.
Con questo ragionamento è facile comprendere, soprattutto se si parla di gruppi di liceali, che se tra questi è presente una figura di rilevanza che pensa che il mangiare della mensa faccia schifo, per esempio, tutti gli altri membri appartenenti a quell'appendice sociale penseranno la medesima cosa. Idem per quanto riguardava me: se un capogruppo pensa che gli omosessuali in generale facciano ribrezzo e che vadano evitati come la peste, tutte le altre teste che ruotano intorno a quella del leader cominceranno a pensare la stessa cosa, a meno che si verifichi il caso raro della seconda testa leader, la quale cercherebbe di emergere contro il capo e dare il via ad un nuovo filone di pensiero, e quindi ad una nuova congrega sociale.
Studiare sociologia a volte serviva a fare i conti con la realtà, dovevo ammetterlo.
In sintesi, in quel preciso istante più che essere uguale a tutti gli altri o diversa, volevo semplicemente essere un'altra ragazza. Una ragazzina bionda e magra, con gli occhi azzurri e la pelle color latte, le unghie lunghe e curate e tanti braccialetti alle braccia.
Una ragazza senza problemi di personalità, mi andava bene anche non essere troppo brava a scuola, avere una media non troppo alta, ma per lo meno non avere problemi con una psicopatica dagli occhi trasparenti.
E poi c'era Eric, un ragazzo che avevo adocchiato fin dall'inizio e con il quale c'era stata poco più che una fiammella alimentata da un fiammifero difettoso, nata velocemente così come era scemata fino a morire.
Perché?
Perché non potevo essere amichevole, dare ad Eric una chance, liberarmi di Scarlett, fare pace con me stessa?
E Mya?
Già, Mya dove la mettevo? Se avessi dato ad Eric - con il quale a prescindere non avrei potuto creare nulla a causa della nostra incompatibilità da poco scoperta - una chance, Mya sarebbe automaticamente scomparsa dalle mie giornate... Liberarmi di Scarlett significava liberarmi anche di Mya, allo stesso modo, perché ero più che convinta che quella ragazza non si sarebbe fermata finché non avessi lasciato andare il suo presunto amore eterno così da darle la possibilità di riaverlo indietro... E se avessi fatto pace con me stessa, ultima cosa ma non meno importante, di certo mi sarei imposta di essere qualcuno che non ero solo per compiacere gli altri e per rendermi la vita più facile, e anche in quel caso Mya sarebbe scomparsa per sempre dalla mia vita. Era questo che volevo?
No.
Assolutamente no.
Il solo pensiero mi strinse lo stomaco e mi pizzicò gli occhi.
Tutto mi sembrava inutile: qualsiasi cosa avessi fatto per risolvere la situazione sarebbe sempre andata a discapito mio.
«Ti senti bene?».

Fu come uno strappo all'altezza dell'ombelico, come lanciarsi dal ponte che divideva la città dalla periferia col bungee jumping ed essere risucchiati improvvisamente indietro non appena la fronte sfiora il pelo dell'acqua.
Quelle riflessioni avevano accompagnato tutto il mio pomeriggio fino alla sera e mi ero completamente dimenticata della presenza di Mya al mio fianco, di dove ci trovavamo, di che ora era, di come eravamo arrivati dove e di cosa stavamo facendo.
Avevo adottato un comportamento più simile a quello di un'automa, che a quello umano. Non mi ricordavo nemmeno cosa avevo fatto nelle quattro ore precedenti, in quale macchina ero salita e quale strada avevo imboccato... Il mio sguardo si era perso nell'orizzonte, in un punto senza sbocco, e adesso mi trovavo lì, senza sapere dove "lì" fosse esattamente.
Aprii gli occhi, che senza rendermene conto avevo chiuso come a volermi proteggere dagli artigli acuminati con cui quei pensieri volevano ferirmi ovunque, e mi ritrovai in posizione orizzontale sdraiata su qualcosa di non troppo morbido, ma nemmeno troppo duro.
Una mano mi accarezzò i capelli ed io sussultai.
«Ehi, ehi, che succede?», chiese, la voce era roca e bassa, ma allarmata.
Sentivo tutto il suo corpo giacere accanto al mio; il suo profumo impregnava l'intera area circostante, ma sebbene sentissi una certa frescura insinuarsi tra di noi il suo profumo era troppo presente perché potessimo trovarci all'aria aperta.
Mi voltai supina e mi resi conto di avere sulla testa un'enorme cupola di stoffa ornata da cerniere e tasche: eravamo sdraiate dentro una tenda e quell'aria fresca che avvertivo proveniva dal mare, così come il rumore melodioso delle onde.
Sospirai, sentendomi un po' più in pace.
Mya, accanto a me, si sistemò su un gomito e cominciò ad accarezzarmi la mandibola con due dita.
«Ti va di parlare di quello che ti sta passando per la testa?».
Sentivo i suoi occhi seguire attentamente il movimento delle sue mani e quest'ultime mi stavano facendo rilassare, allontanando i pensieri brutti.
«Mi dispiace, sono un po' distratta...».
«Sì, ho notato... E' successo qualcosa a scuola?».
«Aspetta un attimo... Come mai siamo qui?», incalzai preoccupata.
Tacque, come sorpresa.
«Hai detto a tua madre che andavi a dormire da Alice... ricordi? Ti ho detto che mi andava di passare una serata insieme e tu hai detto che non avevi nulla da studiare, che si poteva fare... Ho portato la tenda perché volevo passare un po' di tempo da sole in un luogo più attraente del mio piccolo appartamento, mi sembravi d'accordo, ma se non ti va possiamo...».
«No, no, scusami...», mi passai una mano sulla fronte e mi maledissi per essermi mostrata tanto confusa e spaesata. «E' stata una giornata pesante...».
«Mi era parso dal tuo tono di voce che qualcosa non andava», ammise.
Le sue dita smisero di giocare e voltarono il mio viso verso il suo, afferrandomi delicatamente per il mento. Incontrai i suoi occhi chiari e mi ci persi come in un labirinto senza fine. «Che succede, Ally?», m'interrogò, i capelli tirati all'indietro, un nuovo orecchino sull'orecchio destro, precisamente sull'elice, le labbra scure.
Le passai istintivamente una mano tra i capelli e lei parve sciogliersi sotto quel gesto.
«Scarlett sta diffondendo a scuola delle notizie su di me, tra le quali quella sul mio presunto cambiamento d'orientamento sessuale... Oggi Meg, Sam e Linda sono venute a farmi i complimenti per essermi "svegliata" e mi hanno dato perfino il benvenuto nel loro gruppo, sono state loro a dirmi chi era stato a mettere in giro quelle voci... Ho litigato con lei nel parcheggio della scuola, ho cercato di essere dura per metterla di fronte alla realtà, ma a quanto pare con Scarlett non funzionano né le buone né le cattive maniere... Ha promesso di vendicarsi... Ha detto che mi renderà la vita un inferno e che solo allora se ne tirerà fuori... Ho paura...», conclusi.
L'ultima cosa che volevo era mostrare le mie debolezze e le mie paure a qualcuno, sapevo che se avessi scoperto il fianco ci sarebbe stata la probabilità di essere colpita alla sprovvista, ma con Mya era diverso... Mi fidavo di lei e sapevo che non mi avrebbe tradito, nel suo caso l'unica cosa che temevo era che diventassi pesante e insopportabile ai suoi occhi, troppo debole per stare al suo fianco.
Chiusi gli occhi, confusa e stordita dai miei stessi pensieri e da tutti gli avvenimenti di quella giornata. Mya al mio fianco sospirò.
«Ascolta, Ally... Conosco Scarlett, so che non è una ragazza facile da gestire e so che è in grado di farsi temere da chi vuole. Non ha paura delle conseguenze di nessuna azione, non si ferma davanti a niente e di certo non si fermerà davanti a te, ma se tu ti mostri debole lei avrà molte più possibilità di colpirti».
Aveva ragione, era esattamente ciò che avevo pensato pochi secondi prima: mostrare le proprie debolezze poneva su un piatto d'argento all'avversario le istruzioni necessarie ad affondare il colpo nel punto giusto.
Annuii e lei si passò una mano tra i capelli.
«Ho paura che possa rovinarmi la vita...», mormorai, accoccolandomi tra le sue braccia.
Avvertii le dita di Mya sfiorarmi i capelli, pormi due ciocche dietro l'orecchio; le sue labbra mi baciarono la fronte, la punta del naso, infine le labbra.
Baci leggeri e delicati, che sapevano di carezze rincuoranti, si susseguirono tra le nostre bocche finché divennero sempre più intensi e dolci.
Mya aveva la capacità di farmi sciogliere con pochi gesti, sapeva esattamente cosa fare per rendermi sua, per calmare il mare impetuoso che mareggiava nel mio petto, per tranquillizzarmi. Mi passò una mano su un fianco, sollevandomi di poco la maglietta, e nel momento in cui la sua pelle entrò a contatto con la mia le mie guance s'imporporirono e la pelle d'oca s'impadronì di tutto il mio corpo.
«Ci sono io con te...», mi sussurrò sulle labbra, mordendomi appena il labbro inferiore subito dopo.
Istintivamente le posi una gamba sul fianco sinistro, tentando di azzerare la distanza che ci divideva; in risposta, una delle sue gambe finì tra le mie.
Trattenni il respiro, lei se ne accorse ma m'ignorò, sollevandomi il mento verso l'alto con due dita e affondando il viso sul mio collo esile.
Strabuzzai gli occhi, mentre ogni tipo di preoccupazione si allontanava dalla mia mente per lasciare posto all'eccitazione, all'adrenalina, al desiderio.
Le sue labbra tracciarono ghirigori senza senso sul profilo del mio collo, avvertii la sua lingua sfiorarmi le clavicole e automaticamente un brivido mi attraversò la schiena, costringendomi ad inarcarla.
«Ti dà fastidio...?», abbozzò sulla mia pelle, abbassandomi una spallina della canottiera leggera di cotone.
La lasciai fare non per un puro fattore di volontà, ma perché tutte quelle sensazioni mi stavano mandando in pappa il cervello e non fui capace di formulare una risposta o un gesto coerente, di senso compiuto.
Si spinse lentamente su di me fino a che le sue ginocchia non furono ai lati dei miei fianchi.
«No», risposi dopo svariati secondi nel tentativo di ascoltare il mio corpo e di dare una risposta sincera.
Sorrise sghemba, sfiorando l'arroganza. Poggiò la fronte contro la mia e chiuse gli occhi, mordendosi il labbro inferiore.
Dio, era sexy fino all'inverosimile quando lo faceva...
«Io non permetterò mai che nessuno ti faccia del male», mi sfilò lentamente gli occhiali e li richiuse, posandoli dentro una tasca di nylon all'interno della tenda. Mi opposi, osservando i suoi gesti confusa, cercando di riacciuffare gli occhiali, ma lei mi prese le mani e mi baciò la punta delle dita.
Continuò baciandomi la fronte, le sopracciglia, le palpebre...
«Finché sarò con te qualsiasi cosa tenterà di ferirti dovrà prima passare su di me», mi baciò le guance mentre tenevo gli occhi chiusi e l'emozione per quelle parole intense e dolci mi tolse la forza di riaprirli.
Avevo sempre considerato l'opinione di alcuni secondo cui tutti i momenti più emozionanti si sentono col cuore e non con la mente, motivo per il quale chiudiamo gli occhi ogni volta se ne presenti uno nuovo, come una teoria infondata e profondamente infantile... ma in quel momento non potei fare a meno di pensare che quel pensiero romantico fosse più che reale.
«Te lo prometto», concluse, baciandomi le labbra e poi il mento.
Avrei voluto piangere dall'emozione, avrei voluto prendere il mio cuore, regalarglielo, dirle che era suo, che era riuscita a conquistarlo e a sconvolgermi la vita in pochi mesi, che era riuscita a diventare di vitale importanza per me e che il minimo che potessi fare - per lei ma soprattutto per me - era darmi completamente a lei per sempre, anima e corpo, per ringraziarla di quanto aveva fatto.
Le accarezzai i capelli lentamente, sorridendole con gli occhi leggermente lucidi.
«Non so dare un nome a ciò che provo per te... Assomiglia ad un sentimento che tutti acclamano, ma non sono sicura di poterlo ancora dire ad alta voce... Sicuramente qualcuno riderebbe di me, direbbe: "non puoi amare qualcuno che conosci da cinque mesi". Se sapessero che sei una ragazza, poi, la questione diventerebbe agli occhi di tutti ancora più esilarante e ridicola... Però...»
«Però...?», m'incalzò, sfiorandomi il naso col suo. Chiusi nuovamente gli occhi, accarezzandole la nuca. Sospirò, stringendo le dita sulla coperta che aveva steso sotto di me, ai lati del mio viso.
Deglutii.
«Non lo so...».
«Cosa ti interessa di quello che pensano gli altri?»
«Niente», ammisi con naturalezza, scoprendo però di sentirmi una bugiarda. Purtroppo mi interessava eccome, avevo sempre dato fin troppa importanza al parere degli altri.
Scosse la testa, sorridendo.
«Siamo solo io e te adesso, Ally. Puoi dire tutto quello che vuoi», afferrò lentamente i bordi della mia canottiera e la tirò via, sfilandomela dalla testa, lasciandomi in reggiseno.
La guardai confusa, coprendomi leggermente i seni ancora velati da un top di stoffa chiara.
S'inumidì le labbra e si abbassò sulle mie clavicole, sullo sterno, ricominciando a coprirmi di baci piccoli e leggeri.
Arrossii, sentendo il cuore fare un balzo fuori dal petto e rientrarvi con violenza assordante.
Con le mani mi sfiorava i fianchi e la sua bocca non dava tregua alla mia pelle, al mio petto che si sollevava e si abbassava frenetico.
«Tu mi piaci da impazzire...», ammisi sospirando.
Mi abbassò le bretelle del reggiseno, scoprendomi del tutto le spalle.
«Mmm», commentò mugolando, causando in me un altro brivido talmente violento da costringermi nuovamente ad inarcare la schiena.
Spinsi automaticamente il bacino verso di lei e Mya mi lanciò uno sguardo provocatorio, serio, malizioso... Di nuovo sembrava che volesse mangiarmi.
«Mya...», la pregai, aggrappandomi alla sua camicia chiara.
Mi posò l'indice sulle labbra, intimandomi al silenzio, dopodiché mi passò una mano dietro la schiena e prese a baciarmi alla francese. La sua lingua era ovunque, sulla mia e contro il mio respiro, tra le mie labbra, sulle mie labbra, in un movimento così intenso e profondo - era come se volesse essere così mia da confondersi col mio corpo, essere un'unica cosa - da farmi girare la testa.
Improvvisamente il leggero sostegno che il reggiseno imprimeva sulla mia pelle cedette e capii che lo aveva appena slacciato.
Istintivamente incrociai le mani di fronte al seno, ma lei le prese tra le sue, le baciò e me le pose ai lati del viso.
Lentamente, in un silenzio pieno di parole che voleva dire "fidati" come "mi fido", quel reggiseno leggero volò via e una delle parti più intime e inviolate di me venne per la prima volta scoperta.
Nessun velo copriva la mia pelle, era alla sua mercé, nuda, esposta. Poteva farne ciò che voleva, gliela offrivo come si offre un dono all'altare di un dio a cui si è devoti.
Osservò per cinque secondi buoni la mia pelle illuminata dalla leggera luce della luna, spesso i suoi occhi si persero nei miei per poi tornare tra quelle colline di carne.
«Cristo... Sei bellissima...», mormorò come se fosse un'imprecazione, passandosi una mano tra i capelli.
«E' tuo. Baciami», azzardai con un filo di voce, mordendomi il labbro inferiore.
Sorrise teneramente e si abbassò sul mio seno, cominciando a baciarmi e a sfiorarmi con le dita i capezzoli in circolo, aggrappandosi alla mia carne come ad un salvagente in mezzo al mare.
Miriadi di sensazioni diverse mi scoppiarono al centro del cervello, piacere, calore, desiderio, eccitazione, adrenalina, voglia...
Era come se ognuna di queste mi pungesse ogni millimetro di pelle su cui le sue labbra si posavano, come piccoli vulcani spenti e inattivi che improvvisamente tornavano in vita.
Lambì il mio seno con la lingua, cercando di trattenere qualsiasi tipo di sensazione o di reazione possibile, ma spesso le sfuggivano dei sospiri di troppo o addirittura dei gemiti strozzati e questo mi mandava ancor più in visibilio.
Le posi una mano tra i capelli, invitandola implicitamente a continuare e questo la mandò in estasi.
Cosa stavamo facendo? Dove stavamo andando a finire? Ero pronta per ciò che Mya voleva farmi provare? Per il posto in cui voleva condurmi?
Tra le sue braccia mi sentivo piccola e inesperta, ma anche protetta e al sicuro... Ero davvero convinta che non mi avrebbe mai fatto del male.
Afferrai la sua camicia e le lanciai uno sguardo come a chiederle il permesso per ciò che stavo per fare e lei si morse il labbro inferiore, indecisa, poi mi fece un piccolissimo cenno del capo ed io, con le mani tremanti e incapaci, presi a sbottonare ogni singolo bottone fino a sfilare quell'indumento leggero dal suo corpo.
Indossava un reggiseno poco imbottito di colore bianco, si confondeva ancor di più con la sua pelle e la rendeva meravigliosa.
Mi attirò verso di sè costringendomi a sedermi su di lei, rotolandomi sotto; mi sfiorò la pancia, poi di nuovo i seni, i capelli fino ad artigliarli.
Chiusi gli occhi, mordendomi le labbra.
«Ti voglio...», soffiò.
Spinse il bacino verso il mio, sotto di me.
Arrossii, sentendo tutto quel calore accumulato pochi istanti prima sul mio petto scendere verso le mie gambe, fra le mie gambe.
Cercai di deglutire, di riflettere prima di dire qualsiasi cosa, ma non c'era niente su cui pensare perché tutto era già chiaro. Il mio cuore e il mio corpo parlavano per me.
«Ti voglio anche io...», conclusi mormorando, osservando i suoi capelli fermi sul cuscino, la sua pelle tesa sulle ossa e sulle curve del corpo, un braccio piegato dietro la testa, l'altro ancora sul mio stomaco...
Era l'immagine del sesso.
La volevo da morire.
Non riuscivo a dirlo ad alta voce, ma era quello che mi urlava il mio cervello: ti voglio da morire.
Si mise a sedere sotto di me, dandomi la possibilità di sfilarle il reggiseno.
Quando, dopo un paio di tentativi, riuscii finalmente a liberarmi di quell'inutile pezzo di stoffa, la nostra pelle si toccò, divenne una cosa sola, si fuse.
Affondai la testa sul suo collo e schiusi le labbra, gemendole accanto all'orecchio, mentre i suoi denti si stringevano sopra la mia clavicola sinistra e cercavano di smorzare il suo respiro affannato.
Era una delle sensazioni più belle che avessi mai provato in vita mia... E per quanto mi sentissi imbarazzata, scombussolata, un po' folle, incapace di intendere e di volere altro all'infuori di quello che stava accadendo, era ciò che stava succedendo l'unica cosa che bramavo.
Avevo bisogno di Mya. Avevo bisogno di sentire il suo corpo, di farlo mio, di sentirlo dentro di me, di appropriarmene. I baci, le carezze, l'intimità che avevamo costruito fino a quel momento era bella, dolce, tenera, ma non era più abbastanza. Era diventata sempre più intensa, spinta, sessuale, carnale... Ed era sfociata finalmente nel desiderio che aveva avviluppato entrambe per più di due settimane ormai.
Non potevamo sfuggirgli, perché tanto avrebbe continuato a rincorrerci e avrebbe finito per consumarci comunque prima o poi.
Mi pose le mani all'altezza della schiena, aggrappandosi a me come se fossi l'unica cosa capace di tenerla in vita, poi le abbassò sempre più fino a posarle sul mio sedere, tra le pieghe della mia gonna corta.
Cercai la sua bocca e la trovai pronta ad accogliermi, un bacio dolce, sentito, disperato, voluto.
Mya mi voleva tanto quanto la volevo io. Lo sentivo dai suoi gesti che con me si era finalmente lasciata il passato alle spalle, e che era pronta a darmi ciò che non era riuscita a dare più a nessuno per più di sei mesi.
«Fai l'amore con me...», il suo respiro s'infranse sui miei denti, lungo il mento.
Le infilai le dita tra i capelli, passandole le dita dietro le orecchie.
Mi afferrò le mani. «Ti prego... Mi stai facendo impazzire...», gemette, posandomi la fronte sul petto.
Sorrisi e mossi lentamente il bacino verso il suo, due volte.
Per la prima volta, Mya si stava lasciando andare senza filtri e senza censure. Era se stessa e non stava fingendo di sapersi controllare. Era umana.
Era donna.
Reagì d'istinto e mi afferrò per la gonna, spingendomi sotto di lei.
Il suo corpo semi-nudo s'infranse sul mio, causandomi un ulteriore ondata di brividi, poi riprese in mano la mia gonna e la sfilò lentamente, allontanandola da noi.
Chiusi le gambe istintivamente.
Tutto si faceva improvvisamente più serio.
Non era come quando ci prendevamo in giro sul divano, quando ci lanciavamo i cuscini e finivamo per farci il solletico; non era come quando ci rincorrevamo carponi ai piedi del suo letto finché io non mi ci nascondevo sotto e lei fingeva di non sapere dove fossi.
Non era come nessun altra volta. Quella era una volta speciale. Una volta diversa, unica. Memorabile.
Mi abbracciò, cullandomi tra le sue braccia mentre il rumore delle onde del mare e il vento al gusto di salsedine ci trascinava qui e la, in un posto senza confini, forme o angoli. Uno spazio illimitato dove le uniche persone ammesse eravamo noi.
Le sue carezze avanzarono lungo le cosce, mentre le sue labbra non davano tregua ai miei fianchi, alla mia pancia, al mio ventre: era come essere venerate. Adesso ero io il dio a cui si stava offrendo tutto.
Mi lanciò uno sguardo premuroso, dolce, protettivo, di permesso; le sue dita si posarono delicate sulla stoffa fina delle mie mutandine e in quel momento l'agitazione s'impossessò di me.
Sentivo la lingua incollata al palato e l'adrenalina in circolo non mi aiutava ad essere più spigliata.
Tutto ciò che riuscii a dire fu: «Non... guardarmi...».
Non volevo che guardasse la mia intimità, poteva essere folle, ingiusto o addirittura ridicolo dato che avevamo raggiunto un livello d'intesa tale da eliminare molte delle inibizioni che c'erano all'inizio, ma forse quello strato sottile di stoffa era il muro alto e spesso che non avevo ancora la forza di abbattere, per lo meno non se qualcuno l'osservava troppo da vicino, non so se mi spiego.
Posò la fronte contro la mia e con una mano fece scivolare lentamente le mie mutandine verso il basso; ad ogni movimento i miei nervi scattavano, le ginocchia si chiudevano verso l'interno in cerca di protezione e le mie guance non facevano che diventare sempre più scure, sentivo addirittura le orecchie in fiamme.
Non appena avvertii l'indumento scivolare giù per le caviglie sentii di essere per la prima volta realmente nuda di fronte a qualcuno. Non soltanto dal punto di vista materiale, e cioè senza vestiti, ma anche dal punto di vista psicologico. Ero la cosa più piccola e indifesa sulla faccia della terra, in quel momento, o per lo meno era così che mi sentivo.
Mi afferrò la mano destra delicatamente e mi guidò verso i suoi pantaloncini scuri, invitandomi a sfilarli.
Riprese a baciarmi le labbra come a volermi tranquillizzare, mentre io slacciavo bottoni e cerniera e facevo scomparire quel pezzo di vestiario.
Nello stesso momento, aiutandosi con le sue mani, fece in modo di eliminare anche le coulotte elasticizzate che portava, in modo da essere in una situazione di parità con me.
Io non me ne accorsi, ma me ne resi conto nel momento in cui si sdraiò tra le mie gambe, divaricando automaticamente le mie, e il suo pube toccò il mio.
Un esplosione di piacere m'invase il cervello e mi costrinse a chiudere gli occhi e a sospirare.
«E' tutto okay, sei bellissima...», mi sussurrò all'orecchio, la voce leggermente strozzata nel tentativo di trattenere un mugolio.
Le misi le mani tra i capelli in un gesto di liberazione di tutta la passione repressa fino a quel momento e lei mi diede un leggero bacio sul collo, al quale però poi si aggiunsero i denti e di nuovo le labbra e di nuovo i denti in un gioco di piacere-dolore che mi lasciò un lungo livido viola sotto l'orecchio.
Non avevo parole per descrivere quelle intense e forti sensazioni.
I baci e le carezze si susseguirono in un vortice senza tregua, che spazzò via presto l'imbarazzo come il timore, fino a fonderci in un unico corpo.
La sentivo parte di me, un altro arto o un altro senso, sentivo attraverso il suo corpo le sue sensazioni e avevo l'impressione che lei sentisse me allo stesso modo.
«Non ti farò del male, te lo prometto», mormorò ad occhi chiusi sulle mie labbra.
La paura scomparsa tornò, ma non me ne feci una colpa: era più che normale.
Ma io mi fidavo di Mya e sapevo che non me ne avrebbe fatto davvero.
Mi baciò teneramente le labbra e le sue dita mi sfiorarono improvvisamente il clitoride.
«Io non...».
E se non fossi stata all'altezza delle sue aspettative? Se non fossi stata abbastanza brava, bella, sexy, perfetta, di suo gradimento? Se mi avesse riso in faccia?
«Sei perfetta», affermò, muovendo leggermente le dita in circolo su quel lembo di pelle piccolo ma sensibilissimo.
Allungai il collo, nuove sensazioni mi colpirono lo stomaco; quel piacere era ancora più forte, più emozionante, come una bomba che esplode senza preavviso e ti spaventa.
Poi improvvisamente le sue dita si spostarono verso le mie grandi labbra e impressero un po' più di forza, trovando però resistenza.
Abbassai di scatto le mani sulle sue spalle, capendo improvvisamente cosa stava per fare.
«Mya...».
«Fidati di me».
«Non...».
«Guardami negli occhi, okay? Guardami negli occhi, shh...».
Annuii leggermente, perdendomi dentro le sue pupille. Spinse di nuovo verso di me, incontrando la stessa resistenza di prima; avvertii una punta di dolore che istintivamente mi portò a stringere le labbra, ma Mya mi baciò lentamente, mi sussurrò di rilassarmi, tornò a guardarmi e quando finalmente mi lasciai di nuovo andare la sentii dentro di me.

Ero sua.

Poggiò la fronte contro la mia e continuò a muoversi dentro di me, lentamente, dentro e fuori.
Avrei voluto tanto continuare a guardarla negli occhi, ma è inutile dire che inevitabilmente il mio sguardo divenne nero, chiuso dalle palpebre che cercavano uno spiraglio di lucidità e freddezza in mezzo a tutta quella libidine.
Gli occhi mi pizzicarono e mi resi conto di star piangendo di gioia nel momento in cui le sue labbra raccolsero, delicate, le mie lacrime. Mi sentivo così stupida a farmi scappare quelle emozioni davanti a lei, ma non potevo fare a meno di eliminare qualsiasi maschera portassi durante il giorno quando eravamo insieme, soprattutto in un occasione come quella.
E per quanto sembrasse difficile, anche lei non indossava maschere in quel momento.
L'accarezzai lungo le gambe, i fianchi; aveva la pelle liscia e morbida, la cosa più profumata e bella che avessi mai avuto per le mani.
La baciai e la sospinsi leggermente fino a stenderla sotto di me.
Continuò a penetrarmi lentamente, cercando di essere il più delicata possibile, e nel frattempo, sebbene non ne avessi la lucidità necessaria, la mia bocca lambì il suo seno nudo e rotondo, baciandolo ovunque.
La vidi stringere le lenzuola ai lati del mio corpo, i suoi occhi si chiusero e le sue labbra si schiusero appena, ma ogni tipo di gemito o sospiro fu bandito.
Era come se non volesse lasciarsi andare del tutto...
Arrossii al pensiero di ciò che avrei dovuto fare, allora, per lasciare che anche i suoi freni inibitori cedessero, ma dissi a me stessa che mi bastava seguire le "istruzioni" che lei mi aveva appena mostrato sulla mia stessa pelle. Era più facile a dirsi che a farsi, ma dovevo regalarle tutto ciò che lei aveva regalato a me. Dovevo farla mia.
Insinuai una mano tra le sue gambe e le sfiorai il clitoride in circolo, imitando ciò che lei aveva fatto con me poco prima; inarcò la schiena e ansimò improvvisamente, lanciandomi uno sguardo pieno di parole nascoste e mordendosi il labbro inferiore, poi, abbassando lo sguardo e arrossendo violentemente, impressi la stessa forza che lei aveva impresso su di me sul suo sesso e spinsi lentamente, penetrandola.
Gemette, passandosi una mano sulle labbra come a rimproverarsi di quel gesto.
Mi abbassai sul suo orecchio e sussurrai: «Lasciati andare... L'hai detto anche tu, ci siamo solo io e te adesso...».
Da lì in poi quella notte scorse piena di nuove emozioni e sensazioni: qualsiasi tipo di vergogna scomparve presto, continuò a farmi sua ed io a farla mia, sempre di più.
Il mio corpo scoprì presto pratiche a me sconosciute, le sue labbra si posarono in zone della mia pelle che mai avrei pensato sarebbero potute essere sfiorate da quest'ultime, gemiti e sospiri si confusero nella notte più bella della mia vita.
La strinsi a me mentre le sue dita giocavano dolcemente col mio clitoride e la mia apertura, spingeva col bacino lungo il mio e mi sentivo sempre più piena mentre affondava dentro di me. Il suono dei suoi sospiri e dei suoi mugolii si perse nell'area circostante, provocando in me un'eccitazione ancora più forte. All'improvviso uno strano calore, come il culmine di una sensazione, il punto massimo di un qualcosa, mi esplose al centro del petto e tra le gambe, costringendomi a gemere così forte da dover nascondere la bocca sulla sua spalla.
Prese a baciarmi le guance in silenzio, il collo, le palpebre, poi si sdraiò accanto a me e mi strinse fortissimo.
Non avevo mai raggiunto un orgasmo in vita mia, quindi non sapevo nemmeno cosa si potesse provare, ma ragionando per ipotesi ero al novantotto percento sicura che quello che avevo appena provato avesse qualcosa a che fare con questo termine, poiché era qualcosa di totalmente diverso rispetto a tutto quello che avevo sentito poco prima.
Non avevo idea di come provocarlo in lei però, e questo mi dispiaceva... Avrei voluto regalarle quello che aveva regalato a me, ma era ovvio che fossi davvero davvero inesperta...
Coprì entrambe con una lunga coperta calda e incastrò una gamba tra le mie, nascondendo il viso sul mio collo.
Sembrava così piccola...
E io, come una stupida, invece, mi sentivo improvvisamente più donna...
«Ti va di dirmi cosa non volevi dirmi all'inizio...?», abbozzò lei dopo svariati secondi di silenzio che non aveva bisogno d'esser riempito con nessuna parola.
I suoi occhi, molto più blu del solito, mi osservarono da vicino e così feci anche io; era stupenda, con quelle guance arrossate, i capelli un po' scarmigliati, la pelle quasi trasparente e quel neo scuro sul seno destro, grande e particolare, qualcosa di intimo che solo lei aveva, le labbra color ciliegia, gonfie per i troppi baci, la pelle impregnata dell'odore del sesso... Era donna, era concreta, era bellissima, unica.
Ed era mia.
«Credo di amarti».
Quella confessione risuonò nell'aria come l'eco di mille parole mai dette ad alta voce.
Sorrise e chiuse gli occhi, nascondendo il viso sul mio collo, le sue dita affondarono lungo la schiena e la sentii sospirare beata.
«Sento di amarti», modificò lei, baciandomi una clavicola.
Allora non ero poi così folle... Forse, anche solo dopo cinque mesi, l'amore poteva nascere e crescere, avvilupparsi alle sue "prede" senza dar loro via di fuga alcuna.
Forse potevo davvero amare Mya e lei poteva amare me.
Forse, per la prima volta, ero davvero felice.
Chiusi gli occhi e le strinsi le dita tra le mie, poi mi accoccolai sul suo petto e il sonno s'impossessò di me.
L'ultima cosa vivida erano le sue labbra che, morbide, mi baciavano la fronte cullandomi.  



SPAZIO PER L'AUTRICE:

Tengo particolarmente a questo capitolo, soprattutto alla seconda parte visto che TUTTO quello che succede, COMPRESE LE BATTUTE CHE LE PROTAGONISTE SI SCAMBIANO, sono realmente accadute. Chiedo a tutti quindi un po' di cautela, semmai vorreste criticare o commentare vi prego di farlo con criterio perché ho messo in ballo un pezzo del mio cuore in questo capitolo e penso che trapeli da ogni parola. Detto questo, aspetto le vostre opinioni e come sempre GRAZIE GRAZIE GRAZIE.

JeyCooper.


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